Saggio XVI. Luca Magnanima Moralische Wochenschriften Alexandra Fuchs Editor Johanna Waldner Editor Angelika Hallegger Editor Magdalena Albert Editor Andrea Kaser Editor Institut für Romanistik, Universität Graz 18.01.2017 o:mws.5583 Magnanima, Luca: Osservatore toscano. Livorno: Carlo Giorgio 1779-1783, 150-158 Osservatore Toscano 1 16 1783 Italien Ebene 1 Ebene 2 Ebene 3 Ebene 4 Ebene 5 Ebene 6 Allgemeine Erzählung Selbstportrait Fremdportrait Dialog Allegorisches Erzählen Traumerzählung Fabelerzählung Satirisches Erzählen Exemplarisches Erzählen Utopische Erzählung Metatextualität Zitat/Motto Leserbrief Graz, Austria Italian Recht Diritto Law Derecho Droit Italy Tuscany Tuscany 11.0,43.41667 Italy 12.83333,42.83333 Italy San Sepolcro San Sepolcro 8.68486,45.7769 Italy Rome Rome 12.51133,41.89193

Saggio XVI.

Idea di alcuni scritti pubblicati dal Governo toscano.

La Toscana vanta il più saggio governo che possa idearsi. La morale del suo Legislatore è fondata su questi principj, conservazione, sicurezza, o libertà. Persuaso di essi, come quelli che la natura insegna, e la ragione fortifica, ad altro non pensa che a ordinare quelle operazioni, onde se ne veggano gli effetti. Niuno avrebbe stimato che tante se ne potessero fare, quante veramente ne sono state fatte fin quì. Egli non è arrestato da antichi errori, o da pregiudizi moderni. L’antichità è veneranda presso di Lui, quando non affronta i diritti dell’uomo, quando insegna e rischiara, quando ha in veduta il maggior bene degli uomini o sian buoni o malvagi; e stima la presente età quando esamina sempre, e distingue la natura delle cose, quando si oppone alla servitù, e favorendo l’ordine, cerca di dar dell’uomo un essere il meno infelice che può. Del resto ha tutto il coraggio di disfare, tutta la fermezza in rifare, tutta la sapienza in far meglio. I maggiori ostacoli raddoppiano il suo vigore, e la sua sofferenza in superarli. Superati che sono gode del bene che ne verrà a’suoi popoli, e perciò della maggiore unione fra loro, della maggior passione per esso. Egli è il solo che dell’antico governo toscano abbia cominciato un nuovo edificio; anzi è tanto nuovo che appena vi restan orme dell’antico. Un fagiano e una trota non fanno più uccidere un uomo; ognuno è padron del suo; ed il Galileo vecchio, ed infermo non si citerebbe più a Roma.

Noi appoggieremo quel che abbiam detto sulla storia di tre scritti che il nostro Regnante ha fatti pubblicare in quest’anni 1781. Mostreranno il suo intelletto, le sue cognizioni, il suo cuore, e con esso la sua vigilanza. Oltre di che in faccia de‘viventi sarebbe stupidità o il non dire il vero, o l’alterarlo. Si crede in generale che i principi abbiano la disgrazia di non sentirlo. Il nostro sa quello che importa, ed il resto o trascura, o non sente. Ma per dir tutto, egli è unicamente occupato della felicità de’suoi sudditi, dalla quale non si stacca che per sollevarsi alquanto coll’innocente trattenimento della sua real famiglia. Questo solo lo mette accanto a’migliori principi dell’antichità; e se è necessario di essere alcuna cosa di più degli altri uomini per saperli ben governare, egli mostra di avvicinarsi ad un tale stato, non per quel che può pensare di grande e di giusto, ma per quel che ha operato finora.

Gli scritti che ora ha voluto pubblici sono, Istruzione a’Giusdicenti del Granducato di Toscana; Lettera riguardante il Lusso; Tariffa delle Gabelle toscane.

Ella è una verità di fatto che ogni Legislatore debba comunicare una parte del suo potere. Senza di ciò non può darsi alcun governo. Ma il più difficile si è di saper conoscere gli uomini che posson servire a’suoi disegni. Dunque perchè sia un pensare stesso in tutti i ministri destinati al reggimento degli altri, il Sovrano della Toscana ha voluto dar loro un’Istruzione. Ella ha due oggetti principali, d’insegnare come debbono regger se stessi tanto come privati che come uomini pubblici. E perchè sono anche due le forte di giudizi, a cui debbono presedere, l’una civile, criminale l’altra, così ha dato loro su di tutto speciali insegnamenti. Noi ci siam fatta propria tutta questa dottrina colle replicate letture, e però daremo il fiore delle idee che compongono sì questo che gli altri due scritti.

Vuol dunque l’A.S.R. che i Giusdicenti non ambiscano a maggiori distinzioni; che la lor vita privata, e quella delle lor famiglie sia del miglior esempio, modesta, frugale, senza lusso, e senz’aderenze. Non vuole avidità, non vuol doni. Il loro esempio servirà a tenere in freno i loro sottoposti, e massime i Notari del loro tribunale. Di più, si asterranno da qualunque modo o tuono imperioso, o maniere sprezzanti per il paese, e per tutti quelli che credono loro inferiori, ricordandosi sempre che essi sono destinati per servire il Pubblico, per ascoltare, consolare, e soccorrere in specie i Poveri in qualunque ora e tempo, assistendoli, e dirigendoli con carità e pazienza.

Nelle cause civili debbono i Giusdicenti, o i Vicari aver sempre in mura l’accordo, o siano poco importanti, o assai, sian mosse da qualunque puntiglio, o ragione; impedirle tra’consanguinei ed affini; vedere che si facciano funzioni inutili con danno delle parti, e siano rindennizzate se mai ne furon fatte. I pupilli ed i poveri siano assistiti. I primi non siano disastrati, i secondi non abusino del privilegio. Si tolga affatto se sono per abusarne, si aumenti, se le loro dimande lo richiedano. Se occorrono esecuzioni, nelle reali si rispetti la necessità, nelle personali la libertà. Non si ammettano se non per debiti maggiori di lire trenta, e dopo di aver tentato inutilmente le reali. Ma sì nelle une che nelle altre i Giusdicenti interpongano i loro buoni ufficii, e se si avvenissero in creditori duri ed ostinati a volere in carcere un povero debitore, ne dian parte al Governo.

Nelle cause criminali non permettano l’arresto di alcun cittadino senza prove antecedenti, ed in ca-si gravi ove l’indugio sarebbe nocivo. La neghino per semplici trasgressioni a leggi di caccie, boschi, e per semplice contrabbando. Si scarceri il reo il più presto che è permesso, se vi sia luogo con mallevadore ec. Se poi per la debolezza delle prove preveggano non potersi venire ad una condanna formale, e l’arbitraria possa esser leggiera, ne propongano la scarcerazione prima che sia spedita la causa. In quanto a‘testimoni, non siano carcerati senza un giusto motivo, nè sian ritenuti se non quanto importi la stretta necessità della causa. Ne’processi che si vanno formando, non si ammettano nuove ed inutili istanze. Si ammettano quelle che potessero eludere ed alleggerire la pretesa verità, come il contrario. E abbiano per massima i giusdicenti non essere impegno del tribunale il trovare ree le persone imputate, ma la nuda verità. In conseguenza debbon frenare l’animosità degli accusati, de’testimoni, degli esecutori, quando apparisca, ed essere attenti su di ciò. Infine, trattandosi di persone imputate ed in carcere, stiano in giorno degli Atti; ad essi appartiene il dirigerli, e rettificarli.

Conviene che i Vicari siano sempre desti sulla condotta de’ Capi esecutori, e de‘subalterni sì riguardo al puro loro impiego che al pubblico. Nel primo caso si guardi che siano attenti, e vigilanti a tutte l’ore, a tutti i tempi, e non ne abusino mai. Nel secondo che non prendano roba, dena-ro sotto qualunque titolo, nè lo mettano a contribuzione per le cose di prima necessità. Se si saranno rei di alcun delitto, siano, secondo la natura di esso, sospesi, carcerati, processati, e costretti a rendere il mal tolto. Veglino egualmente che i Capi esecutori non facciano quel lusso che non posson fare, che non mangino su i loro sottoposti, e gli uni e altri in generale sul paese.

Nelle cause miste, o sia nelle cause di danno dato, avvertano agli ordini veglianti. Non ti voglion cause dirette solo ad empire le cassette. Si pensi subito alle vie di accomodamento ove si tratti di leggiero delitto con piccolo danno di alcuno, senz’aspettare una sentenza formale.

Le carceri, che sono una semplice custodia del debitore e del reo, siano sicure, sane, ventilate, comode e pulite. Debbono visitarsi ogni settimana. Carità nelle occorrenze, assistenza nelle malattie. Nè manchi per tutto a’rei un difensore. I delitti si debbon anche prevenire. Si guardino dunque i forestieri oziosi, vagabondi, ed incogniti. Non si soffrano ciarlatani, giramondi, e simili. I luoghi pubblici come osterie, teatri, caffè siano per comodo e sollievo, non per alimento del vizio. In essi, giuochi di carte, e dadi siano vietati, come i permessi nelle case non si rendano viziosi. Oltre di che si avverta ogni paese se vi siano prepotenti, scostumati, seminatori di scandali; si riprendano, e se ne dia avviso, come pure sian puniti quelli che tenessero di mano a’figli di famiglia per rovinarli, alle truffe, e alla compra di robe rubate. Non si perda di vista l’educazione de’giovani, e delle fanciulle; e se alcuno, a cui spetta d’invigilare, dia qualche avviso, si ascolti, e si faccia quel che conviene il più. Il pronto riparo a’piccoli inconvenienti previene i grandi. In ultimo se alcuna ragazza cada in errore, si prendano su di ciò le debite misure.

Vegli il Giusdicente, che se mai gli Ecclesiastici si facessero rei di alcun delitto comune, ne segua in esso la delegazione, nè la pretenda di necessità per sola contravvenzione alla disciplina ecclesiastica. L’accetti se gli sia offerta, e ne rimetta gli atti ed il voto a‘superiori ecclesiastici, senza darne parte. Se si tratti di trasgressioni alle leggi particolari dello stato, senza esigere questa delegazione, le verifichi sommariamente, e ne dia avviso al Governo. Se poi i superiori ecclesiastici fanno qualche atto per mettere in chiaro alcun delitto, sia persuaso ogni Vicario che non contravvengono agli ordini della delegazione, e ciò per cautela di non infamare un prete, che sarà forse innocente. Alcun atto si permette ancora nelle cause che non possono terminare che in una correzione. S’invigili sul costume degli ecclesiastici, e massime su parochi della compagna, i quali posson fare gran male, se trasandano i lor doveri. In ogni caso ne siano avvisati i Vescovi ed il Governo.

Non s’ingeriscano i Giusdicenti negli affari delle Comunità. Intervenendo alle loro adunanze, siano imparziali, e mostrino in ogni altra occasione il loro vero interesse, fuori d’ogni partito. Siano discreti quando chiedono risarcimenti, o mobilia; e sappiano che i Cancellieri di esse Comunità non sono loro dipendenti, ma debbono insieme andare uniti pel maggior bene del pubblico. Conviene però che ogni Vicario sia attento a vedere se sono disinteressati e senza intrighi; e quando tali non siano, debbono avvisarne i respettivi superiori.

Per ciò che spetta all’Annona, il sistema di libertà è stabilito. Si oppongano i Giusdicenti a tutto quel che potesse alterarlo. Riguardo alla Sanità, veglino sulle malattie epidemiche degli uomini, e degli animali; nè la morte improvvisa di una bestia serva per dichiararla epidemia. Mirino pure che i Grascieri riveggano i pesi, e le misure, nè lascino vendere cose nocive alla salute. Per le materie che possono offenderla, come di stalle in luoghi murati, scoli, macerazioni, acque morte, richieda il Giusdicente che i Comunisti propongano quel che più conviene alle loro circostanze locali, non potendosi fare su di ciò reregolarmenti in genere. Guardi che siano eseguiti ancora gli ordini veglianti riguardo a’cadaveri ed alle sepolture; e se mai si dà alcun disordìne, sia pronto il rimedio. Persuada a fabbricare cemeteri a sterro piuttosto che nuove sepolture.

Ogni Vicario o Giusdicente abbia ferma opinione esser egli il primo operaio degli spedali, e de’trovatelli. Conviene perciò che se ne prenda una cura speciale, come pure si opponga alla trascuraggine de’medici e chirurghi delle Comunità; e se mai queste pel favore di alcuni ricchi confermassero il medico già trascurato, e col partito di altri si escludesse il più attento, e caritatevole, ne prevenga il Governo. Similmente sopra le monache e sopra i frati abbiano gli sguardi, onde tanto pe’vestimenti che per le professioni si attendano gli ordini veglianti.

Abbiano in considerazione i Gusdicenti insieme co’superiori ecclesiastici l’eccesso delle feste straordinarie troppo frequenti nelle campagne, e ne pesino le conseguenze. Limitino le questue, sedino i fussurri nelle confraternite, e veglino alle suole pubbliche. Siano attenti che i fussidi di doti, e d’altre carità, che si danno da’luoghi pii, e da confraternite, siano dispensati alla vera povertà; ed in caso di straordinarie disgrazie procurino a’veri poveri elemosine da’conventi, monasteri, da’luoghi pii, e da’particolari. Infine sia loro a cuore che gli edifici pubblici si mantengano in buono stato.

È necessario che i Vicari s’interessino in tutto quel che riguarda le potesterìe de’loro Vicariati, furochè nelle cause civili portate a‘tribunali de’Potestà. Debbon loro comunicare le parti di questa Istruzione che gli riguarda, chiamarli a se, am-monirli se bisognì, ogni sei mesi darne un minuto conto a S.A.R., visitare ogni anno, oppure ogni due le potesterìe a lor soggette in occasioni di feste, o di fiere, e tutte le volte che un bisogno pressante lo voglia, come tumulti, violenze pubbliche, resistenza ec. con punire subito, se il caso lo richieda.

I Vicari visitino ogni anno i confini, se le loro giurisdizioni sono confinanti con esteri stati. Se occorra per affari di pubblico servizio, tengano corrispondenza co’Vicari dello stato, e con gli esteri confinati direttamente, senza impegnarsi in alcun fatto. Esigano inoltre da’Potestà i rapporti settimanali, e gli trasmettano co’propri all’Auditor fiscale. Siano fatti a tenore di queste Istruzioni, e non sopra cose di niun momento.

Ogni triennio, che è il fine del loro governo, scrivano le osservazioni da lor fatte sulla popolazione, sull’indole, sul commercio del paese da loro governato, sullo stato de’fossi, canali, strade, laghi, paduli, e vi aggiungano quel che anno pensato pel vantaggio maggiore di tal paese.

La lettera sopra il Lusso è ordinata a reprimerne l’eccesso, non già in aria di legge, ma di persuasione. Il motivo di essa è stato il vedere esser prevenuto ad un segno che offende i buoni, dispera i malvagi, ed insulta la miseria pubblica. Questo lusso scandaloso si osserva spezialmente nelle donne, le quali si distinguono in tre classi. Nella prima son quelle che per ricchezze proprie, per condizione, e per compiacenza de’mariti, dissipano gran denaro in vanità. Nella seconda quelle che sebbene eguali di condizione, ma non di sostanze, pensano di dover fare quel che fanno le prime. Nella terza quelle che sebbene inferiori in tutto, tentano di fare ogni sforzo per eguagliare l’une, e l’altre.

Se ne rilevano le conseguenze, e sono scarsità di maritaggi, mancanza di educazione, di doti, provisioni insufficienti negl’impiegati, bisogni sempre maggiori, indolenza, rovina dell’agricoltura, del commercio, del costume. E se in alcune un lusso eccesivo sarebbe un follìa la più dispregevole, in tutte l’altre si fa un vero delitto, perchè bisogna che vi suppliscano coll’altrui, e con quel che si dee a’bisogni della famiglia.

In vista di ciò bramano le Loro Altezze Reali che la riforma cominci da’Nobili. Assicurano che la lor comparsa alla Corte sarà assai più grata in abiti puri, ed anco neri, con semplicità, lungi gli ornamenti caricati e teatrali. Aggiungono che non sapranno valutar mai la Nobiltà dal più ricco vestito, ma dall’onore, e dal buon uso delle sostanze. Il Sovrano poi nel formarsi il carattere di ognuno gli metterà in conto la modestia, e il lusso di se, e della famiglia, come forti motivi per dedurne il maggiore o minor senno nella condotta, e sopra di esso saprà regolarsi nel distribuire le sue beneficenze, e gl’impieghi.

Il nuovo Libro della Tariffa delle Gabelle toscane è un lavoro che mostra gran cognizioni, gran fatica, ed assicura de’vantaggi, nemmen per ombra sognati, non che goduti da’passati. La Prefazione, di finissima intelligenza, è la storia di qualche furono le gabelle in Toscana, e di quel che saranno in avvenire. È giusto che gli uomini paghino allo stato alcuna parte de’loro averi per la sicurezza, e pe’comodi che ne anno. Si aggiunga pe’mezzi che loro somministra per fare acquisti di qualunque specie. È giusto del pari che coloro che più posseggono, e godono il più, paghino anche maggiormente, e che quelli che poco o nulla posseggono, e che più fanno uso delle loro braccia, paghino anche il meno. È giusto in ultimo che paghino un sol tributo e questo indirizzato unicamente al fine già detto, e non altro.

Questi sono i principj che ha avuto in mira il savio Legislatore, e che anno guidata la mano de’periti calcolatori. Si è dunque voluto ridurre a semplicità, e chiarezza una materia trovata ormai nell’ultima confusione. I tempi, le vicende de’tempi, l’ignoranza, le passioni, l’arbitrio, ed anche la rapacità avean fatto delle gabelle un vero mostro. Rammentiamo di passaggio che la Comunità di S. Sepolcro avea imposta una rigorosa gabella di due scudi d’oro per ogni cadavere umani sì per introduzione, e per estrazione, che per transito; ed il più bello si è che i cadaveri degli abitanti della città, o distretto di S. Sepolcro, erano esenti da questo nero tributo. Ora si è cambiato un mostro sì fatto, ed ha preso una figura regolare. Simplex et unum. Chi avrebbe mai stimato un mezzo secolo fa che questo precetto di Orazio dovesse star bene ad un tariffa i gabelle? Ciò fa vedere che i solenni principj son pochi, che questi possono star bene ad oggetti infiniti, e che sono secondissimi d’ottimi effetti Ciò mostra similmente che dove non accora una Filosofia profonda, e circospetta, tutto è perduto.

Ora pertanto non sarà in tutto il Granducato di Toscana se non una gabella unica d’introduzione, unica d’estrazione, unica di transito. Questa si pagherà in un luogo solo o al Confine, o alle Dogane principali interne, come più tornerà in acconcio. Da ciò verranno due grandissimi cambiamenti nel sistema delle Dogane; il primo della Riduzione del gran numero delle gabelle; il secondo nella somma di esse. Per sì fatti cambiamenti, non vi ha dubbio che tutto sarà più chiaro, più facile, e del minore aggravio possibile, e che l’industria del comune riceverà un urto novello, onde saranno più libere, e più spedite le azioni del commercio.

Del resto è uno spettacolo ben tristo, sebbene istruttivo per un Filosofo, il vedere l’aspetto de’tempi nelle amministrazioni della pubblica economia. In Toscana, oltre le gabelle generali che si pagavano alle Dogane per conto del regio erario, vi eran pure altre tasse e diritti da pagarsi ad esse. Di più oltre le gabelle, vi erano altre tasse e diritti da pagarsi a favore di qualche Uffizio pubblico. Infine non mancavano alte gabelle che appartenevano ad alcune Comunità. Se poi a tutto ciò si aggiungano altri diritti di esattori, e la facilità delle vessazioni, si comprenderà quali aggravi anno sofferto i Toscani in ogni tempo, e da cui sono stati liberati dal presente Sovrano benefattore. Egli ha dovuto cominciare a buon ora a togliere gli ostacoli all’industria. Sono perciò numerosi gli editti, con cui andava sopprimendo, o diminuendo molto dazi, e diritti. Queste operazioni erano i primi passi per la grande Opera ordinata; e queste serviranno in ogni età a fare la pittura in quale stato era la nostra pubblica economia.

Per ultimo sarà anche dolce spettacolo per un Filosofo l’osservare in questa Tariffa in gran numero delle materie prime, quel che ha saputo farne l’arte ne’tempi andati, quel che vi anno aggiunto i moderni, tutte quelle che servono a’nostri bisogni, a’nostri comodi, al nostro lusso eccessivo, paragonato con quello di pochi secoli sono, con quello delle piccole nazioni, e coll’altro delle più grandi che fecero tanta fortuna nel mondo. Eccovi a che può condurre uno sguardo attento e sagace sul nuovo libro, oltre i vantaggi, a cui è diretto.

Queste tre Opere rammentate sul principio di questo Saggio sono state ricevute con vera lode, ed anno fatto conoscere sempre più qual posto occuperà il regnante Granduca fra i Sovrani, quando ne dovrà giudicare la posterità severa, ma giusta. Il voto de’viventi non ha dubbio che sarà confermato dagli uomini avvenire. Facciamo intanto preghiere al cielo che abbia vita la più lunga per terminare il grande Edificio cominciato, e per vedere fino a qual punto può farsi un popolo felice. L’età sua sarà la parte più luminosa della storia toscana, e la più difficile a trattarsi per le tante cognizioni che già richiede, e per quelle anche maggiori che richiederà quando il Codice sarà compito. Sicchè sarà il periodo il più bello, ed il più utile insieme, perchè non saranno gli annali del sangue, e del timore, ma la libertà, della clemenza, della giustizia, e della felicità pubblica.

Saggio XVI. 1783 Saggio XVI. Idea di alcuni scritti pubblicati dal Governo toscano~i. La Toscana vanta il più saggio governo che possa idearsi. La morale del suo Legislatore è fondata su questi principj, conservazione, sicurezza, o libertà. Persuaso di essi, come quelli che la natura insegna, e la ragione fortifica, ad altro non pensa che a ordinare quelle operazioni, onde se ne veggano gli effetti. Niuno avrebbe stimato che tante se ne potessero fare, quante veramente ne sono state fatte fin quì. Egli non è arrestato da antichi errori, o da pregiudizi moderni. L’antichità è veneranda presso di Lui, quando non affronta i diritti dell’uomo, quando insegna e rischiara, quando ha in veduta il maggior bene degli uomini o sian buoni o malvagi; e stima la presente età quando esamina sempre, e distingue la natura delle cose, quando si oppone alla servitù, e favorendo l’ordine, cerca di dar dell’uomo un essere il meno infelice che può. Del resto ha tutto il coraggio di disfare, tutta la fermezza in rifare, tutta la sapienza in far meglio. I maggiori ostacoli raddoppiano il suo vigore, e la sua sofferenza in superarli. Superati che sono gode del bene che ne verrà a’suoi popoli, e perciò della maggiore unione fra loro, della maggior passione per esso. Egli è il solo che dell’antico governo toscano abbia cominciato un nuovo edificio; anzi è tanto nuovo che appena vi restan orme dell’antico. Un fagiano e una trota non fanno più uccidere un uomo; ognuno è padron del suo; ed il Galileo vecchio, ed infermo non si citerebbe più a Roma. Noi appoggieremo quel che abbiam detto sulla storia di tre scritti che il nostro Regnante ha fatti pubblicare in quest’anni 1781. Mostreranno il suo intelletto, le sue cognizioni, il suo cuore, e con esso la sua vigilanza. Oltre di che in faccia de‘viventi sarebbe stupidità o il non dire il vero, o l’alterarlo. Si crede in generale che i principi abbiano la disgrazia di non sentirlo. Il nostro sa quello che importa, ed il resto o trascura, o non sente. Ma per dir tutto, egli è unicamente occupato della felicità de’suoi sudditi, dalla quale non si stacca che per sollevarsi alquanto coll’innocente trattenimento della sua real famiglia. Questo solo lo mette accanto a’migliori principi dell’antichità; e se è necessario di essere alcuna cosa di più degli altri uomini per saperli ben governare, egli mostra di avvicinarsi ad un tale stato, non per quel che può pensare di grande e di giusto, ma per quel che ha operato finora. Gli scritti che ora ha voluto pubblici sono, Istruzione a’Giusdicenti del Granducato di Toscana~i; Lettera riguardante il Lusso~i; Tariffa delle Gabelle toscane~i. Ella è una verità di fatto che ogni Legislatore debba comunicare una parte del suo potere. Senza di ciò non può darsi alcun governo. Ma il più difficile si è di saper conoscere gli uomini che posson servire a’suoi disegni. Dunque perchè sia un pensare stesso in tutti i ministri destinati al reggimento degli altri, il Sovrano della Toscana ha voluto dar loro un’Istruzione. Ella ha due oggetti principali, d’insegnare come debbono regger se stessi tanto come privati che come uomini pubblici. E perchè sono anche due le forte di giudizi, a cui debbono presedere, l’una civile, criminale l’altra, così ha dato loro su di tutto speciali insegnamenti. Noi ci siam fatta propria tutta questa dottrina colle replicate letture, e però daremo il fiore delle idee che compongono sì questo che gli altri due scritti. Vuol dunque l’A.S.R. che i Giusdicenti non ambiscano a maggiori distinzioni; che la lor vita privata, e quella delle lor famiglie sia del miglior esempio, modesta, frugale, senza lusso, e senz’aderenze. Non vuole avidità, non vuol doni. Il loro esempio servirà a tenere in freno i loro sottoposti, e massime i Notari del loro tribunale. Di più, si asterranno da qualunque modo o tuono imperioso, o maniere sprezzanti per il paese, e per tutti quelli che credono loro inferiori, ricordandosi sempre che essi sono destinati per servire il Pubblico, per ascoltare, consolare, e soccorrere in specie i Poveri in qualunque ora e tempo, assistendoli, e dirigendoli con carità e pazienza. Nelle cause civili debbono i Giusdicenti, o i Vicari aver sempre in mura l’accordo, o siano poco importanti, o assai, sian mosse da qualunque puntiglio, o ragione; impedirle tra’consanguinei ed affini; vedere che si facciano funzioni inutili con danno delle parti, e siano rindennizzate se mai ne furon fatte. I pupilli ed i poveri siano assistiti. I primi non siano disastrati, i secondi non abusino del privilegio. Si tolga affatto se sono per abusarne, si aumenti, se le loro dimande lo richiedano. Se occorrono esecuzioni, nelle reali si rispetti la necessità, nelle personali la libertà. Non si ammettano se non per debiti maggiori di lire trenta, e dopo di aver tentato inutilmente le reali. Ma sì nelle une che nelle altre i Giusdicenti interpongano i loro buoni ufficii, e se si avvenissero in creditori duri ed ostinati a volere in carcere un povero debitore, ne dian parte al Governo. Nelle cause criminali non permettano l’arresto di alcun cittadino senza prove antecedenti, ed in ca-si gravi ove l’indugio sarebbe nocivo. La neghino per semplici trasgressioni a leggi di caccie, boschi, e per semplice contrabbando. Si scarceri il reo il più presto che è permesso, se vi sia luogo con mallevadore ec. Se poi per la debolezza delle prove preveggano non potersi venire ad una condanna formale, e l’arbitraria possa esser leggiera, ne propongano la scarcerazione prima che sia spedita la causa. In quanto a‘testimoni, non siano carcerati senza un giusto motivo, nè sian ritenuti se non quanto importi la stretta necessità della causa. Ne’processi che si vanno formando, non si ammettano nuove ed inutili istanze. Si ammettano quelle che potessero eludere ed alleggerire la pretesa verità, come il contrario. E abbiano per massima i giusdicenti non essere impegno del tribunale il trovare ree le persone imputate, ma la nuda verità. In conseguenza debbon frenare l’animosità degli accusati, de’testimoni, degli esecutori, quando apparisca, ed essere attenti su di ciò. Infine, trattandosi di persone imputate ed in carcere, stiano in giorno degli Atti; ad essi appartiene il dirigerli, e rettificarli. Conviene che i Vicari siano sempre desti sulla condotta de’ Capi esecutori, e de‘subalterni sì riguardo al puro loro impiego che al pubblico. Nel primo caso si guardi che siano attenti, e vigilanti a tutte l’ore, a tutti i tempi, e non ne abusino mai. Nel secondo che non prendano roba, dena-ro sotto qualunque titolo, nè lo mettano a contribuzione per le cose di prima necessità. Se si saranno rei di alcun delitto, siano, secondo la natura di esso, sospesi, carcerati, processati, e costretti a rendere il mal tolto. Veglino egualmente che i Capi esecutori non facciano quel lusso che non posson fare, che non mangino su i loro sottoposti, e gli uni e altri in generale sul paese. Nelle cause miste, o sia nelle cause di danno dato, avvertano agli ordini veglianti. Non ti voglion cause dirette solo ad empire le cassette. Si pensi subito alle vie di accomodamento ove si tratti di leggiero delitto con piccolo danno di alcuno, senz’aspettare una sentenza formale. Le carceri, che sono una semplice custodia del debitore e del reo, siano sicure, sane, ventilate, comode e pulite. Debbono visitarsi ogni settimana. Carità nelle occorrenze, assistenza nelle malattie. Nè manchi per tutto a’rei un difensore. I delitti si debbon anche prevenire. Si guardino dunque i forestieri oziosi, vagabondi, ed incogniti. Non si soffrano ciarlatani, giramondi, e simili. I luoghi pubblici come osterie, teatri, caffè siano per comodo e sollievo, non per alimento del vizio. In essi, giuochi di carte, e dadi siano vietati, come i permessi nelle case non si rendano viziosi. Oltre di che si avverta ogni paese se vi siano prepotenti, scostumati, seminatori di scandali; si riprendano, e se ne dia avviso, come pure sian puniti quelli che tenessero di mano a’figli di famiglia per rovinarli, alle truffe, e alla compra di robe rubate. Non si perda di vista l’educazione de’giovani, e delle fanciulle; e se alcuno, a cui spetta d’invigilare, dia qualche avviso, si ascolti, e si faccia quel che conviene il più. Il pronto riparo a’piccoli inconvenienti previene i grandi. In ultimo se alcuna ragazza cada in errore, si prendano su di ciò le debite misure. Vegli il Giusdicente, che se mai gli Ecclesiastici si facessero rei di alcun delitto comune, ne segua in esso la delegazione, nè la pretenda di necessità per sola contravvenzione alla disciplina ecclesiastica. L’accetti se gli sia offerta, e ne rimetta gli atti ed il voto a‘superiori ecclesiastici, senza darne parte. Se si tratti di trasgressioni alle leggi particolari dello stato, senza esigere questa delegazione, le verifichi sommariamente, e ne dia avviso al Governo. Se poi i superiori ecclesiastici fanno qualche atto per mettere in chiaro alcun delitto, sia persuaso ogni Vicario che non contravvengono agli ordini della delegazione, e ciò per cautela di non infamare un prete, che sarà forse innocente. Alcun atto si permette ancora nelle cause che non possono terminare che in una correzione. S’invigili sul costume degli ecclesiastici, e massime su parochi della compagna, i quali posson fare gran male, se trasandano i lor doveri. In ogni caso ne siano avvisati i Vescovi ed il Governo. Non s’ingeriscano i Giusdicenti negli affari delle Comunità. Intervenendo alle loro adunanze, siano imparziali, e mostrino in ogni altra occasione il loro vero interesse, fuori d’ogni partito. Siano discreti quando chiedono risarcimenti, o mobilia; e sappiano che i Cancellieri di esse Comunità non sono loro dipendenti, ma debbono insieme andare uniti pel maggior bene del pubblico. Conviene però che ogni Vicario sia attento a vedere se sono disinteressati e senza intrighi; e quando tali non siano, debbono avvisarne i respettivi superiori. Per ciò che spetta all’Annona, il sistema di libertà è stabilito. Si oppongano i Giusdicenti a tutto quel che potesse alterarlo. Riguardo alla Sanità, veglino sulle malattie epidemiche degli uomini, e degli animali; nè la morte improvvisa di una bestia serva per dichiararla epidemia. Mirino pure che i Grascieri riveggano i pesi, e le misure, nè lascino vendere cose nocive alla salute. Per le materie che possono offenderla, come di stalle in luoghi murati, scoli, macerazioni, acque morte, richieda il Giusdicente che i Comunisti propongano quel che più conviene alle loro circostanze locali, non potendosi fare su di ciò reregolarmenti in genere. Guardi che siano eseguiti ancora gli ordini veglianti riguardo a’cadaveri ed alle sepolture; e se mai si dà alcun disordìne, sia pronto il rimedio. Persuada a fabbricare cemeteri a sterro piuttosto che nuove sepolture. Ogni Vicario o Giusdicente abbia ferma opinione esser egli il primo operaio degli spedali, e de’trovatelli. Conviene perciò che se ne prenda una cura speciale, come pure si opponga alla trascuraggine de’medici e chirurghi delle Comunità; e se mai queste pel favore di alcuni ricchi confermassero il medico già trascurato, e col partito di altri si escludesse il più attento, e caritatevole, ne prevenga il Governo. Similmente sopra le monache e sopra i frati abbiano gli sguardi, onde tanto pe’vestimenti che per le professioni si attendano gli ordini veglianti. Abbiano in considerazione i Gusdicenti insieme co’superiori ecclesiastici l’eccesso delle feste straordinarie troppo frequenti nelle campagne, e ne pesino le conseguenze. Limitino le questue, sedino i fussurri nelle confraternite, e veglino alle suole pubbliche. Siano attenti che i fussidi di doti, e d’altre carità, che si danno da’luoghi pii, e da confraternite, siano dispensati alla vera povertà; ed in caso di straordinarie disgrazie procurino a’veri poveri elemosine da’conventi, monasteri, da’luoghi pii, e da’particolari. Infine sia loro a cuore che gli edifici pubblici si mantengano in buono stato. È necessario che i Vicari s’interessino in tutto quel che riguarda le potesterìe de’loro Vicariati, furochè nelle cause civili portate a‘tribunali de’Potestà. Debbon loro comunicare le parti di questa Istruzione che gli riguarda, chiamarli a se, am-monirli se bisognì, ogni sei mesi darne un minuto conto a S.A.R., visitare ogni anno, oppure ogni due le potesterìe a lor soggette in occasioni di feste, o di fiere, e tutte le volte che un bisogno pressante lo voglia, come tumulti, violenze pubbliche, resistenza ec. con punire subito, se il caso lo richieda. I Vicari visitino ogni anno i confini, se le loro giurisdizioni sono confinanti con esteri stati. Se occorra per affari di pubblico servizio, tengano corrispondenza co’Vicari dello stato, e con gli esteri confinati direttamente, senza impegnarsi in alcun fatto. Esigano inoltre da’Potestà i rapporti settimanali, e gli trasmettano co’propri all’Auditor fiscale. Siano fatti a tenore di queste Istruzioni, e non sopra cose di niun momento. Ogni triennio, che è il fine del loro governo, scrivano le osservazioni da lor fatte sulla popolazione, sull’indole, sul commercio del paese da loro governato, sullo stato de’fossi, canali, strade, laghi, paduli, e vi aggiungano quel che anno pensato pel vantaggio maggiore di tal paese. La lettera sopra il Lusso è ordinata a reprimerne l’eccesso, non già in aria di legge, ma di persuasione. Il motivo di essa è stato il vedere esser prevenuto ad un segno che offende i buoni, dispera i malvagi, ed insulta la miseria pubblica. Questo lusso scandaloso si osserva spezialmente nelle donne, le quali si distinguono in tre classi. Nella prima son quelle che per ricchezze proprie, per condizione, e per compiacenza de’mariti, dissipano gran denaro in vanità. Nella seconda quelle che sebbene eguali di condizione, ma non di sostanze, pensano di dover fare quel che fanno le prime. Nella terza quelle che sebbene inferiori in tutto, tentano di fare ogni sforzo per eguagliare l’une, e l’altre. Se ne rilevano le conseguenze, e sono scarsità di maritaggi, mancanza di educazione, di doti, provisioni insufficienti negl’impiegati, bisogni sempre maggiori, indolenza, rovina dell’agricoltura, del commercio, del costume. E se in alcune un lusso eccesivo sarebbe un follìa la più dispregevole, in tutte l’altre si fa un vero delitto, perchè bisogna che vi suppliscano coll’altrui, e con quel che si dee a’bisogni della famiglia. In vista di ciò bramano le Loro Altezze Reali che la riforma cominci da’Nobili. Assicurano che la lor comparsa alla Corte sarà assai più grata in abiti puri, ed anco neri, con semplicità, lungi gli ornamenti caricati e teatrali. Aggiungono che non sapranno valutar mai la Nobiltà dal più ricco vestito, ma dall’onore, e dal buon uso delle sostanze. Il Sovrano poi nel formarsi il carattere di ognuno gli metterà in conto la modestia, e il lusso di se, e della famiglia, come forti motivi per dedurne il maggiore o minor senno nella condotta, e sopra di esso saprà regolarsi nel distribuire le sue beneficenze, e gl’impieghi. Il nuovo Libro della Tariffa delle Gabelle toscane~i è un lavoro che mostra gran cognizioni, gran fatica, ed assicura de’vantaggi, nemmen per ombra sognati, non che goduti da’passati. La Prefazione, di finissima intelligenza, è la storia di qualche furono le gabelle in Toscana, e di quel che saranno in avvenire. È giusto che gli uomini paghino allo stato alcuna parte de’loro averi per la sicurezza, e pe’comodi che ne anno. Si aggiunga pe’mezzi che loro somministra per fare acquisti di qualunque specie. È giusto del pari che coloro che più posseggono, e godono il più, paghino anche maggiormente, e che quelli che poco o nulla posseggono, e che più fanno uso delle loro braccia, paghino anche il meno. È giusto in ultimo che paghino un sol tributo e questo indirizzato unicamente al fine già detto, e non altro. Questi sono i principj che ha avuto in mira il savio Legislatore, e che anno guidata la mano de’periti calcolatori. Si è dunque voluto ridurre a semplicità, e chiarezza una materia trovata ormai nell’ultima confusione. I tempi, le vicende de’tempi, l’ignoranza, le passioni, l’arbitrio, ed anche la rapacità avean fatto delle gabelle un vero mostro. Rammentiamo di passaggio che la Comunità di S. Sepolcro~i avea imposta una rigorosa gabella di due scudi d’oro per ogni cadavere umani sì per introduzione, e per estrazione, che per transito; ed il più bello si è che i cadaveri degli abitanti della città, o distretto di S. Sepolcro~i, erano esenti da questo nero tributo. Ora si è cambiato un mostro sì fatto, ed ha preso una figura regolare. Simplex et unum. Chi avrebbe mai stimato un mezzo secolo fa che questo precetto di Orazio~i dovesse star bene ad un tariffa i gabelle? Ciò fa vedere che i solenni principj son pochi, che questi possono star bene ad oggetti infiniti, e che sono secondissimi d’ottimi effetti Ciò mostra similmente che dove non accora una Filosofia profonda, e circospetta, tutto è perduto. Ora pertanto non sarà in tutto il Granducato di Toscana se non una gabella unica d’introduzione, unica d’estrazione, unica di transito. Questa si pagherà in un luogo solo o al Confine, o alle Dogane principali interne, come più tornerà in acconcio. Da ciò verranno due grandissimi cambiamenti nel sistema delle Dogane; il primo della Riduzione del gran numero delle gabelle; il secondo nella somma di esse. Per sì fatti cambiamenti, non vi ha dubbio che tutto sarà più chiaro, più facile, e del minore aggravio possibile, e che l’industria del comune riceverà un urto novello, onde saranno più libere, e più spedite le azioni del commercio. Del resto è uno spettacolo ben tristo, sebbene istruttivo per un Filosofo, il vedere l’aspetto de’tempi nelle amministrazioni della pubblica economia. In Toscana, oltre le gabelle generali che si pagavano alle Dogane per conto del regio erario, vi eran pure altre tasse e diritti da pagarsi ad esse. Di più oltre le gabelle, vi erano altre tasse e diritti da pagarsi a favore di qualche Uffizio pubblico. Infine non mancavano alte gabelle che appartenevano ad alcune Comunità. Se poi a tutto ciò si aggiungano altri diritti di esattori, e la facilità delle vessazioni, si comprenderà quali aggravi anno sofferto i Toscani in ogni tempo, e da cui sono stati liberati dal presente Sovrano benefattore. Egli ha dovuto cominciare a buon ora a togliere gli ostacoli all’industria. Sono perciò numerosi gli editti, con cui andava sopprimendo, o diminuendo molto dazi, e diritti. Queste operazioni erano i primi passi per la grande Opera ordinata; e queste serviranno in ogni età a fare la pittura in quale stato era la nostra pubblica economia. Per ultimo sarà anche dolce spettacolo per un Filosofo l’osservare in questa Tariffa in gran numero delle materie prime, quel che ha saputo farne l’arte ne’tempi andati, quel che vi anno aggiunto i moderni, tutte quelle che servono a’nostri bisogni, a’nostri comodi, al nostro lusso eccessivo, paragonato con quello di pochi secoli sono, con quello delle piccole nazioni, e coll’altro delle più grandi che fecero tanta fortuna nel mondo. Eccovi a che può condurre uno sguardo attento e sagace sul nuovo libro, oltre i vantaggi, a cui è diretto. Queste tre Opere rammentate sul principio di questo Saggio sono state ricevute con vera lode, ed anno fatto conoscere sempre più qual posto occuperà il regnante Granduca fra i Sovrani, quando ne dovrà giudicare la posterità severa, ma giusta. Il voto de’viventi non ha dubbio che sarà confermato dagli uomini avvenire. Facciamo intanto preghiere al cielo che abbia vita la più lunga per terminare il grande Edificio cominciato, e per vedere fino a qual punto può farsi un popolo felice. L’età sua sarà la parte più luminosa della storia toscana, e la più difficile a trattarsi per le tante cognizioni che già richiede, e per quelle anche maggiori che richiederà quando il Codice sarà compito. Sicchè sarà il periodo il più bello, ed il più utile insieme, perchè non saranno gli annali del sangue, e del timore, ma la libertà, della clemenza, della giustizia, e della felicità pubblica.