Numero IC Gasparo Gozzi Moralische Wochenschriften Klaus-Dieter Ertler Herausgeber Alexandra Fuchs Herausgeber Lena Druml Mitarbeiter Sarah Lang Gerlinde Schneider Martina Scholger Johannes Stigler Gunter Vasold Datenmodellierung Applikationsentwicklung Institut für Romanistik, Universität Graz Zentrum für Informationsmodellierung, Universität Graz Graz 20.05.2019

o:mws-103-540

Gozzi, Gasparo: L’Osservatore veneto. Herausgegeben von Emilio Spagni. Firenze: G. Barbera 1897 [1761], 414-417 L’Osservatore veneto 1 099 1761-01-13 Italien
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N° IC

A dì 13 gennaio 1761 M.V.

Dialogo XIV. Circe, Ulisse e compagne di Circe.

Circe. Non indugiare più lungamente, Ulisse. Questo è il punto favorevole alla tua partenza. Allievo di Giove, figlio di Laerte, va’. Tu dèi, prima di pervenire alla patria, giungere alle case di Plutone, per avere consiglio da Tiresia tebano, indovino, cieco degli occhi corporei, ma veggente con quelli dell’intelletto.

Ulisse. Oh Circe! Come potrà mai una nave andare a’luoghi infernali? Non andò mai vascello alle rive d’Acheronte. Da quello di Caronte in fuori, io non credo che quivi navighi altro legno.

Circe. Non dubitare. Va’, e lascia fare il restante alla mia magica disciplina. Ti guiderà pel profondissimo Oceano il vento da me signoreggiato. Tu siedi nella nave, e lascia fare ad esso vento, che ti guiderà dove dèi andare. Approderà finalmente il tuo legno ad una spiaggia, dov’è una selva tutta di cipressi altissimi e di felce sterile. La selva a Proserpina è consegrata. Quivi smonta; e tu solo avviandoti per la selva, giungerai alla squallida e rugginosa casa di Pluto. Prendi questo foglio, in cui sono parte per parte assegnati i sacrifizi che tu dèi fare. T’apparirà Tiresia, e con esso lui molte ombre di defunti. All’indovino chiedi consiglio intorno alla via e alle misure che dèi prendere pel tuo ritorno in Itaca. Agli altri domanda quello che ti pare, e secondo che la tua curiosità ti detta.

Ulisse. Io ti sono veramente obbligato, o nobilissima Circe; imperciocchè per grazia tua ho molte cose vedute ed intese, dalle quali parecchi lumi ho acquistati, che io non avea prima che approdassi a questa tua isola.

Circe. Anzi rendine grazie alla tua costanza e virtù, alla quale sei debitore di quanto hai veduto. Se quelle non erano in te, ben sai il costume di quest’isola. Tu avresti, come tutti gli altri che qui pervengono, scambiata la pelle, e saresti ora a grugnire in un porcile con que’tuoi compagni, i quali per tua cagione si sono di nuovo rizzati sopra due piedi, e hanno la faccia rivolta verso al cielo. Quanto io fo per te, sappi ch’io sono obbligata a farlo, non avendo forza di contrastare a quella virtù che supera ogni mio potere. Ma è tempo che tu vada oggimai. Imbárcati. I tuoi compagni sono già nella nave. Addio, Ulisse.

Ulisse. Circe, addio.

Circe. E voi, compagne mie, accompagnate col vostro canto la nave, fino a tanto che ferendole il vento le bianche vele, sia sparita dagli occhi nostri. Abbia il nobile e virtuoso Ulisse quegli encomi che la sua virtù ha meritati.

Una delle compagne.

Prospero fiato e fortunato raggio Guidi il tuo legno per lo mar profondo.Debbon le stelle e tutt’i venti omaggioFare a virtù nel nostro basso mondo.Giungi alla fin del tuo nuovo vïaggio,Insin che trovi della terra il fondo,Ove gli spirti di lor carne ignudiInsegnino al tuo core altre virtudi.

Un’altra delle compagne.

Per adornar un’alma che s’aggiri Sopra la terra e fra terrene genti,Non basta ch’ella intorno a sè rimiriLe sostanze mortali ed apparenti;Alzarsi dee fino a’superni giri,Ove si chiudon le beate menti;E penetrar con vigoroso ingegnoNe’cupi abissi del dolente regno. Circe. Questi son gli ornamenti onde s’infiora Quaggiù lo spirto; ei sua natura intende,E riconosce sua vera dimora, Se col pensier fuor di suo fango ascende.In questa guisa sè medesmo onora;E chiuso anche, nel corpo il volo prendeVerso lo stato suo puro, immortale.Dove alfin ha sua pace e chiude l’ale. Tutte. Va’lieto, Ulisse, chè i passati affanni Ti faran forte a sostener la via.Non potran contro a te di Dite i danni;Non le Sirene, e lor falsa armonia.Vedrai la moglie, e con lodati inganniDiscaccerai da lei la gente riaChe vuol al casto tuo letto far torto;E avrai di tue fatiche alto conforto.

Circe. Ma già ecco la nave in alto mare, e da noi lontana. Non possono più le vostre voci pervenire agli orecchi d’Ulisse. Acchetiamoci, e rientriamo a’nostri soliti uffici, attendendo altri approdi per far le usate tramutazioni.

L’Osservatore.

In effetto egli mi pare che mi si sia levata una pietra dal petto, dappoichè s’è partito Ulisse, e che mi si cambia l’argomento nelle mani. Vada egli al suo buon viaggio fino a tanto che pervenga alle porte di Dite, dove l’accompagnerò anch’io quando avrò un poco riavuto il fiato. Fino a qui ho avuto a bazzicare con bestie: da qui in poi avrò a mettere sulla scena ombre. Confesso che m’era venuta a noia quella bestiale compagnia; e per non avere altro fastidio, ho troncati molti altri dialoghi di lioni, di lupi, di rinoceronti, d’elefanti e d’altri animali. Chi sa se i leggitori n’aveano anch’essi la stessa molestia? Io nol so: ma feci un calcolo da me stesso che noi siamo per natura tutti volonterosi di variazione, e ch’egli era bene scambiare. Se un giorno mi giungesse mai agli orecchi che i parlari degli animali non erano noiosi, rappiccherò il filo, e ritornerò al primo argomento. Intanto, lasciati quelli, entrerò ne’ragionamenti dell’ombre. Bella cosa ch’è la fantasia! Io mi credeva d’esser lontano mille miglia da Ulisse; ora che voglio essere con esso lui, eccomi che in un momento ho fatto un lunghissimo viaggio. Oh! come facesti, dirà alcuno? Facendo quattro passi dalla tavola, dove scrivo, ad una libreria, e prendendo un libro. È forse un libro di negromanzia? Fate vostro conto ch’è tale. È Omero. Non vi par forse vera malía l’avere un libro facoltà di pervenire a noi dopo tante migliaia d’anni? Eccolo. L’apro, ed esso mi guida per quello stesso viaggio che fu da Ulisse fatto nella sua nave.

Giunse dunque Ulisse, secondo questo autore nell’undecimo libro dell’Odissea, al tramontare del sole, a’confini del profondo oceano, dove abitano i Cimerii, popoli intorno circondati da una perpetua caligine, e non mai rotta da raggio veruno. Quivi smontato, Ulisse trasse fuori della nave non so quali pecore; e andato ad un certo luogo, trasse fuori un coltellaccio che avea al fianco, e cavò nel terreno una fossa quadra, larga un braccio per ogni verso, e profonda alla stessa misura. Fece alcuni libamenti col vino mescolato con mèle, acqua e farina bianca, facendo voto di sacrificare una vacca, quando fosse giunto in Itaca. Scannò le pecore, empiè la fossa del sangue di quelle; e stavasi attendendo l’ombre che andassero per bere.

Non è forse anche questa una malía? Quali ombre v’andassero, e quello che ragionassero ad Ulisse, sarà materia d’altri fogli. Intanto io mi starò seco a sedere e ad attendere le ombre per notare i loro ragionamenti. Ecco un’altra fantasia, ch’egli mi pare al presente di ragionar io medesimo con Ulisse.

Ulisse e Osservatore.

Ulisse. S’io non m’inganno, egli mi pare d’averti veduto in qualche luogo ne’miei lunghi viaggi. Certamente non m’è ignota questa fisonomia. Io vorrei sapere chi tu sei.

Osservatore. Che tu m’abbia veduto, potrebb’essere. Egli è già lunga pezza che ti seguo, e sono stato sempre teco nell’isola di Circe; e mentre che ragionavi con gli animali, io ti veniva dietro, e prestava orecchio a quanto dicevi.

Ulisse. Non hai tu forse altra faccenda al mondo?

Osservatore. Io n’ho pure altre molte; ma questa è una di quelle ch’io mi riservo per alleggerirmi l’animo dagli altri pensieri. Non è cosa che più mi piaccia dell’osservare quello che sieno e facciano gli uomini, per norma della vita mia, e per comunicare quel ch’io ritraggo da loro agli altri miei pari.

Ulisse. Lo studio è buono, ed è quel medesimo che fo anch’io da tanti anni in qua. Ma qual vantaggio credi tu di cavarne?

Osservatore. Nessuno. Ogni cosa non si fa per vantaggio. Pensa che l’ho preso per un intrattenimento. In iscambio d’impiegare in altro certe poche ore che m’avanzano, le adopero in questa fantasia, nella quale passo il tempo, senza avvedermi intanto di certi fastidi che mi circondano, i quali non mancano alla vita d’alcun uomo. Ognuno ha i suoi, io ho i miei.

Ulisse. E che fai tu de’vari pensieri che vai raccogliendo?

Osservatore. Quando ho posta insieme tanta materia che basti a riempiere un argomento, prendo la penna e scrivo, e mando intorno quello che ho scritto.

Ulisse. E che se ne dice?

Osservatore. Quel che si vuole. Variamente. Chi dice: Costui dà nel vero. Un altro: Che vuol egli impacciarsi con gli uomini? Facciano quel che vogliono. Alcuni non vogliono leggere; alcuni leggono, senza curarsi di quello ch’è scritto.

Ulisse. E tu che fai?

Osservatore. Scrivo.

Ulisse. A questo modo egli mi sembra che tu lo faccia per voglia di scrivere, più che per altro. Dappoichè tu hai questa buona intenzione, io ti prego, sta’attento a quello che vedrai, e togli questa briga a me. Io ti darò i miei quaderni, dove ho scritti tutt’i dialoghi fatti con gli animali nell’isola di Circe . . .

Osservatore. È tardi. Sono già pubblicati.

Ulisse. Oimè! tu hai una gran furia! Bene, poichè hai pubblicati quelli, sta’bene attento a quello che diranno l’ombre. Io sento già un certo mormorío che mi dà indizio che non sieno molto lontane.

Osservatore. È vero. Zitto. Ecco, ecco che vengono.

N° IC A dì 13 gennaio 1761 M.V. Dialogo XIV. Circe, Ulisse e compagne di Circe. Circe. Non indugiare più lungamente, Ulisse. Questo è il punto favorevole alla tua partenza. Allievo di Giove, figlio di Laerte, va’. Tu dèi, prima di pervenire alla patria, giungere alle case di Plutone, per avere consiglio da Tiresia tebano, indovino, cieco degli occhi corporei, ma veggente con quelli dell’intelletto. Ulisse. Oh Circe! Come potrà mai una nave andare a’luoghi infernali? Non andò mai vascello alle rive d’Acheronte. Da quello di Caronte in fuori, io non credo che quivi navighi altro legno. Circe. Non dubitare. Va’, e lascia fare il restante alla mia magica disciplina. Ti guiderà pel profondissimo Oceano il vento da me signoreggiato. Tu siedi nella nave, e lascia fare ad esso vento, che ti guiderà dove dèi andare. Approderà finalmente il tuo legno ad una spiaggia, dov’è una selva tutta di cipressi altissimi e di felce sterile. La selva a Proserpina è consegrata. Quivi smonta; e tu solo avviandoti per la selva, giungerai alla squallida e rugginosa casa di Pluto. Prendi questo foglio, in cui sono parte per parte assegnati i sacrifizi che tu dèi fare. T’apparirà Tiresia, e con esso lui molte ombre di defunti. All’indovino chiedi consiglio intorno alla via e alle misure che dèi prendere pel tuo ritorno in Itaca. Agli altri domanda quello che ti pare, e secondo che la tua curiosità ti detta. Ulisse. Io ti sono veramente obbligato, o nobilissima Circe; imperciocchè per grazia tua ho molte cose vedute ed intese, dalle quali parecchi lumi ho acquistati, che io non avea prima che approdassi a questa tua isola. Circe. Anzi rendine grazie alla tua costanza e virtù, alla quale sei debitore di quanto hai veduto. Se quelle non erano in te, ben sai il costume di quest’isola. Tu avresti, come tutti gli altri che qui pervengono, scambiata la pelle, e saresti ora a grugnire in un porcile con que’tuoi compagni, i quali per tua cagione si sono di nuovo rizzati sopra due piedi, e hanno la faccia rivolta verso al cielo. Quanto io fo per te, sappi ch’io sono obbligata a farlo, non avendo forza di contrastare a quella virtù che supera ogni mio potere. Ma è tempo che tu vada oggimai. Imbárcati. I tuoi compagni sono già nella nave. Addio, Ulisse. Ulisse. Circe, addio. Circe. E voi, compagne mie, accompagnate col vostro canto la nave, fino a tanto che ferendole il vento le bianche vele, sia sparita dagli occhi nostri. Abbia il nobile e virtuoso Ulisse quegli encomi che la sua virtù ha meritati. Una delle compagne. Prospero fiato e fortunato raggio Guidi il tuo legno per lo mar profondo.Debbon le stelle e tutt’i venti omaggioFare a virtù nel nostro basso mondo.Giungi alla fin del tuo nuovo vïaggio,Insin che trovi della terra il fondo,Ove gli spirti di lor carne ignudiInsegnino al tuo core altre virtudi. Un’altra delle compagne. Per adornar un’alma che s’aggiri Sopra la terra e fra terrene genti,Non basta ch’ella intorno a sè rimiriLe sostanze mortali ed apparenti;Alzarsi dee fino a’superni giri,Ove si chiudon le beate menti;E penetrar con vigoroso ingegnoNe’cupi abissi del dolente regno. Circe. Questi son gli ornamenti onde s’infiora Quaggiù lo spirto; ei sua natura intende,E riconosce sua vera dimora, Se col pensier fuor di suo fango ascende.In questa guisa sè medesmo onora;E chiuso anche, nel corpo il volo prendeVerso lo stato suo puro, immortale.Dove alfin ha sua pace e chiude l’ale. Tutte. Va’lieto, Ulisse, chè i passati affanni Ti faran forte a sostener la via.Non potran contro a te di Dite i danni;Non le Sirene, e lor falsa armonia.Vedrai la moglie, e con lodati inganniDiscaccerai da lei la gente riaChe vuol al casto tuo letto far torto;E avrai di tue fatiche alto conforto. Circe. Ma già ecco la nave in alto mare, e da noi lontana. Non possono più le vostre voci pervenire agli orecchi d’Ulisse. Acchetiamoci, e rientriamo a’nostri soliti uffici, attendendo altri approdi per far le usate tramutazioni. L’Osservatore. In effetto egli mi pare che mi si sia levata una pietra dal petto, dappoichè s’è partito Ulisse, e che mi si cambia l’argomento nelle mani. Vada egli al suo buon viaggio fino a tanto che pervenga alle porte di Dite, dove l’accompagnerò anch’io quando avrò un poco riavuto il fiato. Fino a qui ho avuto a bazzicare con bestie: da qui in poi avrò a mettere sulla scena ombre. Confesso che m’era venuta a noia quella bestiale compagnia; e per non avere altro fastidio, ho troncati molti altri dialoghi di lioni, di lupi, di rinoceronti, d’elefanti e d’altri animali. Chi sa se i leggitori n’aveano anch’essi la stessa molestia? Io nol so: ma feci un calcolo da me stesso che noi siamo per natura tutti volonterosi di variazione, e ch’egli era bene scambiare. Se un giorno mi giungesse mai agli orecchi che i parlari degli animali non erano noiosi, rappiccherò il filo, e ritornerò al primo argomento. Intanto, lasciati quelli, entrerò ne’ragionamenti dell’ombre. Bella cosa ch’è la fantasia! Io mi credeva d’esser lontano mille miglia da Ulisse; ora che voglio essere con esso lui, eccomi che in un momento ho fatto un lunghissimo viaggio. Oh! come facesti, dirà alcuno? Facendo quattro passi dalla tavola, dove scrivo, ad una libreria, e prendendo un libro. È forse un libro di negromanzia? Fate vostro conto ch’è tale. È Omero. Non vi par forse vera malía l’avere un libro facoltà di pervenire a noi dopo tante migliaia d’anni? Eccolo. L’apro, ed esso mi guida per quello stesso viaggio che fu da Ulisse fatto nella sua nave. Giunse dunque Ulisse, secondo questo autore nell’undecimo libro dell’Odissea, al tramontare del sole, a’confini del profondo oceano, dove abitano i Cimerii, popoli intorno circondati da una perpetua caligine, e non mai rotta da raggio veruno. Quivi smontato, Ulisse trasse fuori della nave non so quali pecore; e andato ad un certo luogo, trasse fuori un coltellaccio che avea al fianco, e cavò nel terreno una fossa quadra, larga un braccio per ogni verso, e profonda alla stessa misura. Fece alcuni libamenti col vino mescolato con mèle, acqua e farina bianca, facendo voto di sacrificare una vacca, quando fosse giunto in Itaca. Scannò le pecore, empiè la fossa del sangue di quelle; e stavasi attendendo l’ombre che andassero per bere. Non è forse anche questa una malía? Quali ombre v’andassero, e quello che ragionassero ad Ulisse, sarà materia d’altri fogli. Intanto io mi starò seco a sedere e ad attendere le ombre per notare i loro ragionamenti. Ecco un’altra fantasia, ch’egli mi pare al presente di ragionar io medesimo con Ulisse. Ulisse e Osservatore. Ulisse. S’io non m’inganno, egli mi pare d’averti veduto in qualche luogo ne’miei lunghi viaggi. Certamente non m’è ignota questa fisonomia. Io vorrei sapere chi tu sei. Osservatore. Che tu m’abbia veduto, potrebb’essere. Egli è già lunga pezza che ti seguo, e sono stato sempre teco nell’isola di Circe; e mentre che ragionavi con gli animali, io ti veniva dietro, e prestava orecchio a quanto dicevi. Ulisse. Non hai tu forse altra faccenda al mondo? Osservatore. Io n’ho pure altre molte; ma questa è una di quelle ch’io mi riservo per alleggerirmi l’animo dagli altri pensieri. Non è cosa che più mi piaccia dell’osservare quello che sieno e facciano gli uomini, per norma della vita mia, e per comunicare quel ch’io ritraggo da loro agli altri miei pari. Ulisse. Lo studio è buono, ed è quel medesimo che fo anch’io da tanti anni in qua. Ma qual vantaggio credi tu di cavarne? Osservatore. Nessuno. Ogni cosa non si fa per vantaggio. Pensa che l’ho preso per un intrattenimento. In iscambio d’impiegare in altro certe poche ore che m’avanzano, le adopero in questa fantasia, nella quale passo il tempo, senza avvedermi intanto di certi fastidi che mi circondano, i quali non mancano alla vita d’alcun uomo. Ognuno ha i suoi, io ho i miei. Ulisse. E che fai tu de’vari pensieri che vai raccogliendo? Osservatore. Quando ho posta insieme tanta materia che basti a riempiere un argomento, prendo la penna e scrivo, e mando intorno quello che ho scritto. Ulisse. E che se ne dice? Osservatore. Quel che si vuole. Variamente. Chi dice: Costui dà nel vero. Un altro: Che vuol egli impacciarsi con gli uomini? Facciano quel che vogliono. Alcuni non vogliono leggere; alcuni leggono, senza curarsi di quello ch’è scritto. Ulisse. E tu che fai? Osservatore. Scrivo. Ulisse. A questo modo egli mi sembra che tu lo faccia per voglia di scrivere, più che per altro. Dappoichè tu hai questa buona intenzione, io ti prego, sta’attento a quello che vedrai, e togli questa briga a me. Io ti darò i miei quaderni, dove ho scritti tutt’i dialoghi fatti con gli animali nell’isola di Circe . . . Osservatore. È tardi. Sono già pubblicati. Ulisse. Oimè! tu hai una gran furia! Bene, poichè hai pubblicati quelli, sta’bene attento a quello che diranno l’ombre. Io sento già un certo mormorío che mi dà indizio che non sieno molto lontane. Osservatore. È vero. Zitto. Ecco, ecco che vengono.