Zitiervorschlag: Giovanni Ferri di S. Costante (Hrsg.): "Il ritiro", in: Lo Spettatore italiano, Vol.4\42 (1822), S. 264-268, ediert in: Ertler, Klaus-Dieter / Fuchs, Alexandra (Hrsg.): Die "Spectators" im internationalen Kontext. Digitale Edition, Graz 2011- . hdl.handle.net/11471/513.20.906 [aufgerufen am: ].


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Il ritiro

Zitat/Motto► Niuno sia col quale ami meglio d’essere, che teco

(Bartol. da S. Conc.). ◀Zitat/Motto

Ebene 2► A render comportabile a ciascuno la solitudine non basta la libertà e la quiete che vi si trova; perchè all’uomo, per sostenersi da se solo, fa mestieri una singolar natura ed un ingegno assai colto. L’anima in uno ermo e rimosso casale bisogna che tutta quanta sia attiva; sicchè privata di occupazioni vi dee patire. Ma nelle grandi e piene città, benchè sia passiva, è sempre occupata, essendo quasi impossibile evitar l’impressioni degli oggetti che da se medesimi ci si parano innanzi. Coloro i quali non sono da tanto che goder possano della solitudine, subitamente sentono dileguarsi, a modo d’un sogno, la felicità che in quella immaginarono.

Ebene 3► Exemplum► Auronio avendo sin da fanciullo esercitato la mercatura, pregava continuamente la fortuna che tanto gli si prestasse, quanto potesse arrivare in appartato vivere, per riposo e libertà sperimentare. Fortuna ne gli compiacque in guisa che del traffico gli cominciò ad increscere; e bene non sentiva, se non quando fosse stato in un agio pienamente tranquillo; e non avea per le labbra altre parole che la briga ed i turbamenti del negozio, e la beatitudine dell’agreste vita: ultimamente trattosi fuor del suo [265] traffico, spese tutto il suo avere alla compera d’una gran terra, là dove alcun tempo ebbe di quello che vi disiderò. Raffazzonò il vecchio abituro, rimise in assetto il giardino, piantò verzure, condusse acqua, e ristorò ed acconciò tutto, come a volervi bene stare facea luogo. E quando ebbe ordinato ed abbellito compiutamente il suo bel podere, lo facea vedere a quanti per indi passavano. Ma non dimorò molto, che il godimento gli si convertì in costume; e non gli era più novità nè piacere il passeggiare lungo il suo bel giardino, o per entro le ricche sue stanze; sicchè le sue giornate avean principio e fine in un gran nulla; stanco e sazio di se medesimo or di qua, or di là se ne andava, sempre le vedute cose veggendo, e pien di noia si riduceva a casa, senza che sperar potesse di trovar diporto o ricreamento.

Auronio nel ricordarsi il tempo felice, quando pertempissimo si levava a faticare, quando la sopravvegnente notte lo richiamava troppo tosto a dormire, nel veder sì di rado ora nascere la mattutina luce, può ben dire, come il demonio di Milton: Io abborro il tuo raggio. Lo lascia il sonno, e lo piglia la noia; e dal punto ch’egli si desta, tutto il suo affare è pensare siccome passi le ore seguenti: e s’indugia la colezione più che può, per non aver faccenda sino a desinare; e questo ancora ritarda, per non soffrir lunga la venuta della cena. E perchè non mangia per fame, ma per non aver altro da fare, alla fine gli esce del gusto anche la ricreazion della tavola.

[266] Della lavorazion dei campi nulla intende Auronio, e non cura affatto il suo giardino, per non aver mai studiati li frutti della natura, e li tesori suoi e la sua varietà; sicchè gli agresti diletti sono a lui come se non fossero. La caccia non è più della sua età, e lo stormo dei cani non gli è un’armonia soave ad udire, e gli vien pietà degl’innocenti animali che di un crudel sollazzo son vittime.

Gli avevano detto che a passar bene le ore dell’ozio ed a scorciare il tempo, aiuta assai la lettura; e però d’un’ampia ed eletta biblioteca si provvide: ma come furono i libri, secondo la loro classe, alluogati, non gli porsero più quel diletto ch’egli si aspettava. Non poteva, diceva egli, curare accidenti tanto innanzi stati, e che perciò non gli appartenevano in conto alcuno; nè comprendere come tanti volumi scritti fossero sopra argomenti, i quali da lui fino allora pienamente ignorati, non gli avevano impedito ai vivere lunga stagione felice.

Della compagnia de’vicini che splendidamente egli usava, non traeva alleggiamento alcuno al suo fastidio; perchè quei gentiluomini contadini, i quali non avendo mai trattato negozi, nè mercatanzie, sempre dei campagnuoli lavorii, della caccia, delle cose degli antenati ragionavano; le quali cose non solamente non gradivano ad Auronio, ma gli facevano sofferir solitudine in mezzo alla brigata. In somma Auronio per volere essere felice dietro gli esempi altrui; si ritrova infelice. ◀Exemplum ◀Ebene 3

Ebene 3► Exemplum► Elmone s’è similmente appartato dallo strepito e dalle briglie, per godere delle delizie [267] della solitudine. E però dilungato moltissimo dalla metropoli, e andato ad abitare nella più rimota provincia, pose la sua stanza sopra una piccola montagnetta, per onde si veggono pianure bellissime; e per lo dolce pendío di quella ordinò il suo giardino, divisandone egli stesso con bella semplicità i compartimenti, in fondo al quale ha un bel fiumicello, che fra vive pietre cadendo, con le sue acque chiare e monde, dilettevolissimo è a riguardare. E con tutto che in sì piacevole sito questo casamento posto sia, ci è stato chi ha detto che il fresco aere, e la bella contrada, e la calma del cheto luogo non adempiono il difetto che ci è dei vicini, poichè non ci sono abitanze che indi a due miglia. Ma perciocchè Elmone è da sè ben sufficiente a rendersi lieta la solitudine, non s’accorge di quest’abbandonamento; non gli mancando un vivissimo sentimento, un’indole naturalmente piacevole; essendo di letteratura e di musica innamorato assai, e misuratamente dei campestri sollazzi e comunali dilettandosi. Gli piace molto la botanica e la storia naturale, a cui diede opera nella sua gioventù: il che gli fa perfezionare il giardino che coltiva, nel quale moltissime piante utili e rare ha messe.

Ed acciocchè il romito vivere non gli impedisca le novelle del mondo, egli si fa avvisare e fornire di giornali e di altre cotidiane opere che abbiano più riputazione. E così ha il destro di considerare i costumi, le mode e le politiche bisogne del tempo; dalle quali considerazioni gli si riveste lo spirito di quella liberalità che contrassegna il vero filosofo; merito di cui forse è tenuto alla solitudine.

[268] E come che egli tutto il suo tempo dispensi al recreamento della lettura, alla musica, alla caccia ed alle campestri fatiche, non è mai sì contento, come quando rivede, e sta con alcuno amico a lui per similitudine di mente, di cuore e di costumi carissimo. Onde che senza il piacere dall’amicizia, chi sa peravventura se potesse egli vivere fuor del mondo? Ma in compagnia d’un amico non si conosce lo stare in solitudine. ◀Exemplum ◀Ebene 3 ◀Ebene 2 ◀Ebene 1