Num. 21 Francesco Grassi Moralische Wochenschriften Alexandra Fuchs Editor Bernhard Baumann Editor Angelika Hallegger Editor Institut für Romanistik, Universität Graz 15.12.2016 o:mws.5497 Grassi, Francesco: Lo Spettatore italiano-piemontese. Torino: Giammichele Briolo 1786-1787, 160-174 Spettatore piemontese 1 21 1786 Italien Ebene 1 Ebene 2 Ebene 3 Ebene 4 Ebene 5 Ebene 6 Allgemeine Erzählung Selbstportrait Fremdportrait Dialog Allegorisches Erzählen Traumerzählung Fabelerzählung Satirisches Erzählen Exemplarisches Erzählen Utopische Erzählung Metatextualität Zitat/Motto Leserbrief Graz, Austria Italian Andere Länder Altri Paesi Other Countries Otros Países Autres Pays Italy 12.83333,42.83333

N.o 21.

In medio Ramos, annosaque Brachia tenditUlmus opaca, ingens: quam sedem somnia vulgo.Vana tenere ferunt; foliisque sub omnibus haerent.

2. Ottobre 1786.

La Traduzione d’un Fragmento di Greco MS. capitatomi a caso tra le mani somministrerà il Trattenimento al presente Foglio. A confessare schiettamente la Verità, la non troppo buona Opinione del Contenuto nel MS. medesimo fecemi sempre differire ad esporlo agli Occhi del Pubblico; e se risolvetti altrimenti poscia, fu solo sul Riflesso, che potrebbe altri aver la Chiave ad interpretar Dottrina, che fosse oscura all’Intelligenza mia. Checchè siane per essere, lasciando altrui l’intero Giudizio della Cosa stessa, contenterommi io della Lode d’averla traslata in Lingua a tutti intelligibile. Voglio tuttavia non defraudare me stesso della Gloria (siami lecito di dire il Vero) d’aver congetturato, che, contenendosi in esso MS. Citazioni di Versi Virgiliani, potesse l’Autore essere a Virgilio posteriore. Della quale mia importante Sco-perta non ho luogo a dubitare che non sia il Pubblico per sapermene buon grado. – Fossi stato ugualmente felice nel riempire le Lacune, che sonovi disperse! Ma ciò che ne porta via il Tempo, Ingegno ristora difficilmente: irrimediabile Verità ch’è cagione, che dobbiam contentarci di questo Fragmento (così com’è) senza Titolo, e senza Conclusione; cioè, come si suol dire, senza Capo, e senza Coda. Facciane dunque il mio Lettore l’uso che può, o sa. Tutta l’agevolezza, che può dare alla sua Perspicacia la Diligenza mia, sarà soltanto di notare con Asterischi la Distanza almeno di quelle Parole, che sull’Originale non mi fu possibile di ricuperare dal Dente distruggitore del Tempo vorace. – D’una cosa sola restami di far avvertito il mio Lettore: ed è, che, trovando egli in questo Sbozzo Versi Italiani misurati col Metro delle due Lingue Famose, Greca, e Latina, nel disaminare questo Saggio di novella Prosodia, che la Lingua nostra, Emula di quelle, acquistar potrebbe, voglia sospendere il suo Giudizio fintanto almeno, che, prendendo io a trattare questo non indifferente Soggetto in un intiero Foglio, gli avrò con chiarezza sviluppata tutta l’Idea del novo Sistema.

Zelante di tuo Addisciplinamento . . . . . . . . . . accinto a raccontarti, laborioso Filomato, misteriosa Visione . . . . . . . . . . . . . . Tempio era detto di Fantasia. – Nel circolare spazioso Edifizio moltiplice Ingresso spalancavasi per cinque sboccanti Porte: ed i Fantasmi, che dentro affollavansi simboleggiati ognuno da quel Senso, che introducevali, concorrevano in cinquepartita Schiera (quasi quintuplici Elementi) a combinarsi in infiniti Sciami di vario-alati Composti. – Presiedeva alla feconda Nascita della fantastica Turba entusiastica Dea d’Abito assai bizzarra, appellata Immaginazione: la quale maestosamente in quel Tempio sopra Trono assisa (che epilogava nella sua struttura tutte le Combinazioni d’ogni corporea Sostanza, o Forma, o Figura, o Colore, o Sito, e d’ogn’altra Qualità siasi) indi ascoltava le Preci, ed esaudiva i Voti di que’, che entravano nel mistico Luogo, supplici Adoratori, ministra insieme di Verità, e d’Errore, di Gloria, e d’Infamia, di Piacere, e di Tristezza; e non di rado ancora perfino di Vita, e di Morte . . . . . . . . . . . . attendente a’suoi Cenni la prestigiatrice Illusione. La Verga, onde l’Alme inebria, temprata venne all’Acque del Fiume Lete. Ogni Uom che nasce, condanna acerba Sorte a portar impresso nella Natura sua il vertiginoso Effetto del sovraccennato fatal Tocco: e nella Selva della Vita qualunque siasi il Diverticolo, ov’altri travia (supponi d’Ambizione, d’Amore, di Voluttuosità, d’Avarizia, di Vanagloria, di Saccenteria) costretti indi sono gl’illudenti Spettri a saltellargli perpetuamente davanti gli affascinati occhi . . . . Ciechi sventurati! cui le allettanti Specie (quasi ingannevol Esca) attraggono inavvedutamente nelle tese Reti dell’Ungui-graffiante Penitenza: la quale con torvo inflessibile Aspetto altri agli aspri Rimorsi condanna, altri alle voraci Malattie, altri a tormentosa Vecchiezza, altri all’Infamia, Miseria, Avvilimento; alcuni eziandio ai Ceppi, ed alle Pene famose! – Figli pure, e Ministri d’Immaginazione solleciti zelavano nel fantastico Tempio i due Fratelli (di Madre, non di Padre) il buono, ed il rio Entusiasmo. Questo dall’Error generato, gemello di Superstizione, e freneticante della Paterna Ebbrezza, squarciò d’empie piaghe il puro Seno del verace Culto; e sopra contaminati Altari sacrificò (o Empietà nefanda!) umane Vittime agli Dei avversi! Ma Figlio del nobile Zelo il buono Entusiasmo accende alla Gloria gli Eroi: dalla cui animatrice Aura ispirati poggiano altri da un lato (calpestati gli Ostacoli) sopra l’erto Giogo, dove sotto il Drappello dell’irraggiante Religione la guardinga Prudenza, e la nobile Fortezza, e la candida Giustizia, e l’amabile Temperanza scintillano in brillante Coro: ove pure il casto Amore, l’accesa Amicizia, il magnanimo Patriotismo, e la Fede, l’Affabilità, la Beneficenza con tutta la gentile Schiera sociale intrecciano dolci Carole all’Armonia celeste. – Dall’altro lato non meno lieti per i vani Intoppi di faticosa via scorge l’animatore Genio i suoi Seguaci alla Longe-rifulgente Magione delle Aonie Dive: ove tra gli ombrosi Laureti rassembransi a mano a mano incoronate l’estatica Poesia, l’appassionata Musica, e la melliflua Eloquenza dall’Istoria accompagnata: ove con la contemplativa Astronomia, e tutte le Calcolatrici Sorelle si accerchiano bene accolte le nobili Mecaniche, Pittura, Scoltura, ed Architettura: e dove in somma risplendono sopra la cospicua Eminenza le Scienze, e l’Arti tutte . . . . . . può solo, o mio caro Filomato, render vano l’Incanto della sopradetta ammaliante Illusione, seguendolo indivisibile Scorta con generoso Ardore pel duplice Sentiero di Gloria! . . . . Più pareami d’innoltrarmi in quel maraviglioso Tempio, più attraeva l’Attenzione mia sempre nuovo Stupore! Vidi riflettersi in quelle espressive Pareti tutto l’Universo visibile: ma per la varia disposizione della lucida Superficie il Raggio degli Oggetti, secondochè variamente o rifranto, o riflesso, o disgregato, o composto, o diretto, o deviato, pingeva le Immagini sul fondo cangiante di quel Fantastico Edifizio or ampliate, ora scorcie, or rivolte, ora inverse, ora compresse, ora allungate: ed in ogni guisa alterate di modo che poca, o niuna Rassomiglianza ripresentassero dell’Originale Archetipo. Onde le rimanenti Vestigia vi notai ancora e degli Atomi divergenti, e delle attenuate volanti Superficie, e dell’Idee per se esistenti, e della Materia Prima, Forma, e Privazione, e della sopraelementare Quintessenza celeste; ed osservai rovesciati a gran Mucchi gli omai cancellati Fantasmi delle Simpatie, od Antipatie, e Qualità occulte d’una Filosofia mistica con tutti gli Astrologici Apparati, ed Alchimici Svaporamenti. Notaivi ancora con più recente impronto (l’avveduto Lettore crederà meco Insertizio il presente Passo) e Monadi, ed Armonie prestabilite, e vertiginosi Vortici, ed organiche Molecole con (io non so se debba parlarne) appena lasciate Traccie di non so quale Magnetismo. – E credesi in quel fantastico Teatro (con tali o d’Idee vuoti Vocaboli; o significanti non intelligibili Concetti) potersi spiegare le maravigliose Bellezze di questo magnifico Mondiale Apparato! – lo stellifero Azzurro della Notte! – l’aureo Solar Raggio del Giorno riflettentesi con tanta Diversificazione di Luce sopra il ceruleo Lembo de’Fiumi, Laghi, e Mari! – le verdeggianti Pianure, fioriti Colli, e selvose Montagne! – le Scene pompose delle varianti Stagioni! – Il Decoro, la Diversità, il Numero delle vario-pinte vegetanti Famiglie! – la feconda Materia degli Elementi bulicante di sì moltiplice Vita! – l’Uomo! . . . . . . . . . . Rappresentava da un lato la Simbolico-Fantastica Piramide tutte le Lingue delle Nazioni. Occupando l’Apice sommo la Primitiva, seguivano diramate in sempre più largo Spazio le Soddivisioni dei collaterali Dialetti con Progressione continuata fino alle Favelle oggidì in uso presso i Popoli della Terra. E senonchè molte Interruzioni fatte avea il Tempo corrodendo i Caratteri, ed il Valore dei Suoni, con l’Origine certa d’ogni Lingua indicato avrebbe quel Registro Simbolico più chiaramente i Progressi dell’umano Intendimento. – Da un’altra parte della Piramide (senza troppo fissarmi sopra i Geroglifici o Egiziani, o Cinesi) non poco sentii ricrearmi nel riandare le ingegnose Invenzioni della nostra Greca Mitologia: nè vedeva impressa in quel Monumento d’Immaginazione, o Deità, o Eroe alcuno favoloso con le sue simboliche Divise, che non tornassemi a mente alcun insigne Capodopera de’nostri Artisti illustri o dipinto, o scolpito, o coniato, o gittato, o tessuto, o trapunto, che adorni del prezioso Apparato di Maestria i nostri Gabinetti, Sale, Gallerie, Giardini, Teatri, e Templi. – Ma quel, che più ancora allettava il Genio mio in quello Immaginario Repertorio, era, o mio Filomato, di trovarvi allusivi divini Passaggi d’Epica, Tragica, e Lirica Poesia principalmente. Voglio dirtene quì alcuni, che rivocommi a mente la Contemplazione di quella Mitologica Piramide del Tempio d’Immaginazione. Ed, acciocchè non ti maravigli, perchè, lasciato il nostr’Omero, scelgo quì piuttosto il Latino Virgilio, sappi, ch’io prendo particolare piacere nel vagheggiare le Bellezze di Gusto raffinato d’una Nazione, nostra Vincitrice nell’Armi, che noi abbiamo nelle Arti ripulita. – Al vedere adunque colà Eolo raffrenante i tempestosi Venti nell’Antro la mia Memoria corse tosto al Primo dell’Eneide.

Disse: e col pesante Tridente il concavo Monte Di fianco urtando, i Venti (impetuosa Coorte) Schiude l’aperta Via: il Mondo fero Turbine volve – Al mare s’avventan furibondi; e tutto da l’imo Lo sconvolge Euro, e Zefiro, e dell’atre Procelle Affrico Adunatore: e al Lido ammontano l’onde – Di Marinari segue strido, e di Sarte sonanti – Sottraggon tosto Nubi addensate la Luce De’Teucri al guardo: sul Mar negra spandesi Notte; E tutto a’Miseri di Morte presenta l’Imago! – Subito d’Enea freddo Gelo scorre le Membra: Sospira: ed, ambo stendendo al Cielo le Palme, Esclamando dice, Oh quanto! – quanto beati De’Padri al cospetto di Troia chi sotto le Mura Caddero pugnando! – Tra’Greci insigne, o Tidide, Perchè disteso d’Ilio non giacqui ne’Campi? Nè tua Destra ferendo mia alma effundere valse Dove per Achille trafitto Ettorre feroce; Serpedonte dove sen giace; dov’il Simoente Ed Elmi, e Scudi, e Cadaveri volve tra Flutti? – Tai cose dicendo Soffio d’Aquilone stridente Incalzò la Vela di fronte: risalgono l’Onde; Frangonsi i Remi: la Prora urtata si piega, Dando lato: in cumulo acqueo Monte precipita giù: Altri Cavallone alza pensili in orrido dorso; Scoscendendo altri in Baratro trae l’onda profondo – Nell’Imo sconvolto agitata l’arena ribolle!

Quivi vid’io dipinti e i Fulmini di Giove, e l’Egide di Pallade, e ‘l Tridente di Nettuno, e ‘l Trafiere di Plutone; e col Caduceo di Mercurio, ed il Cesto di Venere vidivi dispiegar Iride il versicolore suo Lembo. Quivi (oltre della gran Fucina, ove temprò il nostr’Omero l’Ira d’Achille; ed oltre della Grotta di Calipso, Ciclopi, Lestrigoni, Scille, Cariddi, Sirene, e Giardino d’Alcinoo distinti negli Errori d’Ulisse) mi fissai a contemplare il semicostrutto Tempio della nascente Cartagine: dove vidi

Enea prima osando sperare Salute Agli Infortunj predir più prospero Corso: Che del gran Templo mentr’Egli spiava i Recessi: Della Cittade qual fosse lo Stato, de l’Opre Quali i Dissegni, qual la Sveltezza de l’Arte Mirando, esposte quì d’Ilio scorge le Pugne; La Guerra ovunque da Fama sparsa ne l’Orbe: Gli Atridi quì, e Priamo, quì Achille ad ambo feroce. – Ristette. E qual Loco! (gemendo disse ad Acate) Qual Canto in Terra non pieno di nostri Travagli! – Ve’Prianto! – ancor quì suoi Pregi riporta la Lode! – I Casi han Pianto! – tocca Sciagura le Menti! – Ti rincora! – nutre l’Oggetto speme salubre! – Disse: e della vana Pittura pascesi l’Alma Spesso gemendo; e lava di largo Fiume la Guance. – Ivi vedeva come, pugnando intorno di Troia, Qua’Greci fuggenti instasse ‘l Troiano Valore: Là i Frigi dal Carro fugasse Achille furente. – Di Reso non lungi lagrimando le bianche Trabacche Ravvisa: quali sul primo Sonno tradite Di molta Strage sanguigno allaga Tidide! E pria nel Campo sferza i Destrieri feroci Che Cibo di Troia gustassero, od Acqua di Xanto. – Fuggendo altrove perdute Troilo l’Armi (Miser Fanciullo d’osar combattere Achille In disugual Pugna!) tran costernati Cavalli. – Pendendo involto dal vuoto Carro Supino Tien pur le Radini, Chioma, e Cervice traendo Per Terra: solca la polvere l’Asta riversa. –

Al veder poi Didone ah quai Moti d’Affetto non eccitarono nel mio Seno i suoi Casi rammentati! – Ora m’investii di tutta l’Ira sua contro il fugitivo Troiano.

Già di Lume novo spargea pur nata le Terre Lasciando ‘L Talamo del cano Aurora Titone. Dalle Vedette come vide pria schiarirsi la Luce La Regina: a Vele e la Flotta procedere tese: E Lido, e Porto d’ogni Remigante deserto; Da duol compresa picchiando ‘l candido Petto, E’ Capei biondi stracciando, oh Giove, girassi Ei (dice)! – Regina m’avrà schernita straniero? – E ‘l Popolo in fretta con Armi, e Navi rapite Nol segue? – solleciti con Ferro, e Fuoco ne gite! – Battete i Remi, sciogliete all’aura le Vele! – Che parlo? – ove sono! – qual muta furore la Mente? – Dido infelice! – Distino or acerbo ti tocca! – Ah di Vendetta fuggì ‘l Tempo! – Eccola Fede Di chi vanta Fama seco portarne i Penati! – Di chi sugli Omeri sottrasse il Padre cadente! – Non potei preso sbranargli ‘l Corpo, e da l’onde Spargerlo! – i Socii, l’istesso trafiggere Giulo Con Ferro, al Padre apprestandone un orrido Pasto! – Dubbio di Pugna fors’era l’Evento – lo fosse! – Di morir certa che mai temere dovetti? – Le Faci nel Campo gittato – tutto di Fiamme Il Foro avrei’ngombro! – sul Figlio, ‘l Padre, la Razza Cadente in Cenere sareimi precipitata!

Ma nel risovvenirmi del Tragico suo Fine le Lagrime grondavanmi senza ritegno!

Trepida, e del fisso Disegno infuriata Didone

Sanguigni volve sguardi, di livide Tacche

Le Guancie diffusa, e di Morte tinta futura:

Gl’interni penetra fiera, impetuosa Recessi;

E sale l’alta Pira furibonda; e sguaina la Spada. –

D’Enea la Spada! – Dono ah non cerco a tal Uso! – Quivi le Iliache Vesti, ed il Talamo noto Poichè rivide, un poco lagrimando si fissa: Sul Toro boccone dice poi l’estreme Parole – O dolci Spoglie, mentr’erami Sorte benigna! – Or sopra Voi spiro, e di tanti Affanni mi sciolgo? – Vissi! – qual diemmi Corso Fortuna, ho finito! – Or mia grand’Ombra sotterra andranne soluta! – Fondai gran Cittade! – vidi mie Mura risorte! – Del Marito ultrice punii l’ostile Fratello! – Felice! – appieno felice sol che le Navi Dardanie ai nostri mai giutne fossero Lidi! – Disse, e mordendo ‘l Talamo, Morremoci inulte? – Ma muoiamo (segue)! – meglio sì! – meglio ire tra l’ombre! – Bevasi cogli occhi l’acceso Rogo da l’alto Mare il Crudele! – di nostra Morte i Presagi Ne porti Egli seco! – Finiva l’ultime Voci Quando le Compagne cader di Ferro trafitta Lei vedono; e ‘l Sangue sgorgar dal Seno rigando. – Per gli Atrii spaziosi ribombano i mesti Clamori; E smarrita n’ode la Città tosto la Nuova: Tutte di Lamenti, Gemiti, feminili Ululati Fremono le Case: d’alte Strida l’Etra risuona! – Come se d’ostile Saccheggio scossa ruini Cartago, o l’antica Tiro: e la Fiamma vorace per la Cima voli de’Templi, degli alti Palagi. – . . . . . . . . . . . . . . . . . Ella, i gravi Lumi d’alzar provando, di nuovo Chiudeli – confitta stride tra le Coste la Piaga. – Tre volte tenta sul Gomito sollevarsi; Tre spossata ricadesi sul Toro sanguinolento. – Colle vacillanti Pupille pur cerca la Luce Del Cielo fruire – trovata gemendo l’aborre? – Giunone adunque (miserando ‘l lungo Dolore, L’arduo Decesso) tosto Iride manda d’Olimpo, Che l’agonizzante sleghi Alma, e ‘l Nodo tenace. Poi che nè per Fato, meritata nè Morte periva; Ma (lassa!) anzi l’ora, di pronto accesa furore: Non anco dal Capo Proserpina l’aureo Crine Spiccando, al di Stige sacrato aveva, Tiranno. – Dunque le dorate battendo per aere Penne, Iride di mille dal Sol vestita Colori, Giù vola: e sul Capo posandole, Questo or a Dite Comandata reco: te dal tuo Corpo risolvo. – Disse; e colla mano troncò ‘l Crine – sciolto ne l’atto Sfuma ‘l Calore; e la Vita esalasi in aura.

Così, amato Filomato, a misura che scorrevano i miei Occhi que’Mitologici Oggetti della Simbolica Piramide, la Mente mia riscontravali coi più bei Passaggi degli eccellenti Poeti. Onde la mia Memoria rinfrescossi non solamente in quanto io aveva studiato d’Omero, d’Esiodo, di Pindaro, Anacreonte, Alceo, Saffo, Euripide, Sofocle, e di tutti i nostri Greci; ma tutta eziandio la Letteratura Latina mi si risvegliò nello Spirito. E mentre con Compiacenza io godeva d’un tale quasi Rammemorativo Mecanismo vidi scritto nella Base della Piramide in chiarissimo Splendore d’Ordine, di Metodo, di Precisione, di Compartimento, Arte della memoria! . . . . . . . . . .

Torino presso G. M. Briolostamp. e lib. della r. accad. delle scienzecon permissione.

Num. 21 1786 N.o 21. In medio Ramos, annosaque Brachia tenditUlmus opaca, ingens: quam sedem somnia vulgo.Vana tenere ferunt; foliisque sub omnibus haerent. 2. Ottobre 1786. La Traduzione d’un Fragmento di Greco MS. capitatomi a caso tra le mani somministrerà il Trattenimento al presente Foglio. A confessare schiettamente la Verità, la non troppo buona Opinione del Contenuto nel MS. medesimo fecemi sempre differire ad esporlo agli Occhi del Pubblico; e se risolvetti altrimenti poscia, fu solo sul Riflesso, che potrebbe altri aver la Chiave ad interpretar Dottrina, che fosse oscura all’Intelligenza mia. Checchè siane per essere, lasciando altrui l’intero Giudizio della Cosa stessa, contenterommi io della Lode d’averla traslata in Lingua a tutti intelligibile. Voglio tuttavia non defraudare me stesso della Gloria (siami lecito di dire il Vero) d’aver congetturato, che, contenendosi in esso MS. Citazioni di Versi Virgiliani~i, potesse l’Autore essere a Virgilio~i posteriore. Della quale mia importante Sco-perta non ho luogo a dubitare che non sia il Pubblico per sapermene buon grado. – Fossi stato ugualmente felice nel riempire le Lacune, che sonovi disperse! Ma ciò che ne porta via il Tempo, Ingegno ristora difficilmente: irrimediabile Verità ch’è cagione, che dobbiam contentarci di questo Fragmento (così com’è) senza Titolo, e senza Conclusione; cioè, come si suol dire, senza Capo, e senza Coda. Facciane dunque il mio Lettore l’uso che può, o sa. Tutta l’agevolezza, che può dare alla sua Perspicacia la Diligenza mia, sarà soltanto di notare con Asterischi la Distanza almeno di quelle Parole, che sull’Originale non mi fu possibile di ricuperare dal Dente distruggitore del Tempo vorace. – D’una cosa sola restami di far avvertito il mio Lettore: ed è, che, trovando egli in questo Sbozzo Versi Italiani misurati col Metro delle due Lingue Famose, Greca, e Latina, nel disaminare questo Saggio di novella Prosodia, che la Lingua nostra, Emula di quelle, acquistar potrebbe, voglia sospendere il suo Giudizio fintanto almeno, che, prendendo io a trattare questo non indifferente Soggetto in un intiero Foglio, gli avrò con chiarezza sviluppata tutta l’Idea del novo Sistema. Zelante di tuo Addisciplinamento . . . . . . . . . . accinto a raccontarti, laborioso Filomato, misteriosa Visione . . . . . . . . . . . . . . Tempio era detto di Fantasia. – Nel circolare spazioso Edifizio moltiplice Ingresso spalancavasi per cinque sboccanti Porte: ed i Fantasmi, che dentro affollavansi simboleggiati ognuno da quel Senso, che introducevali, concorrevano in cinquepartita Schiera (quasi quintuplici Elementi) a combinarsi in infiniti Sciami di vario-alati Composti. – Presiedeva alla feconda Nascita della fantastica Turba entusiastica Dea d’Abito assai bizzarra, appellata Immaginazione: la quale maestosamente in quel Tempio sopra Trono assisa (che epilogava nella sua struttura tutte le Combinazioni d’ogni corporea Sostanza, o Forma, o Figura, o Colore, o Sito, e d’ogn’altra Qualità siasi) indi ascoltava le Preci, ed esaudiva i Voti di que’, che entravano nel mistico Luogo, supplici Adoratori, ministra insieme di Verità, e d’Errore, di Gloria, e d’Infamia, di Piacere, e di Tristezza; e non di rado ancora perfino di Vita, e di Morte . . . . . . . . . . . . attendente a’suoi Cenni la prestigiatrice Illusione. La Verga, onde l’Alme inebria, temprata venne all’Acque del Fiume Lete. Ogni Uom che nasce, condanna acerba Sorte a portar impresso nella Natura sua il vertiginoso Effetto del sovraccennato fatal Tocco: e nella Selva della Vita qualunque siasi il Diverticolo, ov’altri travia (supponi d’Ambizione, d’Amore, di Voluttuosità, d’Avarizia, di Vanagloria, di Saccenteria) costretti indi sono gl’illudenti Spettri a saltellargli perpetuamente davanti gli affascinati occhi . . . . Ciechi sventurati! cui le allettanti Specie (quasi ingannevol Esca) attraggono inavvedutamente nelle tese Reti dell’Ungui-graffiante Penitenza: la quale con torvo inflessibile Aspetto altri agli aspri Rimorsi condanna, altri alle voraci Malattie, altri a tormentosa Vecchiezza, altri all’Infamia, Miseria, Avvilimento; alcuni eziandio ai Ceppi, ed alle Pene famose! – Figli pure, e Ministri d’Immaginazione solleciti zelavano nel fantastico Tempio i due Fratelli (di Madre, non di Padre) il buono, ed il rio Entusiasmo. Questo dall’Error generato, gemello di Superstizione, e freneticante della Paterna Ebbrezza, squarciò d’empie piaghe il puro Seno del verace Culto; e sopra contaminati Altari sacrificò (o Empietà nefanda!) umane Vittime agli Dei avversi! Ma Figlio del nobile Zelo il buono Entusiasmo accende alla Gloria gli Eroi: dalla cui animatrice Aura ispirati poggiano altri da un lato (calpestati gli Ostacoli) sopra l’erto Giogo, dove sotto il Drappello dell’irraggiante Religione la guardinga Prudenza, e la nobile Fortezza, e la candida Giustizia, e l’amabile Temperanza scintillano in brillante Coro: ove pure il casto Amore, l’accesa Amicizia, il magnanimo Patriotismo, e la Fede, l’Affabilità, la Beneficenza con tutta la gentile Schiera sociale intrecciano dolci Carole all’Armonia celeste. – Dall’altro lato non meno lieti per i vani Intoppi di faticosa via scorge l’animatore Genio i suoi Seguaci alla Longe-rifulgente Magione delle Aonie Dive: ove tra gli ombrosi Laureti rassembransi a mano a mano incoronate l’estatica Poesia, l’appassionata Musica, e la melliflua Eloquenza dall’Istoria accompagnata: ove con la contemplativa Astronomia, e tutte le Calcolatrici Sorelle si accerchiano bene accolte le nobili Mecaniche, Pittura, Scoltura, ed Architettura: e dove in somma risplendono sopra la cospicua Eminenza le Scienze, e l’Arti tutte . . . . . . può solo, o mio caro Filomato, render vano l’Incanto della sopradetta ammaliante Illusione, seguendolo indivisibile Scorta con generoso Ardore pel duplice Sentiero di Gloria! . . . . Più pareami d’innoltrarmi in quel maraviglioso Tempio, più attraeva l’Attenzione mia sempre nuovo Stupore! Vidi riflettersi in quelle espressive Pareti tutto l’Universo visibile: ma per la varia disposizione della lucida Superficie il Raggio degli Oggetti, secondochè variamente o rifranto, o riflesso, o disgregato, o composto, o diretto, o deviato, pingeva le Immagini sul fondo cangiante di quel Fantastico Edifizio or ampliate, ora scorcie, or rivolte, ora inverse, ora compresse, ora allungate: ed in ogni guisa alterate di modo che poca, o niuna Rassomiglianza ripresentassero dell’Originale Archetipo. Onde le rimanenti Vestigia vi notai ancora e degli Atomi divergenti, e delle attenuate volanti Superficie, e dell’Idee per se esistenti, e della Materia Prima, Forma, e Privazione, e della sopraelementare Quintessenza celeste; ed osservai rovesciati a gran Mucchi gli omai cancellati Fantasmi delle Simpatie, od Antipatie, e Qualità occulte d’una Filosofia mistica con tutti gli Astrologici Apparati, ed Alchimici Svaporamenti. Notaivi ancora con più recente impronto (l’avveduto Lettore crederà meco Insertizio il presente Passo) e Monadi, ed Armonie prestabilite, e vertiginosi Vortici, ed organiche Molecole con (io non so se debba parlarne) appena lasciate Traccie di non so quale Magnetismo. – E credesi in quel fantastico Teatro (con tali o d’Idee vuoti Vocaboli; o significanti non intelligibili Concetti) potersi spiegare le maravigliose Bellezze di questo magnifico Mondiale Apparato! – lo stellifero Azzurro della Notte! – l’aureo Solar Raggio del Giorno riflettentesi con tanta Diversificazione di Luce sopra il ceruleo Lembo de’Fiumi, Laghi, e Mari! – le verdeggianti Pianure, fioriti Colli, e selvose Montagne! – le Scene pompose delle varianti Stagioni! – Il Decoro, la Diversità, il Numero delle vario-pinte vegetanti Famiglie! – la feconda Materia degli Elementi bulicante di sì moltiplice Vita! – l’Uomo! . . . . . . . . . . Rappresentava da un lato la Simbolico-Fantastica Piramide tutte le Lingue delle Nazioni. Occupando l’Apice sommo la Primitiva, seguivano diramate in sempre più largo Spazio le Soddivisioni dei collaterali Dialetti con Progressione continuata fino alle Favelle oggidì in uso presso i Popoli della Terra. E senonchè molte Interruzioni fatte avea il Tempo corrodendo i Caratteri, ed il Valore dei Suoni, con l’Origine certa d’ogni Lingua indicato avrebbe quel Registro Simbolico più chiaramente i Progressi dell’umano Intendimento. – Da un’altra parte della Piramide (senza troppo fissarmi sopra i Geroglifici o Egiziani, o Cinesi) non poco sentii ricrearmi nel riandare le ingegnose Invenzioni della nostra Greca Mitologia: nè vedeva impressa in quel Monumento d’Immaginazione, o Deità, o Eroe alcuno favoloso con le sue simboliche Divise, che non tornassemi a mente alcun insigne Capodopera de’nostri Artisti illustri o dipinto, o scolpito, o coniato, o gittato, o tessuto, o trapunto, che adorni del prezioso Apparato di Maestria i nostri Gabinetti, Sale, Gallerie, Giardini, Teatri, e Templi. – Ma quel, che più ancora allettava il Genio mio in quello Immaginario Repertorio, era, o mio Filomato, di trovarvi allusivi divini Passaggi d’Epica, Tragica, e Lirica Poesia principalmente. Voglio dirtene quì alcuni, che rivocommi a mente la Contemplazione di quella Mitologica Piramide del Tempio d’Immaginazione. Ed, acciocchè non ti maravigli, perchè, lasciato il nostr’Omero~i, scelgo quì piuttosto il Latino Virgilio~i, sappi, ch’io prendo particolare piacere nel vagheggiare le Bellezze di Gusto raffinato d’una Nazione, nostra Vincitrice nell’Armi, che noi abbiamo nelle Arti ripulita. – Al vedere adunque colà Eolo raffrenante i tempestosi Venti nell’Antro la mia Memoria corse tosto al Primo dell’Eneide. Disse: e col pesante Tridente il concavo Monte Di fianco urtando, i Venti (impetuosa Coorte) Schiude l’aperta Via: il Mondo fero Turbine volve – Al mare s’avventan furibondi; e tutto da l’imo Lo sconvolge Euro, e Zefiro, e dell’atre Procelle Affrico Adunatore: e al Lido ammontano l’onde – Di Marinari segue strido, e di Sarte sonanti – Sottraggon tosto Nubi addensate la Luce De’Teucri al guardo: sul Mar negra spandesi Notte; E tutto a’Miseri di Morte presenta l’Imago! – Subito d’Enea freddo Gelo scorre le Membra: Sospira: ed, ambo stendendo al Cielo le Palme, Esclamando dice, Oh quanto! – quanto beati De’Padri al cospetto di Troia chi sotto le Mura Caddero pugnando! – Tra’Greci insigne, o Tidide, Perchè disteso d’Ilio non giacqui ne’Campi? Nè tua Destra ferendo mia alma effundere valse Dove per Achille trafitto Ettorre feroce; Serpedonte dove sen giace; dov’il Simoente Ed Elmi, e Scudi, e Cadaveri volve tra Flutti? – Tai cose dicendo Soffio d’Aquilone stridente Incalzò la Vela di fronte: risalgono l’Onde; Frangonsi i Remi: la Prora urtata si piega, Dando lato: in cumulo acqueo Monte precipita giù: Altri Cavallone alza pensili in orrido dorso; Scoscendendo altri in Baratro trae l’onda profondo – Nell’Imo sconvolto agitata l’arena ribolle! Quivi vid’io dipinti e i Fulmini di Giove~i, e l’Egide di Pallade~i, e ‘l Tridente di Nettuno~i, e ‘l Trafiere di Plutone~i; e col Caduceo di Mercurio~i, ed il Cesto di Venere~i vidivi dispiegar Iride il versicolore suo Lembo. Quivi (oltre della gran Fucina, ove temprò il nostr’Omero~i l’Ira d’Achille~i; ed oltre della Grotta di Calipso, Ciclopi, Lestrigoni, Scille, Cariddi, Sirene, e Giardino d’Alcinoo distinti negli Errori d’Ulisse~i) mi fissai a contemplare il semicostrutto Tempio della nascente Cartagine: dove vidi Enea prima osando sperare Salute Agli Infortunj predir più prospero Corso: Che del gran Templo mentr’Egli spiava i Recessi: Della Cittade qual fosse lo Stato, de l’Opre Quali i Dissegni, qual la Sveltezza de l’Arte Mirando, esposte quì d’Ilio scorge le Pugne; La Guerra ovunque da Fama sparsa ne l’Orbe: Gli Atridi quì, e Priamo, quì Achille ad ambo feroce. – Ristette. E qual Loco! (gemendo disse ad Acate) Qual Canto in Terra non pieno di nostri Travagli! – Ve’Prianto! – ancor quì suoi Pregi riporta la Lode! – I Casi han Pianto! – tocca Sciagura le Menti! – Ti rincora! – nutre l’Oggetto speme salubre! – Disse: e della vana Pittura pascesi l’Alma Spesso gemendo; e lava di largo Fiume la Guance. – Ivi vedeva come, pugnando intorno di Troia, Qua’Greci fuggenti instasse ‘l Troiano Valore: Là i Frigi dal Carro fugasse Achille~i furente. – Di Reso non lungi lagrimando le bianche Trabacche Ravvisa: quali sul primo Sonno tradite Di molta Strage sanguigno allaga Tidide! E pria nel Campo sferza i Destrieri feroci Che Cibo di Troia gustassero, od Acqua di Xanto. – Fuggendo altrove perdute Troilo l’Armi (Miser Fanciullo d’osar combattere Achille~i In disugual Pugna!) tran costernati Cavalli. – Pendendo involto dal vuoto Carro Supino Tien pur le Radini, Chioma, e Cervice traendo Per Terra: solca la polvere l’Asta riversa. – Al veder poi Didone~i ah quai Moti d’Affetto non eccitarono nel mio Seno i suoi Casi rammentati! – Ora m’investii di tutta l’Ira sua contro il fugitivo Troiano. Già di Lume novo spargea pur nata le Terre Lasciando ‘L Talamo del cano Aurora~i Titone~i. Dalle Vedette come vide pria schiarirsi la Luce La Regina: a Vele e la Flotta procedere tese: E Lido, e Porto d’ogni Remigante deserto; Da duol compresa picchiando ‘l candido Petto, E’ Capei biondi stracciando, oh Giove~i, girassi Ei (dice)! – Regina m’avrà schernita straniero? – E ‘l Popolo in fretta con Armi, e Navi rapite Nol segue? – solleciti con Ferro, e Fuoco ne gite! – Battete i Remi, sciogliete all’aura le Vele! – Che parlo? – ove sono! – qual muta furore la Mente? – Dido infelice! – Distino or acerbo ti tocca! – Ah di Vendetta fuggì ‘l Tempo! – Eccola Fede Di chi vanta Fama seco portarne i Penati! – Di chi sugli Omeri sottrasse il Padre cadente! – Non potei preso sbranargli ‘l Corpo, e da l’onde Spargerlo! – i Socii, l’istesso trafiggere Giulo Con Ferro, al Padre apprestandone un orrido Pasto! – Dubbio di Pugna fors’era l’Evento – lo fosse! – Di morir certa che mai temere dovetti? – Le Faci nel Campo gittato – tutto di Fiamme Il Foro avrei’ngombro! – sul Figlio, ‘l Padre, la Razza Cadente in Cenere sareimi precipitata! Ma nel risovvenirmi del Tragico suo Fine le Lagrime grondavanmi senza ritegno! Trepida, e del fisso Disegno infuriata Didone~i Sanguigni volve sguardi, di livide Tacche Le Guancie diffusa, e di Morte tinta futura: Gl’interni penetra fiera, impetuosa Recessi; E sale l’alta Pira furibonda; e sguaina la Spada. – D’Enea la Spada! – Dono ah non cerco a tal Uso! – Quivi le Iliache Vesti, ed il Talamo noto Poichè rivide, un poco lagrimando si fissa: Sul Toro boccone dice poi l’estreme Parole – O dolci Spoglie, mentr’erami Sorte benigna! – Or sopra Voi spiro, e di tanti Affanni mi sciolgo? – Vissi! – qual diemmi Corso Fortuna, ho finito! – Or mia grand’Ombra sotterra andranne soluta! – Fondai gran Cittade! – vidi mie Mura risorte! – Del Marito ultrice punii l’ostile Fratello! – Felice! – appieno felice sol che le Navi Dardanie ai nostri mai giutne fossero Lidi! – Disse, e mordendo ‘l Talamo, Morremoci inulte? – Ma muoiamo (segue)! – meglio sì! – meglio ire tra l’ombre! – Bevasi cogli occhi l’acceso Rogo da l’alto Mare il Crudele! – di nostra Morte i Presagi Ne porti Egli seco! – Finiva l’ultime Voci Quando le Compagne cader di Ferro trafitta Lei vedono; e ‘l Sangue sgorgar dal Seno rigando. – Per gli Atrii spaziosi ribombano i mesti Clamori; E smarrita n’ode la Città tosto la Nuova: Tutte di Lamenti, Gemiti, feminili Ululati Fremono le Case: d’alte Strida l’Etra risuona! – Come se d’ostile Saccheggio scossa ruini Cartago, o l’antica Tiro: e la Fiamma vorace per la Cima voli de’Templi, degli alti Palagi. – . . . . . . . . . . . . . . . . . Ella, i gravi Lumi d’alzar provando, di nuovo Chiudeli – confitta stride tra le Coste la Piaga. – Tre volte tenta sul Gomito sollevarsi; Tre spossata ricadesi sul Toro sanguinolento. – Colle vacillanti Pupille pur cerca la Luce Del Cielo fruire – trovata gemendo l’aborre? – Giunone adunque (miserando ‘l lungo Dolore, L’arduo Decesso) tosto Iride manda d’Olimpo, Che l’agonizzante sleghi Alma, e ‘l Nodo tenace. Poi che nè per Fato, meritata nè Morte periva; Ma (lassa!) anzi l’ora, di pronto accesa furore: Non anco dal Capo Proserpina l’aureo Crine Spiccando, al di Stige sacrato aveva, Tiranno. – Dunque le dorate battendo per aere Penne, Iride di mille dal Sol vestita Colori, Giù vola: e sul Capo posandole, Questo or a Dite Comandata reco: te dal tuo Corpo risolvo. – Disse; e colla mano troncò ‘l Crine – sciolto ne l’atto Sfuma ‘l Calore; e la Vita esalasi in aura. Così, amato Filomato, a misura che scorrevano i miei Occhi que’Mitologici Oggetti della Simbolica Piramide, la Mente mia riscontravali coi più bei Passaggi degli eccellenti Poeti. Onde la mia Memoria rinfrescossi non solamente in quanto io aveva studiato d’Omero~i, d’Esiodo~i, di Pindaro~i, Anacreonte~i, Alceo~i, Saffo~i, Euripide~i, Sofocle~i, e di tutti i nostri Greci; ma tutta eziandio la Letteratura Latina mi si risvegliò nello Spirito. E mentre con Compiacenza io godeva d’un tale quasi Rammemorativo Mecanismo vidi scritto nella Base della Piramide in chiarissimo Splendore d’Ordine, di Metodo, di Precisione, di Compartimento, Arte della memoria! . . . . . . . . . . Torino presso G. M. Briolostamp. e lib. della r. accad. delle scienzecon permissione.