Lezione CLXXXVI Cesare Frasponi Moralische Wochenschriften Klaus-Dieter Ertler Herausgeber Alexandra Fuchs Herausgeber Lisa Pirkebner Mitarbeiter Jürgen Holzer Mitarbeiter Viktoria Haller Mitarbeiter Sarah Lang Gerlinde Schneider Martina Scholger Johannes Stigler Gunter Vasold Datenmodellierung Applikationsentwicklung Institut für Romanistik, Universität Graz Zentrum für Informationsmodellierung, Universität Graz Graz 15.01.2020

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Frasponi, Cesare: Il Filosofo alla moda, ovvero, Il Maestro universale. Venezia: Giovanni Malachino 1728-1730, 346-350 Il Filosofo alla Moda 3 186 1728 Italien
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Lezione. clxxxvi. A Curiosi di sapere se siano più utili alla Gioventù le pubbliche, o le private Scuole.

Exigite, ut mores teneros ceu pollice ducat,Ut si quis cera vultum facit

Juven. sat. VII. 237.

Sig. Filosofo

Per mantenervi la promessa, eccovi alcuni altri pensieri sopra la educazione della Gioventù. Esamino, da principio, la famosa quistione: Quale delle due sia preferibile: Quella, che si riceve ad una pubblica scuola, o quella, che viene somministrata da un particolare maestro.

I più grand’Uomini di quasi tutti i secoli sono stati di parere sì vario, che dopo averne addotte le principali ragioni, e per l’una, e per l’altra parte, lascierò a ciascheduno il pieno arbitrio di scegliere a suo piacere.

I Romani, come abbiamo da Suetonio, credeano, che i Padri dovessero educare da se i loro Figliuoli: e Plutarco ci dice nella vita di Marco Cattone, che appena il di lui Figlio ebbe la età per alquanto discorrere, che non volle mai per mettere a verun’ altro fuori di se, l’ammaestrarlo, benche avesse in Casa un Domestico, nomato Chilone, il quale era bravo Grammatico, ed era stato il Precettore di molta Gioventù.

Li Greci all’opposto, pare avessero maggiore inclinazione alle pubbliche Scuole, a Seminarj o Collegj.

La Istruzione data in particolare, promette buona educazione, e virtù. La Pubblica ispira arditezza, e fa presto conoscere le maniere del mondo.

Un Autore di credito in certo Trattato sopra la educazione de‘ Figliuoli, confessa, che vi sono degli inconvenienti e da una parte, e dall’altra. Se custodisce, dice, il mio Figlio in Casa corre pericolo di pigliare l’aria d’un Padroncino. E se lo mando fuori, è quasi impossibile di preservarlo dal contaggio del vizio, e della impolitezza, che, da per tutto oggidi regna. Forse conserverà meglio la innocenza in Casa; ma sarà ignorante negli affari del mondo, e più stupido quando incomincierà a trattarlo. Con tutto ciò l’Autore si determina per la educazione Domestica; sul fondamento, che gli è più difficile l’acquisto della virtù, che la notizia del mondo; e che il vizio è più ostinato, e pernicioso della simplicità. In oltre, non vede per quale ragione un Figlio regolato, con prudenza, non possa munirsi del-lo stesso anzi più modesto ardire presso il Padre, che in una pubblica scuola. Porge in questa occasione, l’aviso a’ Padri di avvezzare i loro Figliuoli a ricevere, con esso loro gli Amici, e Forastieri, a condurli nelle visite, che rendono a loro vicini, e farli discorrere con Persone polite, e di talento.

Si opporrà forse, che le accennate non sono le sole cose necessarie ad’ un Figlio. Quando egli non discorra co’ suoi uguali, o nella età o ne’ talenti, mai vi sarà luogo per la emulazione, nè per le altre passioni più vive dell’anima, e facilmente doventerà stupido, ed insensibile, quando non venga qualche volta agitato da’ loro moti.

Osservano molti, che un Giovane, il quale forma Partiti, o si rende popolare in una Scuola, o in un Collegio, non lascierà di fare lo stesso Personaggio in un Senato, o in un Conseglio. Anzi, alcuni sostengono, che il rubbamento di qualche frutto in un Giardino, ben tramato, e ben eseguito, mostra, che un Giovane avrà Prudenza, e segretezza; e sarà capace di cose più importanti.

In somma, la educazione Domestica pare sia la strada più naturale per formare un Giovane virtuoso; e quello del Collegio, per renderlo proprio agli affari del mondo. La educazione domestica potrebbe somministrare un buon suddito alla Repubblica di Platone; ed il Collegio un degno membro ad una Società dedita agli artificj, ed alla corruttela.

Il Maestro d’una Pubblica scuola, o il Capo d’una Classe, ha sovente tanti giovani da istruire, che non puol’ avere per ciascheduno tutte le attenzioni dovute. Questo è l’errore dominante del nostro secolo, in cui la maggior parte de’ Padri, vorebbero sì, che i loro Figli doventassero bravi, ma non giudicano a proposito d’incoraggiare un Uomo di probità conosciuta, a pigliare la cura della loro educazione. E perciò vi regna tanta ignoranza, e tanta dissolutezza, che non si legge di molti secoli trasandati. Si riducono certi uni a consegnare i loro Figliuoli ad un maestro di scuola eziandio in villa, ed oh! quanti bei talenti si perdono!

L’ho provato io stesso, sotto due maestri d’una communità in campagna, l’uno, e l’altro indegni dell’impiego, che si erano addossati. Il primo m’imponea cose molto superiori alla mia capacità, benche, se mi è permesso il dirlo, non fossi, degl’inferiori; e mi trattava, con barbara crudeltà, perche non aveo fatto quello mi era impossibile.

L’altro era di umore in tutto contrario: Uno scolaro, che gli era come servidore, facendo da messaggiero, lavando le chiccare, o bicchieri, con altre bassezze di questa natura, potea dispensarsi, a suoi talento, dalle funzioni di scuola. Ne ho conosciuto io uno astuto, il quale sovente mancava dal suo dovere in scuola, sotto pretesto d’avere ajutata la cuoca, ed era legitima scusa. Vi era eziandio il Figlio d’un Gentiluomo del vicinato, che vi stette cinque anni, passandone la maggior parte, nell’essercitare, o nel condurrre a bere la Cavalla del nostro maestro. Per me, che sdegnavo l’acquistarmi la sua grazia, con tali servigj, doventai il più abile, e fui il più maltrattato di tutti.

Non debbo per conclusione di questo breve Foglio ommettere la rifflessione di Quintilliano, in vantaggio delle Pubbliche scuole: che vi si contraggono delle amicizie, le quali ci ponno essere proffittevoli, in tutto il tempo del nostro vivere.

Lezione. clxxxvi. A Curiosi di sapere se siano più utili alla Gioventù le pubbliche, o le private Scuole. Exigite, ut mores teneros ceu pollice ducat,Ut si quis cera vultum facit Juven. sat. VII. 237. Sig. Filosofo Per mantenervi la promessa, eccovi alcuni altri pensieri sopra la educazione della Gioventù. Esamino, da principio, la famosa quistione: Quale delle due sia preferibile: Quella, che si riceve ad una pubblica scuola, o quella, che viene somministrata da un particolare maestro. I più grand’Uomini di quasi tutti i secoli sono stati di parere sì vario, che dopo averne addotte le principali ragioni, e per l’una, e per l’altra parte, lascierò a ciascheduno il pieno arbitrio di scegliere a suo piacere. I Romani, come abbiamo da Suetonio, credeano, che i Padri dovessero educare da se i loro Figliuoli: e Plutarco ci dice nella vita di Marco Cattone, che appena il di lui Figlio ebbe la età per alquanto discorrere, che non volle mai per mettere a verun’ altro fuori di se, l’ammaestrarlo, benche avesse in Casa un Domestico, nomato Chilone, il quale era bravo Grammatico, ed era stato il Precettore di molta Gioventù. Li Greci all’opposto, pare avessero maggiore inclinazione alle pubbliche Scuole, a Seminarj o Collegj. La Istruzione data in particolare, promette buona educazione, e virtù. La Pubblica ispira arditezza, e fa presto conoscere le maniere del mondo. Un Autore di credito in certo Trattato sopra la educazione de‘ Figliuoli, confessa, che vi sono degli inconvenienti e da una parte, e dall’altra. Se custodisce, dice, il mio Figlio in Casa corre pericolo di pigliare l’aria d’un Padroncino. E se lo mando fuori, è quasi impossibile di preservarlo dal contaggio del vizio, e della impolitezza, che, da per tutto oggidi regna. Forse conserverà meglio la innocenza in Casa; ma sarà ignorante negli affari del mondo, e più stupido quando incomincierà a trattarlo. Con tutto ciò l’Autore si determina per la educazione Domestica; sul fondamento, che gli è più difficile l’acquisto della virtù, che la notizia del mondo; e che il vizio è più ostinato, e pernicioso della simplicità. In oltre, non vede per quale ragione un Figlio regolato, con prudenza, non possa munirsi del-lo stesso anzi più modesto ardire presso il Padre, che in una pubblica scuola. Porge in questa occasione, l’aviso a’ Padri di avvezzare i loro Figliuoli a ricevere, con esso loro gli Amici, e Forastieri, a condurli nelle visite, che rendono a loro vicini, e farli discorrere con Persone polite, e di talento. Si opporrà forse, che le accennate non sono le sole cose necessarie ad’ un Figlio. Quando egli non discorra co’ suoi uguali, o nella età o ne’ talenti, mai vi sarà luogo per la emulazione, nè per le altre passioni più vive dell’anima, e facilmente doventerà stupido, ed insensibile, quando non venga qualche volta agitato da’ loro moti. Osservano molti, che un Giovane, il quale forma Partiti, o si rende popolare in una Scuola, o in un Collegio, non lascierà di fare lo stesso Personaggio in un Senato, o in un Conseglio. Anzi, alcuni sostengono, che il rubbamento di qualche frutto in un Giardino, ben tramato, e ben eseguito, mostra, che un Giovane avrà Prudenza, e segretezza; e sarà capace di cose più importanti. In somma, la educazione Domestica pare sia la strada più naturale per formare un Giovane virtuoso; e quello del Collegio, per renderlo proprio agli affari del mondo. La educazione domestica potrebbe somministrare un buon suddito alla Repubblica di Platone; ed il Collegio un degno membro ad una Società dedita agli artificj, ed alla corruttela. Il Maestro d’una Pubblica scuola, o il Capo d’una Classe, ha sovente tanti giovani da istruire, che non puol’ avere per ciascheduno tutte le attenzioni dovute. Questo è l’errore dominante del nostro secolo, in cui la maggior parte de’ Padri, vorebbero sì, che i loro Figli doventassero bravi, ma non giudicano a proposito d’incoraggiare un Uomo di probità conosciuta, a pigliare la cura della loro educazione. E perciò vi regna tanta ignoranza, e tanta dissolutezza, che non si legge di molti secoli trasandati. Si riducono certi uni a consegnare i loro Figliuoli ad un maestro di scuola eziandio in villa, ed oh! quanti bei talenti si perdono! L’ho provato io stesso, sotto due maestri d’una communità in campagna, l’uno, e l’altro indegni dell’impiego, che si erano addossati. Il primo m’imponea cose molto superiori alla mia capacità, benche, se mi è permesso il dirlo, non fossi, degl’inferiori; e mi trattava, con barbara crudeltà, perche non aveo fatto quello mi era impossibile. L’altro era di umore in tutto contrario: Uno scolaro, che gli era come servidore, facendo da messaggiero, lavando le chiccare, o bicchieri, con altre bassezze di questa natura, potea dispensarsi, a suoi talento, dalle funzioni di scuola. Ne ho conosciuto io uno astuto, il quale sovente mancava dal suo dovere in scuola, sotto pretesto d’avere ajutata la cuoca, ed era legitima scusa. Vi era eziandio il Figlio d’un Gentiluomo del vicinato, che vi stette cinque anni, passandone la maggior parte, nell’essercitare, o nel condurrre a bere la Cavalla del nostro maestro. Per me, che sdegnavo l’acquistarmi la sua grazia, con tali servigj, doventai il più abile, e fui il più maltrattato di tutti. Non debbo per conclusione di questo breve Foglio ommettere la rifflessione di Quintilliano, in vantaggio delle Pubbliche scuole: che vi si contraggono delle amicizie, le quali ci ponno essere proffittevoli, in tutto il tempo del nostro vivere.