Zitiervorschlag: Giuseppe Baretti (Hrsg.): "Numero XXVI", in: La Frusta letteraria di Aristarco Scannabue, Vol.6\26 (1765), S. 1237-1265, ediert in: Ertler, Klaus-Dieter / Fuchs, Alexandra (Hrsg.): Die "Spectators" im internationalen Kontext. Digitale Edition, Graz 2011- . hdl.handle.net/11471/513.20.4786 [aufgerufen am: ].


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N.° XXVI.

Trento, I aprile 1765.

Ebene 2► Metatextualität►

Introduzione a’seguenti fogli.

Tutti sanno, che quantunque questi miei fogli portino la data di Roveredo, sono tuttavia stati sinora stampati in Venezia; e tutti sanno altresì che dopo il num. xxv mi fu colà solennemente proibito il continuarli, perchè appunto in quel numero io commisi l’atroce delitto di provare che un gentiluomo di quella città, morto da più di due secoli, fu uno de’più magri poeti d’Italia. Chi però si sarebbe potuto sognare, che il chiamare messer Pietro Bembo un poeta magro, dovess’essere riputato un atroce delitto? 

Contuttociò, se il dire una tanto misera verità è riputato un delitto atroce in Venezia, non lo è e nol può essere in tutto il resto del mondo, poichè tutto il resto del mondo, grazie al cielo, non pensa come pensano alcuni Veneziani. Abbandonando però la loro augusta metropoli quanto più presto potetti dopo quella solenne proibizione, mi sono trasportato in luogo dove potrò con la mia solita onesta franchezza dire l’animo mio anche in materia di poesia, e chiamare poeti magri tutti quelli che mi pajono tali, cominciando di nuovo da quell’eccellentissimo Bembo, e andando giù sino al-[1238]l’eccellentissimo Baffo, che Iddio mantenga lungamente vegeto e sano, acciocchè l’eccellenza sua possa ancora per molti anni contribuire al miglioramento della sua costumatissima patria colle sue rime piene d’ottima morale e d’ottima religione.

Sappiate dunque, leggitori, che questi fogli della Frusta Letteraria saranno ancora da me proseguiti per qualche tempo con quella uniforme schiettezza che li ha resi qualche poco accetti a chiunque non ha ancora soffocato nel suo cuore ogni seme di bontà e di rettitudine. Leggete intanto in questo numero XXVI il principio della risposta da me data al famoso autore del Bue Pedagogo, che ha tanto barbaramente accusato l’immaginario Aristarco di mille errori e di mille bestialità orribilissime. Questa risposta voi la troverete divisa in otto Discorsi, ne’quali spero d’aver mostrato con molta evidenza che chi ha scritto quel Bue Pedagogo è uno de’più perfetti ribaldi che mai abbiano disonorata l’Italia co’loro scritti.

Rispondendo a quell’infame libello io ho di passaggio voluto anche dire qualche cosuccia di alcuni altri disapprovatori della Frusta Letteraria, e specialmente del Prete Borgat la pazzia del quale traboccò a tal segno in una sua nobilissima critica a’miei primi fogli, che le adornò [1239] il frontispizio con un bel rame, nel quale rappresentò un satiro scopato dal boja, scrivendo il mio nome sotto la figura del satiro, e il suo sotto la figura del boja: modo veramente non più immaginato di far disonore a me, ed onore a sè stesso.

La necessità, in cui sono di rispondere al Bue Pedagogo, mi fa abbandonare per qualche giorno il carattere immaginario d’Aristarco: ma quando gli otto Discorsi saranno spacciati, vedrò se posso riassumere quel carattere. Continuo tuttavia i titoli de’miei fogli come ho cominciato, per non ne guastare l’uniformità, mutando solamente la data di Roveredo in quella di Trento. ◀Metatextualität

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Discorsi fatti dall’autore della Frusta Letteraria al reverendissimo padre don Luciano Firenzuola da Comacchio, autore del Bue Pedagogo. Ebene 4► Discorso primo che narra gli appellativi del Bue, con la Novella del Ladro convinto.

E che v’ho io fatto reverendissimo padre don Luciano Firenzuola da Comacchio, per meritarmi dalla paternità vostra que’tanti strapazzi, quelle tante contumelie e quelle tante infamissime calunnie che m’avete vomitate addosso in quel vostro nefando libello intitolato Il Bue Pedagogo? V’ho io forse mandato in ga-[1240]lea il padre, annegata la madre, assassinato il fratello e deflorata la sorella? Ho io forse cacciato il fuoco in qualche bottega di qualche pescivendolo vostro parente, o consanguineo? V’ho io forse tronca la strada a diventar generale del vostro ordine, o tolti i mezzi di tramutarvi d’abate in vescovo? O v’ho io finalmente chiamato ateista e pederaste, come fanno tanti, che vi conoscono di persona?

Padre don Luciano, io non v’ho fatta nessuna di queste cose, nè sono per farvela giammai. Io v’ho soltanto avvertito, pag. 768 n. XVIII della Frusta Letteraria, a non vi porre nella matta impresa di render ridicoli i filosofi dell’antica Grecia, e quelli della moderna Europa, rammentandovi che Ebene 5► Zitat/Motto► « que’filosofi (malgrado molti loro sbagli ed errori) furono, sono e saranno sempre considerati da tutte le colte nazioni come i primi e più sicuri precettori di filosofia, vale a dire di tutte quelle arti e di tutte quelle scienze, che hanno tanto contribuito a distinguere gli uomini da’pappagalli. » ◀Zitat/Motto ◀Ebene 5

Ed è egli possibile, troppo stizzoso padre, che voi abbiate potuto pigliare in mala parte il più savio consiglio che mai amico vi potesse dare? Possibile che vi siate potuto indurre a darmi centinaja e centinaja di nomacci obbrobriosi per ricompensa della mia fratellevole schiettezza in rettificarvi le idee?

[1241] Ma che sorta di reverendissimo siete voi mai, voi che falsificate iniquamente ogni riga di quella mia Frusta nel citarla, per far credere ai vostri leggitori ch’io l’ho empiuta di mille cose pessime, tanto riguardo alla letteratura, quanto alla morale ed alla religione? E vi par egli ben fatto il cercare di togliermi non solo i nomi vani di critico e di letterato, ma anche gl’importantissimi di galantuomo e di cristiano? Vi pare che sia cosa da reverendissimo l’adoperarsi come farebbe il più tristo Giudeo per mettermi sino in disgrazia de’principi e de’papi! È questo un procedere da uom dabbene? Da quel monaco che siete? Da quel sacciuto che pretendete d’essere? Scusatemi, don Luciano, se vi dico che questo si chiama piuttosto un procedere da mascalzone degno d’essere scopato dal boja fuori della società umana.

Ma voi vi contorcete come un indemoniato a questo mio ingenuo modo di dire i miei pensieri, e gridate che non si confa punto col Galateo. Che Galateo, padre mio? Ora non è tempo sicuramente di ricordarvi del Galateo. Se volevate ricordarvene, dovevate farlo prima di chiamarmi « bue pedagogo, bue cachistarco, bue senza ingegno, bue senza ragione, bue senza parola, bue senza scienza, o arte veruna. » Dovevate ricordarvene [1242] prima di chiamarmi « bue cipriotto, bue poliglotto, bue importante, bue giornalista, bue scaramuzza, bue gazzettiere, bue automato, bue embrione. » Dovevate ricordarvene prima di chiamarmi « bue gajo, bue amante, bue donnajolo, bue cucinatore, bue cosmopolita, bue geografo, bue agricoltore, bue georgofilo, bue cipolla. » Dovevate ricordarvene prima di chiamarmi « bue epico, bue legislatore, bue speculativo, bue sillogismo, bue otre. » Dovevate ricordarvene prima di chiamarmi « bue aritmetico, bue medico, bue legulejo, bue logico, bue moralista, bue teologo. » Dovevate ricordarvene prima di chiamarmi « bue ipocrito, bue pinzocherone, bue carnefice, e bue ferrautte, e bue rodomonte, e filosofo de’buoi, e giove de’buoi, e principe de’pessimi buoi, e capo e principe dell’armento bovino. » Oh ingegnoso don Luciano, inventore maraviglioso di belli appellativi al bue, allora e non adesso dovevate ricordarvi del Galateo! E dovevate ricordarvene prima di chiamarmi « goffo, villano, pigro, sordido, inverecondo, temerario, mugghiatore, fatuo e buono solamente all’aratro ed al macello. » Dovevate ricordarvene prima di chiamarmi « nottola, cornacchia, corvo, cane, lupo, verro, asino, bruto e bestia. » Dovevate ricor-[1243]darvene prima di chiamarmi « buffone, commediante, scarafaggio, ispettore generale degli sterquilinj. » Dovevate ricordarvene prima di chiamarmi « cerretano, mimo, birba, schiavo ubbriaco, infamator pubblico, e animale immondo. » E dovevate finalmente ricordarvene prima di chiamarmi « plagiario, tiranno, beccajo, manigoldo, carnefice, escremento della letteratura, violatore dei doveri sociali, empio, pseudoascetico, feccia della repubblica, principe de’pessimi. » Vi pare, costumatissimo frate, che questo sia linguaggio da frati, e massime da frati reverendissimi qual voi siete? Vi pare che questi sieno titoli da dare ad un galantuomo che ha battesimo in capo? Vi pare che un « grammaticuzzo energumeno, che non sa far altro (come voi a pag. 1122) se non esaminare quistioncelle di grammatica, » meriti di essere paragonato sino al celebre assassino d’Enrico quarto di Francia, e chiamato col suo stesso nome di Ravagliacco? E vi pare che io abbia il torto a dirvi con la mia solita ingenuità che voi non avete qui operato come debbono operare i frati, ma sibbene come un mascalzone, degno d’esser scopato dal boja fuori della società umana?

Nè la vostra sfrontatezza cede un jota alla vostra bestiale inurbanità, poichè nel-[1244]la vostra prefazioncella a quel libello non solamente voi battezzate cose letterarie burlevoli tutte le prefate contumelie sbirresche, ma in una vostra lettera stam-[1245]pata, e mandata a nome del vostro ignoto stampatore per tutta Italia, avete anche assicurato non v’essere nel vostro Bue Pedagogo ingiurie e villanie. Oh prototipo d’impudenza! E sono di questa maniera le tue cose letterarie e burlevoli? Ed è questa la grande varietà di brillanti dottrine, di esami eleganti, e di lepidezze urbanissime, che fraudolentemente promettesti a chi avesse comprata e letta la tua opera? Ma il nostro valente Italiano vuole unire alla gloria di comporre de’libri anche il profitto del venderli ad ogni modo, e perciò pensossi d’assicurare con quell’ingannevole manifesto anche quelli che abborrono cotali letture, che il suo Bue Pedagogo non era altro che una cosetta delicata ed amena composta in una ridente villeggiatura per diletto della brigata. Vedi a qual brutta sordidezza ne conduce 1’avara brama di vendere qualche copia di più d’una ribalda opericiattola, e a che ne spinge lo smoderato desiderio di vendicarci d’uno che saviamente ne consiglia « a non metter in ridicolo i filosofi antichi e moderni! »

Ma qui, giacchè ho mentovata quella [1246] vostra prefazioncella ai leggitori, m’è d’uopo dirvi, padre don Luciano reverendissimo, che voi mentite troppo arditamente dicendo che Ebene 5► Zitat/Motto► « all’apparire della Frusta Letteraria la metà de’nostr’uomini di lettere fu d’opinione di confutarla, e l’altra metà la giudicò una censura composta di pedanterie, d’inezie, di scurrilità e d’ingiurie grossolane e plebee, sprovveduta di raziocinio, di dottrina, e di qualunque menoma utilità e verità. » ◀Zitat/Motto ◀Ebene 5

Se a questo falsissimo ragguaglio che date della mia Frusta voi aveste aggiunto che in essa non si dà mai la minima prova di quanto s’afferma; se aveste detto che abbonda delle più patenti bugie; se aveste detto che qui non si cita mai un passo d’altrui senza mutilarlo o senza falsificarlo, e se aveste detto che ribocca delle più atroci e delle più scellerate calunie e contumelie, voi avreste proprio fatto il carattere del vostro Bue Pedagogo. Ma, padre mio bello, chi sono que’letterati che furono d’opinione di confutar la Frusta, e quegli altri che la giudicarono una censura composta di pedanterie e di quell’altre brutte cose che diceste? E perchè non avete voi nominata almeno una mezza dozzina di que’letterati? Perchè non nominarne almeno uno o due? La metà de’letterati d’Italia vi fa sapere che sono d’opinione di confutar la Frusta, e [1247] l’altra metà vi assicura che la Frusta è una censura pedantesca e tutta cattiva, e voi non avete il coraggio di nominare un solo della metà prima, o della metà seconda?

Il fatto sta, padre mio, che al suo primo apparire la mia Frusta fu giudicata cosa utile e necessaria in un paese come il nostro, soverchiamente pieno di stolta lettura e di brutto costume d’ogni banda. Il fatto sta che al suo primo apparire un dotto e santo arcivescovo non solo volle averne i fogli per uso proprio, ma ne volle anche avere sei copie di più per distribuirle in regalo fra i suoi amici. Il fatto sta che al suo primo apparire un primo ministro di Stato si congratulò meco per lettera di questa mia fatica, e che moltissimi gentiluomini e signori m’esortarono in voce e in iscritto a tirarla innanzi colla stessa ingenuità e colla stessa intrepidezza con cui l’avevo incominciata. Il fatto sta che un principe sovrano ebbe la clemenza di contribuire alla sua continuazione con impedire una ristampa che se ne faceva ne’suoi Stati. In somma il fatto sta che al suo apparire la Frusta ritrovò dappertutto de’partigiani e de’fautori, e più di cinquecento associati che andarono poi crescendo di giorno in giorno con non mediocre vantaggio pecuniario di chi l’ha stampata. Provatevi un [1248] poco voi, padre mio, a scrivere un foglio letterario o qualch’altra cosa, che non ajutata da altra sollecitazione se non da quella dell’intrinseco suo merito, e piena tutta di letteratura e di morale a rovescio della moderna, si guadagni tanti fautori, tanti partigiani e tanti associati tratti dal fiore della nobiltà e della letteratura d’Italia!

Io non niego però dall’altro canto che al suo primo apparire la Frusta non abbia trovati i suoi disapprovatori. Ma sapete voi chi furono costoro, nel bel numero de’quali voleste essere ammesso? State in orecchi, don critico da Comacchio, e lo sentirete.

Il primo primissimo di questa valorosa canaglia fu un ladro di mestiero, chiamato Antonmaria Borga, ed anagrammaticamente Agarimanto Baronio. Costui appena [1249] uscito il primo numero della mia Frusta parve che risolvesse molto prudentemente [1250] d’abbandonare quel suo pericoloso mestiero, e che facesse disegno di procacciarsi [1251] qualche guadagno scrivendo contro un’opera che tosto previde dover riuscire fa-[1252] mosa assai. Ma siccome pochi ladri hanno tanto cervello che basti per giudicare drittamente di cose letterarie, lo sconsigliato Borga fece la grossa minchioneria di scri-[1253]vermi contro una sporca satiraccia sul far appunto del vostro Bue Pedagogo, che fu tosto confiscata e proibita; sicchè tutti i castelli d’oro sognati da sua ladra signoria diroccarono a un tratto, nè so se il sognatore sia quindi tornato al suo primo mestiero.

Dietro al ladro Borga mi s’affacciò un certo faccia di Brighella, prete anche questo, nominato Giacomo Rebellini, fra gli arcadi Adelasto Anascalio. Chi volesse un saggio dello sciocco scrivere di costui ricorra al n. XVIII, pag. 759 al 767 della Frusta. Questo Rebellini prima di scrivermi contro venne personalmente a trovarmi e mi propose d’andar d’accordo nel giudicare de’libri, io nella Frusta, ed egli nella Minerva, libretto critico molto meschino che si pubblica ogni mese, e in cui egli ha molta mano. E perchè io rifiutai di far lega con un pari suo, e di accondiscendere ad un bel ricambio di lodi, come oggidì s’usa tanto di spesso da tanti nostri bastardi letterati, il gaglioffo si mise in collera, e mi svillaneggiò non so quante volte in quella Minerva, in cui fu tanto scempiatamente assurdo, che facendo un’apologia delle commedie del Goldoni da me disapprovate, la cominciò con una solenne protesta Ebene 5► Zitat/Motto► «di non aver mai voluto leggere alcuna di quelle commedie, e mol-[1254]to meno andarne a sentir la recita in teatro, perchè nè l’una cosa nè l’altra si conveniva col suo essere di prete». ◀Zitat/Motto ◀Ebene 5 Che vi pare, Luciano mio, di questi vostri illustri colleghi, uno assurdo, e l’altro ladro?

Si fece quindi innanzi un altro sapiente sull’andare di quel prete Giacomo dalla Minerva. Voglio dire che il mio terzo avversario fu un certo pretuccolo calabrese chiamato don Antonio Tommaso Barbaro, fra gli arcadi Sofifilo Nonacrio, e fra i Calabresi Pulcinella Giangurgolo. Ma non potendo vendere i suoi periodici fogli nemmeno a un terzo di bajocco l’uno, fu forzato a lasciare i torchj in riposo.

Dietro al ridicolo Giangurgolo venne con tanto di pancia un poeta alla frugoniana, chiamato l’illustrissimo signor abate Giambattista Vicini da Modena. Costui assistito dal suo stimatissimo ladro Borga si provò anch’egli ad imbrattarmi il manico della Frusta con non so che sue sporche coserelle in verso e in prosa. Ma, povero illustrissimo! una poca di patente, che Aristarco gli fece fare dal suo schiavo Macouf, lo ammutolì di modo, che neppure la musa Melpomene potrà indurlo ad aprir più bocca per dieci anni avvenire. E voi sapete bene, Luciano mio, quanto quella musa con Clio e con Euterpe sue sorelle rendono loquaci cotesti poeti alla frugo-[1255]niana. Voi avete letta quella patente nella Frusta al n. XXIV, e avrete visto i giudizj da me dati di due opere dell’illustrissimo abate Vicini al n.XIX, pag. 792 al 799, e n. XXIV, pag. 1004 al 1012. Vi prego in nome di sua signoria illustrissima a non vi scordare di difendere quelle sue opere in quest’altro Bue Pedagogo che scriverete.

L’ultimo a saltarmi addosso fu un avvocato Costantini, autore delle Lettere Critiche, di non so che Storia del Diluvio, e di cert’altre babbuassaggini, che mercè la tanta ignoranza di tanti nostri compatriotti furono per alcun tempo lette universalmente. Non si può dire quanto questo avvocato si sbracciò in favore d’Aristarco e de’suoi fogli quando cominciarono a pubblicarsi; ma vedendo che Aristarco era insensibile alle lodi, e che non si moveva mai a nominare nè in bene nè in male quelle sue babbuassaggini, montò a poco a poco grandemente in ira, e ne scarabocchiò una di più intitolandola la Frusta Redarguita. Saputosi però dalla gente che quella era fattura dell’avvocato Costantini, nessuno la volle comprare, e il redarguimento morì così di morto subitanea.

Eccovi, padre don Luciano, i nomi venerandi de’principali disapprovatori della Frusta, ai quali se volete potete aggiungere un certo frate Ferdinando Facchinei, [1256] e un altro frate Scottoni vostri ammiratori tanto disperati, che non credono sia possibile all’autore della Frusta il dare la minima risposta al Bue Pedagogo. Vedete che mentecatti! Ma chi sa che non siate anche voi di questa opinione, padre don Luciano? E non ci scordiamo nel numero di que’disapprovatori di metter anco qualche mezzo migliajo d’arcadi e di cruscanti, che da Roma e da Firenze, e da qualch’altra parte d’Italia mi mandarono buon numero di sfibratissimi sonetti e di prose condite assai d’ignoranza, d’asinità, e di pazze minacce.

A tutta questa ridicola turba v’uniste quindi voi, reverendissimo, scrivendo questo vostro maraviglioso Bue Pedagogo, mosso da un canto dalla speranza di far danari coll’ajuto del mio nome, e dall’altro dal desiderio di vendicarvi di quella critica da me fatta (al n. XVIII, pag. 767 al 778 della Frusta) alla prima delle vostre pazze Commedie filosofiche da voi stampata col vostro nome sonoro d’Agatopisto Cromaziano. Se vi sia riuscito di tesaurizzare vendendo la vostra prima edizione del Bue, io non lo so. So bene che il librajo Colombani di Venezia, che ne ha fatta la seconda, non ha molto motivo di lodarsi de’suddetti frati Scottoni e Facchinei che lo incoraggirono a farla. Riguardo poi alla vendetta che voleste fare, io vi assicuro, [1257] Luciano mio salvatico, che potete sgambettare, e contorcervi quanto v’aggrada; ma nè co’vostri Buoi Pedagoghi nè con altro vi basterà mai la vista di ribattere quelle mie ragioni, che provano la prima commedia filolofica esser una ridicola e scempiata composizione. Chiunque leggerà la mia critica dopo d’aver letta quella vostra filastrocca, sia pur bue quanto si vuole, bisognerà per forza che si sganni intorno al vostro supposto ingegno, e sapere, e facoltà comiche, e che v’abbia piuttosto per un pulcinella giangurgolo, come il prete Calabrese, che per un rivale di quel Molière da voi scimunitamente deriso nella dedicatoria di quella vostra prima commedia filosofica. Oh Agatopisto Cromaziano, e come non vedesti tu che a confronto d’un Molière tu sei un lombrico, un baccherozzolo, anzi un vero pulcinella giangurgolo come Sofifilo Nonacrio!

Un’altra cosa m’occorre dirvi prima d’abbandonare la prefazione del vostro Bue Pedagogo. Voi dite in quella che avete scritta questa bell’opera Ebene 5► Zitat/Motto► « per palesare ai letterati stranieri il sommo disprezzo e la perpetua derisione con cui la Frusta è stata ricevuta dai buoni ingegni italiani ». ◀Zitat/Motto ◀Ebene 5 Oh simbolo di petulanza e di prosunzione! E come potete voi persuadervi che un tal libercolo possa andare a farsi leggere [1258] nei paesi stranieri? Perchè è scritto contro l’autore della Frusta se ne parla oggi, e se ne parlerà forse ancora in varie città d’Italia per qualche mese, massimamente se io pubblico questi miei Discorsi. Finito questo po’di tumulto sarà pur forza che il Bue Pedagogo capitomboli nel nulla come già capitombolò quell’altra vostra sciocca satiraccia contro il Grisellini, perchè come il vostro Bue contiene troppe asinaggini e troppe bugie solenni, oltre alle tante grossolane ingiurie, parte nauseose per la loro pedanteria, e parte degne d’esser uscite dalla bocca d’uno sbirro, anzichè da quella d’un frate, tanto sono piene di barbarie e di scostumatezza. E dovete poi anche sapere, padre mio reverendissimo, che voi conoscete molto male i letterati stranieri se li credete avidi di leggere de’libelli e delle furfanterie sull’andare de’vostri discorsi parenetici, e de’vostri Buoi Pedagoghi. Io ho debito di conoscere que’letterati un po’meglio che non li conosce la paternità vostra, e vi so dire che se voi andaste in Francia, in Ispagna, in Inghilterra, in Germania, o in altra parte d’Europa a chiamare « manigoldi, e carnefici, e feccia della repubblica, e principi de’pessimi, e ravagliacchi » i galantuomini che onestamente criticassero qualche vostra sciocchezza, non solo sareste considerato come un assassino dell’altrui [1259] riputazione, ma correreste fors’anche lo stesso rischio che corrono gli assassini di strada in que’paesi, perchè il calunniare e l’assaltare alla strada sono colà due delitti abbominati egualmente e puniti per lo più nello stesso modo. Oh padre mio, andate a scrivere degl’infami libelli in que’paesi, e vedrete che differenza v’è da luogo a luogo! sarebb’altro che trovare de’protettori prepotenti, i quali talora senza leggere e talora senza saper leggere comandano a Tizio ed a Sempronio che si lascino maltrattare da un briccone, e che non facciano fiato sotto pena del loro terribilissimo sdegno! E sarebb’altro che darvi l’incenso da voi medesimo e chiamarvi da voi medesimo un illustre scrittore e un uomo abbondante di sali, di vivacità, di dottrina, d’indicibile copia di lepidezze, d’eleganze e d’ingegnose discussioni!

Orsù, addio, scrittore illustre. Addio, uomo abbondante di sali. A rivederci domattina pel fresco. ◀Ebene 4

Ebene 4►

Discorso secondo. Delle gazzette inglesi, del reumatismo, e d’ogni chiodo, con una canzonetta chiabreresca e due sillogismi.

Io vengo ora, padre don Luciano reverendissimo, a ragionare un po’distesamente di quella tanto malvagia disingenuità già da me accennata, che v’ha fatto o mutilare o falsificare ogni riga della mia Frusta quantunque volte l’avete citata. Lascio andare molte parole, e molte sentenze, e molti paragrafi da voi fatti stampare in carattere corsivo nel vostro Bue Pedagogo per far credere ai vostri leggitori che li avete copiati tali e quali dalla mia Frusta, quando il fatto sta che nella mia Frusta non ve n’è nè ombra nè sogno, e lascio eziandio andare molte cose da me con rigidezza criticate in altri, che voi m’attribuite tuttavia come cose dette da me stesso. Per evitar seccaggine parliamo soltanto in questo discorso d’alcuni miei passaggi da voi stravolti, e tronchi, e cangiati colla iniqua intenzione di farmi comparir reo di certi majuscoli spropositi, che nessuno fuorchè don Luciano, o forse il ladro Borga sarebbe mai stato capace di dire o di scrivere.

Io ho dunque detto al n. IX, pag. 383 al 384 della Frusta, che Ebene 5► Zitat/Motto► « in Inghilterra, e particolarmente in Londra, lo scrivere de’li-[1261]bri è una cosa ridotta così bene a mestiero, che gl’Inglesi hanno comunissima la frase The Trade of an Authour, il mestiero d’autore. Chiunque ha facoltà mentali (soggiungo io) bastevoli per far comprare una sua opera da sole sei o settecento persone in tutta quella parte dell’isola chiamata propriamente Inghilterra, cosa non molto ardua a farsi colà, ha subito una sicurezza poco meno che fisica di campare onestamente con la sua penna, scrivendo un libro dopo l’altro. L’insaziabilissima ingordigia di leggere cose nuove, o cose che pajan nuove, che tutti gl’Inglesi hanno dal più gran milordo e dalla più gran miledi giù sino al più tristo artigianello ed alla più sciatta fantesca, ha bisogno di continuo pascolo. Quindi è che quattro e più mila penne in Londra solamente hanno il comodo di somministrare quel pascolo a quella tanta ingordigia con più di trenta amplissime gazzette sotto varj titoli, con innumerabili panfletti, e magazzini, e fogli a imitazione dello Spettatore, ed estratti di sacra scrittura, di botanica, e di medicina; e dizionarj stampati a quinternetto a quinternetto, e giornali letterarj e critici; e satire, e libelli, e panegirici, e romanzi; e storie, e poesie, ed altre infinite cose; il tutto venduto a ritaglio di dì in dì, di settimana in settimana, e di mese in mese; senza contare as-[1262]sai voluminose opere che vanno di tanto in tanto pubblicandosi dentro l’anno; cosicchè io crederei di non esagerare, se dicessi che più si stampa in una sola settimana in Inghilterra, che non in tutta Italia in un anno. Basta dire che d’ogni foglio di gazzetta che si vende si paga al re un soldo sterlino, che equivale circa alla sesta parte d’un paolo, e che da questa piccolissima tassa sono stato assicurato da più persone degnissime di fede, e da supporsi bene informate, che il re cava più di dugento lire sterline ogni giorno; vale a dire quattrocento zecchini circa nella sola città di Londra ». ◀Zitat/Motto ◀Ebene 5

Non è egli chiaro chiarissimo, leggitori, che io ho qui detto pubblicarsi ogni giorno in Londra più di trenta Gazzette? Rileggete di grazia questo mio paragrafo se non l’avete letto attentamente, e vedrete che io ho detto trenta gazzette, e non quattro mila gazzette. Ora chi crederebbe che il nostro valente frate Luciano mi cambia il trenta in quattro mila dopo d’aver guasto e mutilato il mio paragrafo per farlo comparire cosa frivola e da nulla?

Vediamo con quale inauditissima impudenza sua paternità ha annunciato questo mio ragguaglio d’un costume inglese nel trasportarlo dalla Frusta alla pag. 1179 al 1180 del suo Bue Pedagogo. Ebene 5► Zitat/Motto► « A Londra, ove regna una insaziabilissima ingor-[1263]digia di leggere cose nuove, dal più gran milordo e dalla più gran miledi giù sino al più tristo artigianello, e alla più sciatta fantesca, vi sono quattro e più mila scrittori di gazzette. E un poco più sotto soggiunge: I quattro mila e più gazzettieri di Londra che vivono di questo mestiere dovrebbono comporre quattromila fogli di stampa il giorno: ma mettiamone pure solamente due mila. » ◀Zitat/Motto ◀Ebene 5

Ecco, leggitori, come certi reverendissimi sono esatti e fedeli nel citare i passi degli autori che s’accingono a confutare! O signori Passeri, Saladini, Zocca, Desideri, Biancani, e Scottoni, e Facchinei, e voi tutti che vi recate ad onore d’essere i riverenti leccapiedi di questo insigne critico, di questo celebre letterato, di questo illustre Agatopisto Cromaziano, di questo santissimo frate da Comacchio, venite un po’ qui da me, e ditemi un po’ candidamente (se in fatto di letteratura è mai possibile che in Italia si trovi un grano di candore), ditemi un po’ come si può fare a difenderlo dalla taccia di disingenuo e di falsificatore adesso che toccate con mano com’egli m’ha sfrontatamente cangiato il trenta in quattromila? E tu, Frugoni, tu che sei il caposquadra de’suoi lodatori, e che lo paragoni a quell’Atleta che ammazzò un toro con un pugno e poi sel mangiò, che di’ tu di questa sua disingenua falsificazione?

Ebene 5► Zitat/Motto► [1264] Oh nume in poesia,

Deh vieni tosto via

Con cento barche cariche

Di mercanzie pindariche;

E mentre in sen ti serpe

L’almo furor poetico,

Invoca quell’Euterpe

Che rende ognun veridico,

Che rende ognun fatidico,

O vogliam dir frenetico;

E qual uom che compila,

Deh scrivi quattromila

Gazzette in versi sciolti

Turgidamente stolti

In lode del gran Vate

Milone Crotoniate

Che i tori ed i lioni

Mangia come capponi:

Via, via, Ligure Cigno,

Cala tosto dall’etra,

E battendo l’ordigno

Chiamato eburnea cetra

Manda lo Scannafede

Di Pluto oltre la sede

Oltre il girar degli anni

Onde non senta i danni

Del sempiterno oblio;

E buona notte a Clio. ◀Zitat/Motto ◀Ebene 5

Quando io lessi dapprima nel Bue Pedagogo quel cambiamento di trenta in quattromila, m’immaginai a un tratto che fosse un errore di stampa, ma il nostro [1265] galantuomo poche righe sotto il falsificato paragrafo mi convinse che non v’era quivi alcun errore di stampa, soggiungendo immediate una seconda bestialità alla prima, vale a dire facendo un calcolo così matto sui quattromila gazzettieri che stampano due mila gazzette il giorno per ciascuno, che ben bisogna aver tracannato del vino assai per ridursi in uno stato di frenesia così deplorabile. ◀Ebene 4 ◀Ebene 3 ◀Ebene 2 ◀Ebene 1