li Alemanni sempre hanno con laude gareggiato nelle
scienze e nelle arti colle nazioni della moderna Europa le più
civili.
Le Donne, i Cavalier, l’Arme e gli Amori.
Rimangono ancora molte delle loro poesie raccolte e
pubblicate da Bothmer col titolo di Saggi
dell’antica Poesia degli Svevi del XIII secolo. Nota questo
valente critico che lo stile in cambio d’esser grossolano è chiaro e
scrupolosamente conforme a grammatica; che vi si vede da per tutto
molta naturalezza, e che in ispecial modo da quelle traspira una
dolce e induttiva morale da rendere amabile la virtù.
Il decadimento della cavalleria, le turbolenze Meister Sangers, o, vogliam dire, Maestri Cantori.
Meister-Sangers Brocardo Waldis, autore di favole che
hanno assai buon senso ed una piacevole semplicità; e Ugo di
Trimberg, il quale compose una lunga satira intitolata il Corriere, ove rivede le ragioni a tutti gli
stati della vita, e ne ritragge i vizi con alcune pennellate spesse
volte naturali e vivaci; Bibbia de’Laici, ossia i Principali fatti dell’antico e nuovo
Testamento, posti da lui in versi, e sparsi di morali
osservazioni; e Melchiorre Peintsing, autore d’un poema che ha per
titolo le Gesta e le Traversie dell’eroe
Tewzdanck, dove il poeta personifica tutte le passioni su
cui fa trionfare il suo eroe; e Alkmars, il cui poema satirico
appellato Reineck (Volpe) gode tuttavia rinomanza; e finalmente i drammatici
scrittori Giovanni Rosenblut cui procacciarono nome i suoi Carnascialeschi Giuochi, Paolo Rebhun a cui
l’Allemagna va debitrice della prima tragedia (La
casta Susanna), e Giovanni Sachs, autore di molte commedie
e tragedie, di cui poscia si parlerà.
A questi termini era condotta l’alemanna poesia, quando comparve
Martino Opitz, tenuto qual riformatore, concioffossechè primo
traesse fuori composizioni di classico andamento. Egli si conformò
in su lo studio dei Greci e Latini, e dagl’Italiani eziandio apparò
l’arte d’imitarli ed emularli. Ad un molteplice ingegno, univa egli
assai dottrina, e le cognizioni perfezionò ne’lunghi viaggi,
ne’quali strinse amicizia co’più celebrati scrittori d allora. Nè vi
ha poetico arringo che non abbia corso, e quasi sempre con lode; ma
noi non faremo in questo luogo menzione se non se delle sue liriche
poesie, di cui porse a’suoi concittadini per primo l’esempio. Le sue
odi sono più morali che liriche; e non è tanto l’affetto e
l’immaginazione, quanto l’ingegno e la ragione che vi signoreggiano:
il perchè lasciano il desiderio di un Argenide del Barclai, ove si scorge uno stile assai più
puro ed elegante che non è quello degli scrittori che lo
precedettero.
Opitz ebbe fra i suoi contemporanei parecchi imitatori pregevoli e chiari. Fra i coltivatori della lirica poesia maggioreggia Dieterick di Werder, che fu l’amico d’Opitz, Federico di Logau e Paolo Flemming; il primo dei quali, oltre odi morali, diè una traduzione del Tasso e dell’Ariosto, nella quale è più fedeltà che eleganza; il secondo è più noto come poeta epigrammatico che lirico, gli epigrammi del quale sono nel vero pieni di sale e d’ingegno, e non senza semplicità; e Flemming, fornito di più immaginativa, ma di meno discernimento che Opitz, atteso la sua lunga dimora in Perugia, e l’avere studiato negli orientali poeti, ne trasse spesse volte il colorito e le immagini, ed in tal guisa arricchì lo stile poetico.
Hoffmann Waldau fu il primo che si allontanò dalla classica maniera
introdotta da Opitz. Avendo egli grande immaginativa, non potea
comportare il freno delle regole. Scrisse molte liriche cose, nelle
quali si trovano novelle idee e immagini aggradevoli, ma spesso
anche l’affettazione e il mal gusto. Tra le sue poesie sono reputate
migliori l’Eroidi, le quali contengono per
verità alcuni tratti degni de’maggiori Sogno d’un
Cimitero, donde si crede che il celebre Young preso abbia
l’idea delle sue Notti.
Questo stile, lontano dalla semplicità e dalla naturalezza degli
antichi, del quale Waldau dato avea per primo l’esempio, fu adottato
da parecchi poeti che ne portarono più innanzi l’affettazione e la
gonfiezza, massime ne’traslati. Vorrebbero alcuni critici alemanni
di cotesto malvagio gusto fra loro introdotto derivare la principal
cagione dallo studio che quelli facevano allora de’Seicentisti
italiani. Al qual proposito, dice Bertola, che essi per avventura si
affaticano di cercare in casa altrui l’origine dell’incendio, con
tutto che sapessero di averne nella propria le faville non bene
spente V. Idea della Poesia
alemanna, 1779.. Ma qual che si fosse la cagione
del mal gusto che tenne l’Alemagna per un grande spazio del secolo
XVII, certa cosa ella è che il felice procedere della Lirica cotanto
nobilitata da Opitz, e poscia da parecchi valentuomini mantenuta nel
suo vigore, al tutto mancò. Primi ad adoperarsi con lode a
ricondurre il classico stile furono Michele Richey, il barone Canitz
e Cristiano Günter. Quegli scrisse con nobile ed aggradevole maniera
di comuni argomenti; e specialmente ebbe gloria dalle odi
pindariche, delle quali le scritte in laude di Carlo XII sono più
spesso ricordate: ma nondimeno non si è saputo sempre schermire
dall’affettato e dal gonfio. Il barone Canitz, uomo di corte e
ministro
In fra i poeti i quali col loro esempio hanno contribuito a richiamare il buon gusto e dato incominciamento all’epoca luminosa della letteratura alemanna, è primamente ricordato Federico Hagedorn, nato in Amburgo nel 1708, il quale cresciuto nella lettura degli antichi, e conoscendo ancora i poeti d’Italia e Francia, coltivò con felice riuscita più generi di poesia, e massime il lirico. Le sue filosofiche odi sono smaltate d’ingegnosi pensieri e di nobili affetti; se non che gli vien dato biasimo d’esser freddo e monotono, non essendo egli per avventura filosofo così profondo, quanto è richiesto per apparirlo in versi. Più laude gli fruttarono le canzonette anacreontiche, dove spiega tal vivacità, delicatezza e facilità, quali in altro poeta della sua nazione non si erano vedute insieme accolte.
Alberto Haller, nato in Berna lo stesso anno che nacque Hagedorn, era
destinato a recare l’alemanna poesia fino alla sua perfezione, e a
locarsi tra i grandi poeti del secolo XVIII, siccome si è locato fra
i dotti più cospicui: perciocchè la novità e l’altezza de’suoi
pensamenti, la forza dell’espressione, un franco e sicuro andamento
sono il generale carattere Dori e ne’suoi
lamentevoli canti sulla morte della prima e della seconda moglie!
Spirano essi la tenerezza, e vi riconosci il più ingenuo linguaggio
del cuore, e che ti va all’anima. I critici alemanni a lui danno
mala voce che il suo stile a quando a quando senta dell’elvetico
dialetto, nè serbi sempre la purità della buona lingua alemanna. Può
anche notarsi d’aver dato alle sue odi una forma piuttosto didattica
che lirica, e di accumulare immagini e pensieri discordi e confusi;
i quali difetti però non sono così spessi da torgli il primo scanno
tra i Lirici.
Di costa ad Haller si vuoi collocare Klopstock, che va innanzi agli
altri non meno nella lirica che nell’epopeia. Si propongono le sue
odi di celebrar la religione, o di risvegliare l’amor della patria.
Le une si possono risguardare siccome altrettanti salmi cristiani,
ove sa rivestire di visibili immagini idee illimitate; traspira
dalle altre quel cotal entusiasmo che t’induce a tutto sagrificar
per la patria. Il canto dei Bardi dopo la morte d’Hermann, dai
Romani chiamato Arminio, è tra i lirici componimenti di questo poeta
il più singolare. Ha egli composto su varii subbietti altre odi,
nelle
Assai lirici poeti, o contemporanei, o successori di Haller e di Klopstock, ne hanno emulato la gloria, dei quali noi ricorderemo i più reputati. Il barone Casimiro di Creuz ha composto una raccolta di Odi filosofiche, nelle quali si trova un colorito cupo e poco amico dei quadri della immaginativa, ma ben propizio a dar corpo e vigore alle idee più astratte e più forestiere in Parnaso. Pietro Ultz ha saputo anche nelle sue liriche poesie abbellire di convenevoli immagini la più profonda morale, così come la politica: nè meno il suo pennello è maestro in ritrarre i teneri ed animati argomenti. Andrea Cramer, posto dagli Alemanni tra i loro critici più valenti, ha molto nome eziandio come poeta lirico; perciocchè ha dato alla luce una bella traduzione dei Salmi e parecchie sacre poesie, tra le quali quella sulla Resurrezione è risguardata, tanto per l’affetto e per li pensieri, quanto per la condotta e per lo stile, siccome un classico lavoro.
Ad inspirare l’amore della patria e della gloria hanno consagrato le
loro canzoni i poeti Guglielmo Gleim e Felice Weisse, il primo dei
quali ne’suoi Canti guerrieri per l’altezza,
il fuoco e l’energia si è procacciato il nome di Tirteo alemanno; e
l’altro mostra le medesime Canti di un’Amazzone, cui rappresenta furiosa
per desiderio di gloria e d’amore fra cento scontri guerreschi,
l’uno più pittoresco e più interessante dell’altro, nei quali il
contrasto delle passioni è pennelleggiato con naturalezza. Gleim si
è segnalato così nel cantare gli amori, come le armi: ondechè, per
la verità delle immagini e la spontaneità dell’espressione, le sue
poetiche finzioni dilettano, e un illustre seggio gli assicurano tra
i poeti che senza fare onta al pudore hanno saputo ritrarre le
tenere affezioni. Anche del pieghevole e fecondo ingegno di Weisse
fanno testimonianza le Canzonette
pe’Fanciulli di un facile e ameno stile, e d’una acconcia e
attrattiva morale. A queste canzonette è stata adattata una musica
popolare; nè v’ha quasi fanciullo in Alemagna che non le canti. Per
tal guisa ha egli recato vantaggio all’educazione, e ricondotto al
suo primo divisamento la poesia, ad essere cioè utile agli uomini,
dei quali è stata la prima educatrice e maestra. Porrà fine a questo
nostro cenno sui lirici poeti Guglielmo Ramler, il quale è
soprannomato l’Orazio alemanno, così per le sue odi, come per la
traduzione del suo esemplare. Spesse volte i suoi versi ne porgono
la ricchezza, la varietà, la grazia e il discernimento, che sono le
principali virtù del Lirico latino. Egli ha pubblicato eziandio una
Scelta di Canzoni alemanne, fornendole di
prefazioni e di note a pro della gioventù.
Tra i generi di poesia coltivati dagli Alemanni con maggior lode fin
dal cominciamento della loro poetica carriera, si è la pastorale;
Egloghe, l’Elogio della Vita campestre e la Ninfa Ericina, tutte specchio della bella
natura, ed esemplari di una verità di carattere e d’indole conformi
al genio della nazione.
Gesnero creossi un mondo pastorale per lui frequentato dei più
amabili e felici abitatori dell’età dell’oro; i quali esseri formati
dal suo ingegno rappresentano la sua anima nobile e dolce, ma
insieme nel loro carattere hanno improntato qualche cosa d’ideale
che sorpassa l’umana natura. All’antica semplicità dell’infanzia del
mondo accoppiano essi i dilicati affetti, che paiono confarsi ad
uomini i meglio inciviliti. Vero è che i pastori di Gesnero tutti
hanno per poco il medesimo carattere; essendochè le inclinazioni
dell’uno son tali eziandio negli altri; e si crede quasi sempre di
veder gli esseri stessi, come che differenti ne sieno le
circostanze. Parrebbe che ne dovessero procedere soverchie
ripetizioni ed una rincrescevole monotonia: le quali sconcezze come
ha egli ben saputo schifare! Quali cangiamenti di scena vi
succedono! qual varietà d’incidenti! qual particolarizzata dipintura
della pietà, della virtù,
Altro poeta non v’ha nel genere affettuoso che ne cavi fuori più
dolci lagrime e sia più lontano dall’affettare un tenero cuore.
Allettano le scene della domestica felicità per lui dipinte; e in
parecchi idilli trovi rappresentate alcune circostanze della sua
vita. Tali sono il Mattino di autunno, ove
egli dipinge la sua famiglia e la sua felicità; e l’idillio
intitolato Dafni e Cloe, che scrisse poscia
ch’egli fu sottratto da una pericolosa infermità, ed ove nella più
affettuosa maniera favella la pietà figliale. Fu detto giustamente
che ciascuna pagina di Gesnero racchiude una buona azione, la quale
onora il cuore e l’ingegno suo. E nel vero il leggitore si sente
andare all’anima una così allettatrice impressione che lo sforza ad
esser migliore.
Non ha mancato la critica di affiggere il suo dente nel più perfetto
poeta campestre, ripigliandolo ora di troppa uniformità, con tutto
che ella si trovi nelle scene piuttostochè negli argomenti, nè
impedisca in generale l’interesse; ora anche dopo di aver confessato
esser lui forse il poeta alemanno di maggior discernimento, gli
rimprovera di troppo particolarizzare le descrizioni e le dipinture;
lo che talvolta le rende languide e fredde. Lo ha morso per cagione
dei ragionamenti e delle riflessioni che i suoi pastori fanno sui
più piccioli oggetti della natura, tacciandole di troppo
filosofiche; ed ha gridato altamente, dover godere i pastori più che
altri dello spettacolo
Cristiano Kleist, dimestico amico di Gessner, imitollo con lode nella
pastoral poesia, tuttochè non n’abbia la dolcezza, la sensibilità e
la ridente fantasia, e gli stia di lungi, massime nella dipintura
delle scene, le quali in Gessner sono ad un tempo e dilettevoli e
varie. Oltre i pastorali idilli, Kleist, ad esempio del Sanazzaro e
del Rota, ne ha scritti de’piscatorii. Anche gl’idilli di Bronner
hanno per argomento il ritrarre i costumi e le occupazioni
de’pescatori.
Idilli sacri. Augusto Werthes ha
conseguíto non poca celebrità colle sue Canzoni
pastorali, in cui si è studiato di raccogliere la
semplicità di Teocrito, la grazia di Anacreonte e l’affetto di
Tibullo. Vi è anche di lui una traduzione dell’Ariosto molto
riputata. Molti altri poeti alemanni hanno avuta lode dalla pastoral
poesia, tra i quali son più nominati Blum, Voss, ec.
I Minnesingers, primi poeti alemanni, conobbero dover la poesia esser consecrata ad abbellir la morale; e perciò essi per primi la presentarono sotto il velame di una ingegnosa allegoria, inventando gli apologhi. Dei quali gran numero si è conservato, e molti ne pose Bothmer nella raccolta delle antiche poesie. Gellert, nel Saggio sull’Apologo, li nomina siccome modelli di un tal genere; ma per avventura le sue lodi sono soverchie, dicendo che si può metterli a lato delle più belle favole moderne. Non si vuol tuttavia negare che il modo di narrare di quei favolatori è sollazzevole, lo stil semplice e naturale, e che essi sempre racchiudono un’utile morale.
Dachè l’alemanna poesia fu sottoposta alle regole dei classici,
Hagedorn diè per primo all’apologo una forma più dilettevole e
varia: se non che col volere adornar la ragione degli incantesimi
dell’immaginativa e dell’ingegno, si allontanò spesse volte dalla
naturalezza e V. Andres, Storia
d’ogni Letteratura, tom. II..”
Goffredo Lichtwer ha scritto quattro libri di favole, nelle quali si
trovano assai tratti piacevoli ed uno scopo morale ch’ei sempre con
arte ci pone dinanzi. E ben si ravvisa essersi proposta l’utilità
dei giovanetti, dachè le favole del Fanello,
dei Caprioli e molt’altre fanno le veci di un
trattato di educazione. Parecchi apologhi suoi hanno una invenzione
ingegnosa Furie, che può risguardarsi come una delle
più ingegnose satire scritte per motteggiare le donne. Giovanni
Michaëlis ha composto una raccolta di Favole pei
Fanciulli, nelle quali mostra che sa vestire di piacevoli
forme e ridenti i morali subbietti. Reputate sono tra gli Alemanni
ancor le favole di Pfeffel per la vivezza e leggiadria dello stile;
e n’è anche da commendare per saper esso cavare un’istruttiva morale
da subbietti che meno ne paiono acconci. Dalle quali cose si vuole
inferire che gli Alemanni, se a simiglianza delle altre nazioni non
hanno un poeta da compararsi con La Fontaine, il quale al suo
singolare ingegno è debitore del modo di scrivere, e che non si
puote imitare, hanno almeno, come le altre, scrittori di favole
ingegnosi, dilettevoli e instruttivi.
Gli alemanni poeti hanno coltivato eziandio la satira e l’epistola,
le quali, a somiglianza dell’apologo, si propongono di porgere
morali ammaestramenti e di ritrarre i costumi: se non che per avviso
di Sulzer non hanno agguagliato nella prima le altre nazioni.
Gloria e la Ricchezza,
il Cristiano, l’Orgoglioso sono condotte con arte, e scritte con uno stile
vivace e facile; e vi si scorgono ritratti ben delineati e ingegnosi
pensieri. Lessing posciachè nelle sue commedie ebbe ritratto i
costumi, ricorse per correggerli all’epigramma e alla satira; e nel
primo emulato ha Kastener, tenuto pel migliore epigrammista
d’Alemagna. Entrambi censurano il vizio e percuotono il ridicolo
senza usare licenziose immagini e senza lusingare la malignità.
Entrambi hanno per tal genere una particolar disposizione, mancando
la quale può altri fare un buono epigramma, ma non molti sopra varii
subbietti, nè bene.
Le morali e filosofiche epistole amano, oltre i vezzi della poesia,
l’aggiustatezza, la profondità e il regolare andamento delle idee:
le quali doti si trovano nell’epistole di Cramer, donde si ravvisa
quel filosofico ed osservatore ingegno che domina nei suoi poemi
didattici e nello Spettatore del Nord. Nè
meno sono riputate le morali epistole di Pietro Ultz, il quale
sparge di poetici fiori i più malagevoli argomenti, e vi racchiude i
pensieri più avviluppati e ritrosi, senza nuocere alla precisione
delle frasi e alla chiarezza. Giovanni Michaëlis, già da noi posto
fra i buoni favolatori, ha scritto ancora molte epistole e alcune
satire, nelle quali ha saputo
La didattica poesia, la quale più che altra immediatamente intende ad
ammaestrare, fu con laude coltivata dai poeti alemanni: ma in ciò
son ripigliati di aver contribuito a farla degenerare con introdurre
il Genere descrittivo, sconosciuto agli
antichi, e posto nel descrivere pel descrivere, passando di uno in altro obietto
senza che v’abbia un tutto, un ordine e una corrispondenza di parti.
Ma un siffatto biasimo può darsi ancora agl’Inglesi e ai Francesi, i
quali han posto fuori molti di tali poemi, ove anco ne’migliori,
siccome sono quelli d’Akenside e Delille, hanno di bei tratti, l’uno
dei quali l’altro distrugge, perchè con monotonia si succedono e
nell’unione discordano. Ma si noti ancora per amore di verità, che
la lingua alemanna meglio delle altre si acconcia a ritrarre le
scene domestiche, o campestri, e i menomi oggetti della natura. Sono
gli alemanni poeti singolari in far semplici e allettatrici
descrizioni; e posto ancora che ne siano troppo larghi, il modo con
cui sanno colla verità del particolareggiare animarle, fa sì che si
escusi e si dimentichi ancora la soverchia lunghezza. Tali qualità,
tra perchè al linguaggio
Opitz, riformatore della poesia alemanna, diè per primo a’suoi
cittadini l’esempio di un poema didascalico in quello del Monte Vesuvio, in cui descrive la terribile
eruzione del 1631. Regolare è il disegno di quest’Opera e ben
collegate le parti. L’amenità della Terra di Lavoro e le deliziose
vicinanze di Napoli vi son dipinte coi più vivi colori e più
luminosi; al che segue un quadro di scure e porti tinte, che
ritragge l’esplosione del vulcano, e l’orrore e lo spavento che
l’accompagnano. Ha egli da gran poeta cavato il suo pro dai
contrasti che l’argomento gli presentava, e talvolta s’innalza al
pari dei classici poeti. Ben locate e artificiosamente condotte sono
le morali considerazioni tratte dal guasto e dallo spavento
cagionati da un flagello sì orribile; se non che troppo in
quest’Opera pompeggiano le cognizioni scientifiche onde abbondava il
poeta, e che talvolta la rendono fredda.
L’esempio d’Opitz inpegnò ad accoppiare la filosofia alla poesia, e
fece diventare il genere didascalico di moda. Tre poemi di tal
maniera scrisse Cristiano Federico Zerniz, il primo intitolato:
l’Uomo in quanto alla cognizione di se
stesso; il secondo: Pensieri filosofici
sulle prove della Divina Sapienza tratte nella morale del genere
umano; e il terzo: Pensieri sui disegni
di Dio nella creazione dell’Universo; nel qual ultimo si
vede aver l’autore tolto particocolarmente (sic.) per esemplare il
Saggio sull’Uomo
Saggi sulla Ragione, e l’altro le Scienze in quattro Canti, in cui tratta
dell’origine e utilità loro. Brockes, dopo aver tradotto le Stagioni di Thompson e il Saggio sull’Uomo di Pope, scrisse parecchi poemetti
didascalici; Pensieri
filosofici su’diversi soggetti tratti dalla natura e dalla
morale; e Federico Sucro, che compose un poema sulle differenti Qualità dell’Animo, nel quale
sfoggia l’arte di esprimere profonde idee in poche parole e di
satireggiare con delicatezza; e Goffredo Lichtwer, di cui si ha un
poema filosofìco in cinque libri intitolato il Dritto naturale, dove l’autore fedelmente ha seguíto la
filosofia di Wolfìo, dominatrice allora delle scuole, senza però
saper abbellire, come si richiedeva, il suo subbietto, perchè ne
scomparisse la secchezza; il qual difetto si può dir comune ai
didascalici poeti venuti appresso Opitz. E notisi che un cotal
genere, come spogliato di finzione e di azione, è di necessità
soggetto
Queste sono le doti onde va ricco il poema delle Alpi del rinomato Haller. Grande non meno che importante
n’è l’argomento. Le Alpi pongono sotto l’occhio dell’osservatore
innumerabili meraviglie e infinita varietà di scene. Le descrizioni
del poeta sempre pittoresche sono a quando a quando o ridenti, o
sublimi; e in esse con molta laude è adoperata l’arte dei contrasti.
Quando egli ha dipinto l’innocenza e la felicità degli Alpigiani,
semplici alunni della natura, si leva in su la cima del S. Gottardo,
dove il Sole rischiara più da vicino la
terra, e quivi osserva e descrive novelle meraviglie, le
montagne di ghiaccio ed il Grande Serbatoio
dell’Europa, il quale con abbondanti fiumi alimenta due
mari. Si è anche proposto il poeta un grande morale
divisamento, di mostrare cioè, che l’innocenza del cuore e i puri e
semplici piaceri della natura formano la felicità dell’uomo. Questo
poema è stato tradotto in tutte quasi le lingue, e durerà, dice
l’autor d’un elogio di Haller, quanto le montagne in esso descritte.
Non doveva però essere esente da molte critiche, come avviene a
tutte le Opere eccellenti. I Francesi in particolare tacciano le
descrizioni delle salutifere piante delle Alpi, e le minute
particolarità dei costumi e delle
Haller ha inoltre trattato un altro subbietto di una maggior
difficoltà per essere sottoposto alle leggi poetiche; tale si è il
poema sull’Origine del Male, in cui siegue da
lungi i principii della Teodicea di
Leibnizio. Le dipinture delle meravigliose Opere della natura e
delle beneficenze del Creatore non sono inferiori a’più bei tratti
del poema delle Alpi. Sulzer li propone egualmente ambidue per
esemplari ai poeti della sua nazione.
Cristiano di Kleist è anche egli tra i primi poeti alemanni pel poema
della Primavera, traslatato nel nostro
linguaggio con eleganza e fedeltà insieme da Tagliazucchi il
giovane. È questo poema uno dei più begli elogi che si sian fatti di
questa stagione, e contiene per tutto variate e ridenti dipinture,
fatte con un vivo, facile e naturale colorito, spirando ad un tempo
un cotal dolce affetto e soave calore che penetra e ravviva i cuori.
Intendeva egli di cantare ancora le altre stagioni; ed è da dolere
che n’abbia deposto il pensiero, quando gli vennero vedute le
Stagioni di Thompson; al qual proposito diceva che la più bella
raccolta di fiori già era fatta. Essendo illustre poeta e guerriero,
consecrò ancor la sua musa a cantare le guerresche imprese. Il suo
poema in tre canti col titolo di Cicide e
Pachete è scaldato da
Federico di Creuz, del quale abbiam favellato trattando dei più
eccellenti Lirici alemanni, è autore similmente di due reputati
poemi didattici. Il primo, diviso in sei libri e intitolato le Tombe, si accosta al fare d’Young per
l’arditezza dei pensieri e la forza dell’espressione; ma non è punto
esagerato, nè confonde la soave malinconia coll’orror ributtante. Il
secondo, intitolato Saggio sull’Uomo, e
partito in due canti, non ha simiglianza alcuna con quello di Pope.
Creuz esamina l’uomo nello stato di natura e di società. Afferma un
critico alemanno
Il celebre Gleim ha scritto un moral poema intitolato Haladat ovvero il Libro
Rosso, nel quale imita la maniera de’filosofi indiani,
ossia Bramini, dichiarando i principii della natural Economia
dell’uman vivere, scritta da un antico Bramino.
Il barone di Cronegk, come che rapito in sull’aprile degli anni, ha
lasciato alcune Opere di pregio in più generi, tra le quali
principalmente si legge con piacere il poema della Solitudine, da lui composto per confortarsi dalla somma
afflizione in che il traboccò la morte di sua madre, cui piange col
nome di Serena. Ben si ravvisa aver lui spesso avuto per le mani il
mesto e malinconico cantore di Filandro e
Narcisa, al quale però, se cede senza dubbio per l’energia
dell’espressione e la grandezza delle immagini, non è da meno in
quanto al patetico. Piero Ultz ha celebrato le virtù e i talenti del
suo amico Cronegk in sulla fine di un moral poema, bene a ragion
reputato, che ha per titolo l’Arte di essere
sempre contento.
Insigni monumenti d’un ingegno che a varii generi di poesia
mirabilmente si acconcia, abbiamo ancora di Guglielmo Zaccaria: ma
qui toccheremo solo quelli che appartengono al didascalico e
descrittivo, come sono le Quattro età della
Donna, i Piaceri della malinconia, e
le Quattro parti del Giorno. Bertóla ci ha
dato una libera traduzione del primo, il quale, per suo giudicio,
vaghissimo essendo per la dipintura massime de’nazionali costumi, si
è perciò uno di quegli arbuscelli che mal soffrono d’essere
trapiantati. Ne’Piaceri della malinconia Quattro parti del Giorno sono anzi una imitazione di
Thompson, che del chiarissimo Parini: ma per quanto sia il pregio
dell’Alemanno, non tiene fronte a quello dell’Italiano.
Chiuderemo questo articolo sui poeti didattici ricordando l’opera per
la quale il celebrato Wieland si mise nell’arringo delle lettere.
Non sorpassava il quarto lustro, quando egli divulgò il poema della
Natura, accolto con assai plauso dagli
Alemanni. Avria voluto Sulzer Saggio sull’Uomo quel che si cerca, è la poesia di Pope,
non l’ottimismo di Leibnizio.
Il poema epico, quel sommo sforzo dell’umano ingegno, non risplende
se non se dopo l’intervallo di più secoli, e tra le sole nazioni le
quali hanno avuto maggioranza nel mondo letterario. Gli Alemanni
vanno superbi d’averne veduti nascer tra lor due nel medesimo tempo;
perciocchè la Messiade e la Morte di Abele, qualunque posto loro si assegni, dovranno
sempre annoverarsi fra gli epici poemi. Innanzi a Klopstok e
Gesnero, altri poeti si accinsero ad una impresa sì malagevole; e
può tenersi come il primo saggio dell’alemanna epopeia un poema
appellato Niebellungen, trovato da poco tempo
Andrea Scultett, coetaneo d’Opitz, ha lasciato un lungo poema sulla Risurrezione di Nostro Signore, dato alle stampe nel 1640. Lessing ne ha giudicato assai favorevolmente, trovandovi più tratti sublimi, aggiustatezza e nobiltà d’idee, scelte e forti locuzioni, e specialmente lodando la descrizione del mondo, onde la natura tutta celebrò la Risurrezione del Salvatore; nel qual passo, per sentenza di quello scrittore, v’ha una bellezza degna de’più grandi poeti dell’antichità. Ma tutti questi elogi, per certo amplificati di troppo, non hanno potuto fare che si legga il poema di questo scrittore, il quale forse anco per l’immatura morte non vi avrà posto l’ultima mano.
A Bothmer, autore della Noechide, deggiono
La gloria di dare alla Germania un epico poema degno di stare con
quelli delle altre nazioni, si riserbava a Klopstok. Fino dalla sua
giovinezza si era proposto per suo primo scopo il comporre un grande
poema; e qua egli rivolse tutte le sue facoltà e tutti gli studi, e
vi consumò venti anni di vita. Come la Bibbia aveva inspirato
Milton, così Klopstok attinse dal Nuovo Testamento le maggiori
bellezze della Messiade. Dalla semplicità del
Vangelo sa V. De l’Allemagne, par mad. de
Staël, II partie.”
La Messiade non si propone di narrar la vita
di G. C., ma comincia dall’istante nel quale i suoi nemici ne
domandano la morte; e questa, che è la principale azione del poema,
ne comprende la prima metà. Pare che il poema, dovria compiersi
quando cessa il principale interesse. E nel vero, benchè i dieci
ultimi canti contengano grandi bellezze, e per avventura i migliori
episodii, non porgono nondimeno quell’allettamento che i
precedenti.
Klopstok avea fatto l’abbozzo del suo poema prima di leggere il Paradiso perduto; ma pure confessa che la
lettura di Milton gli ha trasfuso novelle idee per ritrarre i suoi
concetti. Questi due grandi poeti in parecchie cose si
rassomigliano. L’altezza dell’ingegno è per certo la qualità che
signoreggia nell’uno e nell’altro: ma l’altezza di Milton procede
dalla repubblicana fierezza; quella di Klopstok, dal religioso
La lettura dell’intera Messiade, come del Paradiso perduto, può affaticare, perchè
l’argomento sempre trascende i sensi, e l’animo nostro si stanca col
meditare soverchio. Troppo uniformi sono le impressioni che il poema
risveglia, e le funeste immagini oltre modo vi abbondano. Questo
poeta è anche ripigliato di aver troppo spesso fatto parlare i suoi
personaggi, e troppo a lungo. È indubitabil cosa che le forme
drammatiche aggiungono gran pregio all’epopeia; ma un carattere, un
incidente, un quadro che lascino al lettore qualche cosa a
indovinare, percuotono l’animo più che la stessa eloquenza. Si
vorrebbe ancora che la Messiade fosse men
lirica, e sparsa di più tratti patetici. E nel vero alletterebbe
ogni sorte di leggitori, se avesse più tratti sì passionati, siccome
sono gli ultimi istanti di Maria sorella di Lazzaro, nel quale
dipinge la morte del giusto. Allorchè Klopstok similmente si stava
moribondo in sul letto, ripeteva con fioca voce i suoi versi sopra
Maria, per esortarsi da sè a ben morire; e questo canto fu recitato
intorno al suo cataletto, quando tutti gli abitanti di Hambourg a
lui renderono gli ultimi onori.
Parmi inutile l’aggiungere che un poema tanto religioso, quanto è la
Messiade, ha più morale degli altri; ma
non è inutile il notare Messiade l’esametro de’Latini e
de’Greci, al quale ha saputo dare tanta armonia, forza e nobiltà,
che un tal metro sembra essere stato adottato pei grandi poemi.
Se l’epopeia dev’essere ad un tempo sublime e popolare, può dirsi che
Gesnero ha più dato nel segno che Klopstok. Il suo poema sulla Morte di Abele, traslatato in ogni
linguaggio, si è procacciato una general rinomanza, come il Goffredo e il Telemaco. Ma per amor della giustizia si noti che l’argomento
per lui scelto è più felice che quello della Messiade. In questo la maestà del subbietto, la sublimità
inesprimibile e l’inviolabile verità non consentivano al poeta se
non dipinture severe e scene senza passione. Nell’argomento eletto
da Gesnero il tempo e l’azione, i caratteri e i contrasti che gli
danno risalto, lo rendono per certo il più poetico tratto
dell’Istoria santa: ed era capace ad un tempo di un forte e
affettuoso interesse, senza cercare gli ornamenti delle favole, e
tutta conservando la dignità della religione.
Gesnero si è nella Morte di Abele appigliato
ad un pastorale argomento, trattandolo però alla maniera degli
epici, per modo che alle semplici e ridenti bellezze spiranti grazia
ed affetto, che ne rendono piacevoli gl’idilli, congiunge la
dipintura delle forti passioni, discorsi d’una nobile patetica
eloquenza, ed episodii
Alcuni critici concedendo a Gesnero un ragguardevolissimo posto tra
gli scrittori, niegano di annoverarlo tra i poeti, non avendo
scritto in verso, essenzial carattere, a loro giudizio, della
poesia. Ma quanto egli valesse nel verseggiare, provollo in parecchi
idilli: ondechè se nelle maggiori Opere ha tolto anzi di usare una
prosa misurata, si dee credere che forti ragioni ve l’abbiano
indotto. E forse gli avrà dato la spinta l’esempio dell’autor del
Telemaco, la qual Opera, posto ancora che
fosse stata scritta in versi, non avria potuto più generalmente
piacere. Forse sarà egli stato dell’avviso di coloro i quali non già
nella versificazione, ma nella fedele e viva dipintura dei naturali
oggetti e delle passioni pongono l’essenza della poesia.
Due famosi poeti, cioè Zaccaria e Wieland, han posto mano a due
grandi poemi, dell’uno dei quali argomento è Cortes, ovvero la Conquista del Messico, dell’altro Ciro il Grande; ma nè l’uno nè l’altro furon
compiuti. Wieland, soprannomato il Voltaire dell’Alemagna per la
varietà e la maggioranza dell’ingegno suo, ha scritto parecchi
poemi, de’quali il più pregiato è l’Oberon;
ed anzi in Germania è Huon di
Bourdeau, di cui Tressan ci ha dato un sunto. Wieland ha
saputo spargervi di molte ricchezze poetiche, e rallegrarlo colle
grazie e colla immaginativa. Vero è che la tenerezza del cuore non
ama di starsi in compagnia del meraviglioso, come quella che è negli
affetti suoi così seria, che ricusa di vedersi allato la scherzevole
immaginativa: con tutto questo a Wieland è venuto fatto di unire le
fantastiche finzioni con veraci affetti, per modo che è laude sua
sola. V’ha di molta varietà ne’caratteri, sempre ritratti con
naturali e vivaci colori; ma l’amore non vi è per avventura dipinto
con molta severità: nè può scusarsi nè meno l’Ariosto colla libertà
dal romanzesco poema accordata, dell’aver più volte violato la
decenza. V’ha un po’ di lunghezza nell’Oberon, il quale in tutte le lingue piacerebbe, come accadde
dell’Orlando furioso, se fosse ben
tradotto: ma gl’Inglesi solamente si hanno un tal vanto mercè di un
lor poeta vivente de’più riputati, quale si è il signor Southey.
In tutti quasi i generi, a simiglianza di Wieland, scritto ha ancora
Giovanni Goethe, nè con meno celebrità. Ciò che distingue
singolarmente que’due scrittori, si è che quegli ha scritto in sul
far de’Francesi, senza riuscire imitatore; e questi si è studiato di
dare alla letteratura alemanna un carattere proprio ed una
originalità nazionale. Abbiamo un suo poema Ermanno e Dorotea, che alcuni vorrebbono
far passare come epico; se non che i personaggi e i fatti non sono
di tal momento da locarlo così alto. Vero è nondimeno che i menomi
particolari ivi hanno una natural dignità, la quale non si
disdirebbe agli eroi di Omero; e sua specialissima laude si è
massimamente una soave ma continua commozione, la quale dal primo in
fino all’ultimo verso si sente. Non è venuto l’atto di trasfondere
nelle traduzioni quell’allettamento che si trova per entro a
quest’Opera; e benchè l’abbiano traslatata rinomati scrittori in
francese e in inglese, pure non ha avuto molto incontro.
Enrico Voss è autore d’un poema intitolato Luisa, il quale tien qualche somiglianza con quello di
Goethe. Semplicissimo n’è il subbietto, il maritaggio della
figliuola d’un venerabile pastore; e tutto è animato da puri e
religiosi affetti. Nessuna cosa più va all’anima quanto la nuziale
benedizione del pastore nel maritar la figliuola. Voss ne porge il
più bell’esempio della vera semplicità, di quella cioè dell’anima,
la quale conviene al popolo così come ai re, ai poveri non meno che
ai ricchi. Ammirano assai gli Alemanni le descrizioni che in questo
poema si scontrano sul modo di fare il caffè, di accendere la pipa;
le quali minutezze con ingegno e verità son ritratte. Le chiameresti
altrettanti quadri fiamminghi benissimo disegnati: se non che la
poesia descrittiva impiegata in oggetti vulgari presenta una cotal
semplicità, che in una traduzione V. De
l’Allemagne, par mad. de Staël, IV partie..
Si annovera tra i poemi il Primo Navigatore e
il Dafni di Gesnero, scritto in prosa, come
la Morte di Abele. Queste due Operette
porgono un allettamento simile a quello degl’idilli, e piacciono,
perchè si translocano in un modo affatto nuovo, e dimenticar ne
fanno la stessa nostra esistenza per darcene una novella.
Intertengono elleno con interesse; ma il Dafni è propriamente un romanzo pastorale: nel Primo Navigatore v’ha maggior poesia per le
finzioni, le dipinture e gli episodii; se non che vi si vorrebbe più
azione, men lentezza nell’andamento e minor numero di soliloqui e di
dialoghi.
Hanno eziandio gli Alemanni coltivato con laude la poesia
sollazzevole, ovvero eroicomica, la quale richiede che al saper ben
motteggiare il poeta aggiunga una ridente immaginativa. Secchia
rapita, al Leggío ed al Riccio rapito.” Nuovo Amadigi e l’Idri, nei quali si scorge originalità, spirito e grazia; ma
gli vien dato carico di abusarsi talvolta della facilità e di
scostarsi dalla decenza. Fazzoletto e il
Gatto nell’Inferno; le cui finzioni sono
ingegnose e aggradevoli, e maestrevole la dipintura dei costumi e
dei caratteri. Si pregia ancora la Vittoria di
Cupido, poema di Pietro Ultz; il Cagnolino di Giangiacomo Dusch, e parecchi poemetti di
Enrico Niccolai. Tutti questi poeti sono da commendare d’aver saputo
tenere il mezzo tra il serio ed il comico, il quale agevolmente si
trapassa cadendo nel burlesco.
L’arte drammatica, a simiglianza degli altri generi di letteratura,
non è ita molto innanzi nell’Alemagna che nell’ultimo secolo: ma i
rozzi principii del teatro si vogliono prendere molto più addietro,
perciocchè così in questo, come negli altri paesi, tutti i popoli
amano le rappresentazioni. Dopo alcuni grossolani esperimenti fatti
innanzi al secolo XV, Giovanni Sachs, vivuto tra la fine di questo e
tra il cominciare del secolo vegnente, scrisse assai tragedie e
commedie e farse, ovvero intrammezzi da carnevale, ove si trovano
tutti i difetti di un’arte ancora bambina. In quanto alla forma si
rassomigliano molto a quelli che tra moralità, e vi hanno spesso
personaggi allegorici. L’arte drammatica avanzò alquanto mercè del
celebre Opitz, che nel secolo XVII diè miglior forma al teatro,
traducendo alcune antiche tragedie, e imitando le pastorali
italiane. Tenne a lui dietro Andrea Grifio, che il signor Schlegel
reputa il più antico autore alemanno che possa dirsi drammatico.
Sapeva egli molto innanzi nella sua arte; del che sono argomento le
sue imitazioni e traduzioni, come che molto irregolari, nè si sappia
se siano state mai rappresentate. Gasparo Lohenstein, coetaneo di
Grifio, lo ha imitato nella maniera delle sue tragedie, nelle quali
ha invenzione, e quello che dicesi effetto teatrale; ma lo stile è
pieno di affettazione e gonfiezza, lo che gli ha dato il soprannome
del Marini alemanno.
A questo stato d’imperfezione si rimase contenta nell’Alemagna l’arte
drammatica infino quasi alla metà del secolo XVIII, tra pel difetto
di composizioni di pregio, e per quello di regolari teatri. Erranti
recitatori di farse, e palchi di fantocci erano i soli attori e i
soli teatri che infino allora si conoscessero. In ultimo Gottsched,
avvegnachè scrittore molto mediocre, traducendo commedie e tragedie
francesi, e rappresentar facendole da commedianti di professione,
intraprese ad accelerare i progressi dell’arte drammatica. Questo
esempio destò l’emulazione in molti altri, i quali si accinsero a
correre il medesimo arringo. Altri ne diedero mediocri imitazioni
del teatro inglese, o francese; ed altri al contrario
Posciachè Gottsched con altri scrittori fecero rappresentare commedie francesi in verso alemanno, furon poste in sul teatro con grande incontro le commedie di Holberg traslatate dal danese. Questo autore ha con somma naturalezza imitato i costumi locali, e ritratto colla maggior verità le sconcezze, le follie e la scempiaggine. Non manca di comica forza nel disegnare i caratteri e gl’incontri; ma poca invenzione egli ha per annodare e condurre un intrico onde risvegliare la curiosità e cagionar meraviglia. Non v’ha dubbio che il grande incontro avuto dalle sue commedie in Alemagna si debbe alla molta simiglianza che hanno i costumi danesi cogli alemanni: ma oggidì non son più recitate, perciocchè il buon gusto presente sarebbe offeso da quel tuono vulgare che signoreggia nelle composizioni di Holberg.
Elia Schlegel è stato de’primi comici autoriche della nazione e del
tempo loro ritrassero i costumi, comechè si studiasse di conformare
le sue invenzioni alla foggia francese. Assiaissimo piacque la sua
commedia intitolata il Trionfo delle Donne
saggie, certo perchè ella era un fedele e natural quadro
della società. Il Misterioso e la Muta Bellezza, altre sue commedie, si denno
similmente commendare. Cristiano Kruger è venuto anch’egli in fama
per le Marito
cieco e dei Candidati, in più luoghi
delle quali si scorgon le imitazioni di Molière. Aveva egli comico
ingegno e sommo amore per l’arte sua, nella quale ai suoi cittadini
saria stato di esempio, se morte immatura non lo avesse rapito. Si
provò nell’arte drammatica anche il celebre Gellert, tra le cui
varie commedie è più commendata la Pinzochera, ove più cose ha imitato dal gran Comico francese,
e da cui gli furono suscitati nemici e brighe, come avea fatto il
Tartufo a Molière ed il D. Pirlone al Gigli; perciocchè in nessun paese
gl’ipocriti perdonano a chi lor toglie la maschera. La Sorte nella Lotteria ebbe più incontro che le
altre commedie di Gellert, e lo ebbe per più tempo.
Si nota da Sulzer che gli Alemanni hanno in genere le stesse
abitudini e maniere; e che per conseguente non può avere la commedia
fra essi tanta varietà di subbietti, quanta ne trova in Francia e in
Italia.
Mina di Barnhelm riscosse
maggiori applausi che le altre sue commedie; ed è sentenza del
signor Schlegel che ella adempia il fine della commedia meglio che
non fanno i suoi drammi quello della tragedia. È piaciuta ancora nel
teatro francese l’imitazione che ne ha fatto Rochon di Chabanes
negli Amanti generosi. Ella, in quanto alla
forma, partecipa della maniera francese e dell’inglese; ma e
nell’invenzione del subbietto e nell’imitazione de’costumi ridole il
fare alemanno. I serii affetti nel vero tengono alquanto
dell’affettato e dello studiato; al quale sconcio suppliscono i
comici personaggi con molta naturalezza e piacevolezza ritratti. Si
vogliono eziandio commendare le altre commedie di Lessing,
intitolate l’Ebreo, lo Spirito forte e il Tesoro, comechè
non aggiungano al pregio dell’altra.
Engel si dee risguardare come un discepolo di Lessing; ma i suoi
brevi drammi, scritti alla foggia del suo maestro, sono, a parere di
Schlegel, di picciol conto. Con tutto questo la sua Paggio, ed alcune
altre, attesa la fedel dipintura dei costumi e la vivezza e la
naturalezza del dialogo, ebbero incontro: ma gl’intrichi vorrebbero
essere meglio disnodati, e meglio disvelati i caratteri. Il gran
Federico nel Saggio sulla Letteratura
alemanna colma di lode Ayrenhoff, autore d’una commedia
intitolata il Postzug, ossia il Tiro a quattro. Postzug, ove il poeta conduce in sul teatro i nostri
costumi e ridicoli. Lo stesso Molière se avesse trattato il
subbietto medesimo, non lo avrebbe fatto con maggior laude.”
Diffidente.
Felice Weisse nelle sue commedie si avvicina al gusto ed alla maniera
inglese: ma quando egli scrivendo siegue il suo genio, nessuno ha
meglio di lui rappresentati i diversi caratteri di tutte le classi
della società, e massime i nazionali costumi. Nella commedia dei Poeti alla moda mette in canzone il mal gusto
e il mal lussureggiare de’concetti. Carlo Romanus è tenuto dagli
Alemanni come un felice imitatore di Terenzio; ma, come l’esemplar
suo, è vuoto di comico vigore. Stephanie il vecchio ebbe assai
incontro nel teatro di Vienna; ma le sue
Nelle Opere drammatiche di Kotzbue si trovano diversi generi; ma
nondimeno parecchie appartengono alla commedia, e più spesso alla
commedia detta sentimentale. Ha egli tratto
da Holberg la commedia intitolata Don Ranudo
Collibrados, che molto piacque. Questi è un gentiluomo
spiantato che studia di farsi credere ricco, e in cose di pompa
spende i suoi piccoli avanzi. Nelle commedie da lui inventate ei
suole mostrare il medesimo ingegno che nei drammi, e cognizion di
teatro, e immaginativa che gli suggerisce situazioni piacevoli.
Guglielmo Ifland, il Roscio alemanno, ha scritto parecchie cose, nelle quali si ammira la dipintura de’caratteri; e massime i costumi domestici vi sono egregiamente ritratti, e i personaggi veramente comici porgono quadri di famiglia al vivo rappresentati; se non che se gli può dar carico di troppa serietà e di poco ricoprire i suoi morali ammaestramenti.
Molti drammatici autori hanno esteso alla commedia il novello sistema
da essi introdotto per la tragedia. Non basta loro la dipintura dei
costumi per allettare: vogliono immaginativa nella creazione delle
Opere e nell’invenzione de’personaggi. Il mirabile, l’allegoria, Gatto instivalato,
óve, a simiglianza di Casti, spiega quella giocondità a cui gli
animali possono dar luogo. Chi sa qual effetto produrrebbono sulla
scena animali parlanti! Ottaviano e il Principe Zerbino, altre commedie di Tieck,
sono ingegnosamente trovate. Nella prima rappresenta l’opposizione
che vi ha tra il comun vivere e il pensar cavalleresco, e vi hanno
scene assai spiritose e al tutto comiche. L’altra è una satira non
meno ingegnosa che morale, conducendo in sul teatro un sovrano che
si sente tratto all’entusiasmo, alla filantropia e a tutti i
generosi sentimenti, circondato da cortigiani che si sforzano di
spegnere in lui quell’inclinazione. Tieck lodevolmente pone in opera
lo spirito e il comico per far bersaglio del riso l’egoismo, la
falsa prudenza, e tutte le cose presupposte ragionevoli, cui gli
uomini mediocri e invidiosi mettono dinanzi a chi comanda.
poetica la masserizia. Ma che vieta di ritrarre in
simiglianti quadri qualche generale carattere? E non sarebbono
ancora queste vere commedie? Il dramma patetico a lui sembra
dannoso, perciocchè, a suo dire, ei dà questa generale lezione che
la sensibilità fa perdonare ogni fallo, e che non si dee giudicar
della virtù con severi principii. Ma ciò procede dall’abuso, non
dall’essenza di un tal genere; nè mancano al teatro alemanno, come
al francese e all’inglese, drammi patetici di un fine è di un
effetto al tutto morali.
La tragedia alemanna dapprima fu come la commedia, informe e
grossolana, poscia timida imitatrice, e in fine originale e
irregolare o romantica. Il fecondo Giovanni Sachs coltivò insieme i
due generi, e scrisse sessantasei Opere del primo e quarantanove del
secondo genere. Per certo egli, a simiglianza di Shakespeare, fu
dotato di un natural genio, e fu come quegli sprovveduto di
letteraria educazione: nondimeno saria strano il paragonarli
insieme, secondo che più critici han fatto. Opitz diè la prima idea
della regolare tragedia, traducendo l’Antigone di Sofocle e le Troadi di
Seneca. Andrea Grifio, che gli venne dietro, fu più felice nella
tragedia che non era stato nella commedia; e nelle tragedie
intitolate Arminio, la Morte
di Papiniano e Carlo Stuardo si trovano
caratteri con forza ritratti e parecchi squarci eloquenti. Sofonisba del Trissino e quella del gran Cornelio, e
mostrò ingegno nell’Ibrahimo, benchè
irregolare tragedia e scritta con istile ampolloso. Elia Schlegel fu
de’primi a dar Opere non imitate, e a mostrarsi conoscitore
dell’arte drammatica, come si rileva nelle sue cinque tragedie, Canuto re di Danimarca, Arminio, Didone, ec., le quali
tuttochè difettose nel totale, contengono però di belle scene.
Sapeva egli il linguaggio delle passioni; ma spesso le raffredda con
ricercati pensieri e col moltiplicar di troppo gli affetti. Giorgio
Behrmann, dato che ebbe una bellissima imitazione degli Orazii di Cornelio, trattò con laude il
bell’argomento di Timoleone, in cui l’amor
della patria viene a cimento coll’amor di fratello. L’affettuoso
episodio della Gerusalemme liberata, cioè Olindo e Sofronia, e
l’Istoria di Codro suggerirono al barone
di Cronegk due tragedie, la cui tessitura non è regolare, ma alcune
scene sono assai passionate. Felice Weisse, maggior de’poeti or or
nominati, si tolse per esemplari i Tragici inglesi, senza essere
imitatore servile. Sulla loro maniera cercò situazioni di grande
effetto, e riempiè d’orrore il teatro. L’Atreo e
Tieste spira ancora più tetraggine che quello di Crebillon.
Le tragedie più reputate di Weiss sono l’Odoardo
III e il Ricardo III, d’un andamento
assai regolare e di un forte stile.
Klopstok spiegò nella drammatica poesia quel genio e quegli affetti
medesimi che spiegati aveva nella lirica e nell’epopeia; perciocchè
le sue tragedie si propongono anch’elle o di Morte di Adamo, sua prima tragedia, non
simiglia alcun altra. Gli affetti de’nostri primi padri vi si
veggono espressi con naturalezza e forza eguale, e il congedo che
Adamo piglia innanzi al morire è il più tenero che si sia fatto tra
gli uomini; come anche la prima morte dovè cagionare un più grande
stupore. Questa tragedia non può, per confessione dello stesso
autore, rappresentarsi; ma secondo lui, è in arbitrio dello
scrittore lo eleggere la forma drammatica per lui creduta più
opportuna al subbietto cui vuol trattare, benchè il dramma non sia
acconcio alla scena. Simili a questa sono le altre sue tragedie il
Salomone e il Davidde; e nella seconda è soprattutto mirabile la
descrizion della peste, da alcuni anteposta a quella di Omero e
Tucidide. La Battaglia di Arminio, tragedia
consecrata al patriottismo, è un fedel quadro dei costumi e del modo
di guerreggiare degli antichi Germani, allorchè i Bardi coi loro
canti rincuoravano gli eroi che combattevano contro i nemici della
patria. Tanto è l’ingegno del poeta, che si vede in azione
l’intrepido coraggio dei figliuoli di Tuiston e lo sbalordimento
de’Romani, come è stato scritto da Tacito. Il celebre Goethe nelle
Osservazioni sul Teatro pretende che
Klopstok vada molto innanzi agli altri Tragici alemanni; del quale
avviso non può essere se non chi reputa affatto capricciose le
principali regole della Drammatica dai più gran maestri seguíte.
Lessing poscia che ebbe scritto più cose drammatiche, ove non si leva
gran fatto sopra
La prima tragedia urbana di Lessing si è Sara
Sampson, stesa sull’esemplare, o, a meglio dire, ad
imitazione del Mercante di Londra, dramma
dell’inglese Lillo. È stata ella tradotta in quasi tutti i
linguaggi, e non ostante questo il signor Schlegel la reputa
languida e maninconiosa. Il Filota, seconda
tragedia di Lessing, è mancante di verità nel carattere nell’eroe,
nè alletta gran cosa. Emilia Galotti, che
supera i menzionati drammi, non è altro che l’argomento di Virginia, che Lessing ha Natanno il Saggio, è quello ove più che
mai dalle antiche regole si dilunga; lo chè fa dire a Schlegel che
più che gli altri si conforma alle veraci
regole
dell’arte. Vero è nondimeno che la religiosa
tolleranza ivi è posta in azione con assai naturalezza e dignità. I
Crociati formano il fondo del quadro. Comparisce in su la scena con
alcuni immaginati ma non inverisimili personaggi il gran Saladino,
ritratto con fedeltà sulla scorta dell’istoria; e quasi si pone in
dimenticanza che i principii e le massime di tolleranza onde questo
dramma è ripieno, erano ignoti nel dodicesimo secolo. Ma le generali
verità che vi sono profuse, raffreddano la scena, e l’azione non ha
un moto rapido abbastanza. Il poeta quivi si è riconciliato colla
versificazione conveniente alla tragedia; e benchè i versi ne sien
giudicati duri e trascurati, pur danno al dialogo più forza e
nobiltà.
Senza giudicare del merito e dell’incontro di Lessing, noi crediamo
di poter dire che non si debbe locare tra i primi autori drammatici.
I suoi drammi d’un genere nuovo per Goets di Berlichingen, in
cui si è proposto di ritrarre gli ultimi tempi cavallereschi, e il
passar che si fece dalla libera rozzezza alla pieghevole docilità.
Ivi si rappresenta l’antica alemanna cordialità nella più affettuosa
maniera; e grande impressione vi cagionano le interessanti
situazioni. Ma questo, come gli altri maggiori di Goethe non paiono
scritti per rappresentarsi, eccettuandone però il Clavigo, urbana tragedia sul far di quelle di Lessing, in
cui quegli ha seguíto il racconto del francese Beaumarchais,
aggiungendovi una catastrofe di sua testa. Stella, Goethe ha posto in su la scena
l’istoria del conte di Gleichen; ma senza avere incontro, a parere
del medesimo critico, il quale afferma che un tal dramma sol può
carezzare i cuori naturalmente deboli per essere ammolliti. Questo
poeta per dimostrare ch’egli, se avesse voluto, potea seguire le
usate forme drammatiche, scrisse l’Ifigenia in
Tauride, ove tu senti il gusto dell’antica Grecia. Questa
tragedia si tiene dagli Alemanni per lo più squisito lor classico
lavoro.
Ma la più bella fra le tragedie di Goethe è, per giudizio dei più
critici, il Conte di Egmont, che sente
dell’isterico e insieme del romantico. Dottor Fausto ovvero la Scienza infelice si è la più straordinaria Opera di
Goethe; e in questa si vuole che egli abbia per avventura spiegato
più genio. Ma non si dee tacere che non se ne può fare un maggior
abuso; e che quello è l’eccesso della poesia romantica. Questo solo
possiamo concedere agli entusiasti ammiratori di Goethe, che anco
nelle più bizzarre invenzioni egli si dà a vedere per gran dipintore
dell’uman cuore.
Briganti, suo primo dramma non men terribile
che stravagante, fu di tale effetto che l’eroe trovò imitatori.
L’altra, cioè il Conte Fieschi, è assai
difettosa nell’orditura e assai debole per l’effetto. La terza,
l’Amore e l’Intrico, è un dramma patetico, ma esagerato tanto, che in
cambio ai profondamente commovere, tormenta gli spettatori con
penose impressioni.
I principii della morale e similmente dell’arte potevano rimproverare
a Schiller queste Opere giovanili; ma dopo il quinto lustro puri ed
austeri furono i suoi scritti. Don Carlos è
il primo lavoro in cui egli seguì un novello sentiero; ed è anco nel
novero delle buone Opere. Vi ha molta profondità nei caratteri, e
forza e passione negli incidenti; se non che troppo impacciato n’è
l’intrico; e i molti pensamenti che l’autore vi ha sparsi sull’umana
natura e Maria
Stuarda è forse di tutte le tragedie alemanne la meglio
ideata, e la più affettuosa da produrre un grandissimo effetto, e ad
un tempo più morale di tutte. Si può dire però che l’autore troppo
si briga di esercitare tutto il rigore della giustizia poetica,
pigliandosi pena d’Elisabetta dopo la morte di Maria.
Shakespeare ne’suoi componimenti istorici di Enrico VI si era
mostrato ingiustamente parziale colla Pulcella d’Orleans; ma
Schiller ha cercato di vendicare quell’illustre eroina che liberò
dal giogo straniero la patria; e con ragione dà carico ai Francesi
di non essere stati in verso di lei conoscenti, nè aver cancellato
la memoria dei poemi di Chapelain e di Voltaire. Questo istorico
argomento è anco meraviglioso ma il poeta ne ha menomato l’interesse
nell’ultimo atto, introducendovi un mirabile di sua invenzione
contrario a quello dell’istoria. Egli compose la Fidanzata di Messina per far ricevere un novello sistema
drammatico che traeva i cori sulla scena; e questo argomento è
quello dei Fratelli nemici. In questa tragedia si scorgono i segni
del bell’ingegno di Schiller; ma poco alletta, uscendo fuori dagli
usi moderni Guglielmo Tell, secondo Schlegel, è la
più perfetta Opera di Schiller: in cui però, compiuta la principale
catastrofe, vi ha un atto inutile, che in sul teatro a ragione si
tralascia. Questo dramma, che spira la cordialità dei vecchi tempi,
il rusticano eroismo e la sincera pietà, è tutto acconcio a
commuovere ed a rincuorare. Morte innanzi tempo furò questo poeta
virtuoso, la cui pura anima tributava omaggio alla virtù ed alla
eterna bellezza, offrendogli in sagrificio le sue particolari
inclinazioni. A lui era incognito quel geloso amor proprio, il quale
ha tante volte la letteraria gloria oscurato.
Dachè Goethe e Schiller sono fra i trapassati, Verner è stato il
primo scrittor drammatico dell’Alemagna. Nelle sue tragedie ha egli
accoppiato l’allettamento e la dignità della Lirica; la qual cosa
però, facendolo ammirare come poeta, toglie ad un tempo non poco
alla rappresentazione. Onde che se ne’suoi componimenti tu cerchi
solamente canzoni, odi o religiose o filosofiche, li reputerai d’una
singolare bellezza; ma se li consideri quai drammi destinati al
teatro, vi scorgi non poche sconcezze. Non pare adunque ch’egli si
sia sempre proposto di comporre per la rappresentazione, ma
piuttosto che abbia voluto impiegare l’arte drammatica per
diffondere un suo mistico sistema di religione e di amore.
Avvenimento di grande importanza pel mondo, e massime per
l’Alemagna, si è la Riforma, argomento del suo Lutero, nel quale assai bene è dipinto quanto risguarda
l’effetto delle nuove opinioni. Caratteri
Werner ha scritto sui Templari un dramma in due volumi, intitolato i
Figli della Valle, Opera che molto
alletta gl’iniziati nelle dottrine degli Ordini segreti. Il poeta vi
si studia di congiungere i Franchi-Muratori ai Templari, e di
mostrare che tra quelli si sono ognor mantenute le tradizioni
medesime ed il medesimo spirito. Un tal poema ha fatto in Germania
una grande impressione. Degno di ricordanza si è un altro suo
lavoro, cioè il romanzo drammatico intitolato la Croce sul Baltico, il cui argomento è l’introduzione del
cristianesimo in Prussia e in Livonia; perciocchè vi hanno assai Ventiquattro di Gennaio ha con
assai verità rappresentati i costumi della Elvezia; ma se nelle
tragedie ha poste parecchie situazioni che giovano a render bella la
Lirica, anzichè ad ispiegare le teatrali passioni, in quest’altro
componimento ravvicina di troppo i costumi alla verità, e talora ad
una cotal verità cui le belle arti non deggiono imitare.
Kotzbue pel talento drammatico non agguaglia i quattro ultimi autori
già da noi ricordati, ma li supera nella cognizione degli effetti
del teatro, o sembra almeno essersi più di quelli proposto che si
potessero rappresentare i suoi drammi. Gli Ussiti, i Crociati, Hugone Grozio, Giovanni di
Montfaucon, la Morte di Rolla,
dovunque si recitano, sono di un grande allettamento, e la più parte
di essi racchiude qualche incidente di una singolare bellezza.
Dall’ultimo il celebre Sheridan ha tratto l’argomento del suo
storico dramma per nome Pizzarro, che
rappresentato sulle scene inglesi, è molto piaciuto, ma dalla
critica è stato rilegato tra i lavori di un falso genere. Spesso
Kotzbue è stato tacciato di non ritrarre i suoi personaggi nè coi
colori propri del loro secolo, nè coi lineamenti nazionali loro
attribuiti dall’istoria; e se gli è dato ancor carico di non aver
sempre rispettato la virtù severa e la religione positiva; i quali
difetti però, che nelle sue prime Opere si scontrano, hanno
Era Kotzbue dell’avviso di Lessing, che bisognava scrivere in prosa
pel teatro, e ad ogni modo ravvicinare la tragedia al dramma. Negli
autori drammatici che hanno seguíto questi principii, si trova quasi
sempre la semplicità e l’interesse, benchè in essi si desiderino le
altre qualità del genere tragico. Tali sono, oltre a quelli per noi
già menzionati, gli autori dell’Agnese
Bernau, di Giulio di Taranto e del Don Diego e Leonora.
Tra le tragedie prosastiche che si levano sul dramma, vuolsi
annoverare qualche saggio di Gerstenberg. Egli ha tratto
dall’Alighieri la Morte di Ugolino per
subbietto d’una sua tragedia, la quale contiene maschie bellezze.
Quel momento nel quale il conte sente chiavare l’uscio della torre
ov’è rinserrato, cagiona la più terribile scossa che l’anima possa
ricevere: Colpa, che sempre ha riscosso applausi in teatro; e vi ha
un’ammirabile semplicità nei caratteri, scene patetiche al sommo,
assai naturalezza e forza nell’espressione; se non che l’orror che
ne desta è più acconcio a ributtare che a commovere; ed anco troppo
uso egli fa delle vulgari superstizioni. Gli vien dato lode per
avere adoperato diversi metri sempre convenevoli ai vari affetti
dell’animo, siccome praticarono i Greci. Abbiamo del medesimo autore
altre composizioni drammatiche, alcune delle quali spettano alla
commedia, quali sono la Regina di Golconda,
gli Affidati, la Dubbiosa, il Ventinove di
Febbraio.
Le più delle alemanne tragedie le quali dai medesimi autori non si
destinavano alla rappresentazione, sono ciò non ostante poemi
irregolari assai belli. Uno dei più degni di essere ricordati si è
la Ginevra del Brabante, lavoro di Tieck; il
quale interessante subbietto è scritto con quella semplicità che
agli antichi costumi si addice; ma forse la fedeltà dell’imitazione
è soverchia. Klinger, noto per altre Opere ove la profondità non è
minore della sagacità, ha composto una tragedia intitolata i Gemelli, di un grande interesse; nella quale
mirabilmente è ritratta quella stizza e quella gelosia onde è invaso
un cadetto contro il diritto di anzianità; e vi signoreggia calore
ed eloquenza di stile. Fra gli autori che son rimasi fedeli
all’imitazione degli antichi, si annovera in primo luogo Collin, le
cui tragedie, il Regolo e la Polissena, piacerebbero ne’più regolari
teatri. Nella sua maniera di scrivere si trova congiunta
l’elevatezza
L’ingegnoso e dotto autore del Corso di Letteratura
drammatica si congratula co’suoi concittadini d’aver creato
pel teatro una scuola nazionale fondata sui veri
principii dell’Arte. Ma è da dolere che egli non abbia per
chiaro modo e preciso spiegato in che consistono cosiffatti
principii. Se giudicar se ne dee dalla pratica de’più celebri
autori, che mai presenta la storia del teatro alemanno? Opere da non
potersi rappresentare, come che la rappresentazione sia d’ogni
lavoro drammatico l’obbietta primario; drammi istorici, ove
s’introducono personaggi immaginarii, o allegorici, con un far
maraviglioso ed un ideale contrarii alla verità; tragedie scritte in
prosa, nelle quali si è preteso talvolta di assimigliare
rigorosamente alla natura il dialogo, e altre parti della
composizion teatrale, con violare in tal guisa ogni imitazione
poetica; Opere indefinibili, in cui la Lirica sottentra il più delle
volte in luogo della Drammatica; commedie infine in cui
l’immaginazione inventa così i personaggi come gli argomenti, ed a
cui si è dato il nome di arbitrarie, quasi
che la natura potesse sottoporsi agli arbitri. Per certo noi
possiamo dubitare che una colta nazione, che ogni dì più s’avanza in
fatto di buon gusto, si voglia lungamente compiacere di simiglianti
spettacoli. Inutili sono gli sforzi per diffondere e dilatare questa
maniera romantica, surta nell’età di mezzo, in quei tempi
signoreggiati dalla barbarie, dall’ignoranza e dalla superstizione:
il
Resta che noi parliamo degli scrittori che hanno trattato la teorica della morale, di quelli che hanno applicato i loro principii ai costumi e ai caratteri, e finalmente di quelli che si sono studiati di abbellirli colle finzioni. Innanzi ai moralisti dogmatici si vuol locare Leibnizio, il più vasto ingegno cui abbia generato l’Alemagna, e uno de’più grandi nei tempi moderni. Egli abbracciò tutto il regno del sapere; e la moral filosofia non fu quella in cui con meno ardore intendesse col suo scrutatore e creatore intelletto. Nell’indagare i principii della natural teologia, e quelli del diritto naturale e delle genti, piantò sulle più sode fondamenta i principii della morale. Molti illustri suoi discepoli ne adottarono ed estesero la dottrina; ed affermar si può che da’suoi principii sulle origini delle idee, sulla moral libertà, ec., sia proceduta tutta la novella filosofia, la quale in Alemagna ha tanto potere sugli spiriti.
Il dotto Puffendorf ebbe il vanto di formar per primo un vero corpo
del diritto della natura e delle genti, e di compier l’impresa già
con tanta gloria incominciata da Grozio. Quegli abbracciò nel suo
lavoro lo stato naturale dell’uomo, e quanto risguarda l’umana
società; e stabilì i principii della morale e i comuni doveri
dell’umanità. L’adempimento di un’Opera così grande non è priva di
difetti, contenendo ella troppe questioni e troppa metafisica Doveri dell’Uomo e del Cittadino considerati
secondo la natural legge.
Cristiano Tommasio scrisse egli pure sui principii del diritto della
natura e delle genti, deducendoli dal senso comune, secondo la
supposizione di Puffendorf. Bizzarro nei titoli delle Opere, diè per
introduzione alla moral filosofia un’Arte di amare
secondo la ragione e la virtù, soli istrumenti d’una vita felice
e tranquilla. Divulgò poscia la Medicina
contro l’Amore irragionevole e la Dottrina della cognizione di se stesso; la Giurisprudenza Divina, ed altre Opere
parecchie, le quali insieme unite possono formare un compiuto
trattato di morale. Ma per gli spessi cangiamenti che fa nella sua
dottrina è più acconcio a trarre i lettori in un dannoso
scetticismo, che a fornirli di veraci insegnamenti.
Senza scrivere grossi volumi, tormento de’leggitori, e senza caricare
di soverchia erudizione la filosofia, Eineccio ne ha dati gli Elementi della Morale molto precisi e
sostanziali, e più acconci ad ammaestrare che una lunga Opera. Ma
oltre a questo, ha composto un altro libro sui Doveri dell’Uomo
e del Cittadino, il quale, benchè egli
annunzi di dichiarare l’Opera di Puffendorf sullo stesso argomento,
pure attesa la novità e l’ampiezza delle sue idee si dee considerare
siccome Opera originale.
Molti altri Alemanni nei loro Corsi di filosofia o di giurisprudenza
hanno discorso le diverse parti della morale; ma i più scrissero in
latino,
Fra gli Alemanni che, scrivendo di morali e filosofiche cose, usarono
l’idioma volgare, si nomina come uno de’primi, e di quelli che
l’hanno fatto con maggior laude, Gianaugusto Eberhard. Di lui
abbiamo un’apologia di Socrate, nella quale, senza copiar Platone e
Senofonte, ha saputo trattare questo bellissimo argomento ed
oltremodo allettare. Ha dato ancora una Teoria del
pensiero e del sentimento, in cui si dà a vedere
generalmente per discepolo di Wolfio, dichiarandone i principii con
uno stile adorno, quanto il subbietto lo consentiva. Sembra aver
egli adottato l’opinione di Leibnizio, non doversi le nostre idee
attribuire alle nostre sensazioni, ma nell’intelletto risiedere una
special forza creatrice.
Mosè Mendelson, ebreo di nascita, di mezzo al disagio e all’industria
si consecrò allo studio delle belle lettere e della filosofia, senza
rinunziare in verun modo nè la credenza nè i riti della sua
religione; ed il suo amico, il rinomato Lessing, fu quegli che lo
incoraggiò e lo consigliò. Primo lavoro di questo filosofo ebreo
furono le Lettere sui sentimenti, la cui
precisione, chiarezza ed eleganza fecero assai Fedone, ovvero l’Immortalità dell’Anima, fatto ad imitazione
dell’eccellente dialogo di Platone col medesimo titolo. Il filosofo
alemanno vi dichiara con forme drammatiche e con molta nobiltà e
allettamento i concetti e la dottrina del più saggio fra i Greci; ma
vi aggiunge tutta la profondità dei principii di Leibnizio e di
altri filosofanti moderni; cosa ch’egli adempie con rara
perspicacità ed eleganza. Le dimostrazioni dell’immortalità
dell’anima son tratte dall’accordo delle morali verità, e in
ispecial modo dal sistema dei nostri diritti e doveri: nelle quali
cose, quanto può far l’ingegno e l’eloquenza a cosiffatte
trattazioni convenevoli, tutto ivi per eccellenza si compie.
Mendelson ha dato ai suoi scritti l’impronta dell’ebraica semplicità,
e spesse volte rende la morale sensibile per mezzo di apologhi alla
foggia degli Orientali. Ha egli fatto per ammaestrare la sua nazione
parecchie Opere che possono chiamarsi altrettanti monumenti d’un
ingegno perspicace, di una dolce morale e d’un energico stile. Ma
soprattutto il suo nome si è segnalato nella sua Gerusalemme. Nella prima parte di quest’Opera egli
stabilisce con chiarezza e profondità i principii di tolleranza, e
nella seconda si contengono acute considerazioni sulla religione
degli Ebrei. Questo lavoro gli tirò addosso le persecuzioni dal
canto de’Mattinate, che
sono ammaestramenti indiritti ai suoi figliuoli sull’esistenza di
Dio e sui principii della morale; la qual Opera non è inferiore ad
alcun libro simigliante cui vantino le altre nazioni.
Tommaso Abbt, uno de’più domestici amici di Mendelson, scrisse un
trattato della Morte per la Patria, nel quale
mostra ed ispira i più nobili affetti e i più generosi. In un’altra
sua Opera intitolata Del Merito accuratamente
esamina, ma con una mente meno accesa quali sieno le cose per le
quali si acquista rinomanza e venerazione, e che perciò si appellano
meritevoli. Orgoglio
nazionale, lo chiama un grande ingegno, ed un uomo
virtuoso, la cui ricordanza non gli occorre giammai al pensiero
senza versar lagrime.
Engel, a modo di Mendelson, insegnò la morale in un modo drammatico.
Semplicissime sono lo (sic.) sue finzioni; ma giovano assaissimo per
l’allettamento e pel patetico. Nessuna cosa maggiormente commuove,
come il quadro in cui dipinge un vecchio impazzato per
l’ingratitudine del figliuolo, i cui rimorsi sono ritratti con
tocchi fortissimi. Pieno è questo scrittore d’idee
I moralisti alemanni hanno scritto sugli affetti e sui doveri con
sensibilità, religione e candore. Ma rade volte si trova nelle Opere
loro quella ingegnosa pratica del mondo che è singolar pregio degli
inglesi e francesi dipintori de’costumi, come sono La Bruyere,
Addisson, ec. Nondimeno si può nominare Cramer, autore dello Spettatore del Nord che ha seguito con lode
le orme di quei celebri moralisti. Se non porge il medesimo diletto,
ha però sodezza ne’pensieri, e discernimento nelle osservazioni e
nelle critiche. Garve più d’ogni altro moralista alemanno si è
rivolto a parlar del gran mondo, della politezza, della moda, ec.
Dal suo stile traspira la voglia di apparire uomo di mondo, pratico
de’costumi, delle usanze e delle opinioni delle sollazzevoli
brigate, e di giudicare senza parzialità della città e della Corte.
Ma le comunali idee, onde ne’suoi scritti parla sui diversi
subbietti, manifestano ch’egli per udita ragiona, senza avere
osservato quei fini e delicati accorgimenti che il social conversare
ne porge. Quando però egli parla della virtù, mostra puri lumi e
spirito sereno. Sopra tutto è commovente e originale nel trattato
della Pazienza, che scrisse posciachè fu
aggravato da una mortal malattia, cui sopportò con raro coraggio; e
quanto allora sentì dentro se stesso, trasfuso è in quell’Opera con
molta novità.
Testamento Swiftiano, nella favoletta del
Primo Aprile, nel Dizionario Alemanno,
nella Cronaca e Tabella de’Morti, nei Proverbi di Pansa, e massime nelle sue
lettere! Noi lo raccomandiamo ai nostri leggitori, siccome un autore
che non meno di Molière sa intertenere più classi di spettatori e
sferzare più specie di pazzie.”
Giorgio Zimmermann è di quegli scrittori che hanno applicata
l’istoria alla pratica della morale, come si vede nel suo trattato
dell’Orgoglio nazionale. Va egli
considerando le diverse inclinazioni degli uomini secondo i diversi
paesi; dichiara quai titoli può avere ciascuna nazione per essere
stimata dalle altre, e ne pone in guardia contro quegli odii
nazionali i quali talvolta inducono un popolo a tenersi per natural
nemico di un altro: quest’Opera è scritta con semplice stile, ma non
senza grazia. Simile Solitudine, nel quale non si propone
già di lodare quella misantropia che fa fuggir gli uomini dagli
uomini; ma raccomanda l’amor del ritiro, cosa che può farsi anco in
mezzo a numerose società, ove che si consacri qualche ora
all’intertenimento dell’intelletto ed alla calma del cuore per
assaporarne le delizie.
Molto stimato è ancora nell’Alemagna il Saggio sui
grandi Uomini di Hirschfeld, il quale, giustamente
bilanciando i vantaggi del nascere da una illustre prosapia e quelli
delle ricchezze, non riconosce l’uom grande che nella magnanimità,
nel subblime pensare e nei generosi fatti; e dimostra che l’uomo non
è veramente grande se non per sè solo. Giambernardo Bassedow ha
raccolto nella sua Pratica Filosofia molte
verità acconcie a rischiarar l’intelletto e ad indirizzare il cuore
nell’esercizio delle morali virtù; le quali cose da lui s’espongono
con tale chiarezza, che allettano eziandio i meno adusati alle
filosofiche ricerche. Giovanni Gioachino Spalding ebbe nel suo
trattato della Destinazione dell’Uomo la
medesima mira di Bassedow. Dieterch Tiedemann ha nelle sue Ricerche sull’Uomo raunate e comparate fra
loro le osservazioni degli antichi e moderni filosofi risguardanti
la natura e le operazioni dell’anima umana. Usa egli con molto
avvedimento della critica; e perciò utilissima è quest’Opera a bene
intendere le vere massime de’filosofi greci. Si è anche acquistato
rinomanza co’suoi concetti sopra Platone, pei quali ha Ricerche
filosofiche sopra la Natura umana e il suo svilupparsi,
nelle quali V. Prospetto
generale della Letteratura tedesca del signor Angelo Ridolfi
pubblico professore dell’Università di Padova,
ec.”
Ragion vuole che tra gli scrittori i quali hanno arricchito
l’alemanna letteratura, ed illustrato la Svizzera lor patria, si
ricordi con onore Giovanni Sulzer. Questi dee la rinomanza alla sua
Teoria generale delle Belle Arti, nella
quale non si sa se più egli addimostri sensibilità e fino gusto,
ovvero profonda filosofia e sublimi pensamenti. Intese in ispecial
modo Le belle arti
considerate secondo la loro origine, la vera loro natura e l’uso
migliore. Innanzi di porsi a meditare sulle belle arti,
avea contemplato le meraviglie della natura; lo che si scorge nelle
sue Osservazioni morali sulle Opere della
Natura. Stato egli essendo discepolo di Giovanni Gessner,
il Plinio di sua nazione, quella prima Opera apparve sì grande che
meritò d’esser tradotta in parecchie lingue.
Hanno preteso alcuni filosofi di ridur la morale a scienza
rigorosamente provata così nei principii, come nelle sue
conseguenze; e che non ammette nè obbiezione nè eccezione veruna,
dachè quei primi principii si sono adottati: alla quale impresa
primo si accinse il celebre Kant, vasto non meno che profondo
ingegno, le cui prime Opere si furono diversi scritti sulle fisiche
scienze, i quali ne mostrarono una grande sagacità e molta vastità
di sapere. Quindi meditò sulla natura dell’umano intendimento, e diè
fuori la Critica della pura ragione, la quale
lo ha posto allato de’primi metafisici, e assai seguaci gli
conciliò. A questo trattato successe l’altro intitolato la Critica della ragion pratica, che comprende
la morale; il qual lavoro poscia con altri scritti sulla medesima
facoltà gli hanno acquistato altrettanta fama, quanta prima i
trattati di metafisica. In quello si propose di stabilire che
fondamento della morale è il dovere, non l’utilità; e i suoi
principii sono austeri e simiglianti a quelli degli Stoici. Questo
filosofo, che avea riconosciuto la
Sì è dato biasimo a Kant di essere oscuro nello stile, e d’avere
adoperato una maniera di termini difficilissimi a intendersi.
Nondimeno, quando egli preferisce il suo linguaggio scientifico, e
massime quando parla della morale, lo stile n’è chiaro, semplice e
forte. Quanto meravigliosa allor fare la sua dottrina! Come esprime
il sentimento del bello e l’amore del dovere! Con qual vigore li
diparte entrambi da ogni calcolo d’interesse e di utilità! Nobilita
egli le azioni per le cagioni loro, non per gli effetti, e porge
all’uomo una grandezza morale. Qualunque possa essere la sorte
de’suoi sistemi di metafisica, egli è di quei filosofi che hanno
onorato l’Alemagna. Avendo consacrato la lunga sua vita a meditar le
leggi dell’umano intendimento, non andò in cerca di gloria, di cui
assai tardi godè, e mai non uscì di Konisberga sua patria. Solo tra
i Greci si trovano esempi di una vita così a rigor filosofica, in
I più celebri filosofi successori di Kant sono Fichte, Schelling e
Jacobi. Hanno preteso i due primi di rendere più semplice il
metafisico sistema di Kant, ma coll’introdurre un filosofare ancor
più sottile, o, a meglio dire, collo spingere il sistema d’idealismo
ad un rigore scientifico a cui ben pochi aggiungono. Fichte tutto
deriva dall’attività dell anima: Schelling tutto riferisce alla
natura, e si studia di alzar la materia infino allo spirito; le
Opere dei quali filosofi solo indirettamente appartengono alla
morale. Ma pure dal sistema del primo risulta una stoica morale, la
quale non ammette alcuna scusa; perciocchè tutto procedendo da noi, noi dobbiamo
rispondere dell’uso che facciamo di nostra volontà. Schelling
inferisce dal suo sistema nobilissime conseguenze sulla necessità di
coltivare nella nostr’anima le immortali qualità. Non si dee negare
che la sottilissima filosofia degli Alemanni, mentre che spiega una
grande potenza per isviluppare gl’intelletti, non ne spieghi ancora
sulla morale della nazione tra cui regna.
Jacobi si è mostrato nemico della filosofia di Kant; ma nol combatte
già qual sostenitore dell’opinione sulle sensazioni, ed anzi lo
ripiglia di non essersi fondato sulla religione considerata come la
sola filosofia possibile nelle verità che trapassano l’esperienza.
Assaissimo si stimano in Alemagna le metafisiche Opere
Schleyermacher ha divulgato un dottissimo libro sull’esame di diverse
morali, considerate come scienze. Egli vorria trovarne una in cui
tutti i ragionamenti possero perfettamente concatenati, e il cui
principio tutte racchiudesse le conseguenze; ma sin qui non sembra
essersi arrivato a tanto. Ad un profondo sapere questo scrittore
unisce assai spirito e immaginazione; le quali doti si scorgono
ne’suoi Soliloquii, in cui facendosi ragione
de’sentimenti e pensieri suoi, si abbandona alla contemplazione
delle più importanti verità, e indaga specialmente le cagioni della
felicità. La lettura di queste considerazioni, spesse volte
astratte, è resa dilettevole dallo stile elegante e fiorito, dalle
finzioni, e dai varii e interessanti episodi. A lui ha procacciato
un gran nome anco l’eccellente traduzione dei Dialoghi di
Platone.
In questo Saggio noi abbiamo compresi alcuni Istoria della Confederazione Elvetica, univa
ad un profondo sapere poetico immaginativa ed oratoria eloquenza.
Valente pittore e dei fatti e degli uomini, può essere tenuto pel
vero classico istorico dell Alemagna. Ma indebitamente gli si è
voluto apporre il titolo di Tacito alemanno. Spira, è vero, la sua
storia, come quella dell’autore latino, il più caldo amor della
patria, l’odio dei tiranni e la filantropia: ma in cambio di
scegliere alcuni avvenimenti e di porgerne con precisione le
particolarità, ha egli il difetto d’una soverchia lunghezza, e di
narrare quelle particolarità che non facevano duopo per renderne
interessante il racconto. Talora egli affetta la concisione,
l’andamento e il tuono sentenzioso di Tacito; ma il più delle volte
il suo stile è ricco, abbondante e periodico. Talora egli imita la
semplicità delle cronache del mezzo tempo, le quali due maniere
diverse fra loro si oppongono. Egli ha scritto una Storia Universale
che dopo la sua morte fu divulgata.
Ancora Schiller occupa un alto scanno tra gli storici filosofi, tra
coloro cioè che considerano i fatti come altrettanti argomenti in
conferma della opinione. Ha egli stesa l’Istoria
della Guerra de’Trent’Anni, la quale è una delle epoche in
cui la nazione alemanna ha spiegato maggior energia. Ella è scritta
con un sentimento di patriottismo e di amore per la
Herder, a simiglianza di Schiller, vuolsi per la sua morale e pel
talento locare tra i primi letterati dell’Alemagna, i quali per più
titoli sono il più venerato consesso che il mondo incivilito ne
presenti. Il suo libro intitolato Filosofia
dell’Istoria dell’Umanità è una delle Opere alemanne che si
leggono con più interesse e diletto. Le politiche osservazioni non
sono così profonde come quelle di Montesquieu nell’Opera sulle Cagioni della Grandezza e del Decadimento
de’Romani; ma pure, attesa la sua grande immaginativa, ha
potuto egli internarsi ne’più remoti tempi e con quella fiaccola
inoltrarsi per mezzo alle tenebre. Allettano oltremodo i suoi
capitoli intorno a Persepoli, a Babilonia ed agli Egiziani.
Storia
dell’Umanità, il quale intese a mostrare, essere la virtù e
la filosofia i soli mezzi della felicità dell’uomo, e il dilungarsi
dalle lor leggi, la sola fonte delle umane miserie.
Resta che noi favelliamo degli scrittori che hanno ricorso alla
finzione per li morali ammaestramenti, e per dipinger costumi e
caratteri; tra i quali scrittori vuolsi per certo nominar per primo
il celebrato Wieland. L’Alemagna contava già parecchi seguaci della
letteratura francese del secolo di Luigi XIV: Wieland primo
introdusse con lode quella del secolo XVIII. Nelle sue Opere in
prosa egli ha qualche simiglianza con Voltaire, senza esserne
imitatore; e se non ha la grazia e la piacevolezza dell’illustre
Francese, ha molto spirito e immaginativa, ed una erudizione
profonda da lui sempre filosoficamente impiegata. Le sue finzioni
non si possono già considerare come semplici romanzi, posciachè il
fondo n’è storico e filosofico, il che le rende molto istruttive. Le
Avventure di Agatone, da taluno
paragonate col Telemaco e col Belisario, porgono un quadro dei costumi
dell’antica Grecia ritratto con fedeltà e con grazia. Ma come che la
parte istorica sia porse la più allettativa dell’Opera, non meno
piacciono e interessano le finzioni. Le sciagure e le prosperità di
Agatone, le virtù e i falli suoi fanno vedere quanto l’uomo dee
vigilare sopra se stesso per ischifare i danni del vizio. Gli
episodi, che vi aggiungono varietà, sbucciano tutti dall’azion
principale e non menomano l’interesse. Pellegrino Proteo, nella
quale si studia similmente di spargere dei fiori; ma troppa parte vi
hanno l’analisi e la disputazione.
Un’Opera veramente classica di cui va ricca l’alemanna letteratura, è
l’Aristippo del celebrato Wieland; nella
quale in via epistolare vengono con mirabile artificio dipinti i
costumi della Grecia, e vi trovi dotti ragionamenti sui governi,
sulle leggi e sulle arti belle. Ivi pure con iscelta erudizione
presenta l’autore i sistemi filosofici delle varie scuole, non che
l’istoria e le vicende politiche di quella famosa nazione.
Quest’Opera è già conosciuta in Italia per l’accurata ed elegante
versione fattane dal dottor Michelangiolo Arcontini.
L’istoria, i costumi e le arti dell’antica Grecia hanno pure
somministrato a un altro Tedesco l’argomento d’un’ingegnosa e
piacevole Opera. Alcibiade, le cui virtù e i vizi così illustri, e
in apparenza così opposti, davano luogo a finzioni senz’offendere la
verisimiglianza, fu scelto da Meisners pel suo eroe, ed ha avuto
grande incontro anco in deboli traduzioni. Grazioso e sollazzevole
n’è lo stile; preciso e rapido l’andamento. Fa egli piccoli quadri,
e a modo di alcuni Francesi accoglie insieme i tratti più forti. Ha
molto piaciuto eziandio un altro suo Viaggio di Brancko,
nel quale si trovano molti dilettevoli episodi, e massime quello di
Lindau, ossia l’Invidia, che solo basterebbe a far conoscere
l’ingegno di Meisners, e la sua dolce e amabile sensibilità. Egli è
di quegli scrittori che si dicono della scuola francese; ma così in
lui, come in Wieland si vorrebbe una certa nazionale originalità che
per avventura gli avrebbe fatti più irregolari e ineguali, senza
accrescerne di una dramma il talento e il genio.
Non mancava questa nazionale originalità a Goethe, come si è scorto
nelle sue Opere drammatiche. Cominciò egli la letteraria carriera
col famoso romanzo delle Passioni di Werther;
ed è noto che l’interesse di quello è solo riposto nell’isviluppare
un infelice passione, essendo per altro sfornito di situazioni e di
avvenimenti. È steso in forma di lettere, nelle quali si parla di
cose diverse, e poco signoreggia la passione; ma è molta la
naturalezza e la verità delle particolari circostanze; senza che
però veramente ne alletti, se non se il momento del suicidio, e
qualche squarcio delle ultime lettere scritte da Werther alla sua
madonna innanzi all’uccidersi. Questo romanzo sublime, secondo
alcuni bizzarro, esagerato, snaturato secondo altri, porse diletto,
o almeno meraviglia a moltissimi ettori, massime alle donne, come
quello che porgeva un grand’esempio del lor potere sugli uomini, e
loro procurava il più dolce piacere ch’elle abbiano, quello di
essere amate passionatamente, nulla monta in qual modo. È fama che
Goethe nella matura età poco conto facesse
Willelmo Meister, secondo romanzo di Goethe, è
ammirato in Alemagna, ma poco noto fuori. Questo contiene un quadro
della vita umana, nel quale diverse situazioni si van succedendo in
tutti gli stati e in tutte le circostanze: romanzo pieno d’ingegnose
discussioni, e da essere tenuto per un filosofico lavoro, se non
fosse che il romanzesco intrico non vale la fatica delle belle
dipinture pel poco interesse che destano. I personaggi sono
piuttosto spiritosi che importanti, e le situazioni piuttosto
naturali che animate. Quel che v’ha di mirabile, si è un
interessante episodio che in sè riunisce quanto l’original talento
dell’autore può far provare di più animato: l’Opera in generale non
alletta per altro, se non per la curiosità di saper l’opinione di
Goethe su ciascun subbietto, perocchè desso è in certo modo il
verace eroe del romanzo.
Il medesimo difetto si nota nelle Affinità di
Scelta, terzo romanzo del medesimo autore, ove s’incontrano
molti ingegnosi pensieri e fine osservazioni con una profonda
cognizione del cuore umano; ma languido n’è l’interesse. La
finzione, generalmente considerata, non è ben distinta, nè
chiaramente se ne scorge l’oggetto. Se la morale d’un romanzo è
riposta negli affetti che inspira, e non nelle massime spacciate
da’suoi personaggi, v’ha luogo a dubitare non sia morale
quest’Opera, cioè che non giovi a perfezionare la sensibilità.
Waldemar, nel quale dichiara i principii e le
opinioni medesime delle sue Opere filosofiche. Combatte egli il
sistema che fa base della morale la propria utilità; e spiega con
molta eloquenza la sua dottrina, consistente nel riferire alla
sensibilità ogni umano destino; pel qual titolo si può egli
ammirare: ma come romanzo, nè lo scopo nè l’orditura è commendevole.
Una esagerata sensibilità, una bizzarra maniera di pensare sulla
natura dell’uman cuore può piacere in teorica, ma in pratica se ne
scorge la falsità, e allora ogni interesse svanisce.
Lo svizzero Hirzel ci ha dato col titolo di Socrate
Moderno una storia, anzichè un romanzo, in cui fa l’elogio
di un saggio agricoltore del Cantone di Zurigo, ch’egli porge per
norma di coloro che professano la prima delle arti, e loro fa
conoscere la dignità di loro condizione e il modo di essere in
quella onorati.
Tali sono i principali filosofici romanzi usciti dagli Alemanni.
Hanno egli gran copia di romanzi in ogni genere, dei quali noi qui
possiamo solo toccare il general carattere, ricordandone i più
reputati. Nei romanzi di cavalleria non hanno seguitato con molto
scrupolo le antiche tradizioni; non conservano abbastanza i costumi
d’allora, e talvolta v’intromettono l’analisi degli affetti, cosa
ignota a quei buoni
Tali qualità si trovano unite nel più alto grado in Augusto
Lafontaine, che è de’più celebri romanzieri alemanni. I suoi Racconti morali, le Novelle, i Quadri domestici hanno
piaciuto ovunque sono cuori sensibili ed anime
Questo difetto di orditura, di progressione e di unità è ancor più
sensibile nelle Opere di Tieck, di Claudio e di Richter, scrittoli
molto ingegnosi tutti e tre. Il primo ha riscosso lode da un genere
di romanzi che si accosta alla commedia, quale si è il carattere di
Sternbald, la cui lettura è amenissima.
Pochi avvenimenti vi s’incontrano, e questi pochi non si conducono
tutti fino allo scioglimento; ma non vi ha alcun’altra dipintura
cotanto dilettevole della vita degli artisti. Pone l’autore il suo
eroe nell’aureo secolo delle belle arti, e il presuppone scolaro di
Alberto Duro, contemporaneo di Raffaello. Egli lo fa viaggiare per
diverse contrade europee, e dipinge con diletto il piacere cagionato
dagli esterni obbietti, quando si guatano da chi ha buon gusto e
tenero cuore; perciocchè un artista immaginoso e sensibile scorge
una quantità di meraviglie che sfuggono agli
Claudio ha divulgato una raccolta sopra argomenti e generi diversi; parecchi di mal gusto, ed alcuni di poca importanza, ma di una originalità e verità che sa render dilettevoli le menome cose. Lo stile si mostra piuttosto semplice ed anco vulgare, ma per la naturalezza e il patetico ti va sino al fondo del cuore. Egli è uno degli alemanni scrittori che ha maggior copia di quel brio nazionale che in altro linguaggio non si può far trapassare. Ti sa far piangere e ridere a sua posta, facendoti immedesimare con lui; e nota, che a mescolare con lode il patetico e il comico, bisogna pur essere in sovrano modo naturale nell’uno e nell’altro.
Più celebre di Claudio, e di una riputazione maggiore in Alemagna,
senza che le Opere sue per la loro stravaganza possano escire di
quella, si è Paolo Richter, certo scrittore originale, ma spesso
bizzarro e affettato. Chi pretende di essere originale, perde il
merito di una naturale originalità. Nelle Opere sue si scontrano
grandi bellezze, che maggiormente ferirebbero, se nelle dipinture
fosse più disegno e più regolar composizione; perciocchè le maestre
pennellate non si scorgono nella confusione del tutto. Costui
costantemente mescola col sollazzevole il serio. La sua maniera di
osservare
Questa rapida scorsa che abbiam fatto sull’alemanna letteratura, ne
fa conoscere le sue grandi ricchezze. Che se alcuno ci chiede perchè
elle son pochissimo note alle altre nazioni, diremo in risposta quel
che si legge nella stessa madama di Staël, perpetua encomiatrice
dell’originalità nazionale degli Alemanni. Accorda ella che essi
troppo applauso fanno nei loro autori a quella vagante arditezza la
quale, benchè libera sembri, non è sempre priva d’affettazione.
Confessa, che se questi autori non possono uscir dell’Alemagna,
anzichè l’originalità loro, ne sono cagione i difetti; e in fine
sentenzia che si dee nei moderni tempi aver lo spirito europeo;
adottar cioè non pur le opinioni, ma eziandio il classico gusto
delle dotte nazioni, le quali sono formate alla scuola degli
antichi, i primi discepoli della natura. E il dir così, a nostro
parere, è un dar biasimo al genere romantico, di cui ella è
fra’caldi partigiani.