Lezione CLI Cesare Frasponi Moralische Wochenschriften Klaus-Dieter Ertler Herausgeber Alexandra Fuchs Herausgeber Lisa Pirkebner Mitarbeiter Jürgen Holzer Mitarbeiter Viktoria Haller Mitarbeiter Sarah Lang Gerlinde Schneider Martina Scholger Johannes Stigler Gunter Vasold Datenmodellierung Applikationsentwicklung Institut für Romanistik, Universität Graz Zentrum für Informationsmodellierung, Universität Graz Graz 06.06.2019

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Frasponi, Cesare: Il Filosofo alla moda, ovvero, Il Maestro universale. Venezia: Giovanni Malachino 1728-1730, 150-155 Il Filosofo alla Moda 3 151 1728 Italien
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Lezione cli. A quelli che ambiscono applausi, e si arrogano titoli vani.

Nam genus, & proavos, & quae non fecimus ipsi,Vix ea nostra voto.

Ovid. Met. XIII. 140.

Si veggono pochi Uomini, che non abbino l’ambizione d’essere distinti, e di rendersi considerabili frà loro vicini. Vi è una specie di grandezza, e di rispetto, che i più vili cercano di attraersi nel picciolo circolo de’ loro amici, e de loro conoscenti. Il più Povero Artiggiano; che dico? quello, che vive di limosina, ha la sua truppa d’ammiratori: e si compiace, in quella superiorità, che gode sopra gli altri, per qualche verso, a lui inferiori. Quest’ambizione naturale all’Uomo, potrebbe, non v’ha dubbio, pigliare un assai buona piega, e se fosse bene regolata, contribuire, tanto al vantaggio d’un Uomo, quanto, pell’ ordinario, gli cagiona di inquietezza.

Voglio dunque seminare, in questo foglio, alcuni pensieri somministratimi dalle pure meditazioni, senz’averli let-ti altrove. Non osservarò ne ordine, ne connessione, ma li collocherò sulla carta, a misura, che mi verranno in mente.

Tutta la superiorità, che un Uomo puol’ avere sopra un altro, dipende da vantaggj, ch’egli possiede, o di Fortuna, o di Anima, o di Corpo. I primi, che consistono nella nascita, ne Titoli, o nelle Richezze, hanno meno relazione colla natura umana, ne si ponno assolutamente chiamare nostri. Gli avvantaggj del Corpo, che si riducono alla sanità; alla Forza, o alla Bellezza, ci toccano più da vicino, e formano più parte di noi medesimi, che i precedenti. Quelli dell’Anima, che racchiudono la cognizione, e le virtù, ci sono più essenziali, e più strettamento uniti di ciascun’altro.

Benche non dobbiamo stimmarci tanto per i beni di Fortuna quanto per quelli del corpo, e via più dell’anima, con tutto ciò, compariscono con più fasto agli occhj del mondo.

Si come la virtù è la sorgente più legitima dell’onore, si ritrova, che le grandi Cariche insinuano il merito ne’ particolari, che le posseggono. La Santità si attribuisce a’ Pontefici. La Maestà ai Rè. La Serenità alle Repubbliche, l’altezza a’ Principi L’Eccellenza a Senatori, agli Ambasciatori &c.

Ne’ fondatori delle grandi Famiglie, questi titoli d’onore, sono loro, ordinariamente applicati, con tutta giustizia. Ma nella loro Posterità, non accade, se non troppo, che sono, più tosto, insegne della Grandezza esterna, che del merito personale. La denominazione sempre continua, ma il valore intrinseco sovente disparisce.

Le Agonie di morte espongono al chiaro lume della verità, il vacuo, ed il niente di codesti titoli. Allora un misero Peccatore trema, da capo a pie, in pensando al nuovo stato, in cui stà sul punto di entrare, mentre quelli, che lo circondano gli dimandano, con tuono mesto come si porta sua Maestà? Un altro sente darsi il titolo magnifico di Altezza, o di Eccellenza in ora, che si vede ridotto a morire, come il più basso, ed il più cattivo di tutti gli Uomini. Allora que’ pomposi Epiteti pajono più tosto un insulto o uno scherno, che un vero Rispetto.

È cosa certa, che gli onori non sempre si dispensano bene in questo mondo; il sodo merito vi è trascurato; la virtù vi è oppressa, ed il vizio vi triomfa. L’ultimo giorno regolerà il disordine, ed assegnerà a ciascuno, una stazione convenevole alla dignità del suo carattere. Allora i Ranghi saranno aggiustati, come si dee; e la Precedenza ben’ ordinata.

Mi pare, che dovremmo aspirare ad avvanzarci nell’altro mondo, o per lo meno, a conservarvi il nostro posto.

Dovremmo cercare di sorpassare qui in virtù i nostri inferiori, acciò non sieno elevati sopra di noi, nell’altro stato, dove la dinstizione sarà fissata per tutta la eternità.

Le Divine scritture ci dicono, che gli Uomini sono come Forastieri e viandanti sopra la Testa; e che la vita è un Pellegrinaggio.

Molti Pagani ci hanno pure rappresentato il mondo sotto la idea d’un osteria, destinata a somministrarci il necessario nel nostro passaggio, di maniera che, non vi è niente di più inconveniente del ricercare riposo, qui a basso, prima d’essere gionti al termine del nostro viaggio: Dovremmo, più tosto, pensare all’accoglienza ci sarà fatta, che a tutte le comodità possibili da godersi, più degli altri, per la strada, che vi ci conduce.

Epitetto si è servito d’un'altra specie di allusione assai bella, e capace d’impegnarci ad essere contenti del Posto, in cui ci ha posti la Providenza. “Siamo, dice, sopra un Teatro, dove ciascuno dè fare, meglio che puole, la parte che gli è dissegnata. Possiamo dire, è vero che la parte, toccataci, non e bene addattata, che ne faremmo più bene un'altra . Ma non è questo di cui si tratta; si tratta di fare, colla possibile essatezza, quella, che ci è addossata; Se poi non ci è bene applicata, il fallo non cade sopra di noi, ma sopra quello che ha distribuite le parti a tutti gli Uomini; il Gran Direttore della scena.”

La Parte, che questo Filosofo ebbe, non potea essere di troppo suo genio; passò quasi tutta la vita in ischiavitù dolorosa. Il motivo, che adduce, perche ci contentiamo del nostro stato in questo mondo, riceve da questo un nuovo grado di forza, particolarmente, se vi si aggiogne, che le nostre parti saranno cambiate nell’altro, dove la superiorità del Rango sarà proporzionata alla Eccellenza della virtù, che ciascuno avrà qui praticata; ed alla maniera, con cui avrà addempiuto il suo dovere.

Vi sono molti bei passi nella Sapienza per far vedere il niente degli onori, e di tutti gli altri beni temporali, che sono in tanta riputazione presso degli Uomini; si come per consolare quelli, che non li posseggono. Chi vuole vedere espresso in termini vivi, e con frase elevata, il vantaggio d’un Uomo da bene nell’altra vita, e la straordinaria sorpresa di quelli, che andavano festosi della loro superiorità qui nel mondo, legga il capo quinto dell’ac-cennato Libro Divino; vi ritroverà pure descritta una vita passata nelle vanità del secolo frà le grandezze, e pompe, colle sue conseguenze funeste.

Concludo, già che vi ha da essere il dovuto ordine, e la necessaria suburdinazione in questo mondo, saremmo felici, se le Persone elevate sopra le altre, cercassero di altretanto sorpassarle anche nelle virtù, quanto sono superiori di rango; e procurassero, colla benevolenza, e dolcezza, rendersi amabili a’ loro inferiori. Cosi pure se gl’Inferiori pensassero ai mezzi; che hanno di migliorare la loro sorte; e di contribuire, con una giusta sommessione, al bene di quelli, che la Providenza ha stabiliti sopra di loro.

Lezione cli. A quelli che ambiscono applausi, e si arrogano titoli vani. Nam genus, & proavos, & quae non fecimus ipsi,Vix ea nostra voto. Ovid. Met. XIII. 140. Si veggono pochi Uomini, che non abbino l’ambizione d’essere distinti, e di rendersi considerabili frà loro vicini. Vi è una specie di grandezza, e di rispetto, che i più vili cercano di attraersi nel picciolo circolo de’ loro amici, e de loro conoscenti. Il più Povero Artiggiano; che dico? quello, che vive di limosina, ha la sua truppa d’ammiratori: e si compiace, in quella superiorità, che gode sopra gli altri, per qualche verso, a lui inferiori. Quest’ambizione naturale all’Uomo, potrebbe, non v’ha dubbio, pigliare un assai buona piega, e se fosse bene regolata, contribuire, tanto al vantaggio d’un Uomo, quanto, pell’ ordinario, gli cagiona di inquietezza. Voglio dunque seminare, in questo foglio, alcuni pensieri somministratimi dalle pure meditazioni, senz’averli let-ti altrove. Non osservarò ne ordine, ne connessione, ma li collocherò sulla carta, a misura, che mi verranno in mente. Tutta la superiorità, che un Uomo puol’ avere sopra un altro, dipende da vantaggj, ch’egli possiede, o di Fortuna, o di Anima, o di Corpo. I primi, che consistono nella nascita, ne Titoli, o nelle Richezze, hanno meno relazione colla natura umana, ne si ponno assolutamente chiamare nostri. Gli avvantaggj del Corpo, che si riducono alla sanità; alla Forza, o alla Bellezza, ci toccano più da vicino, e formano più parte di noi medesimi, che i precedenti. Quelli dell’Anima, che racchiudono la cognizione, e le virtù, ci sono più essenziali, e più strettamento uniti di ciascun’altro. Benche non dobbiamo stimmarci tanto per i beni di Fortuna quanto per quelli del corpo, e via più dell’anima, con tutto ciò, compariscono con più fasto agli occhj del mondo. Si come la virtù è la sorgente più legitima dell’onore, si ritrova, che le grandi Cariche insinuano il merito ne’ particolari, che le posseggono. La Santità si attribuisce a’ Pontefici. La Maestà ai Rè. La Serenità alle Repubbliche, l’altezza a’ Principi L’Eccellenza a Senatori, agli Ambasciatori &c. Ne’ fondatori delle grandi Famiglie, questi titoli d’onore, sono loro, ordinariamente applicati, con tutta giustizia. Ma nella loro Posterità, non accade, se non troppo, che sono, più tosto, insegne della Grandezza esterna, che del merito personale. La denominazione sempre continua, ma il valore intrinseco sovente disparisce. Le Agonie di morte espongono al chiaro lume della verità, il vacuo, ed il niente di codesti titoli. Allora un misero Peccatore trema, da capo a pie, in pensando al nuovo stato, in cui stà sul punto di entrare, mentre quelli, che lo circondano gli dimandano, con tuono mesto come si porta sua Maestà? Un altro sente darsi il titolo magnifico di Altezza, o di Eccellenza in ora, che si vede ridotto a morire, come il più basso, ed il più cattivo di tutti gli Uomini. Allora que’ pomposi Epiteti pajono più tosto un insulto o uno scherno, che un vero Rispetto. È cosa certa, che gli onori non sempre si dispensano bene in questo mondo; il sodo merito vi è trascurato; la virtù vi è oppressa, ed il vizio vi triomfa. L’ultimo giorno regolerà il disordine, ed assegnerà a ciascuno, una stazione convenevole alla dignità del suo carattere. Allora i Ranghi saranno aggiustati, come si dee; e la Precedenza ben’ ordinata. Mi pare, che dovremmo aspirare ad avvanzarci nell’altro mondo, o per lo meno, a conservarvi il nostro posto. Dovremmo cercare di sorpassare qui in virtù i nostri inferiori, acciò non sieno elevati sopra di noi, nell’altro stato, dove la dinstizione sarà fissata per tutta la eternità. Le Divine scritture ci dicono, che gli Uomini sono come Forastieri e viandanti sopra la Testa; e che la vita è un Pellegrinaggio. Molti Pagani ci hanno pure rappresentato il mondo sotto la idea d’un osteria, destinata a somministrarci il necessario nel nostro passaggio, di maniera che, non vi è niente di più inconveniente del ricercare riposo, qui a basso, prima d’essere gionti al termine del nostro viaggio: Dovremmo, più tosto, pensare all’accoglienza ci sarà fatta, che a tutte le comodità possibili da godersi, più degli altri, per la strada, che vi ci conduce. Epitetto si è servito d’un'altra specie di allusione assai bella, e capace d’impegnarci ad essere contenti del Posto, in cui ci ha posti la Providenza. “Siamo, dice, sopra un Teatro, dove ciascuno dè fare, meglio che puole, la parte che gli è dissegnata. Possiamo dire, è vero che la parte, toccataci, non e bene addattata, che ne faremmo più bene un'altra . Ma non è questo di cui si tratta; si tratta di fare, colla possibile essatezza, quella, che ci è addossata; Se poi non ci è bene applicata, il fallo non cade sopra di noi, ma sopra quello che ha distribuite le parti a tutti gli Uomini; il Gran Direttore della scena.” La Parte, che questo Filosofo ebbe, non potea essere di troppo suo genio; passò quasi tutta la vita in ischiavitù dolorosa. Il motivo, che adduce, perche ci contentiamo del nostro stato in questo mondo, riceve da questo un nuovo grado di forza, particolarmente, se vi si aggiogne, che le nostre parti saranno cambiate nell’altro, dove la superiorità del Rango sarà proporzionata alla Eccellenza della virtù, che ciascuno avrà qui praticata; ed alla maniera, con cui avrà addempiuto il suo dovere. Vi sono molti bei passi nella Sapienza per far vedere il niente degli onori, e di tutti gli altri beni temporali, che sono in tanta riputazione presso degli Uomini; si come per consolare quelli, che non li posseggono. Chi vuole vedere espresso in termini vivi, e con frase elevata, il vantaggio d’un Uomo da bene nell’altra vita, e la straordinaria sorpresa di quelli, che andavano festosi della loro superiorità qui nel mondo, legga il capo quinto dell’ac-cennato Libro Divino; vi ritroverà pure descritta una vita passata nelle vanità del secolo frà le grandezze, e pompe, colle sue conseguenze funeste. Concludo, già che vi ha da essere il dovuto ordine, e la necessaria suburdinazione in questo mondo, saremmo felici, se le Persone elevate sopra le altre, cercassero di altretanto sorpassarle anche nelle virtù, quanto sono superiori di rango; e procurassero, colla benevolenza, e dolcezza, rendersi amabili a’ loro inferiori. Cosi pure se gl’Inferiori pensassero ai mezzi; che hanno di migliorare la loro sorte; e di contribuire, con una giusta sommessione, al bene di quelli, che la Providenza ha stabiliti sopra di loro.