Lo studio dell’antichità Giovanni Ferri di S. Costante Moralische Wochenschriften Alexandra Fuchs Editor Alexandra Kolb Editor Andrea Kaser Editor Institut für Romanistik, Universität Graz 01.12.2016

o:mws-117-1073

Ferri di S. Costante, Giovanni: Lo Spettatore italiano, preceduto da un Saggio Critico sopra i Filosofi Morali e i Dipintori de’Costumi e de’Caratteri. Milano: Società Tipografica de’Classici Italiani 1822, 401-405 Lo Spettatore italiano 3 89 1822 Italien
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Lo studio dell’antichità

Sapientiam antiquorum esquiret sapiens

(Eccles. 39).

Molto saviamente fa, chi la sapienza degli Antichi sollecitamente cerca

(Bartolom. da. S. Conc.).

No, diceva Novilio, io non potrò mai gran fatto estimare coloro che attendono solamente allo studio delle cose antiche; perocchè essi non sono giammai di que’tempi nè di quella nazione in che vivono, e danno opera a laboriose inezie per avere il frivolo vanto di sapere piccole cose, ignorate le più volte dagli altri, per ciò solo che degne non le han credute di essere apparate.

Sebbene gli eruditi e gli antiquarii di questa maniera, rispose Aristo, sieno molti, pure si vuol distinguere la pedanteria dalla vera scienza. Non v’ha dubbio che i ricercatori delle cose antiche hanno colle loro faticose industrie a noi ravvicinato i primi tempi del mondo, e nostre hanno fatte molte cognizioni ed arti utili che si sarebbero senza di loro perdute per sempre. Guardiamoci adunque dal biasimare sì facilmente le costoro ricerche. Imperocchè sembrerà talvolta poco importante lo scoprimento di alcuni obietti, ove vogliansi soltanto considerare di per sè; ma pregevole molto addiviene quando si ponga mente alle sue conseguenze, le quali spesso condurne sogliono ad altri obietti d’una vera importanza. Colui che intende a radunare grandi ricchezze, non trascura anche il più piccol guadagno; e il simile far dee chi vuole a verace sapienza pervenire.

Ma quando lo studio delle cose antiche non avesse in sè così grande utilità, non saria però meno da commendare, poichè egli è all’immaginazione nostra origine feconda d’infiniti piaceri. Questa sì viva facoltà dell’umano intendimento quanto diletto non prende nello sforzarsi che fa per risalire a secoli andati, per rendere alla luce avvenimenti già dal tempo nelle tenebre sepolti, e per tenere dietro ai progressi dell’umana generazione dalla sua infanzia sino alla matura età?

Non dee recar meraviglia, soggiunse Novilio, che al presente non s’abbia in gran conto lo studio dell’antichità; perocchè ciò necessariamente procede dai grandi avanzamenti che da due secoli in qua fatti si sono nelle scienze. Ad onta di questi, riprese Aristo, conviene por mente che lungo cammino rimane ancora a fornire, che gli antichi avevano in molte arti di certi preziosi secreti non ancor per noi ritrovati, e che il solo studio dell’antichità ne può scorgere a darli di nuovo alla luce. Senza che, in quei tempi d’ignoranza e di tenebre che precedettero il rinascimento delle lettere, delle scienze e delle arti, sì varie sono state le vicende, sì moltiplici e sì nuovi gli usi e i costumi introdotti, ch’esser non può di lieve momento il conoscerli. Tale è la forza e l’energia dell’umana mente, che eziandio nei più tenebrosi tempi assai cose furono scoperte le quali meritarono d’essere dai secoli più illuminati seguitate. Quante nostre costumanze, quante instituzioni, quante leggi ancor le più saggie nate sono in quei secoli d’ignoranza e di tenebre! Chi può credere che quelli i quali hanno saputo essere inventori di tali instituzioni, che degne fossero dei popoli più civili, non ne abbiano avute di molte altre egualmente meritevoli d’essere imitate? Il sagace antiquario va cercando fra quelle oscurità ciò che fuori traendolo esser potrebbe di una verace utilità. Molte ed universali sono le cognizioni e il sapere del secol nostro, ma non sufficienti però a rischiarare quei tempi tenebrosi senza un lungo studio e un diligente investigamento. Così ai camminanti sopra la terra bastano i raggi del sole a scorgere i passi, mentre a chi vuol penetrare nel buio delle sotterranee caverne è forza valersi del chiaror delle faci per istenebrarle.

Confesso, disse Novilio, che lo studio delle cose antiche non è senza grandi utilità; ma chi negherà che la maggior parte degli eruditi e degli antiquarii non dieno nello strano e nel ridicolo? Alcuni discorrono gravemente di vane inezie, di cose delle quali niente cale al pubblico, nè mai danno opera a dilucidare articoli importanti ed utili alla società. Gettano essi il loro tempo in vane congetture sopra argomenti ne’quali la stessa evidenza di niun giovamento sarebbe. Tal altro studiosamente certi avanzi raccoglie, li quali di nessun pregio nella loro origine, di niun uso sono nel lor ritrovamento, e che in conto si tengono solo perchè hanno dell’antico. Essi cercano quelle frivolezze con una sollecitudine che appena in cose grandi si potría comportare; cosicchè meritano d’essere poste nella stessa classe di coloro che hanno la mama di raccoglier fiori, conchiglie e farfalle.

Vadio, fino dalla sua gioventù, non ha inteso che a studiare gli antichi. Egli ha scorso le più rinomate biblioteche per fare il sunto de’più vecchi manoscritti, e conoscere ancor le varianti sopra alcuni testi greci e latini. Se per avventura egli trova di qualche frammento lacero, informe e difficile a ricomporsi e a rischiararsi, egli stima aver fatto un preziosissimo ritrovamento, onde ai tarli professa grande obbligo, che rodono quei manoscritti. Siccome gli autori antichi a tutto per suo avviso prevagliono, così i loro commentatori Scaligero, Gronovio, Bentley, ed altri simili a questi, sono da lui riputati per li maggiori ingegni de’tempi moderni. Egli ha piena la mente dei sistemi de’filosofi greci, e crede alle homeomerie d’Anassagora, agli atomi d’Epicuro, alla metempsicosi di Pittagora; e non fa nessun conto di Bacone, di Galileo, di Cartesio, di Leibnitz, di Newton, de’quali appena il nome ei conosce. Vadio trovandosi gravemente infermo e disperato della salute, diceva agli amici: “Ciò che forma nel morire la mia consolazione, è l’esser conscio a me stesso di non aver mai letto un moderno.”

Ruderio in niuna altra cosa il suo tempo ha speso, che nella ricerca di quanto ha l’apparenza dell’antichità. Moribus antiquis “all’antica foggia” è il motto a lui caro: fra tutte le masserizie della sua casa neppur una ve n’ha che non vanti molti secoli d’esistenza. Chi discorrer l’udisse, crederebbe ch’ei fosse stato coetaneo ai Greci ed ai Romani. Egli non conosce che la storia antica, e tutti distintamente nominar potrebbe i re della famiglia de’Tolomei, mentre che poi ignora i nomi di quelli che oggidì regnano in Europa. Ruderio meglio raffigurerebbe le sembianze degli Antonini, che quelle dei regnanti del suo paese. Egli saprà ben recitarvi le spedizioni d’Alessandro, e rendervi un minuto ragguaglio della falange macedone; ma delle guerre che tanto hanno conferito al bene o al mal essere della sua nazione, poco o nulla sa dire. Lo scopo principale dell’indefesso studio di Ruderio è di distinguere le medaglie vere dalle false, non che di determinare i differenti tempi in cui furono coniate. Non solo al colore, ma anche al sapor della ruggine vuol poter dirti: Questa medaglia è antica, questa no. Ruderio è ricchissimo di vecchie monete; e più agevolmente numerar saprebbe una somma in sesterzi, che in lire e scudi. Questa pazza voglia di raccogliere cose antiche ha quasi tutte le sue sostanze consumate, per modo ch’egli vendè ultimamente la propria casa per conservare i suoi Dei Penati.

Lo studio dell’antichità Sapientiam antiquorum esquiret sapiens (Eccles. 39). Molto saviamente fa, chi la sapienza degli Antichi sollecitamente cerca (Bartolom. da. S. Conc.~k). No, diceva Novilio, io non potrò mai gran fatto estimare coloro che attendono solamente allo studio delle cose antiche; perocchè essi non sono giammai di que’tempi nè di quella nazione in che vivono, e danno opera a laboriose inezie per avere il frivolo vanto di sapere piccole cose, ignorate le più volte dagli altri, per ciò solo che degne non le han credute di essere apparate. Sebbene gli eruditi e gli antiquarii di questa maniera, rispose Aristo, sieno molti, pure si vuol distinguere la pedanteria dalla vera scienza. Non v’ha dubbio che i ricercatori delle cose antiche hanno colle loro faticose industrie a noi ravvicinato i primi tempi del mondo, e nostre hanno fatte molte cognizioni ed arti utili che si sarebbero senza di loro perdute per sempre. Guardiamoci adunque dal biasimare sì facilmente le costoro ricerche. Imperocchè sembrerà talvolta poco importante lo scoprimento di alcuni obietti, ove vogliansi soltanto considerare di per sè; ma pregevole molto addiviene quando si ponga mente alle sue conseguenze, le quali spesso condurne sogliono ad altri obietti d’una vera importanza. Colui che intende a radunare grandi ricchezze, non trascura anche il più piccol guadagno; e il simile far dee chi vuole a verace sapienza pervenire. Ma quando lo studio delle cose antiche non avesse in sè così grande utilità, non saria però meno da commendare, poichè egli è all’immaginazione nostra origine feconda d’infiniti piaceri. Questa sì viva facoltà dell’umano intendimento quanto diletto non prende nello sforzarsi che fa per risalire a secoli andati, per rendere alla luce avvenimenti già dal tempo nelle tenebre sepolti, e per tenere dietro ai progressi dell’umana generazione dalla sua infanzia sino alla matura età? Non dee recar meraviglia, soggiunse Novilio, che al presente non s’abbia in gran conto lo studio dell’antichità; perocchè ciò necessariamente procede dai grandi avanzamenti che da due secoli in qua fatti si sono nelle scienze. Ad onta di questi, riprese Aristo, conviene por mente che lungo cammino rimane ancora a fornire, che gli antichi avevano in molte arti di certi preziosi secreti non ancor per noi ritrovati, e che il solo studio dell’antichità ne può scorgere a darli di nuovo alla luce. Senza che, in quei tempi d’ignoranza e di tenebre che precedettero il rinascimento delle lettere, delle scienze e delle arti, sì varie sono state le vicende, sì moltiplici e sì nuovi gli usi e i costumi introdotti, ch’esser non può di lieve momento il conoscerli. Tale è la forza e l’energia dell’umana mente, che eziandio nei più tenebrosi tempi assai cose furono scoperte le quali meritarono d’essere dai secoli più illuminati seguitate. Quante nostre costumanze, quante instituzioni, quante leggi ancor le più saggie nate sono in quei secoli d’ignoranza e di tenebre! Chi può credere che quelli i quali hanno saputo essere inventori di tali instituzioni, che degne fossero dei popoli più civili, non ne abbiano avute di molte altre egualmente meritevoli d’essere imitate? Il sagace antiquario va cercando fra quelle oscurità ciò che fuori traendolo esser potrebbe di una verace utilità. Molte ed universali sono le cognizioni e il sapere del secol nostro, ma non sufficienti però a rischiarare quei tempi tenebrosi senza un lungo studio e un diligente investigamento. Così ai camminanti sopra la terra bastano i raggi del sole a scorgere i passi, mentre a chi vuol penetrare nel buio delle sotterranee caverne è forza valersi del chiaror delle faci per istenebrarle. Confesso, disse Novilio, che lo studio delle cose antiche non è senza grandi utilità; ma chi negherà che la maggior parte degli eruditi e degli antiquarii non dieno nello strano e nel ridicolo? Alcuni discorrono gravemente di vane inezie, di cose delle quali niente cale al pubblico, nè mai danno opera a dilucidare articoli importanti ed utili alla società. Gettano essi il loro tempo in vane congetture sopra argomenti ne’quali la stessa evidenza di niun giovamento sarebbe. Tal altro studiosamente certi avanzi raccoglie, li quali di nessun pregio nella loro origine, di niun uso sono nel lor ritrovamento, e che in conto si tengono solo perchè hanno dell’antico. Essi cercano quelle frivolezze con una sollecitudine che appena in cose grandi si potría comportare; cosicchè meritano d’essere poste nella stessa classe di coloro che hanno la mama di raccoglier fiori, conchiglie e farfalle. Vadio, fino dalla sua gioventù, non ha inteso che a studiare gli antichi. Egli ha scorso le più rinomate biblioteche per fare il sunto de’più vecchi manoscritti, e conoscere ancor le varianti sopra alcuni testi greci e latini. Se per avventura egli trova di qualche frammento lacero, informe e difficile a ricomporsi e a rischiararsi, egli stima aver fatto un preziosissimo ritrovamento, onde ai tarli professa grande obbligo, che rodono quei manoscritti. Siccome gli autori antichi a tutto per suo avviso prevagliono, così i loro commentatori Scaligero, Gronovio, Bentley, ed altri simili a questi, sono da lui riputati per li maggiori ingegni de’tempi moderni. Egli ha piena la mente dei sistemi de’filosofi greci, e crede alle homeomerie d’Anassagora, agli atomi d’Epicuro, alla metempsicosi di Pittagora; e non fa nessun conto di Bacone, di Galileo, di Cartesio, di Leibnitz, di Newton, de’quali appena il nome ei conosce. Vadio trovandosi gravemente infermo e disperato della salute, diceva agli amici: “Ciò che forma nel morire la mia consolazione, è l’esser conscio a me stesso di non aver mai letto un moderno.” Ruderio in niuna altra cosa il suo tempo ha speso, che nella ricerca di quanto ha l’apparenza dell’antichità. Moribus antiquis “all’antica foggia” è il motto a lui caro: fra tutte le masserizie della sua casa neppur una ve n’ha che non vanti molti secoli d’esistenza. Chi discorrer l’udisse, crederebbe ch’ei fosse stato coetaneo ai Greci ed ai Romani. Egli non conosce che la storia antica, e tutti distintamente nominar potrebbe i re della famiglia de’Tolomei, mentre che poi ignora i nomi di quelli che oggidì regnano in Europa. Ruderio meglio raffigurerebbe le sembianze degli Antonini, che quelle dei regnanti del suo paese. Egli saprà ben recitarvi le spedizioni d’Alessandro, e rendervi un minuto ragguaglio della falange macedone; ma delle guerre che tanto hanno conferito al bene o al mal essere della sua nazione, poco o nulla sa dire. Lo scopo principale dell’indefesso studio di Ruderio è di distinguere le medaglie vere dalle false, non che di determinare i differenti tempi in cui furono coniate. Non solo al colore, ma anche al sapor della ruggine vuol poter dirti: Questa medaglia è antica, questa no. Ruderio è ricchissimo di vecchie monete; e più agevolmente numerar saprebbe una somma in sesterzi, che in lire e scudi. Questa pazza voglia di raccogliere cose antiche ha quasi tutte le sue sostanze consumate, per modo ch’egli vendè ultimamente la propria casa per conservare i suoi Dei Penati.