Zitiervorschlag: Giovanni Ferri di S. Costante (Hrsg.): "Il consolatore", in: Lo Spettatore italiano, Vol.4\64 (1822), S. 366-370, ediert in: Ertler, Klaus-Dieter / Fuchs, Alexandra (Hrsg.): Die "Spectators" im internationalen Kontext. Digitale Edition, Graz 2011- . hdl.handle.net/11471/513.20.928 [aufgerufen am: ].


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Il consolatore

Zitat/Motto► Ammonito Solone di non ispargere per la morte del
suo figliuolo vane lagrime ed inutili: Perciò, rispo-
se, io con più dritto le spargo, perchè vane elle
sono ed inutili

(Ap. Diog. Laër.). ◀Zitat/Motto

Ebene 2► Ebene 3► Allgemeine Erzählung► Il mio autore e il mio maestro, dicea Stoifilo, fu Seneca: ed avendo io un dì terminata appena la lettura de’suoi capitoli di consolazione contra il soverchio dolore d’avere gli amici perduti, mi sopravvenne un famigliare dicendomi di andar subito a casa del mio vicino Filanto. Chiusi il libro, e postami la man sul cuore: O Seneca, dissi, tu m’hai d’un usbergo armato il quale non che dal lutto di perdere parenti e amici, ma da ogni sorta di miserie mi francheggierà. E già mi sentirei forte a guatar con sicura fronte e saldo animo l’un mondo spezzarsi nell’altro, e l’universal ruina involvere ancora il mio capo.

Queste parole, per le quali non mi parea capire il cuore dentro il petto, non avea io finite, che mi fui alla porta del mio vicino: con questa fermezza andai dentro, e trovai nelle braccia di Filanto la donna sua pure allora trapassata. Erano intorno al letto tre bei figliuoletti, chiamando la morta madre; e il misero padre stava seduto appoggiando la testa al suo braccio, ed asciugando le sue lagrime, che di tener celate alla [367] sua famigliuola ingegnavasi. Ho io un buon rimedio ai suoi mali, dissi fra me; e con istoica gravità: Avete voi mai letto Seneca, gli domandai? No, rispose Filanto. A tal risposta il cuor mi tremò dalla gioia nel petto, e mi confortai sommamente di doverlo racconsolare: e tosto con gli argomenti di questo filosofo l’incominciai a dimostrare che essendo inevitabile la morte, vana cosa è il rammaricarsene; che nè pur ne importa il morire più una che altra morte; che è indifferente il morir più o men tardi, perciocchè la più lunga vita di poco spazio avanza la più breve; che un gran dolore può bene uccider noi, ma non tornarci i defunti.

Credendo io fermamente che avesse Filanto dato luogo alla forza di sì gravi consigli, tacqui un poco a veder se verun effetto avessero adoperato: ma egli tuttavia piangeva forte. Perchè io dissi meco: Io toccherò più forti ragioni di consolazione, e son certo che mi daran la vittoria. E da capo gli presi a dire che

Ebene 4► Zitat/Motto► La morte è fin d’una prigione oscura

Petr. ◀Zitat/Motto ◀Ebene 4

e fastidievole e dolorosa, dalla quale n’andiamo al soggiorno della pace e della felicità; che gli spiriti sorridono degl’ingannati mortali che della lor felicità si dolgono, ec. A questo Filanto facea pianto più dirotto assai: ed io che, con quel che gli ebbi ragionato, avrei creduto di potermi d’ogni orribile avversità leggiermente passare, non mi persuadeva che il mio vicino non ne dovesse ugualmente esser consolato: per la qual [368] cosa, senza suspicare che Seneca sforzasse la natura, tenni Filanto per uomo materiale e irragionevole. Mi gioverò io, dissi nel mio pensiere, o Seneca, delle tue consolazioni, se la grossa gente non ti dà udienza. E tornato a casa, ricominciai a leggerlo; e venutone al fine: È pur incredibile il caso, dissi io: qual razza d’uomo è mai il mio vicino? mi paiono sì sciocca e sì vil cosa questi affanni e questi lamenti, ch’io non so come potessi io mai tanto giù cadere che essi mi superassero. Oh, di quanto, Seneca, tenuto ti sono!

Aveva io allora un nipote che fin dalla sua puerizia mi era stato raccomandato, e col quale, avendolo io nelle mie cure, fatto avea l’ufficio di padre: ed egli con l’affezione e colla reverenza, che era quanto egli avea, me ne veniva molto ben cambiando. In quel tempo gli erano sì cascate le forze, ch’egli fieramente ne infermò; ed io sotto gli occhi miei di giorno in giorno me gli vedea, come neve al sole, il fior della vita andar via. Finchè i medici mi diedero speranza di guarigione, io ritenni la mia stoica costanza. Per qualunque cosa che possa accadergli, discorrea fra me, io mi condurrò sempre da filosofo. Ma quando dai medici fu disperato, allora mi sentii commuovere e conturbare, e stette l’animo tra Seneca e la natura. Nell’estremo di sua vita affisò i suoi sguardi ne’miei in guisa che mandommeli al cuore, per farmeli girare sempre nella memoria, e poi passò. Quivi la natura, a dispetto di Seneca, mi occupò tutte le potenze dell’anima, e i miei occhi si riempirono di lacrime. Le quali io [369] asciugandomi, e dicendo meco: Pur sarò io filosofo, mi riposi tra mani Seneca per alcun conforto riceverne. Ma la speranza mi tradì, ed io non ve ne ritrovi alcuna. Ah! Seneca, allora esclamai, tu m’hai ingannato co’tuoi fallaci ragionamenti: tu volevi farmi

Ebene 4► Zitat/Motto► Sciolto da tutte qualitati umane;

Petr. ◀Zitat/Motto ◀Ebene 4

ma questo pianto significa che tu faticasti invano.

In questo mi sopravvenne il mio vicino Filanto, e con gli stessi consigli ch’io avea a lui dati, m’incominciò a confortare: nè più nè meno ei mi fece, che io avessi a lui fatto. Sopraggiunse in seguito il sacro nostro pastore, e con tutte l’armi della religione si diede a guerreggiar il mio duolo: il quale, parlante lui, più abbondevolmente amministrava lagrime agli occhi miei. Furonmi intorno allora tutti i congiunti e conoscenti, provandosi pure se lo sconvolto animo ricompor mi potessero: ma conciofossechè essi con la natura avessero a fare, ogni lor prova inaspriva maggiormente il mio dolore. Finchè visse il mio nipote, mi parea d’averlo ottimamente tenuto; ma poichè si fu partito, non mi parve così; e tornavami a mente ogni motto, ogni sembiante che io gli avessi men che amorevolmente fatto, e per conseguente non mi credeva aver ben meritata la benivolenza sua. O Dio, diceva io dentro me, se i sentimenti che n’adduce la morte, fossero ben per tempo considerati, oh quanto meglio converserebbero gli uomini!

[370] Il tempo mitigò la mia afflizione; ma io rinunziai al mio assurdo stoicismo, avendo sperimentato che i teneri affetti sono la più preziosa dote dell’umanità; e chi si travaglia di svellerli dall’anima, vuol rifiutare il maggior dono che abbiagli fatto il cielo. ◀Allgemeine Erzählung ◀Ebene 3 ◀Ebene 2 ◀Ebene 1