L’ostinazione e l’irresoluzione Giovanni Ferri di S. Costante Moralische Wochenschriften Alexandra Fuchs Editor Alexandra Kolb Editor Jürgen Holzer Editor Institut für Romanistik, Universität Graz 19.12.2016

o:mws-117-932

Ferri di S. Costante, Giovanni: Lo Spettatore italiano, preceduto da un Saggio Critico sopra i Filosofi Morali e i Dipintori de’Costumi e de’Caratteri. Milano: Società Tipografica de’Classici Italiani 1822, 250-254 Lo Spettatore italiano 2 47 1822 Italien
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L’Ostinazione e l’Irresoluzione

L’errare è da uomini, e l’ostinazione è da bestie. Ilpiccarsi di sostenere una sciocchezza, è un dare a questa un risalto maggiore per farsi più deridere edisprezzare

T. Crudeli.

È cosa difficile il decidere se l’irresoluzione rendal’uomo più infelice che spregevole; siccome se visono sempre maggiori inconvenienti nell’appigliarsia un cattivo partito, che nel non far nulla (L. B.).

Pertinace non ha mai saputo che cosa sia il pensare o il meditare; ciò che sa bene, è il volere. E per quanto sia assurdo o pernicioso quello che egli vuole, vi si fissa, vi persiste con una cieca ostinazione, con una pervicacia invincibile. Disse egli l’altrieri (e sia prova questo della caparbieria sua nelle cose di poco momento) di voler al dimane andar fuori a cavallo, lontan dieci miglia, per visitar un suo amico. Ora quel giorno fu sì mal tempo, che senza pericolo, o senza almeno il maggior disagio del mondo, non si potea cavalcare. Ma egli avea fatto il proponimento di questa andata; e siccome, per quello che dicea, egli non suole mutarsi ad ogni vento, come le banderuole, perseverò nella fatta risoluzione. Invano lo pregarono la moglie e i figli perchè se ne rimuovesse, o si togliesse almeno la carrozza; egli per acqua, per neve, per vento volle andarci, ed a cavallo. Fu a tarda ora dall’amico, che non lo aspettava, e tornò a casa bagnato fradicio, e col germe di una malattia, la quale poco mancò che nol sotterrasse.

Ha Pertinace tre figliuoli; e prima che saper potesse la loro indole, s’avvisò di dover ordinare che il primo sarebbe militare, medico il secondo, il terzo avvocato. Ora crescendo i fanciulli hanno ciascuno manifestato e la tempra dello spirito e le inclinazioni del cuore. Il maggiore, eccessivamente vigliacco, è malizioso e sottile, ha una faccia imperterrita ed una voce di Stentore, qualità che di loro natura portano alla profession di curiale. Il secondo è senza ingegno, ed incapace d’imparar nulla. L’ultimo è ardito e damerino, e fatto a posta al mestier dell’armi. Ora tutto questo nota fa forza a Pertinace; ma egli sta fitto nel primo proposito, sebbene, anche mutando sentimento, possano in casa restare tutte e tre le professioni. Pertinace diserederà i figli, se non fanno a suo senno: ha promesso a se medesimo di condurre ad effetto i suoi pensieri, e morrebbe piuttosto che mancare di parola.

L’ostinazione, che spesse volte si confonde colla fermezza, altro non è che una presunzione sciocca, per la quale altri crede non poter errare; od un pueril pregiudizio, che crede esser vergogna l’ingannarsi, e viltà il confessarlo. Ma non è ella cosa più vergognosa e insensata recalcitrare alla verità e non rifare i danni? Non il peccato si vitupera, ma il perseverarvi.

L’indole irresoluta di Tardigrado è pienamente a rincontro di quella di Pertinace. Buone disposizioni ebbe Tardigrado dalla natura, ed una diritta educazione le crebbe e migliorò; ma la sua mente vaga e dubitevole vola perpetuamente di pensiero in pensiero; egli vuole e non vuole, e non sa arrendersi nè all’altrui opinione nè alla propria. A vedere la costui irresoluzione, teniamogli dietro alquanto. Poichè ha finalmente deliberato di alzarsi da letto, il che non accade se non dopo aver lungamente esitato, perde le ore intere nella deliberazione dell’abito che debba vestire. Chiede gli stivali, perchè intende di cavalcare dopo la cioccolata; ma quando il cameriere li reca, lo trova nel suo gabinetto già mutato d’animo, e risoluto ad impiegar tutta la mattina nella lettura di una novella opera. Accade spesso a Tardigrado di far attaccare e staccare più volte i cavalli nella stessa giornata, senza uscir di casa. Va talvolta a fare alcuna visita: si porta l’ambasciata, e chi torna colla risposta lo trova che si è partito. Sovente ancora non volendo egli ricever alcuno, fa dire che non è in casa, e poi si fa vedere, per far parere bugiardo il servitore. Chi volesse entrare nello studio di Tardigrado, ravviserebbe d’ogni parte segni della sua indole. È pieno lo scrittoio di lettere cominciate, e da finir chi sa quando; e vi si vedono libri qua e là accatastati e aperti, ch’egli legge nel tempo stesso e dei quali scorre soltanto qualche parte. Tardigrado ha gusto del disegno; ma altro non si vede che abbozzi, che schizzi, e nessun lavoro compito.

Sono infiniti i propositi che forma Tardigrado senza eseguirli. Egli ha nella città cominciato una fabbrica, la quale è rimasa imperfetta, perchè n’ha convertito il prezzo alla compera di un terreno. Adesso egli è intorno ad abbellire una villa, posta in lieto sito: ma chi andasse per quella, altro non vedrebbe che non terminati disegni, boschetti mezzo piantati, viali non finiti, pergole senza ombra, tempii senza divinità. Prima avea nell’animo di formare davanti al casino una prateria, poi mutò intenzione e risolvette di farvi un lago: ma perchè questo portava seco certi inconvenienti, se n’è interrotto il lavoro.

Quanto è variabile la condotta di Tardigrado, tanto il sono le sue opinioni. Dice insieme e contraddice; pregia e dispregia la medesima cosa, e non è mai d’accordo nè con se stesso nè con gli altri. Se persona lo ammonisce delle sue contraddizioni: Non posso restar mallevadore, dice egli, delle mie passate opinioni, nè di quelle che potrò avere in appresso. Tardigrado paga il fio delle sue irresoluzioni, perchè non solamente inestimabili danni ne riceve, senza quello del tempo che è il maggior di tutti, ma mette a rischio ancora la sua riputazione. Dalla condotta ch’egli tiene negli affari di poca importanza, mal non si giudica di quella che terrebbe se si trattasser cose più grandi. Fino adesso la sua irresoluzione non lo ha fatto reo di altro che di volubilità e di contraddizioni. Ma badi egli bene; perchè le corrispondenze e le comunicazioni del mondo sono tante e sì minute, che è quasi impossibile a parlare e operare senza che più o meno se ne risentano gli altrui interessi. Allora l’irresoluzione diviene colpevole, quando non ci lascia adempiere i nostri doveri, e far quel bene che gli altri da noi hanno ragione d’aspettare.

Tutto che opposti sieno fra loro i difetti di Pertinace e di Tardigrado, a volerli emendare, è mestieri tenere i medesimi modi. Fuggano essi la precipitanza, e si avvezzino a non parlare e operare prima che non abbiano bene bilanciate e discorse le cose; e così nè quegli sarà caparbio nè questi irresoluto, vizi che quasi sempre nascono da inconsiderazione e da ignoranza.

L’Ostinazione e l’Irresoluzione L’errare è da uomini, e l’ostinazione è da bestie. Ilpiccarsi di sostenere una sciocchezza, è un dare a questa un risalto maggiore per farsi più deridere edisprezzare T. Crudeli~k. È cosa difficile il decidere se l’irresoluzione rendal’uomo più infelice che spregevole; siccome se visono sempre maggiori inconvenienti nell’appigliarsia un cattivo partito, che nel non far nulla (L. B.). Pertinace~k non ha mai saputo che cosa sia il pensare o il meditare; ciò che sa bene, è il volere. E per quanto sia assurdo o pernicioso quello che egli vuole, vi si fissa, vi persiste con una cieca ostinazione, con una pervicacia invincibile. Disse egli l’altrieri (e sia prova questo della caparbieria sua nelle cose di poco momento) di voler al dimane andar fuori a cavallo, lontan dieci miglia, per visitar un suo amico. Ora quel giorno fu sì mal tempo, che senza pericolo, o senza almeno il maggior disagio del mondo, non si potea cavalcare. Ma egli avea fatto il proponimento di questa andata; e siccome, per quello che dicea, egli non suole mutarsi ad ogni vento, come le banderuole, perseverò nella fatta risoluzione. Invano lo pregarono la moglie e i figli perchè se ne rimuovesse, o si togliesse almeno la carrozza; egli per acqua, per neve, per vento volle andarci, ed a cavallo. Fu a tarda ora dall’amico, che non lo aspettava, e tornò a casa bagnato fradicio, e col germe di una malattia, la quale poco mancò che nol sotterrasse. Ha Pertinace tre figliuoli; e prima che saper potesse la loro indole, s’avvisò di dover ordinare che il primo sarebbe militare, medico il secondo, il terzo avvocato. Ora crescendo i fanciulli hanno ciascuno manifestato e la tempra dello spirito e le inclinazioni del cuore. Il maggiore, eccessivamente vigliacco, è malizioso e sottile, ha una faccia imperterrita ed una voce di Stentore, qualità che di loro natura portano alla profession di curiale. Il secondo è senza ingegno, ed incapace d’imparar nulla. L’ultimo è ardito e damerino, e fatto a posta al mestier dell’armi. Ora tutto questo nota fa forza a Pertinace; ma egli sta fitto nel primo proposito, sebbene, anche mutando sentimento, possano in casa restare tutte e tre le professioni. Pertinace diserederà i figli, se non fanno a suo senno: ha promesso a se medesimo di condurre ad effetto i suoi pensieri, e morrebbe piuttosto che mancare di parola. L’ostinazione, che spesse volte si confonde colla fermezza, altro non è che una presunzione sciocca, per la quale altri crede non poter errare; od un pueril pregiudizio, che crede esser vergogna l’ingannarsi, e viltà il confessarlo. Ma non è ella cosa più vergognosa e insensata recalcitrare alla verità e non rifare i danni? Non il peccato si vitupera, ma il perseverarvi. L’indole irresoluta di Tardigrado è pienamente a rincontro di quella di Pertinace. Buone disposizioni ebbe Tardigrado dalla natura, ed una diritta educazione le crebbe e migliorò; ma la sua mente vaga e dubitevole vola perpetuamente di pensiero in pensiero; egli vuole e non vuole, e non sa arrendersi nè all’altrui opinione nè alla propria. A vedere la costui irresoluzione, teniamogli dietro alquanto. Poichè ha finalmente deliberato di alzarsi da letto, il che non accade se non dopo aver lungamente esitato, perde le ore intere nella deliberazione dell’abito che debba vestire. Chiede gli stivali, perchè intende di cavalcare dopo la cioccolata; ma quando il cameriere li reca, lo trova nel suo gabinetto già mutato d’animo, e risoluto ad impiegar tutta la mattina nella lettura di una novella opera. Accade spesso a Tardigrado di far attaccare e staccare più volte i cavalli nella stessa giornata, senza uscir di casa. Va talvolta a fare alcuna visita: si porta l’ambasciata, e chi torna colla risposta lo trova che si è partito. Sovente ancora non volendo egli ricever alcuno, fa dire che non è in casa, e poi si fa vedere, per far parere bugiardo il servitore. Chi volesse entrare nello studio di Tardigrado, ravviserebbe d’ogni parte segni della sua indole. È pieno lo scrittoio di lettere cominciate, e da finir chi sa quando; e vi si vedono libri qua e là accatastati e aperti, ch’egli legge nel tempo stesso e dei quali scorre soltanto qualche parte. Tardigrado ha gusto del disegno; ma altro non si vede che abbozzi, che schizzi, e nessun lavoro compito. Sono infiniti i propositi che forma Tardigrado senza eseguirli. Egli ha nella città cominciato una fabbrica, la quale è rimasa imperfetta, perchè n’ha convertito il prezzo alla compera di un terreno. Adesso egli è intorno ad abbellire una villa, posta in lieto sito: ma chi andasse per quella, altro non vedrebbe che non terminati disegni, boschetti mezzo piantati, viali non finiti, pergole senza ombra, tempii senza divinità. Prima avea nell’animo di formare davanti al casino una prateria, poi mutò intenzione e risolvette di farvi un lago: ma perchè questo portava seco certi inconvenienti, se n’è interrotto il lavoro. Quanto è variabile la condotta di Tardigrado, tanto il sono le sue opinioni. Dice insieme e contraddice; pregia e dispregia la medesima cosa, e non è mai d’accordo nè con se stesso nè con gli altri. Se persona lo ammonisce delle sue contraddizioni: Non posso restar mallevadore, dice egli, delle mie passate opinioni, nè di quelle che potrò avere in appresso. Tardigrado paga il fio delle sue irresoluzioni, perchè non solamente inestimabili danni ne riceve, senza quello del tempo che è il maggior di tutti, ma mette a rischio ancora la sua riputazione. Dalla condotta ch’egli tiene negli affari di poca importanza, mal non si giudica di quella che terrebbe se si trattasser cose più grandi. Fino adesso la sua irresoluzione non lo ha fatto reo di altro che di volubilità e di contraddizioni. Ma badi egli bene; perchè le corrispondenze e le comunicazioni del mondo sono tante e sì minute, che è quasi impossibile a parlare e operare senza che più o meno se ne risentano gli altrui interessi. Allora l’irresoluzione diviene colpevole, quando non ci lascia adempiere i nostri doveri, e far quel bene che gli altri da noi hanno ragione d’aspettare. Tutto che opposti sieno fra loro i difetti di Pertinace e di Tardigrado, a volerli emendare, è mestieri tenere i medesimi modi. Fuggano essi la precipitanza, e si avvezzino a non parlare e operare prima che non abbiano bene bilanciate e discorse le cose; e così nè quegli sarà caparbio nè questi irresoluto, vizi che quasi sempre nascono da inconsiderazione e da ignoranza.