Zitiervorschlag: Gasparo Gozzi (Hrsg.): "Numero LXIII", in: L’Osservatore veneto, Vol.1\063 (1761-09-09), S. 260-264, ediert in: Ertler, Klaus-Dieter / Fuchs, Alexandra (Hrsg.): Die "Spectators" im internationalen Kontext. Digitale Edition, Graz 2011- . hdl.handle.net/11471/513.20.448 [aufgerufen am: ].


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N° LXIII

A dì 9 settembre 1761.

Ebene 2► Ebene 3► Allgemeine Erzählung► Ragionava uno poche sere fa in una conversazione con tanta furia e con un diluvio tale di parole, che le lingue di quanti quivi si trovavano erano inutili affatto; e se vi fu alcuno che articolasse una sillaba, quella era un appicco e un argomento nuovo al valentuomo per ciaramellare di nuovo. Ma mi parea pur cosa da ridere a veder dipinte negli occhi di tutti l’astrattaggine e la noia, ed egli pur proseguiva come se le parole sue fossero state dalla compagnia avidamente bevute; anzi di tempo in tempo chiedeva ad alcuno dei circostanti: “Eh? che ve ne pare? dico io bene?” E comecchè non vi fosse chi gli rispondesse mai, prendeva quel silenzio per un assenso, e voltando il suo favellare a colui cui avea interrogato, seguiva a ragionare così di buona voglia e vivo, come se egli avesse cominciato in quel punto. Io non credo che vi fosse alcuno, da me in fuori, che gli prestasse orecchio. Egli è il vero che al tempo del suo sermone io mi era posto in un cantuccio a sedere; e facendo le viste di pensare ad altro, studiava quel cervello quanto potea, e procurava di farne notomia a mente. L’uomo dabbene avea una fantasia di fuoco e così veloce, che a sbalzi e a salti passava di una cosa in un’altra senza avvedersene. Era anche ben provveduto di memoria, la quale gli ministrava da rinforzare quanto dicea con erudizione di molti generi, onde gittava a fasci e a mazzi pezzi di storie, opinioni filosofiche, detti di scrittori, o a proposito o no poi gl’importava poco. Quando piacque a Dio, terminò il Dizionario universale la sua leggenda, e andò a’fatti suoi: ognuno riebbe il fiato; i visi, che torbidi e malinconici erano, si rischiararono e divennero lieti, e si ritornò agli scherzi e alle baie, come si suol fare nelle adunanze dove concorrono le genti per passare il tempo. “Che vi pare,” mi dissero alcuni, “di questo bel fiume di eloquenza? Che ne dite voi?” – “Quanto è a me,” risposi, “non ne dirò altro; ch’io non vorrei a così lungo ragionamento aggiungerne un altro forse più lungo, e ridurre così bella compagnia alla disperazione.” – “Fai un foglio,” diceva un altro . . . “Foglio? di che? . . .” – “Oh! di che? dell’Osservatore. Non è forse questo un bel carattere? Credi tu, con quello ch’egli ha cianciato fino al presente, di non empiere un foglio? Egli ha detto tanto, che potresti empiere [261] i fogli di tre mesi.” – “Farei la bell’opera,” rispos’io, “a stampare quello che vi ha secchi tutti.” – “Orsù,” disse uno più ardito degli altri, “o parlane ora, o promettici che il primo foglio da te pubblicato sarà sopra il nostro parlatore. Egli dee pure essere caritativamente avvertito delle qualità sue.” ◀Allgemeine Erzählung ◀Ebene 3 Metatextualität► Io, per isbrigarmi allora, diedi parola di scrivere qualche cosa di lui, e fantasticando un modo che potesse aver anche qualche garbo da libro, mi venne in mente di aver letto una favola, la quale, se sarà lunghetta, spero che meriterà qualche scusa, non potendosi parlare in breve di una persona che non tace mai. La favola è questa. ◀Metatextualität

Ebene 3► Fabel► Allegorie► Dimoravano anticamente in un albergo medesimo Giudizio, Memoria e Fantasia, e con dolcissimo legame di fratellanza nelle bisogne loro si prestavano un vicendevole aiuto. Memoria faceva di ogni cosa i necessari provvedimenti. Fantasia, piena di attività e di un certo indicibile calore di vita, come buona massaia, gli condiva e rendeva saporiti e grati; e Giudizio, con prudente distribuzione, ogni cosa misurava, perchè la prima non gittasse le cose, come suol dirsi, a fusone; e l’altra non le guastasse per volerle troppo acconciare e renderle piccanti più di quello che il palato le potesse comportare. Durò fra loro questa mutua armonia qualche tempo; ma perchè in fine eran eglino tutti e tre di temperamento diverso, e non si confacevano tra loro gli umori, cominciarono ad aver qualche rissa insieme e molte male parole, tanto che non si poteano sofferire l’un l’altro. Fantasia di tempo in tempo e d’improvviso parea invasata, e dicea cose che pareano piuttosto da pazza che da altro; Memoria era una ciarliera, ch’io ne disgrazio la più plebea donnicciuola che sulla via si adiri con la vicina; e Giudizio borbottava fra’denti; tanto che furono più volte vicini ad accapigliarsi e a far zuffa. In tal guisa passavano il tempo, e non era dì che non avessero qualche querela insieme. “Tu se’pazza,” diceva Memoria a Fantasia; “e tu se’una cianciona,” diceva questa a quella: e se Giudizio dicea qualche parola, tuttaddue gli erano addosso gridando: “Che sai tu, gocciolone, pedagogo, maestro dal piè di piombo, sputatondo? Va’, che il diavol ti porti.” – “Orsù,” diss’egli un giorno, “e pedagogo e sputatondo sia; ma io vi dico aperto e chiaro che in questa vita non possiamo più durare, e ch’egli è il meglio che ognuno di noi se ne vada dove più gli piace, lontano l’uno dall’altro. Insieme non possiamo più vivere.” “Finalmente, ecco che una volta ser Tuttesalle ha parlato da uomo,” disse Fantasia; “andianne. Qui stiamo troppo ristretti. Una casipola a tre non basta; a pena ci trovo luogo per me.” – “Giove, Nettuno e Plutone furono anche essi tre fratelli,” ripigliò Memoria; “e narrano le storie che sarebbero vivuti in perpetua discordia, se non si fossero tra loro divisi. Voi sapete pure . . .” e qui cominciò con una lunghissima diceria, e con le citazioni di tutti i Mitologi alla mano a raccontare in qual forma andò la cosa, e come al primo toccò il cielo, al secondo il mare, e al terzo i regni sotterranei; e a questo proposito la vi tirò co’denti una lunga erudizione intorno a’movimenti de’cieli e delle stelle, la parlò del crescere e del calare dell’acqua, delle nature de’pesci, e poi la entrò a ragionare del fiume della dimenticanza, delle ombre de’morti, del rapimento di Proserpina . . . “Che maladetta sia tu,” esclamò Fantasia; “andianne alla malora, che non mi pare di poter mai vedere quel punto da poter salvare gli orecchi miei da tante e così inutili ciance.”

[262] Così detto, le volta le spalle, esce fuori e va a’fatti suoi; e poco di poi fanno lo stesso Memoria e Giudizio.

In tal guisa dunque usciti dal primo albergo e cercandone un nuovo, eccoti che per buona ventura in vicinanza ritrovano tre fanciulli, i quali non sapeano ancora che cosa fosse mondo; sicchè Memoria andò ad albergare in casa con uno di essi, Fantasia con l’altro, e Giudizio col terzo; tanto che in poco di ora furono tuttatrè allogati. Non passarono molti anni ch’essi tre fanciulli manifestarono chi bazzicava loro per casa. Quegli che avea seco Memoria, diventò un dotto uomo, e cominciò a parlare in ogni lingua, sapea tutti gli antichi fatti, tutte le opinioni de’filosofi, costumi di genti, e in somma non era cosa che non gli fosse nota, ed era come un armadio di dottrina. Fantasia all’incontro fece del fanciullo suo un animoso poeta, strano, pieno di entusiasmo, inventore di cose che non aveano punto che fare l’una coll’altra, che mettea insieme parole le quali, se avessero avuta la capacità d’intendere, si sarebbero spiritate di vedersi congiunte, tanto poco aveano a fare l’una coll’altra: e sopra tutto facea professione che nelle opere sue non vi fosse mai nè filo nè ordine, altro che il capriccio, dicendo che l’arrischiarsi ad ogni cosa era l’arte sua. Dall’altro lato Giudizio fece dell’ospite suo un uomo di senno, il quale non giudicava di cosa veruna se non secondo il pregio di quella; amicissimo era della verità e della giustizia, inclinato al bene, e che non diceva mai il suo parere di cosa che non avesse conosciuta a fondo. Che vi starò io dicendo? se non che in brevissimo tempo si avvidero i tre vicini di aver bisogno l’uno dell’altro; imperocchè appresso l’allievo di Memoria erano quasi in deposito tutte le cose raccolte, donde come ad una fonte andavano ad attingere il poeta e l’uomo di senno. Questi s’intratteneva ad udire i voli ed il fuoco del facitore di versi; il facitore di versi gli chiedeva consiglio, e talvolta se ne valea con onore e vantaggio delle Muse. Egli è bene il vero che l’allievo di Memoria non teneva conto di nessuno, e tutti dispregiava, principalmente i suoi vicini. Ma in fine egli dovea pure sfogarsi e cianciare. Dove potea ritrovare chi stesse ad ascoltarlo? Chi cercare, altro che i vicini suoi? E così facea. Quando tutte e tre queste qualità non sono congiunte, un capo non è compiuto, e avrà sempre bisogno di altri due capi: e chi riconosce questo bisogno, darà volentieri altrui di quello che possiede, e in pace riceverà dagli altri quello di che abbisogna. ◀Allegorie ◀Fabel ◀Ebene 3

Ebene 3►

Le Donne Scambiate.

Novella.

Metatextualität► Una commedia inglese da me letta nei giorni passati mi ha invogliato di trarne questa Novelletta, la quale può servire di passatempo in iscambio di altro nel foglio presente, e forse in una parte dell’altro. ◀Metatextualität

Ebene 4► Allgemeine Erzählung► Fu già in Londra un dabbene e ricco uomo, chiamato Giovanni, il quale prese per moglie la più bestiale e fantastica donna che fosse mai; e perchè nulla le mancasse da poter fare a modo suo in casa del marito, la gli arrecò una grossa e ricca dote. In pochi giorni quella famiglia, che prima sotto il governo di Giovanni parea l’albergo della contentezza, non sì tosto fu entrata in casa la novella sposa, che la [263] divenne un inferno; tanto che parea non una femmina, ma che centomila diavoli vi fossero andati ad abitare. Ebene 5► Fremdportrait► Ella era oltre ogni credere superba, borbottona, spiacevole in ogni sua cosa, e di sì mal umore in tutto quello che dicea o facea, che non vi avea nè fantesca nè servo che non fosse disperato; e per giunta alle villanie che diceva loro grossolane e goffe, menava anche spesso le mani, e con ceffate e pugna gli percoteva o lanciava loro nella faccia, secondo che si abbatteva, ora un piattello, e talvolta una tazza o altro; non pensando punto che la vera gentilezza non istà nella nascita o nelle ricchezze, e volendo mostrare la sua signoria nel tenere i servi suoi a guisa di schiavi. ◀Fremdportrait ◀Ebene 5 Comecchè Giovanni spesso ne la rimproverasse, e cercasse con buoni e soavi modi di farnela del suo errore avveduta, era quel medesimo sempre come s’egli avesse taciuto. Anzi alle volte gli si volgeva incontro con un ceffo di cane, e con le mani in sui fianchi gli ricordava la buona dote che arrecata gli avea, e domandavagli s’egli intendea di farla stare soggetta ad un branco di bestie e ad una ciurmaglia; e che egli era uno scempio, un gocciolone che si lasciava menar pel naso da tutti; e ch’ella intendea di far che le faccende andassero a suo modo e bene. Il pover uomo stringevasi nelle spalle, pregava i domestici suoi che avessero pazienza, mostrando quanta ne avesse egli stesso; e per non impazzare affatto, usciva spesso di casa, e passava le ore con gli amici suoi, maladicendo il punto in cui si avea posta quella vipera in seno.

Avvenne un giorno fra gli altri, ch’essendo ella andata ad una sua villetta poco lontana dalla città in compagnia del marito, i servi suoi rimasi in città vollero darsi un poco di buon tempo, e acconcia un’insalata, e presa non so qual cervogia, si diedero a fare una colizione, alla quale aveano per avventura invitato un certo calzolaio nominato Taddeo, delle cui qualità è necessario ch’io favelli per intelligenza dell’istoria. Ebene 5► Fremdportrait► Era costui uomo di lietissimo umore, e quando egli avea bevuto un pochetto, cantava saporitamente alcune canzonette, che alla brigata, con la quale si ritrovava, davano non picciolo diletto; e perciò era da tutte le genti volentieri veduto. Egli è vero però, che essendo piacevole con ognuno, non riusciva tanto gentile alla Geva sua moglie ch’era una bella giovane e di sì buona pasta, che non sapea fare nè più qua nè più là di quanto le comandava Taddeo. E con tutto ciò egli spesso ne la rimbrottava e le dava delle busse, per modo che la mala arrivata Geva facea seco una trista vita. ◀Fremdportrait ◀Ebene 5 Tant’è, comecchè si fosse, Taddeo trionfava allora alla mensa, co’servi di Giovanni, e aveano invitato un cieco il quale sonava molto bene una sua vivuola, onde dopo cantate a coro molte canzoni e terminato il mangiare, faceano un ballo tondo con una festa e un’allegrezza che sarebbe stata una consolazione a vedergli. Ma, o fosse che non prendessero bene la misura del tempo, o che la padrona giungesse prima dell’ora che assegnata avea, la gli colse in sul fatto, e poco mancò che non gli ammazzasse quanti erano, sì la prese la furia; perchè dopo di aver detto a tutti una gran villania, e dato a chi una ceffata e a chi un pugno, secondo l’usanza sua, la corse dietro a Taddeo, e spezzò sul capo al cieco la vivuola, facendo un fracasso che parea che volesse inabissare il mondo. Il marito, dopo di avere usate tutte quelle buone ammonizioni che sapea, vedendo che [264] non facevano frutto, deliberò in suo cuore di rimandarnela a casa nel vegnente giorno, e di tôrsi quella tigre da’fianchi. Mentre ch’egli stava in questo pensiero, mulinando fra sè la sua risoluzione, era già la notte venuta oscura, e piovigginava, quando si presentò a Giovanni e alla moglie un cert’uomo che solea abitare di là non molto lontano, stimato da tutte le genti per la sua dottrina, come colui che pizzicava dell’indovino, e presagiva molto bene negli almanacchi quanto dovea avvenire; ma quello che niuno sapea, egli era anche stregone, e sapea fare molte maraviglie coll’arte sua, comecchè di rado se ne valesse, e solo per far qualche giovamento agli amici suoi, e talora anche più per ischerzo, che per altro. Giunto adunque costui dinanzi a Giovanni e alla moglie, incominciò con bel modo a pregargli che per quella sera gli dessero albergo, perchè essendo la notte molto buia e piovosa, e mancandogli un buon tratto di via per andare a casa, non sapea come arrischiarsi, e quasi quasi temea di rompersi il collo. A pena Giovanni ebbe udita la domanda dell’indovino, che, sendo uomo cortese e amorevole, gli disse: “E tu hai ragione, e però stanotte ti rimarrai qui con esso noi per andartene domani al tuo viaggio.” – “ Che?” gridò allora la moglie: “vada egli a starsi in inferno. E se tu non te ne vuoi andare con la pioggia e col buio, statti in sulla via, ch’io non intendo che tu mi ti arresti in casa un momento. Fuori dell’uscio, fuori incontanente.” Il dottore, che così era nominato, udendo tanta bestialità, si strinse negli omeri, e giurando di farne vendetta, se ne andò ai fatti suoi; e poco lontano di là picchiando all’uscio ◀Allgemeine Erzählung ◀Ebene 4 ◀Ebene 3 ◀Ebene 2 ◀Ebene 1