La bella mano Giovanni Ferri di S. Costante Moralische Wochenschriften Alexandra Fuchs Editor Alexandra Kolb Editor Jürgen Holzer Editor Institut für Romanistik, Universität Graz 29.11.2016

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Ferri di S. Costante, Giovanni: Lo Spettatore italiano, preceduto da un Saggio Critico sopra i Filosofi Morali e i Dipintori de’Costumi e de’Caratteri. Milano: Società Tipografica de’Classici Italiani 1822, 147-148 Lo Spettatore italiano 2 29 1822 Italien
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La Bella Mano

Questa è la Man che tutto il mondo loda;Questa è la Bella Man che l’alma ha presa . . .Ma la nemica mia sempre è rivoltaA vagheggiar se stessa e sua beltade.

Giusto de Conti, La Bella Mano.

Era Elisa di gentili forme e d’una piacente figura, nell’età di forse dieciotto anni, e aveva la più bella mano che veder si potesse; del qual raro pregio ella andava oltremodo orgogliosa. Il perchè aveva imparato a sonare il pianoforte, a toccar l’arpa, la mandola e la chitarra francese, ed oltre di ciò sapeva fare diversi ricami; le quali cose tutte adoperava assai leggiadramente. E non per altro s’era data alla coltura di queste sollazzevoli arti, che per desiderio di mostrare altrui la sua mano, e di poterla facilmente in tutte le guise atteggiare. Rade volte scriveva per non sì bruttare le dita, e temea tanto le punture degli aghi, che non ardì mai di toccarne pur uno. Ella già s’era acquistato il titolo di virtuosa; e le congratulazioni, le lodi erano senza fine: e sì non le meritava forse. Ma mercè la sua bella mano tanto belle si facevano tutte le sue operazioni, che il vero lor merito n’era fuor di misura ingrandito.

Non è dunque da meravigliarsi che parecchi giovani fossero presi di lei, e la volessero per isposa: ma quelli in più incontri notarono non esser Elisa d’altro innamorata che della sua mano: ella non pensava che alla mano; e tutto quello che non rilevava a mostrarne la candidezza e la forma perfetta, era per lei poco meglio che nulla. Conobbe in fine ciascuno che la vanagloriosa donzella, amante di se stessa per questo raro pregio, aveva per tutti un cuor di ghiaccio; onde si fecero le meraviglie della sua mano, ma non si amò la sua persona, e in fine tutti gli spasimanti l’abbandonarono. Elisa è intesa tutt’ora a toccar l’arpa e la chitarra; ma ella ha di già trentacinque anni, e nessuno più pensa alla mano di lei.

O donne, che l’Imeneo non ha per anco alla sua legge sottoposte, e che siete di qualche singolar pregio ornate, imparate dall’esempio d’Elisa, quanto può esser dannoso l’insuperbire dei doni che dalla natura liberamente vi si concedono. Cotesta vanità non è però solamente propria delle donne; benchè sia cosa naturalissima che maggior conto facciano esse della bellezza, che gli uomini. Un satirico moralista ha notata che nessuno ride più spesso, nè più facilmente, di quel che faccia una donna che abbia bei denti. Ma forse egli avrebbe ommesso di scrivere la predetta considerazione, se si fosse risovvenuto dell’epigramma da Catullo indiritto ad Egnazio, che sempre rideva, perchè aveva bei denti; il quale conclude dicendo non esservi cosa di uno sciocco riso più sciocca.

La Bella Mano Questa è la Man che tutto il mondo loda;Questa è la Bella Man che l’alma ha presa . . .Ma la nemica mia sempre è rivoltaA vagheggiar se stessa e sua beltade. Giusto de Conti~k, La Bella Mano~i. Era Elisa di gentili forme e d’una piacente figura, nell’età di forse dieciotto anni, e aveva la più bella mano che veder si potesse; del qual raro pregio ella andava oltremodo orgogliosa. Il perchè aveva imparato a sonare il pianoforte, a toccar l’arpa, la mandola e la chitarra francese, ed oltre di ciò sapeva fare diversi ricami; le quali cose tutte adoperava assai leggiadramente. E non per altro s’era data alla coltura di queste sollazzevoli arti, che per desiderio di mostrare altrui la sua mano, e di poterla facilmente in tutte le guise atteggiare. Rade volte scriveva per non sì bruttare le dita, e temea tanto le punture degli aghi, che non ardì mai di toccarne pur uno. Ella già s’era acquistato il titolo di virtuosa; e le congratulazioni, le lodi erano senza fine: e sì non le meritava forse. Ma mercè la sua bella mano tanto belle si facevano tutte le sue operazioni, che il vero lor merito n’era fuor di misura ingrandito. Non è dunque da meravigliarsi che parecchi giovani fossero presi di lei, e la volessero per isposa: ma quelli in più incontri notarono non esser Elisa d’altro innamorata che della sua mano: ella non pensava che alla mano; e tutto quello che non rilevava a mostrarne la candidezza e la forma perfetta, era per lei poco meglio che nulla. Conobbe in fine ciascuno che la vanagloriosa donzella, amante di se stessa per questo raro pregio, aveva per tutti un cuor di ghiaccio; onde si fecero le meraviglie della sua mano, ma non si amò la sua persona, e in fine tutti gli spasimanti l’abbandonarono. Elisa è intesa tutt’ora a toccar l’arpa e la chitarra; ma ella ha di già trentacinque anni, e nessuno più pensa alla mano di lei. O donne, che l’Imeneo non ha per anco alla sua legge sottoposte, e che siete di qualche singolar pregio ornate, imparate dall’esempio d’Elisa, quanto può esser dannoso l’insuperbire dei doni che dalla natura liberamente vi si concedono. Cotesta vanità non è però solamente propria delle donne; benchè sia cosa naturalissima che maggior conto facciano esse della bellezza, che gli uomini. Un satirico moralista ha notata che nessuno ride più spesso, nè più facilmente, di quel che faccia una donna che abbia bei denti. Ma forse egli avrebbe ommesso di scrivere la predetta considerazione, se si fosse risovvenuto dell’epigramma da Catullo indiritto ad Egnazio, che sempre rideva, perchè aveva bei denti; il quale conclude dicendo non esservi cosa di uno sciocco riso più sciocca.