Zitiervorschlag: Cesare Frasponi (Hrsg.): "Lezione CCCLXXIX", in: Il Filosofo alla Moda, Vol.7\379 (1730), S. 188-193, ediert in: Ertler, Klaus-Dieter / Fuchs, Alexandra (Hrsg.): Die "Spectators" im internationalen Kontext. Digitale Edition, Graz 2011- . hdl.handle.net/11471/513.20.4345 [aufgerufen am: ].


Ebene 1►

Lezione ccclxxix.

A Letterati sopra la virtù, che consiste nella immitazione di Dio.

Zitat/Motto► Quì minus indiget, Divinitatis proximior.

Socrat. apud Xenoph. ◀Zitat/Motto

Ebene 2► I Pagani Filosofi, d’ordinario si vantavano, che i loro precetti servivano a rendere gli uomini simili alli Dei. Per quanti errori si ritrovino ne’ mezzi, che impiegavano per giugnere a questo fine, bisogna confessare, che il loro disegno era nobile, e glorioso. Le più belle opere della invenzione umana sono di leggerissimo peso, quand-[189]do si pongono sulla bilancia, con ciò serve a rissinare lo spirito. Longino#k scusa con molta galanteria Omero quando dice, che ha fatti i Dei simili agli uomini a fine di rendere gli uomini simili alli Dei. Ma si dee convenire, che molti antichi Filosofi hanno affaticato più tosto all’ultimo, che al primo di questi punti; il che Cicerone bramava avesse fatto Omero.

Giusta questa massima generale, alcuni frà di loro hanno cercato d’innalzare gli uomini fino a quell’alto segno di piacere, o di minore indolenza, in cui, malamente credevano consistesse la Beatitudine dell’supremo Essere. Da un altra parte la fetta più virtuosa di que’ Filosofi si formava la idea chimerica d’un saggio esente dalle Passioni, e dal dolore, capace di rendersi da se stesso felice senza avere bisogno di veruno straniero soccorso.

Quest’ultimo carattere, spoglia-[190]to del fasto che lo attornia, e che da principio offende, si riduce ad insinuare, che un Uomo virtuoso, e saggio dev’armarsi di pazienza, nè ha da facilmente cedere alla violenza delle passioni, e del dolore. Dev’imparare ad affogare i suoi desiderj, ed a restringerli per avere pochi bisogni, e deve nodrire nell’anima virtù capaci di sempre acquistargli nuovi piaceri.

Il Cristianesmo da noi esigge; che dopo esserci formati la più alta, e migliore idea, che possiamo di Dio, noi procuriamo in seguito d’immitarlo quanto ci permette la nostra debolezza. Potrei nel proposito citare molti passi delle Scritture Divine, come pure molte sentenze, e massime, che si ritrovavano negli Autori Romani, e Greci.

Ma non produrrò, che un solo esempio, ricavato da Cesari di Giuliano. Dopo avere quest’Autore fatti passare in revista di-[191]nanzi alli Dei, tutti gl’Imperadori Romani, con Alessandro il Grande, che disputavano frà di loro la preminenza, tutti in tratti gli abbandona, nè parla più, che di Alessandro, di Giulio Cesare, d’Augusto, di Trajano, di Marco Aurelio, e di Costantino. Ciascheduno di codesti Eroi dell’antichità cerca di far valere il diritto, che pretende sopra gli altri, dettagliando con tutto il possibile vantaggio le sue azioni. Ma i Dei, in vece di rimanere abbagliati dalle loro imprese, s’informano, per mezzo di Mercurio, de’ principj, co’ quali si regolarono, in tutto al corso della loro vita, nelle loro azioni: Alessandro dice, che il suo fine erano le conquiste: Giulio Cesare confessa, che la sua mira è d’innalzarsi al più alto grado d’ onore nella sua Patria: Augusto, che aveva cercato di ben governare i proprj stati. Trajano, che aveva [192] nodrita la stessa ambizione di Alessandro. Finalmente Marco Aurelio, interrogato la sua volta, rispose con tutta modestia, che aveva sempre con grande ardore procurato d’immitare gli Dei. Questa condotta gli guadagnò la pluralità de’ voti, ed il primo luogo in tutta quella maestosa Assemblea. Quando si venne a chiedergli, in che immitasse i Dei, dichiarò, essere stato nell’uso delle intellettuali Facoltà, cercando in oltre d’avere al possibile minori bisogni, e di fare egli quanto poteva di bene.

Tra i differenti mezzi, che la Divina Scrittura ha suggeriti per l’avvanzamento de’ buoni costumi, uno de’ principali egli è il darci una giusta idea del supremo essere, che tutte le ragionevoli Creature debbono immitare. Un Giovane dissoluto poteva in una Comedia Pagana giustificare i suoi trascorsi coll’esempio di Giove, nè vi è quasi colpa, che non si [193] possa difendere, giusta le idee, che il volgo del Paganesmo si formava de’ Dei. La Scrittura ci offre un obbietto degno d’essere immitato il modelo, cioè, la sorgente di tutte le immaginabili perfezioni.

Siamo in questa vita esposti ad un infinito numero di tentazioni, le quali non ponno, se loro prestiamo orecchio, non distoglierci dal sentiero della Ragione, e della virtù, se sole cose, che possiamo imitare nel supremo Autore dell’Universo. Ma nel Secolo avenire, ogni obbietto sarà conforme alle inclinazioni, e degno di cattivarle. Stabbilirò dunque per massima; che la nostra Felicità in questo mondo, viene dalla sopressione de’nostri desiderj; e nell’altro dalla loro piena soddisfazione. ◀Ebene 2 ◀Ebene 1