La separazione impedita Giovanni Ferri di S. Costante Moralische Wochenschriften Alexandra Fuchs Editor Alexandra Kolb Editor Jürgen Holzer Editor Institut für Romanistik, Universität Graz 29.11.2016

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Ferri di S. Costante, Giovanni: Lo Spettatore italiano, preceduto da un Saggio Critico sopra i Filosofi Morali e i Dipintori de’Costumi e de’Caratteri. Milano: Società Tipografica de’Classici Italiani 1822, 130-132 Lo Spettatore italiano 2 26 1822 Italien
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La separazione impedita

Quid dulcius hominum generi datum est quam sui cui-que liberi? Amicitiae maximum vinculum est libero-rum procreatio

Cicero

Che cosa più dolce è stata all’uman genere concedu-ta; quanto sono a ciascuno i propri figliuoli? . . . Ilmaggior nodo dell’amicizia si è la generazione de’figliuoli.

In su le prime strette del matrimonio gli sposi vivono contenti, perchè vivono amanti: ma posciachè questo sentimento lusinghevole ci è per la possession della cosa amata renduto meno dolce e meno vivo, ella ci piace meno, e meno ci è cara. Non istà guari tempo a passare quella fantasia che perfetto e non altro ci facea parere l’oggetto dell’amor nostro, ed allora si scuoprono difetti, e quando una cosa e quando un’altra ci vien disgustando. Muore la compiacenza, nasce la non curanza, e questa genera il rincrescimento e l’odio, sino che due teneri amanti divengono due sposi irreconciliabili.

Così Maurizio e Camilla, i quali per innanzi furono contenti di amarsi riamando, incominciarono per leggieri cagioni ad aversi in dispetto, ed in questa guisa non avevano più a cuore di piacersi; appresso all’amore venne il disdegno, e fatto il proponimento di separarsi, più non conversavano insieme. Perciocchè la casa che abitavano, era della moglie; il marito, per istar lontano da lei, ne prese un’altra. Già si erano formati tutti i patti; già si avevano detto addio, e promesso di non rompere il proponimento; già la carrozza del marito aspettava alla porta; quando non preveduto caso distornò la partenza.

Avevano essi, in soave pegno di quell’amore che più non sentivano, un’amabile figliuoletta, di nome Eleonora, la quale così a Camilla come a Maurizio cara, compartiva intramendue quasi ad una misura le sue carezze innocenti, correndo a stringere or le ginocchia dell’uno, or quelle dell’altra. Maurizio levatosi per andarsene, disse alla cara sua Eleonora con una voce affettuosa: Tu, figlia mia, di’ addio a mamma. Camilla tremante tutta, disse più forte: No, no, Eleonora, va pure, vanne ad abbracciar Babbo. La figliuola rimarrà meco, con gli occhi pregni di pianto continuò ella. Sceglierà la fanciulla, riprese Maurizio; e la tapinella Eleonora, già vicina a piangere, cominciò a guardare nel viso or all’uno ora all’altra pietosamente. Camilla, già sollecita e timorosa, disse: Figlia mia, che? non ti piace di star con me? Sì, rispose ella: e nel volto della madre, come che lagrimoso, trasparve un sorriso. Vieni, Eleonora mia, seguitò Maurizio, non vuoi tu abitare col tuo caro Babbo? Sì, rispose Eleonora.

Allora la madre disse alla fanciulla, che non sa rinvenire dallo stupore: È omai passato per te il tempo di stare con ambedue noi. Oggi ci separiamo per non riverderci mai più; scegli dunque. A questo dire se le spezzò il cuore, e proruppe in un dirottissimo pianto. Il che veggendo Eleonora, e credendo non il padre se le fosse adirato, cominciò a fargli vezzi, e con dolci parolette a volerlo placare. Ah! Babbo mio, gli disse, vogliate bene alla cara mamma mia! Mamma vi vuol tanto bene! Qui Maurizio noti potendo resistere ai dolci affetti che lo stringeano, pose giù tutto il suo vano dispetto; e non ismentirono i suoi sguardi i moti del cuore. Si lasciarono ambedue trascorrere ai più soavi sfoghi: ambedue confessarono il proprio errore, e una nelle braccia dell’altro promisero di seppellirlo nell’obblivione. Caricarono ambedue di baci e di carezze la diletta loro Eleonora che li rendeva alla pace ed alla consolazione: fu lacerato lo scritto della separazione, e, come era venuta, se n’andò la vettura.

La separazione impedita Quid dulcius hominum generi datum est quam sui cui-que liberi? Amicitiae maximum vinculum est libero-rum procreatio Cicero~k Che cosa più dolce è stata all’uman genere concedu-ta; quanto sono a ciascuno i propri figliuoli? . . . Ilmaggior nodo dell’amicizia si è la generazione de’figliuoli. In su le prime strette del matrimonio gli sposi vivono contenti, perchè vivono amanti: ma posciachè questo sentimento lusinghevole ci è per la possession della cosa amata renduto meno dolce e meno vivo, ella ci piace meno, e meno ci è cara. Non istà guari tempo a passare quella fantasia che perfetto e non altro ci facea parere l’oggetto dell’amor nostro, ed allora si scuoprono difetti, e quando una cosa e quando un’altra ci vien disgustando. Muore la compiacenza, nasce la non curanza, e questa genera il rincrescimento e l’odio, sino che due teneri amanti divengono due sposi irreconciliabili. Così Maurizio e Camilla, i quali per innanzi furono contenti di amarsi riamando, incominciarono per leggieri cagioni ad aversi in dispetto, ed in questa guisa non avevano più a cuore di piacersi; appresso all’amore venne il disdegno, e fatto il proponimento di separarsi, più non conversavano insieme. Perciocchè la casa che abitavano, era della moglie; il marito, per istar lontano da lei, ne prese un’altra. Già si erano formati tutti i patti; già si avevano detto addio, e promesso di non rompere il proponimento; già la carrozza del marito aspettava alla porta; quando non preveduto caso distornò la partenza. Avevano essi, in soave pegno di quell’amore che più non sentivano, un’amabile figliuoletta, di nome Eleonora, la quale così a Camilla come a Maurizio cara, compartiva intramendue quasi ad una misura le sue carezze innocenti, correndo a stringere or le ginocchia dell’uno, or quelle dell’altra. Maurizio levatosi per andarsene, disse alla cara sua Eleonora con una voce affettuosa: Tu, figlia mia, di’ addio a mamma. Camilla tremante tutta, disse più forte: No, no, Eleonora, va pure, vanne ad abbracciar Babbo. La figliuola rimarrà meco, con gli occhi pregni di pianto continuò ella. Sceglierà la fanciulla, riprese Maurizio; e la tapinella Eleonora, già vicina a piangere, cominciò a guardare nel viso or all’uno ora all’altra pietosamente. Camilla, già sollecita e timorosa, disse: Figlia mia, che? non ti piace di star con me? Sì, rispose ella: e nel volto della madre, come che lagrimoso, trasparve un sorriso. Vieni, Eleonora mia, seguitò Maurizio, non vuoi tu abitare col tuo caro Babbo? Sì, rispose Eleonora. Allora la madre disse alla fanciulla, che non sa rinvenire dallo stupore: È omai passato per te il tempo di stare con ambedue noi. Oggi ci separiamo per non riverderci mai più; scegli dunque. A questo dire se le spezzò il cuore, e proruppe in un dirottissimo pianto. Il che veggendo Eleonora, e credendo non il padre se le fosse adirato, cominciò a fargli vezzi, e con dolci parolette a volerlo placare. Ah! Babbo mio, gli disse, vogliate bene alla cara mamma mia! Mamma vi vuol tanto bene! Qui Maurizio noti potendo resistere ai dolci affetti che lo stringeano, pose giù tutto il suo vano dispetto; e non ismentirono i suoi sguardi i moti del cuore. Si lasciarono ambedue trascorrere ai più soavi sfoghi: ambedue confessarono il proprio errore, e una nelle braccia dell’altro promisero di seppellirlo nell’obblivione. Caricarono ambedue di baci e di carezze la diletta loro Eleonora che li rendeva alla pace ed alla consolazione: fu lacerato lo scritto della separazione, e, come era venuta, se n’andò la vettura.