Il lutto d’un amante Giovanni Ferri di S. Costante Moralische Wochenschriften Alexandra Fuchs Editor Alexandra Kolb Editor Valentina Rauter Editor Institut für Romanistik, Universität Graz 19.12.2016

o:mws-117-1137

Ferri di S. Costante, Giovanni: Lo Spettatore italiano, preceduto da un Saggio Critico sopra i Filosofi Morali e i Dipintori de’Costumi e de’Caratteri. Milano: Società Tipografica de’Classici Italiani 1822, 349-352 Lo Spettatore italiano 4 59 1822 Italien
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Il lutto d’un amante

Ah! te meae si partem animae rapitMaturior vis, quid moror altera? Nee carus aeque, nee superstes Integer?

Hor.

. . . . . . . . . Ah! se dell’animaParte sì grande acerba morte involami, L’altra che indugerà? Nè sopravvivere Non intero poss’io, ne lo desidero.

Pallavic.

Era il garzone Ricciardo, figliuol di un contadino, simigliante ad uno di quei pastorelli che per lo immaginar de’poeti ci son dipinti; perciocchè ogni atto della sua persona di una virile avvenentezza e di una natural leggiadria ornato era, e le sue guance per la cottura del sol fatte brune rilevavano gli occhi cilestri, i quali facean fede della bontà del cuore spirando sentimento. — Poca campagna infrapposta era dalla capanna del suo padre a quella nella quale una giovinetta di più basso stato ancora che quello di Ricciardo, abitava. La madre di Sabina, che così avea nome la fanciulla, rimasa vedova con tre figli, non con altro si sostenea che con l’opera delle sue braccia. E Ricciardo dalla sua umanità fu incontanente condotto a dimesticarsi con questa povera famigliuola, per modo che avea preso l’usanza di aiutarla a lavorare il suo campicello, e di porgerle tutti quelli sussidi che per l’umile condizion sua poteva prestare. Appena Sabina, che la prima era, uscì dalla puerile età, Ricciardo si sentì toccare il cuore a quella fiorente bellezza; segno evidente che la pietà è sorella d’amore.

Sono in guerra le più volte natura e fortuna, e di rado in un soggetto si raffrontano amendue. E di questo fu chiaro argomento Sabina, alla quale era stata larga de’suoi doni la natura, a dispetto della fortuna, la quale de’beni ond’ella è distributrice, niente conceduto le avea. L’amor villereccio non ha interesse nè altra viltà. Ricciardo della virtù e della bellezza di Sabina innamorato, non per altra visse che per lei: e ‘l cuor di Sabina sentendo le bontà di Ricciardo, gli rendè amore, il quale crebbe per modo, che al doversi con marital nodo congiungere era prefisso già il dì, ed erasi già il nome loro due volte detto in chiesa, ne alcuna invidiosa lingua v’avea ardito di contraddire; quando (ahi caduche nostre venture!) la salute di Sabina perdè tutto ad un punto il fiore, e nello scolorito sembiante apparvero i segni crudeli di quella malattia che guastatrice è d’ogni bellezza. Ricciardo con tutto che non l’avesse ancora avuta, pure non fu potuto per forza niuna divellere dalla sponda del letto dove afflitta e deformata giacea la sua diletta. Sabina sentendosi omai presso al terminare, stringendo nella sua la man di Ricciardo, lo cominciò a pregare che non dovesse della sua morte rammaricarsi, ma gli piacesse di vivere a conforto della madre sua già piena d’anni. — Ella sarà la madre mia, rispose Ricciardo; ma io ne verrò dietro alla mia Sabina.

La pura anima di Sabina, avanti che l’innamorato giovane al fine di queste parole aggiungesse, era trapassata. Ho veduto io lui menar la tribolata madre alla sepoltura di Sabina, e tutte le giovanette ed i garzoni accompagnare il funerale e venirla piangendo. Non saliva sera, nè mattino nasceva, che non trovasse Ricciardo alla tomba di Sabina: nè tempo, nè altro ebbe potenza di mitigargli il dolore. Gli si erano smorte le guance, e gli occhi, per lo piangere, sotto la fronte fuggiti: nè più altro parea che l’ombra di sè. Pietà mi mosse a visitar lo sventurato, a provare se ragionando gli potessi quel soverchio duolo disacerbare. Gli volli mostrare che s’egli durava in quell’abbandonamento, poco più di vita gli avanzava; e questa maniera seguitando, egli sarebbe andato a venir meno della fede alla sua cara Sabina promessa. Voi, signore, avete preso errore, con tutta pace mi rispose. Io non morrò se prima non avrò la mia parola renduta intera. Ma pervenuto che fia quel desiderato punto, non sarà forza del mondo che più oltre mi ci indugi. Ringrazio voi della cura che della sorte mia vi stringe; ma ella sta pur così.

Io non intesi quello che queste parole inferissero: anzi il credetti un poco alienato per la gran doglia, che io portava speranza dover cedere al tempo. Furono queste cose in su l’uscir dell’ottobre, e poco appresso mi fui restituito in città. L’anno dopo pure in villa tornatomi, cercai subitamente, che fosse avvenuto del misero Ricciardo: e mi fu risposto ch’egli aveva continuato a trascinarsi ogni dì alla sepoltura di Sabina; che in su ‘l mese di agosto essendo divenuto maggiore d’età, egli era andato alla città vicina a far testamento, e lasciare tutti i suoi beni alla madre di Sabina; che in seguito si ritornò diritto alla dolente casa dove l’amata sua donna avea tomba, e, lavatala del suo pianto, vi finì.

Il lutto d’un amante Ah! te meae si partem animae rapitMaturior vis, quid moror altera? Nee carus aeque, nee superstes Integer? Hor. . . . . . . . . . Ah! se dell’animaParte sì grande acerba morte involami, L’altra che indugerà? Nè sopravvivere Non intero poss’io, ne lo desidero. Pallavic. Era il garzone Ricciardo, figliuol di un contadino, simigliante ad uno di quei pastorelli che per lo immaginar de’poeti ci son dipinti; perciocchè ogni atto della sua persona di una virile avvenentezza e di una natural leggiadria ornato era, e le sue guance per la cottura del sol fatte brune rilevavano gli occhi cilestri, i quali facean fede della bontà del cuore spirando sentimento. — Poca campagna infrapposta era dalla capanna del suo padre a quella nella quale una giovinetta di più basso stato ancora che quello di Ricciardo, abitava. La madre di Sabina, che così avea nome la fanciulla, rimasa vedova con tre figli, non con altro si sostenea che con l’opera delle sue braccia. E Ricciardo dalla sua umanità fu incontanente condotto a dimesticarsi con questa povera famigliuola, per modo che avea preso l’usanza di aiutarla a lavorare il suo campicello, e di porgerle tutti quelli sussidi che per l’umile condizion sua poteva prestare. Appena Sabina, che la prima era, uscì dalla puerile età, Ricciardo si sentì toccare il cuore a quella fiorente bellezza; segno evidente che la pietà è sorella d’amore. Sono in guerra le più volte natura e fortuna, e di rado in un soggetto si raffrontano amendue. E di questo fu chiaro argomento Sabina, alla quale era stata larga de’suoi doni la natura, a dispetto della fortuna, la quale de’beni ond’ella è distributrice, niente conceduto le avea. L’amor villereccio non ha interesse nè altra viltà. Ricciardo della virtù e della bellezza di Sabina innamorato, non per altra visse che per lei: e ‘l cuor di Sabina sentendo le bontà di Ricciardo, gli rendè amore, il quale crebbe per modo, che al doversi con marital nodo congiungere era prefisso già il dì, ed erasi già il nome loro due volte detto in chiesa, ne alcuna invidiosa lingua v’avea ardito di contraddire; quando (ahi caduche nostre venture!) la salute di Sabina perdè tutto ad un punto il fiore, e nello scolorito sembiante apparvero i segni crudeli di quella malattia che guastatrice è d’ogni bellezza. Ricciardo con tutto che non l’avesse ancora avuta, pure non fu potuto per forza niuna divellere dalla sponda del letto dove afflitta e deformata giacea la sua diletta. Sabina sentendosi omai presso al terminare, stringendo nella sua la man di Ricciardo, lo cominciò a pregare che non dovesse della sua morte rammaricarsi, ma gli piacesse di vivere a conforto della madre sua già piena d’anni. — Ella sarà la madre mia, rispose Ricciardo; ma io ne verrò dietro alla mia Sabina. La pura anima di Sabina, avanti che l’innamorato giovane al fine di queste parole aggiungesse, era trapassata. Ho veduto io lui menar la tribolata madre alla sepoltura di Sabina, e tutte le giovanette ed i garzoni accompagnare il funerale e venirla piangendo. Non saliva sera, nè mattino nasceva, che non trovasse Ricciardo alla tomba di Sabina: nè tempo, nè altro ebbe potenza di mitigargli il dolore. Gli si erano smorte le guance, e gli occhi, per lo piangere, sotto la fronte fuggiti: nè più altro parea che l’ombra di sè. Pietà mi mosse a visitar lo sventurato, a provare se ragionando gli potessi quel soverchio duolo disacerbare. Gli volli mostrare che s’egli durava in quell’abbandonamento, poco più di vita gli avanzava; e questa maniera seguitando, egli sarebbe andato a venir meno della fede alla sua cara Sabina promessa. Voi, signore, avete preso errore, con tutta pace mi rispose. Io non morrò se prima non avrò la mia parola renduta intera. Ma pervenuto che fia quel desiderato punto, non sarà forza del mondo che più oltre mi ci indugi. Ringrazio voi della cura che della sorte mia vi stringe; ma ella sta pur così. Io non intesi quello che queste parole inferissero: anzi il credetti un poco alienato per la gran doglia, che io portava speranza dover cedere al tempo. Furono queste cose in su l’uscir dell’ottobre, e poco appresso mi fui restituito in città. L’anno dopo pure in villa tornatomi, cercai subitamente, che fosse avvenuto del misero Ricciardo: e mi fu risposto ch’egli aveva continuato a trascinarsi ogni dì alla sepoltura di Sabina; che in su ‘l mese di agosto essendo divenuto maggiore d’età, egli era andato alla città vicina a far testamento, e lasciare tutti i suoi beni alla madre di Sabina; che in seguito si ritornò diritto alla dolente casa dove l’amata sua donna avea tomba, e, lavatala del suo pianto, vi finì.