Zitiervorschlag: Giovanni Ferri di S. Costante (Hrsg.): "Il sordo e il cieco", in: Lo Spettatore italiano, Vol.3\22 (1822), S. 85-89, ediert in: Ertler, Klaus-Dieter / Fuchs, Alexandra (Hrsg.): Die "Spectators" im internationalen Kontext. Digitale Edition, Graz 2011- . hdl.handle.net/11471/513.20.794 [aufgerufen am: ].


Ebene 1►

Il sordo e il cieco

Zitat/Motto► Si nox non adimit vitam beatam, cur dies noeti si-
milis adimat? Luminibus amissis alba et atra di-
scernere non potest: at vero bona, mala: aequa,
iniqua; honesta, turpia. Ut caecos ad aurium tra-
ducimus voluptatem, sic licet surdos ad oculo-
rum. Etenim qui secum loqui poterit, sermonem al-
terius non requiret

(Cicer. Tuscul. lib. V).

Se la notte non toglie la felicità della vita, perchè mai
la toglierà un giorno simile alla notte? Chi ha per-
duto gli occhi non può più distinguere il bianco dal
nero, ma può distinguer bensì i beni dai mali, le
cose giuste dalle ingiuste, le oneste dalle turpi. Sic-
come confortiamo i ciechi a prevalersi dei piaceri
dell’orecchio, così possiamo confortare i sordi a va-
lersi dei piaceri dell’occhio. Ed in vero chi avrà il
dono di saper ragionare seco medesimo, non avrà
bisogno de’ragionamenti altrui. ◀Zitat/Motto

Ebene 2► Il poter usare de’nostri sensi, ed il goderne i vantaggi ed i piaceri, gli è un bene di cui solamente, perdendolo noi, o veggendolo perdere ad altrui, conosciamo il pregio. Sovente fu fatta questione, se più grave sia la perdita dell’udire, o quella del vedere. Per certo un sordo, come che molto sia da compiangere, non mette in altrui tanta compassione, quanta ne muove un cieco, perchè non è così visibile la sua disavventura. Ma pochi vicino ad un cieco trapassano senza compatirgli se è ricco, nè senza soccorrerlo se povero; mentre che il sordo conviene che propriamente si disponga a sopportare [86] la sua disavventura nel silenzio e nell’abbandono. È noto che mesto per lo più sta il sordo, laddove il cieco ha spesse volte l’allegria per compagna. Al primo dee quello avvenire dal ritrovarsi sempre scompagnato da tutti, perciocchè egli, come persona che non può intrattenersi nelle brigate, nè al recreamento di quelle giovare, è negletto, e schivato non altrimenti che sogliono essere le cose increscevoli, e quindi solo ritrovasi e di mestizia ingombro in mezzo ancora delle pienissime e sollazzevoli conversazioni. Non ha nel mondo per avventura che il sordo il quale tutta sappia bene la grandezza dell’infelicità sua.

Ebene 3► Exemplum► Se afflitto io fossi, Eugenio diceami, per siffatta perdita, mi dividerei dalla società, nè altre persone sosterrei con me fuori di quelle cui increscesse del mio misero stato, e che cura e studio avessero di addolcirmelo. Mi vorrei fuggire dal mondo, ed occuparmi tutto a meditare e leggere, e tutto ciò fare che avrei fatto, rimanendo solo, prima che mi fosse tolto l’udito: sebbene tutti questi piaceri non mi compenserebbero un’ora sola di amichevole colloquio. Quanto perciò del sordo, che non ha schermo nè scampo dagli assalti della noia e della malinconia, è da aver compassione! Non è cosa che nella solitudine, cui è condannato, possa rallegrarlo; e derelitto da ogni parte, egli è condotto a consumar la vita in un deserto. ◀Exemplum ◀Ebene 3

Avvegna che molto da compianger sia un sordo, tuttavia la perdita degli occhi generalmente è reputata per la più dolorosa delle corporali avversità. Ed è ragione; perchè le più [87] dilettevoli affezioni che noi riceviamo da tutte le cose della natura, sonoci porte per la vista, e ad essa siamo per la maggior parte tenuti delle nostre cognizioni, e del ritrovamento delle scienze e delle arti. E chi, considerando la varietà degli oggetti che l’occhio ad un’ora ed insieme è sufficiente a ricevere, non se ne dee poter meravigliare? L’occhio vegghia e spia se mali ci soprastanno, e guida i nostri passi, e raccoglie tutti i visibili oggetti, la cui varietà e bellezza così ad ammaestrarci come a dilettarci è ordinata. Tanto cara ho questa facoltà, che rade volte accade che io vegga una cosa piacevole, e non ripensi che se di questo senso meraviglioso fornito non fossi, quella per me non ci sarebbe.

Se a me l’orribile infortunio della cecità toccasse, io spero che così la soffrirei, come colui che comprende essergli stata tolta la luce da quello che già glie l’avea donata. Ma non sento di meno che il più soave di tutti i piaceri e il sommo di tutti i beni io perderei. Ah! che allora più mirare non potrei il cielo, le campagne, gli alberi, le praterie; non più vedrei i miei figli, e i loro scherzi e le loro feste; non li vedrei divenir grandi e belli, e alla cara mia donna somiglianti!

No, senza dubbio, non ci ha più crudele sciagura che quella di essere della luce del dì a un tratto spogliato

Zitat/Motto► Nell’età sua più bella e più fiorita.

Petr. ◀Zitat/Motto

Ebene 3► Exemplum► Tal fu la dura sorte del mio misero amico Ruberto. Spronato dall’amore della patria a [88] farle difesa, egli fece grandi e laudevoli imprese, ma un colpo di fuoco lo acciecò. Ed io stretto dal dolore del suo male, corsi, come verace amico dee fere, a visitarlo nel contado, dove egli dimorava, a recargli alcuno conforto e alleggiamento. Lo vidi da lunge che mi veniva incontro, scendendo giù dalla collina, condotto dall’affettuosa sua sorella Giulia; e quando gli fui sì presso ch’egli poteva la mia voce intendere, Ruberto, gridai, mio caro Ruberto! Allora lo vidi affrettare il passo, ed avvicinatosi colle aperte braccia: Io veder non ti posso, mio caro amico, ei mi disse! ma posso bene abbracciarti! Quindi ci sedemmo all’ombra di una fronzuta quercia sopra un poggetto, onde si scuoprivano di belle e gradevoli vedute. Egli mi narrò l’istoria della sua sventura, nella quale il bene di avere utilmente per la sua patria combattuto, gli era una dolce consolazione. Mentre che noi ragionavamo, vibrò il sole uno de’suoi raggi per un vano di foglie sulla fronte di Ruberto e la riscaldò. Allora, lo non veggo più il sole, a me disse, ma lo sento, e questo stesso è una felicità. Spesse volte io vengo ad assidermi sotto quest’albero, laonde ad altri si mostra prospettiva si grande e piacevole. O come dee la campagna esser bella ora che puro è il cielo e sereno; ed io me ne accorgo al ferir soavemente che fa sul mio volto questa aura fresca e gentile. Ahi! che più goder non posso dell’aspetto della natura. Piacemi non pertanto di conoscere che io le sono davanti; la quàl cosa opera che con più viva fantasia io me l’immagino e [89] rappresento. Nondimeno, oh! qual rimembranza mi suole in questo luogo muovere il cuore! Sotto quest’albero io ho veduta per l’ultima volta la mia diletta Laura: Qui ella mi disse, Addio; ed io risposi fra me solo: Chi sa, mia cara amica, se ti vedrò più! Ahimè! il mio tristo presentimento non si è del tutto compiuto: io non la vedrò mai più, e sono ancor vivo! ◀Exemplum ◀Ebene 3 ◀Ebene 2 ◀Ebene 1