Zitiervorschlag: Cesare Frasponi (Hrsg.): "Lezione CCCXX", in: Il Filosofo alla Moda, Vol.6\320 (1730), S. 51-64, ediert in: Ertler, Klaus-Dieter / Fuchs, Alexandra (Hrsg.): Die "Spectators" im internationalen Kontext. Digitale Edition, Graz 2011- . hdl.handle.net/11471/513.20.4748 [aufgerufen am: ].


Ebene 1►

Lezione cccxx.

A tutti i malcontenti di questa vita.

Zitat/Motto► Qui sit Mecenas, ut nemo quam sibi fortem,
Seu Ratio dederit, seu Fors objecerit, illa
Contentus vivat, laudet diversa sequentes?
O fortunati mercatores! gravis annis
Miles ait, multo jam fractus membra labore.
Contrà mercator, navim jactantibus austris,
Militia est potior: quid enim? concurritur, hora
Momento cita mors venit, aut victoria lata.
Agricolam laudat Juris Legùmque peritus,
Sub galli cantum consultor ubi ostia pulsat.
Ille, datis vadibus, qui rure extractus in urbem est,
Solos felices viventes clamat in urbe.
[52] Catera de genero hoc (adeo sunt multa) loquacem
Delassare valent Fabium. Ne te morer, audi
Quo rem deducam. Si quis Deus, en ego, dicat,
Jam faciam quod vultis: eris tu, qui modò miles,
Mercator: tu Consultus modò, Rusticus: hinc vos,
Vos hinc, mutatis discedite partibus.
Eja,
Quid statis? Nolint. Atqui licet esse beatis.

Hor. L. I. Sat. I. I.19. ◀Zitat/Motto

Ebene 2► Egli è un pensiero assai celebre di Socrate; che se tutte le calamità della natura umana fossero poste insieme, per essere distribuite ugualmente a tutti gl’ individui della nostra specie, quelli, che si credono oggi più infelici, preferirebbono la porzione, che prima aveano, a quella, che loro fosse dopo toccata. Orazio avvanza di più, questa rifflessione co’ versi posti alla Testa della presente Lezione: infi-[53]nua, che gl’imbarazzi, e i disastri, sotto de’ quali gemiamo, ci doventano più sopportabili, che non sarebbono quelli d’ ogn’ altra Persona, in caso potessimo cambiare con essa lo stato.

Stando sopra la mia Sedia d’appoggio, ed occupato a rifflettere sopra le accennate osservazioni, insensibilmente mi addormentai. Ebene 3► Traum► Allegorie► Ben presto, dopo, credetti udire Grove a pronunciare un Editto, con cui egli ordinava a tutti gli uomini, che venissero a scarricarsi delle loro cure e travagli, e li mettessero tutti in un mucchio. A tal’ effetto, destinò loro una vasta Pianura, nella quale, ebbi la curiosità di portarmi. Viddi, con estremo piacere, tutti gl’individui della mia specie, camminare gli uni dopo gli altri, e disimbarazzarsi de’ loro Fagotti, e questi formarono subito una montagna sì alta, che mi parve s’innalzasse sopra le Nuvole.

Vi era una certa Dama di taglio sottile, e disinvolto, molto attiva, in questa occasione. Portava nella de-[54]stra uno specchio, che serviva ad ingrossare gli obietti; e la di lei veste sciolta era coperta d’infiniti Spettri, e di grottesche figure, lavorate a riccamo, che comparivano agli occhi de’ Spettatori, a misura del vento, che le aggitava. Aveva qualche cosa di selvaggio, e di smarrito negli occhi, e si chiamava la Immaginazione. Conduceva al dissegnato luogo tutte le persone, dopo averle, con dolce maniera, ajutate a formare il loro fagotto, ed a metterselo sopra le spalle. Mi si strignea il cuore nel vedere i miei simili gemere sotto il loro peso, ed il prodigioso ammasso delle loro calamità.

Con tutto ciò, vi furono molti Attori, che mi divertirono. Ne viddi uno, che portava, con molta cura, un Fardello nascosto, sotto un vecchio mantello bordato; e da che lo ebbe gettato sopra gli altri, conobbi essere la Povertà. Un altro dopo molti sospiri, e quasi fuori di lena, getto il suo peso per terra, e scuoprì essere la di lui Moglie.

[55] Vi era pure una infinità di Amanti carichi di piacevoli Fagotti, composti di Dardi, e di Fiamme. Benche sospirassero, e mostrassero un gran’ creppacuore, gionti che furono vicini al Mucchio, non ebbero coraggio di risolversi a disimbarazzarsene; ma dopo alcuni deboli sforzi, scuossero il capo, e se ne ritornarono carichi, come erano venuti. Viddi quantità di Vecchie, che gettavano le loro rughe, e di Giovani, che si spogliavano del loro colore di Basana. Vi erano immensi cumuli di nasi rossi, di grosse labra, e di denti guasti. Per verità rimasi sorpreso nel vedere, che i corporali difetti componevano la maggior parte della Montagna. Non sapevo, da principio, che credere d’ un’uomo, che mi parve in lontananza, carico d’un Fagotto, più grosso degli altri, che avvanzava molto sopra le sue spalle, ma, al suo avvicinarsi, ritrovai, che era una Gobba naturale, di cui si disfece, col più grande piacere del mondo. Vi si vedeano eziandio tutte le sorte di [56] malattie, benche non potessi a meno di osservare, che ve n’erano molte più immaginarie, che reali. Abbadai, sovra tutto, ad un Fardeletto, il quale era una complicazione di tutti i mali, a quali è soggetta la natura umana; questo era in mano di varie persone, ben fatte; e si chiamava il Flato, ò la Milza. Ma ciò, che mi sorprese più di tutto, fu il vedere, che non si gettava verun vizio, né verun difetto del cervello, ò del cuore nel grande Ammasso delle umane Calamità. Ne rimasi tanto più maravigliato, quanto avevo, frà me stesso, concluso, che ciascheduno si approffiterebbe di questa occasione per liberarsi dalle sue passioni, da suoi pregiudicj, e dalle sue debolezze.

Osservai, in particolare, un abbominevole dissoluto, il quale credevo essere colà venuto, per gettarvi le sue colpe, ma dopo avere esaminato il suo Fardello, non vi ritrovai, che la sua memoria, da cui rimaneva imbarazzato. Era seguito da un altro indegno Forsante, che [57] licenziava la modestia, in vece di lasciarvi la ignoranza.

Quando tutto il mondo si fu scarricato de’ suoi Fagotti, il Fantasma, che era stato sì attivo, in quella occasione, appena mi vidde semplice spettatore della Scena, ce mi si avvicinò, e mi presentò all’ improvviso il suo specchio. Da che viddi il mio picciolo, e corto volto, il quale mi comparve allora in tutta la sua naturale bruttezza, ne restai quasi inorridito. La eccessiva grandezza de’ suoi delineamenti, me ne disgustarono di tal maniera, che subito lo gettai, come una maschera, dentro il mucchio. Accade per fortuna, che uno de’ miei vicini se ne stava gettando il suo, che stimava troppo lungo per lui. È vero, che mi parve d’ una prodigiosa lunghezza, e che il di lui solo barboccio fosse, senza iperbole, tanto lungo quanto tutta la mia faccia. Ebbimo, perciò, il mezzo di correggerli amendue; e ciascheduno si trovava in piena libertà di cambiare la propria disgrazia, [58] con quella d’ un’altro.

Non saprei esprimere il piacere, che rissentii alla vista di quella universale liberazione; ma quando esaminammo i varj materiali, de’ quali era composta quella montagna delle umane miserie, appena vi fù una sola Persona, la quale non iscuoprisse la falsità di ciò che pigliava per beni, e per vantaggi di questa vita; e non si stupisse nel vedere, che quelli, i quali le aveano, da principio possiedute; le rimiravano come afflizioni, e travagli.

In questo framezzo, Giove pubblicò un altro Editto, con cui dava piena auttorità a ciascheduno di brattare il suo Fardello, e di ritornasene a Casa, con quell’ altro, che gli farebbe toccato.

La Imaginazione allora si pose in moto, e sé la divisione di tutti que’ Fagotti incassati, gli uni sopra gli altri, con una incredibile attività. Non ostante la confusione, e l’imbroglio, che vi [59] era, e che riescirebbe dificile a descrivere, osservai qualche singolare baratto, che voglio qui rifferire. Un Veccio venerando, per i suoi bianchi capelli, che si era disfatto della Colica; ed avea bisogno d’ un Erede, pigliò, in sua vece, un Figlio disubidiente, gettato con gran dispetto da suo Padre sul monte delle umane calamità. In meno d’ un quarto d’or, quel Giovane scelerato, pigliò per la barba il buon vecchio, e vi mancò poco, non gli rompesse la testa. All’ avvicinarsi del Padre, che si portava verso di loro, con un accesso di Colica, il buon uomo lo priegò di ripigliare il suo Figlio, e restituirgli il suo male, ma non fu possibile il dispartirsi dalla loro elezione. Un povero Galeotto, che avea brattata la sua Catena, colla Gotta, faceva tante contorsionidi faccia, ch’ era facile il vedere, non avere molto guadagnato in quel mercato. Vi furono, in somma, diversi baratti, assai grotteschi, della malattia colla povertà; della [60] fame colla inappetenza, e del fastidio, col dolore.

Le Donne erano molto occupate a negoziare, fra di loro, i vicendevoli difetti: una dava una dreccia di capelli grigj, per un tumore maligno; l’altra cambiava un taglio corto, con una schiena rotonda, un'altra accettava un volto burtto, per una riputazione macciata: ma non ve ne fù una sola, che non ritrovasse il difetto nuovamente, contratto molto più disgradevole del primo. Feci la stessa rifflessione verso ogn’ alrta meseria, che ciascheduno si attrasse, in vece di quella, che aveva; ma non determinerà, se ciò provenisse, perché tutti li mali, che ci accadono, sono, in qualche maniera, proporzionati, al nostro stato, ed alle nostre forze, ò perché l’assuefazione ce li rende più soportabili.

Che che ne sia, non seppi non avere pietà di quel povero Gentiluomo, il quale era venuto carico d’ una Gobba, e si era ritirato con una pietra nella vesica; come pu-[61]re dell’ altro che avea fatto sì gallante baratto con lui, e che vergognandosi del suo nuovo Fardello, non ardiva di rimirare una truppa di Dame, che l’ avevano altre volte gradito.

Non debbo qui scordami la mia propria avventura. L’ Amico dal volto lungo, appena ebbe il mio corto mostaccio, che se la più grottesche figura del mondo. Dopo averlo alquanto considerato, non vi fu mezzo di rattenermi, gli feci una risata in faccia, e benche tutto serio, lo sconcertai. Sensibile allo scherno, mi parve avesse rossore del suo cambio. Per me non ebbi grande motivo d’ essere contento del mio; mentre in vece di toccarmi la fronte, portai il dito al labro sopra la bocca. Dipiù il mio naso era sì lungo, che passando la mano sulla faccia, per grattare qualche altro luogo, gli diedi due, o trè botte, che mi serono venire lagrimanti gli occhi. Viddi presso di me due Signori, che pure aveano fatto un ridicolo cambio [62] d’ un pajo di gambe grosse, corte, e torte, con due gambe lunghe, da fuso, scarnate, e magre. Parea a vederli, che uno fosse montato sulle stampelle, e tanto ellevato in aria sopra la di lui ordinaria statutura, che gli girasse il capo; mentre l’altro faceva de’circoli, ed avea difficoltà nel caminare diritto sopra le sue Colonne storte. Alla vista di questo, che mi parve di umore gioviale, tirai una retta linea col mio Bastone, che piantai in terra, e volli scomettere una pranzo, che caminando sempre fu quella linea, non arriverebbe, nello spaio d’ un’quarto d’ora, al mio Bastone.

Finalmente tutto l’Ammasso delle Calamità umane fù dispensato fra’ due sessi. Facevano una assai dolorosa figura, a misura che passeggiavano da una parte, e dall’altra, e cancellavano sotto il peso de’ loro nuovi fagotti. Tutta la Pianura risonò di mormorazioni, di sospiri, e di lamenti, fino che Giove mosso a compassione, per-[63]mise a ciascheduno di lasciare il suo Fardello, e ripigliare il primo. Vi dierono tutti, con molto piacere, le mani; ed il Fantasma, che gli avea strascinati a sì grossolano errore, ebbe ordine di ritirarsi. Venne mandata, in suo luogo, una Dea, il di cui passo era fermo, e grave, e la di lei aria insieme gioviale, eseria. Questa, di tempo, in tempo, rivoltava gli occhi al Cielo, e li fissava in Giove. Si chiama la Pazienza. Dacche si pose vicino al monte delle Calamità, osservai, con meraviglia, diminuirsi il loro volume a segno, che non parve né meno un’terzo di prima. Restituì dipoi a ciascheduno il suo primo Fardello, ed insegnò loro, in quale maniera dovessero portarlo, per diminuirne il peso; od almeno renderlo più tollerabile. Si ritirarono allora molto contenti, perche non avea più luogo la scelta da loro fatta circa i mali di questa vita, e se n’era lasciata la distribuzione alla Provvidenza. ◀Allegorie ◀Traum ◀Ebene 3

Oltre le buone moralità, che [64] si ponno ricavare da questa visione, io ho appresso dalla stessa a non mormorare già mai de’ miei infortunj, ed a non invidiare le fortune degli altri, essendo impossibile il ben giudicare degli altrui patimenti. Ho perciò rissoluto di non mai dispregiare i lamenti de’ miei compagni, e di avere sentimenti di umanità, e di compassione verso di tutti. ◀Ebene 2 ◀Ebene 1