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Linee e tendenze della sociologia della letteratura
Dire oggi que la sociologia della letteratura ha perduto molto del suo prestigio, sarebbe un eufemismo. Ricordo che una volta, negli anni sessanta, nell’epoca dei miei studi universitari, la sociologia della letteratura fu uno slogan, un concetto dell’avvenire, un’arma di battaglia. Ora, invece, la ‹congiuntura› della s.d.l. sembra definitivamente passata. Quali le ragioni ?
In primo luogo, c’è il bisogno del mercato accademico di novità e di un’innovazione continua. Vale per la sociologia d.l. come per tante altre sotto-discipline. (Perplesso per quanto riguarda la situazione attuale: slogans ‹costruttivismo radicale› di S.J. Schmidt: una certa noia; la dicostruzione aporia dei discorsi, etc.)
Il legame fra s.d.l. e critica marxista: tanti rappresentanti (Lukács, Benjamin, Lucien Goldmann, Pierre Macherey da Althusser, Erich Köhler etc). ermeneutica materialista / critica dell’ideologia.
Il crollo del cosiddetto ‹socialismo reale›. Crollo per motivi economici (paradossale: il primato dell’economia come tesi centrale di Marx). dopo, trasformato in pura utopia. Marxismo considerato come teoria politica-economica o come religione ? (Sussiste come religione).
Motivo centrale dell’ermeneutica materialista: la critica dell’ideologia. Ora, manicheismo inerente: la critica ideologica presuppone il possesso della teoria, della verità. Schema: tu parli, scrivi con una falsa coscienza, pertanto testi ideologici; io parlo, scrivo disponendo della verità, pertanto testi teorici che smontano la tua ideologia. Dubbi suscitati da quel manicheismo ingenuo:
Peter V.Zima: Ideologie und Theorie, Tubingen 1989 (grosso volume di 476 p.).
Affinità, interazione fra ideologia e teoria. ‹Teoria› quella ‹ideologia› che ha la consapevolezza della sua parzialità.
Consapevolezza che offre una costruzione fra altre costruzioni. «Ideologia»: un concetto monologico del discorso (Zima parla di ‹Soziolekt›, intendendo però ‹discorso› nel senso di Foucault). «Teoria»: un concetto dialogico che ha preso atto della contingenza del proprio discorso.
Definizione: «Der theoretische Diskurs geht – wie der ideologische –aus einem oder mehreren Soziolekten hervor und drückt als Wertsystem kollektive Standpunkte und Interessen aus. Im Gegensatz zum ideologischen Aussagesubjekt stellt das theoretische Subjekt den Dualismus der theoretischen Rede dialektisch in Frage und reflektiert seinen sozialen und sprachlichen Standort sowie seine semantischen und syntaktischen Verfahren, die es in ihrer Kontingenz zum Gegenstand eines offenen Dialogs macht: Dadurch strebt es eine Überwindung der eigenen Partikularität durch dialogische Objektivierung und Distanzierung an».
Comporta ri-definizione della ‹falsa coscienza›: atteggiamento monologico, mancanza di distanza in rapporto al proprio discorso, prospettiva religiosa.
2) Ne segue che la s.d.l. non saprebbe procurarci la salute, la salvezza, la verità. Così, anni fa, ho parlato – in questa sede – della necessità di sostituire la s.d.l. con le s.d.l. Una pluralità di discipline: in due dimensioni. Diversità di oggetti – Diversità di discorsi, (metodi)
Oggetti: s. della produzione del testo (dell’autore)– stretto legame colle discipline storiche.
s. della ricezione del testo (del lettore, del pubblico) – stretto legame colle scienze sociali di stampo dichiaratamente empirico («Empirische Sozialforschung»).
s. del testo – stretto legame coli’ermeneutica (ermeneutica mat., crit. dell’ideologia).
Dunque una sociologia degli emittenti, dei destinatari, dei codici e dei testi. Bisogna però subito sottolineare che le distinzioni di questa tipologia elementare non hanno nulla di esclusivo. Il concetto di una s. degli emittenti (degli autori) non vuole affatto dire che nel suo ambito si possano trascurare i destinatari (i lettori) / Jauss orizzonte di attesa , oppure che essa permetta di prescindere dai testi. Ciononostante, dobbiamo tener presente che qualsiasi atto di conoscenza presuppone una delimitazione del suo oggetto specifico: Se ci interessa l’autore, la conoscenza dei lettori entrerà nella nostra ricerca con una funzione strumentale; se ci interessa invece il lettore (meglio: i lettori), la conoscenza degli autori cesserà di essere essenziale e diventerà funzionale allo scopo di un’altra ricerca. («tema» e «orizzonte» nella terminologia fenomenologica; non c’è tema senza orizzonte, né orizzonte senza tema).
Ora, i tre campi di ricerca si distinguono non solo da un punto di vista sistematico, ma anche storicamente. Hanno richiamato l’attenzione di epoche diverse, donde si sono formati anche stili diversi di approccio. Semplificando, si potrebbe sostenere che in un primo periodo si privilegiava la sociologia dell’autore. Era il periodo delle «sciences humaines» – specialmente del secondo Ottocento – delle «sciences humaines» che, oggi ancora stanno soffrendo dal loro connotato di positivistiche. Per conoscere un loro tipico rappresentante, raccomanderei una lettura di certi testi di Hippolyte Taine: Storia della lett. Inglese, La Fontaine et ses fables, Essais de critique et d’histoire. La lettura di quei libri offre una sorpresa. La sorpresa risiede nel fatto che, pur riferendosi dichiaratamente a un concetto di psicologia della creazione artistica (prestigio del concetto di psicologia, cf. Bourget: Essais de psychologie contemporaine), in pratica gli studi di Taine si orientano piuttosto verso una tipologia sociologica degli autori. Inoltre, contrariamente alla cattiva fama del cosiddetto positivismo, non hanno nulla di ‹riduzionistico› (race, milieu, moment). Sorprende anzi la finezza di tante osservazioni dedicate proprio alla scrittura, intesa come un insieme di sintomi che rivelino l’identità sociale di uno scrittore. (In «La Fontaine et ses fables» Taine si scusa addirittura del suo interesse per le minuzie stilistiche, «les minuties du style»). Cito volentieri un passo in cui Taine cerca di caratterizzare lo stile del Duca di Saint-Simon, distinguendone la ‹sprezzatura› tutta aristocratica dall’ubbidienza alle regole che caratterizzava la scrittura dei borghesi, umanisti e classicisti, della stessa epoca: (tipo Boileau)
II est cru, trivial, et pétrit ses figures en pleine boue. Tout en restant grand seigneur, il est peuple; sa superbe unit tout. Que les bourgeois épurent leur style, prudemment, en gens soumis à l’Académie; il traîne le sien dans le ruisseau, en homme qui méprise son habit et se croit au-dessus des taches. (scoperta di Saint-Simon).
Questo passo è evidentemente molto lontano dall’immagine corrente che abbiamo del positivismo. Se ne discosta non soltanto per l’interesse portato alle minuzie dello stile, ma anche per una certa audacia speculativa, audacia della mediazione fra i codici della scrittura e quelli del comportamento sociale (riunendo in questo caso entrambi sotto il concetto della «sprezzatura aristocratica»). A questo proposito, è forse utile fare un accenno all’uso del concetto di positivismo. Proporrei una distinzione fra positivismo in senso tipologico e positivismo in senso storico. Il concetto per così dire tipologico si usava molto anni 60 e 70, nell’ epoca del cosiddetto «Positivismus-Streit» (Adorno vs Popper): teoria critica, scuola di Francoforte contro le scienze sociali in senso empirico-analitico. Il positivismo storico (Comte, Taine) invece si contraddistingue proprio per la sua audacia speculativa, un po’ seguendo le tracce di Hegel.
Molto più vicina ad un positivismo, inteso in senso tipologico, si è sempre trovata invece la sociologia dei lettori o più generalmente del pubblico. Essa è stata elaborata decenni più tardi, seguendo i progressi della sociologia come scienza empirico-analitica, applicata prevalentemente ai fenomeni della società e della letteratura contemporanea. (mentre la sociol. dell’autore si interessava di preferenza ai grandi momenti storici del passato). Possiamo individuare il suo contributo più rappresentativo forse nei lavori di Robert Escarpit e della cosiddetta scuola di Bordeaux che, colla loro enfasi sui soli fatti (les «faits littéraires»), cercano di realizzare un ideale epistemologico soltanto abbozzato dal positivismo ottocentesco. Quando la s. del pubblico si rivolge al passato, non dispone più dei metodi dell’inchiesta sociale, ma ricorre per esempio alle statistiche delle biblioteche e si interessa in modo speciale, per quanto riguarda il passato più recente, delle biblioteche che danno libri in prestito (le cosiddette ‹Leihbibliotheken›). E’ un campo di ricerca in cui si è distinto particolarmente Alberto Martino, un germanista di origine italiana (che insegna a Vienna). Un’altro tipo di documentazione consiste in rappresentazioni figurative di atti di lettura di cui si è occupato recentemente il romanista tedesco Fritz Nies (che fornisce un vasto repertorio di immagini di lettori e lettrici nelle arti figurative). («Bahn und Bett und Blütenduft. Eine Reise durch die Welt der Leserbilder», 1991). Esso risulta interessante specialmente per quanto riguarta la pragmatica della lettura (lettura in campagna, in treno, nel letto, nel bagno), ma rimane piuttosto scarso nelle sue indicazioni più specificamente sociologiche (lettura delle concierges, delle prostitute e così via. Allora si scopre subito che tali rappresentazioni sono legate a convenzioni particolari che hanno poco che vedere colla realtà sociale: la prostituta legge p.es. Paul de Kock).
Il campo che si è rivelato finora più produttivo è senza dubbio la sociologia del testo (rimando ad un libro dell’amico Peter V. Zima, Textsoziologie, Stoccarca 1980; semiotica con una prospettiva sociologica; Adorno e Greimas). Il campo centrale dall’Ottocento francese fino a Luhmann (la serie dei studi su «Gesellschaftsstruktur und Semantik»). Nell’Ottocento francese spesso motivata da interessi spiccatamente conservatori; Bonald, Taine, Bourget. L’esempio di Bourget che si considera come ‹dottore in salute sociale› (docteur en santé sociale). Critica ideologica della letteratura contemporanea (Stendhal, Baudelaire, Flaubert, Renan e così via), ma da un punto di vista tradizionalista. Così la sua lettura di Madame Bovary e di Le Rouge et le Noir;
I, 179: une des grandes lois de la psychologie contemporaine: ce passage des classes les unes dans les autres, forme naturelle du fonctionnement de la démocratie, d’où résultent peut-être toutes les complications sentimentales de notre âge. On n’a pas assez remarqué que c’est la le fond même de Madame Bovary, comme du Rouge et Noir de Stendhal: l’étude d’un malaise d’âme produit par un déplacement de milieu (lo studio di un malessere psicologico prodotto da 1 trasferimento di un ambiente sociale ad un altro). Emma est une paysanne qui a reçu l’éducation d’une bourgeoise. Julien est un paysan qui a reçu l’éducation d’un bourgeois; Cette vision d’un immense fait social domine ces deux livres.
Si riferisce a fatti di psicologia che vanno però spiegati con un «immense fait social», il passaggio da una classe all’altra, un passaggio visto come, una causa di disturbi e psicologici e sociologici.
In un secondo momento la prospettiva della sociologia del testo da conservatrice diventa marxista. Si tratta di un fenomeno in primo luogo mitteleuropeo, e penso ai nomi di Lukács, Benjamin, Adorno, Lucien Goldmann e così via. non sempre marxismo ortodosso (Lukács in maniera compatta delle volte brutale). Tradizione di un legame fra ermeneutica che si vuole materialista e un contesto di pensiero marxista.
Certe conseguenze. La più importante forse: lo stretto rapporto tra sociologia dell’opera letteraria come progetto teorico e la sua applicazione come estetica, poetica operativa intesa a dare un assetto poetologico alla nuova produzione letteraria. Questo rapporto di macroscopica evidenza nel caso di Lukács: ogni ricerca storico-sociologica mira a fornire un argomento alla discussione poetologica su forma e contenuto del realismo socialista. Un tale intrecciarsi di temi storico-sociologici e attuali interessi poetologici si ripete nell’opera estetica di Adorno, sebbene in un modo meno apertamente didattico e allo scopo di una poetica totalmente diversa, anzi opposta. Per Lukács si trattava di ribadire la norma di un realismo che potremmo chiamare classicheggiante. Tale realismo veniva contrapposto all’arte dell’avanguardia (espressione della borghesia in «putrefazione»: termine ossessivo, che sembra di origine staliniana). Per Adorno, invece, l’esperienza dell’avanguardia aveva un senso positivo in quanto espressione non di una borghesia in putrefazione, ma espressione di un rifiuto del sistema capitalista, dell’economia di mercato. Se vogliamo capire Adorno, potremmo sostenere la tesi che, per lui, si trattava di salvare certi elementi della teoria marxiana, trasferendoli dal campo economico al campo culturale: Depauperamento culturale, alienazione spiegata col concetto di ‹Kulturindustrie›. La dialettica dell’illuminismo: un libro che costituisce sempre, ancora oggi uno scandalo. Motivo: la critica alla società e all’industria culturale degli Stati Uniti. (capitalismo e fascismo interferenza).
Altra conseguenza: la dicotomia fra «struttura e sovrastruttura» alias «Basis» e «Überbau». Secondo la teoria marxiana il ruolo determinante nel processo storico spetta alla «Basis», alla struttura economica, anche se già Friedrich Engels ha cercato di differenziare la posizione marxiana, introducendo l’argomento della necessità di continue mediazioni da un settore all’altro. Così, in alcune famosissime lettere del 1890, Engels precisa che la supremazia dell’evoluzione economica si verifica solo «in ultima istanza», cioè mediata dalle condizioni e dai presupposti della rispettiva disciplina su cui l’economia esercita il suo influsso: (27.ott.1890):
«Die Ökonomie schafft hier (cioè nella filosofia) nichts a novo, sie bestimmt aber die Art der Abänderung und Fortbildung des vorgefundnen Gedankenstoffs, und auch das meist indirekt, indem es die politischen, juristischen, moralischen Reflexe sind, die die größte direkte Wirkung auf die Philosophie üben».
Una sociologia che segue l’orientamento di Marx-Engels si trova dunque confrontata al compito di riflettere la complessità delle mediazioni fra struttura e sovrastruttura, tenendo sempre in conto il peso delle rispettive tradizioni, dei rispettivi contesti dei sistemi politici, giuridici, filosofici e così via. Vedo qui anche il criterio decisivo che permette di giudicare la qualità, la forza intellettuale, di un’interpretazione storico-sociologica. Negli esempi più ingenui troviamo il concetto di un semplice rispecchiamento letterario della base, cioè della realtà economica, giudicata basale; negli esempi più elaborati incontriamo invece la consapevolezza di una complessità di mediazioni. Un esempio tra i meno convincenti sarebbe, a mio parere, lo studio di Lucien Goldmann sul pensiero di Pascal e sulla tragedia di Racine (Le Dieu caché) che pone la petitio principii di un rapporto diretto fra una determinata «visione del mondo» e una «determinata» «classe sociale», vedendo nella «visione tragica» di Pascal e Racine l’espressione del giansenismo diffuso tra la «noblesse de robe», senza curarsi minimamente della materialità letteraria (fatta di motivi, tradizioni di genere e opportunità di scrittura) in cui quella «visione del mondo» doveva essere articolata. Anzitutto Goldmann trascura il problema della tragicità evidentemente già inerente al genere della tragedia in cui Racine si iscrive (tragicità generica, tragicità particolare della visione del mondo giansenista della «noblesse de robe»).
Aver sempre insistito sul compito di una mediazione fra diversi sistemi che concorrono in un espressione letteraria, è invece il grande merito di Erich Köhler. Così, in un aperto dibattito con Goldmann, Köhler è arrivato a proporre una sorta di tassonomia delle istanze mediatrici fra la struttura sociale e le forme dell’arte intese come fenomeni della sovrastruttura (e in rapporto a Goldmann si tratta indubbiamente di un gran passo in avanti!) «Einige Thesen zur Literatursoziologie», GRM 24 (1974), 25–64. Quattro istanze o strati di realtà:
1) la situazione storica (le moment secondo Taine);
2) l’appartenenza di classe dell’autore, da cui seguirebbe la sua ‹coscienza› (le milieu secondo Taine);
3) la mentalità e formazione culturale dell’autore (che può interferire coll’appartenenza di classe).
4) il genere letterario scelto dall’autore. (si aggiunga: la tradizione tematica legata a determinati soggetti; la scuola poetologica e così via).
Malgrado la consapevolezza di una varietà di istanze mediatrici, Köhler resta però – almeno nell’anno 1974 – ortodossamente marxiano in quanto non mette in dubbio la fondamentalità dell’istanza economica. Così, i diversi strati di realtà che costituiscono le istanze mediatrici vengono ricostruiti in un senso verticale, cioè spiccatamente gerarchico: c’è un livello che è considerato come fondamentale, e ci sono altri livelli che paiono sempre più derivati, meno fondamentali e – si potrebbe sospettare – meno autentici. In questa gerarchizzazione dei vari sistemi sociali (ordinati su una scala verticale) Köhler rimane essenzialmente fedele a una ortodossia lukacsina. Questo fatto ha delle conseguenze interpretative che si osservano negli studi di Köhler anche dopo l’abbandono dell’ortodossia lukasciana e dopo il tentativo di rinnovare la sua metodologia innestandovi certi elementi della sociologia di Luhmann (negli studi degli ultimi anni). C’è, p.es., la ricorrenza quasi ossessiva dei motivi di «evasione» e di «compensazione» con cui K. cerca di spiegare la genesi dell’opera d’arte (del testo l.). Per K., l’attività letteraria sembra infatti sempre legata alla negatività di un’esperienza collettiva di frustrazione: Pare che sia uno specifico delle classi emergenti non ancora al potere o delle classi in decadenza poste di fronte alla perdita del loro potere, entrambe mosse dalla ricerca di un’ «evasione» o di una «compensazione» che troverebbero nell’attività artistica e letteraria. Secondo questa prospettiva, la letteratura viene dunque concepita come una specie di surrogato, di «Ersatz», che servirebbe a riparare, a un livello di realtà poco autentico, una mancanza, una deficienza vissuta a un livello fondamentale e pertanto più autentico.
(interpretazioni di Lamartine, la piccola nobiltà rurale in decadenza; del romanzo cortese, la frustrazione della piccola nobiltà e dei cosiddetti «joven», e così via; antropologia implicita).
Ora, la mia obiezione a K. riguarda proprio quella sua premessa epistemologica del primata antropologico di un livello di realtà inteso come la base di un edificio su cui si fonderebbero gli altri livelli sovrastrutturali. Non direi che questa sua premessa sia semplicemente falsa, ma non c’è dubbio che ha bisogno di alcune modifiche e aggiunte. prima di tutto – e questo fatto mi pare di prima importanza – , dobbiamo considerare che qualsiasi teoria sulla priorità (sul carattere basale) di un determinato fattore sociale dipende essa stessa da un processo storico: Non sapremmo discutere sulla priorità del fattore economico, politico, religioso, culturale, se non fosse avvenuto un processo storico che avesse dato a questi fattori una loro specificità, cioè una loro relativa autonomia. Con altre parole: la discussione sulla priorità di un sistema sociale in rapporto a altri sistemi sociali è una discussione specificamente moderna, perché presuppone un processo di divisione, di ‹Ausdifferenzierung› di diversi sistemi sociali.
Ogni discorso sul ruolo basale di questo o di quell’altro livello di realtà ha dunque come premessa la possibilità di distinguere fra una pluralità di livelli (p.es. la separazione fra funzioni religiose e funzioni politiche). Solo se una tale differenziazione è avvenuta (in Europa in diverse tappe dal Medioevo, tardo Medioevo in poi: si pensi al teorema delle due verità nella filosofia del nominalismo), solo avvenuta una tale d., sorge la possibilità (e il desiderio) di scoprire fra le dinamiche evolutive dei vari sistemi rapporti di dipendenza o di determinazione e finalmente una gerarchia che permetta di dichiarare questo sistema (l’attività economica) come fondamentale e quell’altro (l’attività filosofica o letteraria) come derivato, cioè secondario al sistema che si pretende come fondamentale.
Si tratterebbe dunque, per una riflessione epistemologica sulla sociologia della letteratura, non di rifiutare la teoria marxiana e köhleriana del ruolo – «in ultima istanza» – fondamentale dell’attività economica, ma di storicizzarla di fissare il suo determinato momento storico. Essa può valere solo per un tipo di società in cui la diversità delle attività umane si è costituita in una pluralità di sistemi e anche per quanto riguarda quel tipo di società, cioè il tipo ideale della società europea moderna, è probabile che non valga in ugual misura per tutte le sue fasi (Ma vale p.es. al momento attuale della società europea che, paradossalmente, conferma Marx dopo il crollo del marxismo). Sono dunque d’accordo coll’amico Alois Hahn, un sociologo tedesco che ha scritto in un importantissimo articolo («Struttura e sovrastruttura e il problema dell’autonomia limitata delle idee», KZSS 31, 1979, pp. 485–505).
«Le teorie che privilegiano nella spiegazione dell’evoluzione storica una sola causa non sono false in senso assoluto. E falsa soltanto l’estensione generalizzante del primato di un determinato settore applicato alla storia universale. Il primato fra i diversi settori e sottosistemi della società cambia esso stesso a seconda dell’evoluzione storica.»
Ne consegue che quel primato dell’economia che osserviamo dall’Ottocento in poi, con un apogeo nel momento attuale, non si verifica in maniera analoga o paragonabile nella storia medievale, dove invece le controversie di carattere politico e religioso hanno un peso relativamente maggiore.
Inoltre, c’è il bisogno di vedere il rapporto fra struttura e sovrastruttura in un modo più lucidamente dialettico. Con ciò voglio dire che non basta fare il percorso dalla struttura alla sovrastruttura. Esistono strade che seguono anche la direzione inversa, cioè che vanno dalla sovrastruttura alla struttura. Si pensi alla teoria di Max Weber sulle origini del capitalismo, individuate nella teologia della predestinazione e nella morale del lavoro, specifiche del calvinismo. Oppure si pensi alla centralità del concetto hegeliano di alienazione («Entfremdung») per il giovane Marx. Evidentemente, ciò che è centrale nella teoria marxiana, la diagnosi di uno stato di alienazione fra l’operaio e il suo lavoro, fra cultura e natura, presuppone l’immagine paradisiaca di uno stato di non-alienazione che non saprebbe essere pensato senza ricorrere a un insieme di tradizioni religiose e morali che, dalla Bibbia a Rousseau, evidenziano la forza storica della letteratura e del suo immaginario utopico. (Lo stesso vale a fortiori, per il movimento studentesco del 68, cioè un movimento di rivoluzione culturale, che muove dalla sovrastruttura, in una ricerca che direi disperata della sua base economica, in ricerca disperata del proletariato che si nascondeva).
Così direi che in tutte le scuole attuali della sociologia del testo si è formata una consapevolezza critica, consapevolezza del dogmatismo inerente a una posizione che vede come immutabilmente fondamentale il livello di struttura economica e che definisce come unidirezionale l’influsso esercitato da quella struttura sui fenomeni culturali della sovrastruttura. Ormai, siamo pronti a vedere anche processi che partono da motivi sovrastrutturali, cioè siamo consapevoli del peso e dello spessore dei discorsi (nel senso di Foucault). D’altra parte, la decisiva «coupure épistémologique» nella sociologia di oggi consiste nel fatto che si è passato dall’immagine di un rapporto verticale dei livelli del letterario e del socio-economico all’immagine di una correlazione dei sistemi del letterario e del socio-economico. Di una tale correlazione tra «semantica» e «struttura sociale» tratta p.es. il sociologo N. Luhmann nella serie dei suoi studi su Gesellschaftsstruktur und Semantik (Rivalorizzazione della letteratura da parte della sociologia). Il tema di L. è la trasformazione della simbologia culturale, di concetti e di idee, dal Cinquecento al Settecento, da correlare con la trasformazione della struttura sociale che Luhmann vede come il passaggio da una società per cui è costitutiva una differenziazione stratificatoria, l’organizzazione in diverse classi e condizioni che si escludono vicendevolemente, a una società che si costituisce come un insieme di sistemi funzionali (economia, politica, diritto) in cui ogni membro della società (ogni cittadino) dovrebbe essere incluso.
Questo concetto di una correlazione dei sistemi del letterario e del socio-economico invece di un rapporto verticale dei livelli del letterario e del socio-economico ha delle conseguenza pratiche per la sociologia della letteratura di cui vorrei dare un solo esempio. Questo esempio si riferisce alla suggestiva tipologia di livelli di letteratura, elaborata dal collega Vittorio Spinazzola nel suo notevole saggio «Letteratura, paraletteratura, arciletteratura» (1983). Distingue quattro fasce o livelli della produzione letteraria: 1) letteratura avanguardistico-sperimentale (il livello più nobile, in testa); 2) letteratura istituzionale; 3) letteratura d’intrattenimento, 4) letteratura residuale (il livello più basso, meno nobile). Come ogni tipologia anche questa vale per gli esempi che fornisce e che trovano il mio consenso. Non sono però d’accordo (e non sono d’accordo nel senso delle più recenti tendenze sociologiche) quando Spinazzola procede ad una omologazione della sua gerarchia letteraria con una gerarchia sociale dei lettori e del pubblico, quando attribuisce alla l. avanguardistico-sperimentale un pubblico delle «élites più raffinate» e dei «ceti colti dominanti», alla letteratura istituzionale invece un pubblico della piccola borghesia. (Significherebbe che il lettore ideale di Sanguineti fosse Berlusconi (rappresentante dei «ceti dominanti»), mentre Moravia troverebbe il suo lettore ideale in un professore di scuola media). Non credo che possiamo sostenere una tale classificazione di pubblico in senso verticale. Si tratta, piuttosto, di distinzioni in un senso orizzontale. Così, la l. avanguardisticio-sperimentale ha il suo pubblico ideale non nei ceti dominanti, ma nel gruppo degli specialisti, dei critici, scrittori, professori di letteratura moderna e contemporanea e così via (che, secondo la terminologia marxista, entrano piuttosto nel gruppo dei piccoli borghesi). La l. istituzionale sarebbe invece il dominio di lettori bensì colti, ma non specializzati, la letteratura residuale il dominio dei lettori meno specializzati fra cui potrebbero benissimo trovarsi anche rappresentanti dei ceti dominanti che mancano del tempo e dell’ozio necessari per una specializzazione in letteratura.