Zitiervorschlag: Cesare Frasponi (Hrsg.): "Lezione CCCXLVI", in: Il Filosofo alla Moda, Vol.6\346 (1730), S. NaN-278, ediert in: Ertler, Klaus-Dieter / Fuchs, Alexandra (Hrsg.): Die "Spectators" im internationalen Kontext. Digitale Edition, Graz 2011- . hdl.handle.net/11471/513.20.4774 [aufgerufen am: ].


Ebene 1►

Lezione cccxlvi.

A Critici in materia di Poesie

Zitat/Motto► Studium fine divite vena.

Hor. A. P. 409. ◀Zitat/Motto

Ebene 2► Io considero in se stesso il Teatro, come un mondo, in cui, ho veduto farvi comparire, sulla di lui mezzana raggione, groppi di meteore, per dare rilievo alle Tragedie. Vi ho uditi tuoni, vi sono rimasto abbagliato da lampi; vi ho osservate nuvole; vi ho compassionate Borasche, Procelle, Tempeste, e per quanto mi viene detto, sono tutte nobili invenzioni, ricavate dalle comedie de’ nostri infelici Poeti che danno pascolo alle critiche di molti; con loro indicibile passione.

Per verità non mi stupisco, che gli autori siano dichiarati nemici di quelli, che generalmente si nomano Critici, poiche la costante regola di questi Signori è di attaccare [273] le composizioni, non già perche siano mal fatte, ma perche hanno voga. Molti frà di loro hanno per massima, che ogni opera da Teatro, già corsa da longo tempo, non dee più valere, come se il fine della Poesia non fosse quello di aggradire. Lascio ad altri di me più esperti il decidere se questa Regola è bene, o male fondata: ma se è giusta, ardisco dire, che serve molta à rilevare l’onore di chi l’ha stabilita, mentre non vi è quasi Opera di tali Regolatori, che sia stata così sfortunata di soggiacere a trè differenti Rappresentazioni; anzi ve ne sono molte si bene elaborate, che la Città non ha mai voluto udirle più d’ una volta.

Tengo per i buoni Critici moderni la stima, ch’ebbero gli Antichi di Aristotile, e Longino trà Greoi; di Orazio, e Qvintiliano, frà Romani. Ma per disgrazia alcuni di quelli, che frà di noi si ergono in Critici di professione, sono sì stupidi, che non fanno met-[274]tere ascieme [sic] quattro parole con eleganza, ne esprimersi colla dovuta proprietà, e di più sì ignoranti, che non hanno se non poca tintura di Latino, e niente di Greco, sicchè, la loro Critica sopra gli Antichi è una mercanzia da Rivendigolo: Né giudicano da ciò, che altri ne scrivono; e non per alcuna idea abbino formata di tali Autori. Le parole: unità, Azione Sentimento, Dizione, impiegate con auttorevole aria, danno loro rillievo presso gl’Ignoranti, che li credono bravi, perche non gl’intendono. Gli antichi Critici dè più celebri Autori de’ loro tempi studiano di applaudirli, e ritrovano sovente ragioni per iscusare i leggeri sbagli, e le picciole innavertenze, che appariscono ne’ loro scritti. Così non fanno i pretesi Critici de’ nostri tempi; cercano quasi tutti di abbassare tutte le Produzioni applaudire, di scuoprirvi degli errori immaginarj, e di sostenere con lontane ragioni, che le [275] credute maggiori bellezze non sono in rigore, che vere macchie. In somma le osservazioni di tali Critici, paragonate a quelle degli Antichi, sono come le opere de’ sofisti, poste a confronto degli antichi Filosofi.

La invidia, e la stiracchiatura sono i naturali frutti della insingardagine, e della Ignoranza: E forse per questo la mitologia pagana c’isegna, che Momo era Figlio della notte, e del Sonno. I neghittosi, che non hanno affatticato nel perfezionarsi, o nel distinguersi per qualche buon verso sono dispostissimi a dir male degli altri; come pure gl’Ignoranti sono molto sogetti a lacerare le bellezze d’un Opera, perche non ve le sanno eglino stessi scuoprire. Molti Figlj di Momo che si onorano col nome di Cririci, vengono essi a diritta linea dà que’ due Venerabili Antentati. Cadono in que’ numerosi inconvenienti, de’ quali imbevono ad ogn’ ora le Persone treviali, perche non [276] considerano. I. Che riesce alle volte più giudizioso l’allontanarsi dalle regole dell’arte, che il seguirle. 2. Che vi sono piu bellezze nelle opre d’un grande ingegno, che non fà tali regole, di quelle d’un ordinario talento, che le possiede al fondo, e le osserva con essatezza.

I. In fatti veggiamo sovente degli Autori, che possegono tutte le regole della Eloquenza, e ciò non ostante, in certe occasioni straordinarie, le trascurano. Potrei addurne essempi di tutti gli scrittori Tragici dell’Antichità, che hanno date prove nel proposito, della loro perizia, e che hanno, con dissegno trascurata qualche regola stabilita per lo Teatro, allorche tale negligenza ha somministrato loro il mezzo d’inferire nelle loro opre qualche beltà maggiore di quello avessero potuto fare, colla osservanza di tale Regola. Quelli, che hanno essaminate le più ammirabili opre dell’Architettura, e della Scoltura, [277] antiche, e moderne, fanno benissimo, che i più eccellenti maestri sovente vi si allontanano dalle Regole dell’Arte; e che questo stesso prduce più bell’effetto, di quello facesse un metodo piu regolare, e sorupoloso. E questo è quello, che noi chiamamo buon Gusto.

II. Pare non sappino i nostri Critici esservi piu bellezze nelle opre d’un grand’Ingegno, senza le Regole dell’arte, che in quelle d’ un’ingegno triviale, che le fa, e le osserva con tutto rigore. Di codesti begl’ ingegni del suo tempo, e di codesti artificiosi Rigoristi parla Terentio nel Prologo dell’Andr.; dove dice, che vuole più tosto immitare la felice trascuratezza degli uni, che la oscura, ed imbrogliata esatezza degli altri &c. 20.

Ebene 3► Zitat/Motto► Quorum ammulari exoptat negligentiam.

Potius quàm istorum obscuram Diligentiam ◀Zitat/Motto ◀Ebene 3

Certo nostro Critico puole consolarsi, nel cattivo essito della sua [278] Opera, come il medico si consorta nella morte d’ un suo paziente, per averlo curato con tutte le regole dell’arte. Certi inimitabili Poeti sono uno scoglio a tutta la generazione di tali Critici severi. Quanti leggono di questi un opera, o una Comedia, in cui si trasgrediscono tutte le regole del Teatro, di quello facciano le composizioni de’ nostri Critici moderni, dove non vi è una regola, che non sia ben’ osservata. Alcnni [sic] sono nati con tutte le sementi della Poesia, e sì ponno rassomigliare alla pietra incassata nell’ Anello di Pirro che per quanto ci racconta Plinio, rapresentava Apoilo colle nove Muse nelle vene tracciatevi dalla stessa natura, senza verun soccorso dell’Arte. ◀Ebene 2 ◀Ebene 1