A dì 23 gennaio 1761 M. V.
Io tralascerò per oggi di favellare d’ombre e di cose d’aria, e ragionerò di corpi e di cose di sostanza; e attenda
Aggiungete a questa difficoltà, comune a tutti i libri, un’altra particolare e propria di questi fogli. Ogni altro libro va per lo più nelle mani di quegli uomini i quali fanno quella professione di cui tratta esso libro; imperciocchè chi non è avvezzo a quell’argomento, poco si cura di leggerlo. Onde uno scrittore di medicina, per esempio, avrà a fare co’medici, uno d’agricoltura con chi si diletta di coltivare i terreni suoi, uno d’architettura con gli architetti, e così dite degli altri. Sicchè chi scrive cose particolari, ha a fare con pochi cervelli, e sa in breve s’egli è scrittore o buono o tristo. In questi fogli la cosa va ad un altro modo. Voi vedete che si parla in essi quasi sempre di costumi, argomento che a guisa di immensa rete si stende sopra tutti gli uomini; e perchè ancora si renda più universale, si cerca di vestire di foglio in foglio la materia che si tratta con qualche invenzione; si tenta che lo scrivere sia facile, chiaro e inteso da ognuno. Questo fa che ogni genere di persone se ne invoglia e vi sieno concorrenti al comperargli, onde vanno sotto al giudizio di maggior quantità di cervelli che qualsivoglia altro libro. Di qua nasce che se n’odono infiniti ragionari e tutti di varie sorti, tanto che in un giorno m’è accaduto più volte ch’io mi sentissi a dire del medesimo foglio: “Io mi rallegro con esso voi, il foglio d’oggi vi farà onore;” e andato oltre due passi ritrovai chi mi disse: “Uomo dabbene, tu scrivesti il foglio d’oggi, ch’eri o ammalato o di malavoglia; quello del passato sabato fu migliore.” Sicchè sarebbe una disperazione chi credesse d’appagare ognuno. C’è a cui piacciono le favole; un altro dice: “Le son cose da bambini.” Un altro vuole sogni, un altro dice: “Quando io dormo, gli fo più belli.” Molti vi furono i quali m’animarono a proseguire co’dialoghi delle bestie; altrettanti mi domandavano: “E fino a quando avremo noi ancora ad udire a parlare la civetta? Almen che si fossero gazze o pappagalli, che la cosa non sarebbe così lunge dalla verità.” Io avea un bel dire e ritoccare: “Non guardate che sieno favole, sogni o bestie; notate quello che dicono. Quelle invenzioni sono come una vestetta per dare un’aria di novità agli argomenti, e per non dire le cose in un certo modo che abbia dell’antico, per non parlare o scrivere come tutti gli altri.” Buono! a che vagliono le ragioni, quando altri s’è ostinato a volerla a modo suo? Sarà sempre un batter l’acqua nel mortaio. Da quanto ho detto fino a qui, conchiudo dunque, amici miei, che volendo voi esercitarvi in così fatte scritture, procacciate d’ingegnarvi a fare il debito vostro, ma con uno stomaco di struzzoli che smaltiscono l’acciaio, compensandovi con quelle poche lodi che vi verranno date, io son certo, da que’discreti che leggono con un poco di pensiero e di meditazione.
Poich’io ebbi favellato in tal forma, guardai nel viso i compagni attendendo quello che m’avessero risposto. Allora il Proemio si cambiò in
Compagno primo. A quante cose avete detto fino a qui, noi abbiamo già lungamente pensato; e con tutto ciò siamo risoluti, poichè così vi
Compagno secondo. Quando egli ebbe così favellato, io dissi: A che andremo noi ghiribizzando per iscambiar natura? La qual cosa non ci riuscirà mai; o infine, credetemi, noi ragioneremo così a stento che il nostro parrà piuttosto balbettare che favellare disteso; e credendo di rifarci d’altrui, saremo cagione che altri si farà beffe del fatto nostro. Nelle cose un lungo esercizio è quello che dà facilità e garbo. Quando credete voi che potessimo pervenire a quell’articolazione spedita che, a guisa di pallottola d’avorio sopra un piano liscio, non trova mai intoppo veruno, e romoreggia come cascata d’acqua a cui la fonte non manca mai d’umore? Non vedete voi come si riscaldano a cotesti tali gli orecchi? Come sono in continuo movimento, ch’ora vi vengono colla faccia quasi sulla faccia, ora vi picchiano sopra una spalla, e talvolta vi ghermiscono un bottone del vestito, o una falda del mantello e non la lasciano più andare, come fanno coloro che caduti in acqua s’appigliano a qualche cosa? Credetemi, credetemi, fratelli miei, noi vi riusciremmo male. Non voglio però che ci crediamo incapaci d’ogni cosa. Sono molti anni che andiamo esercitando le penne. Ci servano queste per lingua. E se non possiamo rifarci con la favella contro a chi ci stordisce con mille bagattelluzze che non importano, col ragionarci delle stagioni dell’anno, del vento, della pioggia, della nebbia, e quel ch’è più, d’assalti di città, di fortezze, d’eserciti e di marce, prendiamo il calamaio e la penna, e cianciamo con questi mezzi.
Compagno terzo. Questo è il modo, è vero. Ma come faremo noi,
Compagno quarto. E io, dissi, vi dirò in qual forma. Preghiamo l’Osservatore che dia luogo alle scritture nostre ne’suoi fogli. È già un anno ch’egli ne pubblica, e ne va intorno una buona quantità. S’egli accetta il partito, ecco che in un momento, si può dire, gireranno i fogli nostri, e ci saremo rifatti della pazienza dell’ascoltare: oltre di che noi avremo un notabile vantaggio sopra quelli che favellano. Voi sapete che chi favella non può dire una cosa altro che una volta per tratto; e s’egli vuol ridirla, dee ricominciare, sicchè volendola dire più volte, gli mancherebbe finalmente il tempo ed il fiato. Chi stampa ha questo vantaggio che dice la stessa cosa in un dì cinquecento, mille e duemila volte, e più ancora in un tratto; e parla in un tratto in più case, in più botteghe, in più cerchi, è ascoltato in parecchi luoghi; e quello che più mi piace si è che s’egli vuole, mentre che parla in istampa, dorme, mangia, bee e fa tutte l’altre faccende, laddove se parlasse con la lingua, non potrebbe far altro.
Compagno primo. Fu accettato il parere; ne scrivemmo a voi, e fu da voi anche ricevuto. Faremo l’obbligo nostro. Voi vedete però che non ci possono fare alterar punto l’animo le lodi, nè i biasimi, non intendendo noi che il nostro ragionare sia nè più nè meno di quello che udimmo noi a farsi dagli altri.
Compagno primo. A me sì. Che ne dite voi?
Compagno secondo. A me ancora.
Compagno terzo. E a me.
Compagno quarto. E anche a me pare che quadri.
L’Osservatore. Saremo in compagnia alla bottega di
Tutti. Addio, addio: a rivederci alla bottega.