Zitiervorschlag: Cesare Frasponi (Hrsg.): "Lezione CCCLXXVIII", in: Il Filosofo alla Moda, Vol.7\378 (1730), S. 177-187, ediert in: Ertler, Klaus-Dieter / Fuchs, Alexandra (Hrsg.): Die "Spectators" im internationalen Kontext. Digitale Edition, Graz 2011- . hdl.handle.net/11471/513.20.4344 [aufgerufen am: ].


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Lezione ccclxxviii.

Agli Oratori Cristiani posti a fronte de‘ Pagani.

Zitat/Motto► Omnia profecto, cùm se à coelestibus rebus referet ad humanas,
excelsiùs, magnificentiùsque,
& dicet, sentiet.

Cic. in Orat. c. 34 ◀Zitat/Motto

Ebene 2► ERA quistione assai comune fra gli Antichi, d’onde venisse, che il numero de’ grandi Oratori, malgrado gl’impulsi, che ricevevano da’ più floridi Stati, non si avvicinava a numero di quelli, che spiccavano in ogn’altra sorta di Scienze. Un Amico applicò in piacevole maniera a questo Caso, la osservazione di Erodoto, il quale di-[178]ce; Ebene 3► Zitat/Motto► che gli Animali più utili sono i più fecondi, la dove i feroci, e velenosi non moltiplicano gran cosa. Ne dà per esempj, da una parte la Lepre, che sempre, ò è pienà, ò nodrisce i suoi figli; e dall’altra la Lionessa, che non porta, se non una volta in sua vita. ◀Zitat/Motto ◀Ebene 3 Ma dica ciò che vuole l’Amico, per me credo, che abbiamo più motivo nel proposito di querelarci, di quello avessero gli Antichi, non ostanti i nostri, maggiori vantaggi per giugnere alla vera, e soda Eloquenza sopra i più celebri Oratori dell’ Antichità.

La prima differenza essenziale trà loro, e noi, viene, che loro traevano i loro luoghi comuni, (nel che risiede quasi tutta la forza, ò dell’Amplificazione, ò del Profitto, e dell’onestà) ristretti a questa vita. La dove il Cristianesmo vi aggiugne un’assai più purgata morale; la speranza d’una vita a venire; bene, e Ricompense più esquisite, e di tutt’altra durata; co-[179]se assai più proprie a muovere l’animo degli uditori, naturalmente disposti a seguire tutto ciò, che loro pare avvantaggioso. Se Pericle, come riferiscono le Storie, poeta scuotere le più ferme rissoluzioni de’ suoi Ascoltatori, e mettere in agitazione le Passioni di tutta la Grecia, quando maneggiava l’interesse della Patria, ò una invasione de’ suoi nemici, che non si de’ aspettare da un Oratore Cristiano, che esorta i suoi uditori a prevenire mali, da quali, nè il tempo, nè la Prudenza ponno liverarli, quando vi siano una volta caduti? Quanto le penne di un’altra vita sorpassano i mali di questa, tanto più i motivi, che il Cristiano propone, debbono essere più efficaci, di quelli, che le semplici considerazioni morali potrebbono somministrarci.

Ciò che ho detto non riguarda, che i mezzi di eccitare le Passioni, ma vi è un’altra parte della Eloquenza, la qual è veramente il di lei Capo d’opra, o consiste nel su-[180]blime, e nel meraviglioso. Sù questo punto von vi è dubbio, che l’Oratore Cristiano non abbia tutto il vantaggio. La Rivelazione ci porge sì vaste idee; ci fa rimirare la Eternità, in tante maniere; ci somministra prove sì convincenti delle Pene, e delle Ricompense dell’altra vita, che questi grandi obbietti non ponno se non animare i nostri discorsi di un nobile vigore, e d’una invincibile forza, di là da tutto ciò, che gl’interessi umani potrebbero suggerirci. Cicerone vuole, che il suo perfetto Oratore conosca in qualche parte la natura de’ Corpi celesti, perche, dice, questo darà più estensione al suo ingegno, e quando tratterà gli affari del Mondo, i suoi pensieri, ed i suoi discorsi avranno più elevatezza, e più magnificenza. Non avrebbe mancato, senza dubbio, se ne avesse avuta qualche idea, di raccomandare lo studio di que’ grandi, e gloriosi misterj, che la Rivelazione, ci ha scuoperti, e che sono tanto so-[181]pra le più nobili parti di questo visibile Mondo, quanto è più eccellente Creatore della Creatura. I più Saggi, e più Letterati fra li Pagani, non ebbero, che imperfettissime Idee dello stato a venire. Aveano per verità qualche incerta speranza, fondata sulla tradizione, ò su i lumi della natura, che le Persone da bene, esisterebbono dopo la separazione dell’anima, e del corpo, e che goderebbono ogni sorta di Felicità; ma non credevano vi fossero pene riserbate per gli Empj; ò le mascheravano per lusingare la natura umana, e non mostrarla per lo suo verso cattivo; presso poco, come Apelle rittrasse Antigono in profilo, per nascondere il di lui occhio perduto.

Ho sovente osservato ne’ Filosofici discorsi dell’Oratore Romano, che quando la materia lo impegna a parlare della Immortalità, si rassomiglia ad uno, che in un sovrasalto si risveglia, che eccitato, e quasi rapito dalla dignità del Sogget-[182]to, sforzi la immaginazione per concepire qualche cosa di straordinario, e che la grandezza de’ suoi pensieri getti un nuovo splendore sopra tutto ciò, che avvanza. Per quanto fosse nel proposito irrissoluto, ed incerto, pareva infiammato da questa nobile idea; nè vi è che una sì gloriosa aspettativa, la quale potesse obbligare un uomo, per altro sì amico della verità, a dichiarare, che mai abbandonerebbe la sua opinione della immortalità, quando anche si ritrovasse erronea. Ma se tanto fosse vissuto per vedere tutto ciò, che il Cristianesmo ha posto in luce, con qualche ardore non avrebbe egli profusa tutta la forza della sua Eloquenza in quelle nobili speculazioni, delle quali è capace la natura umana, sopra la Rissurezione de’ Morti, e sopra il giudizio, che la dee seguire? Da quali trasporti di gioja, non sarebbe stata inondata la di lui anima, alla vista d’un certo a venire svilluppato a’ suoi [183] occhi? Con quale vivacità, non avrebbe egli cercato di penetrare il mistero della Incarnazione? Quai strali, quai lampi non avrebbe egli vibrato per muovere i suoi uditori, a fissare il cuore, malgrado gli ostacoli della natura corrotta, sopra que’ grandi obbietti dipinti, con sì vivi e forti colori della sua Eloquenza?

Questo è l’avvantaggio, che anno i Cristiani; nè fu un mediocre piacere per me, quando ritrovai un frammento di Longino, posto alla testa d’un manoscritto del nuovo Testamento, che si conserva nella Biblioteca del Vaticano, e che mostra il buon gusto di questo insigne Critico. Dopo avervi dato il Catalogo de’ più celebri Oratori della Grecia, aggiugne, Ebene 3► Zitat/Motto► unite a questi Paolo di Tarso, il partiggiano d’una opinione, che non è stata fin quì ben provata. ◀Zitat/Motto ◀Ebene 3 In qualità di Pagano condanna la Religione Cristiana, ed in qualità di Critica imparziale, giudica in fa-[184]vore di quello che la predicava. Parmi, che l’ultimo tratto del suo giudizio dia molto peso al primo, che riguarda l’abilità di S. Paolo, poiche malgrado la opposizione delle sue idee, è forzato riconoscere il merito dell’Apostolo. Tale quale ce lo descrive, tale, senza dubbio comparve alle differenti nazioni, che favoriva colla sua presenza, ed illuminava colle sue Dottrine. La storia degli Apostoli ci somministra una buona prova della sua eloquenza, quando ci dice, che quelli di Listri lo chiamavano Mercurio, perche era la guida della parola: Paulum verò Mercurium, quia ipse erat dux verbi; e che stavano in procinto di sagrificargli delle vittime, come al Dio della Eloquenza. A non rimirarlo, che sul piè di Oratore, questo solo tratto inalza il suo Carattere sopra quello, che si dà a Demostene, ed a suoi contemporanei. Si ammira il potere della loro Retorica, ma si vede sempre umana. La loro Elo-[185]quenza incatena, e rapisce gli uditori, ma per tanto si crede, che sia la voce d’un uomo, e non quella d’un Dio. Quale vantaggio non aveva dunque S. Paolo sopra gli Oratori della Grecia, e di Roma? Per me, dopo l’influsso dello Spirito Santo, non saprei attribuirlo, che alla eccellenza della Dottrina da lui predicata: avrebbe, per anco, la stessa virtù, se ci fosse annunciata da qualche bravo Oratore, che ci facesse esclamare co’ Discepoli, che andavano verso Emaus: Ebene 3► Zitat/Motto► Nonne cor nostrum ardens erat in nobis dum sequeretur in via, & aperiret nobis scripturas? ◀Zitat/Motto ◀Ebene 3 Sarò io tacciato di arditezza, e di temerità: Non posso trattenermi dal sostenere, che non vi è stato Oratore, il quale ci abbia lasciati tanti argomenti della sua Eloquenza come l’Apostolo. Si stupiranno forse alcuni; perche combattendo la idolatria d’Attene, dove la Eloquenza era per così dire, nel suo centro, e vi fioriva più che in al-[186]tra parte del mondo, si restringesse ad un affatto semplice Ragionamento. Ma deve quì sapersi, che molti celebri Autori ci assicurano, che i tratti di Retorica, e l’Arte di muovere le passioni erano cose vietate dalle Leggi di quel Paese, in tutte le Corti di giudicatura, e perciò non volle servirsi della sua Eloquenza per non trasgredirle. Per altro i suoi discorsi a’ Corinti sopra la Rissurezione de’ Morti; e la sua difesa dinanzi al Re Agrippa, dove tratta della propria conversione, e della necessità in cui tutti erano d’immitarlo, sono pieni d’una vera grandezza, e ponno servire di conferma alle regole per lo sublime, che i più eccellenti Critici ci hanno lasciate.

Quanto ho detto fin’ora, tende a far vedere a’nostri predicatori Sagri, che se vogliono perfezionarsi nell’Arte Oratoria, non anno bisogno di ricercare altro esempio, che le Arringhe dell’Apo-[187]stolo; poiche malgrado i suoi naturali difetti, da lui medesimo confessati, era seguito, ammirato, e proposto a’ Secoli futuri, come un modello dell’Eloquenza dal migliore Giudice, che sia stato in tutta la Pagana antichità. Così i nostri Oratori Sagri debbono da ciò apprendere, che i loro Discorsi, per quanto siano istruttivi, possono acquistare nuovo grado di forza, se vogliano seguire il metodo di S. Paolo, e prevalersi de’ mezzi, che mediante la grazia divina, loro somministra il Cristianesmo. ◀Ebene 2 ◀Ebene 1