Hìc segetes, illic veniunt felicius uvæ:Arborei fœtus alibi: atque injussa virescuntGramina, nonne vides, croceos ut Imolus odores.India mittit ebur, molles sua thura sabæi:At Chalibes nudi ferrum, virosaque PontusCastorea, eliadum palmas Epiros aquarum?Continuo has leges, æternaque federa certisImposuit natura locis.
Virg. Georg. I. 54. 61.
Borsa Reale. In questo vi si fa una numerosa adunanza di patriotti, e stranieri, che consultano frà di loro gli affari particolari del genere umano; e formano di quella grande metropoli una specie di mercato pubblico per tutta la terra abitabile. Confesso, che la Borsa, nel suo forte, mi parea fosse un Giappone, ed un sensale di Londra, o a formare lega trà un suddito del gran’Mogol, ed un altro del Czar di Moscovia. Era bel diletto per me, il ritrovarmi con tutti que’ministri del Commercio, così distinti nel loro linguaggio, come ne’differenti quartieri dove si postano. Ora m’introducevo frà una Truppa d’Armeni; ora mi perdevo in una folla d’Ebrei; e qualche volta mi sono framischiato in un grosso di Olandesi. Ero a vicenda Svedese, Danese, Francese; o più tosto m’immaginavo d’essere di tutte le Nazioni, ad esempio di quell’antico Filosofo, che interrogato di quale Paese egli era, rispose, che era cittadino del Mondo.
Benche visitassi sovente quella moltitudine d’Uomini, occupati da’loro affari, non ero conosciuto se non da un Amico, il quale, alle volte sorridea nel vedermi scombinare dentro, la Fol-Cairo. Ma io non sono del tutto versato nell’optica moderna; così i nostri incontri terminavano nel salutarci, e farci una smorfia.
Una scena così vasta di azioni, e di moti, mi somministrò una grande varietà di sodi, e grati pensieri. Buon Amico di tutto il genere Umano, mi sento così penetrato alla vista d’un numero considerabile di felici, e floride persone, che in molte pubbliche solennità, non posso trattenere il pianto per l’allegressa. Per questo io godo un piacere meraviglioso nel vedere una folla de’negozianti; che sì arrichiscono frà di loro, ed affaticano ad ingrossare il Capitale delle Nazioni; o per valermi d’altri termini; che formano la fortuna delle loro Famiglia, colla introduzione di tutto ciò che ci manca; e colla emmissione di tutto ciò, che ci è inutile, o superfluo.
Mi pare, che la natura si sia pigliata una particolare cura di seminare i suoi favori in diversi luoghi di questo mondo sublunare, per istabilire il traffico, e la mutua corrispondenza trà gli Uomini; affinche dipendessero in qualche maniera gli uni dagli altri, e fossero uniti dall’intersse commune. Non vi è Grado, dove non si produca qualche cosa, che non nasce altrove. Il cibo cresce in un Paese, e la falsa viene da un altro. I Frutti di Portogalo sono corretti da quelli, che sì raccolgono alle Barbados. La infusione d’una Pianta della China è raddolcita colla midolla d’una canna dell’Indie. Le Isole Filippine ci mandano di che rilevare il gusto de’nostri liquori in Europa. Il solo ornamento d’una Dama di qualità, è sovente ricavato da un centinajo di Climi. La manizza, ed il ventaglio vengono da varj confini della Terra. La mantellina viene dalla Zona torrida; la Pellicia dalle parti dissotto al Polo; la sottana di Ganzo, esce dalle miniere del Perù; ed i colli di perle dalle viscere dell’Indostan.
Se consideriamo l’Inghilterra nel di lei naturale stato senza verun vantaggio del commercio; qual miserabile, e sterile pezzo di terra! I Naturalisti, che ne hanno scritta la storia, dicono, che da principio, non vi era che Cespugli di spine, e Grattuculi; Nocciole e Ghiande. Che quel Clima non puole produrre da se senza il soccorso dell’arte, che pruniole, e pomi selvatici. Così possiamo dire anche di molti altri Paesi. I nostri meloni, i nostri Persici, i nostri Fichi, i nostri Peri, le nostre Ciregie, sono frutti stranieri, che si sono trappiantati in varj secoli ne’nostri ter-China, ed ornate con molte fatture del Giappone. Le bevande, che pigliamo la mattina, vengono dalle più lontane estremita della Terra. Ripariamo i nostri corpi colle droghe dell’America; e godiamo la dolcezza del riposo sotto Padiglioni, che ci vengono dalle Indie. E vero che la natura si somministra le necesità della vita; ma il Traffico ci dà un numero infinito di cose utili, e ci somministra di più tutto ciò, che è commodo, o serve di ornamento. E pure un considerabile vantaggio il godere tutti i frutti del Settentrione, del Mezzodi, senza ritrovarsi esposti alla violenza del caldo, o del freddo, da cui sono prodotti, e potere ricreare i nostri occhi, colla verdura delle nostre Campagne, mentre regalliamo le nostre bocche coi frutti, che nascono frà i due Tropici.
Per questa ragione non vi sono membra più utili nella Società, che i Mercanti. Uniscono gli Uomini con un vi-Maomettani si vestono co’nostri Drappi, e gli abitatori dell’aggiacciata Zona sono coperti dalla tonsura delle nostre pecore.
Quando mi ritrovavo alla Borsa mi figuravano sovente uno di que’antichi Rè d’Inghilterra, collocato nello stesso nicchio dove di presente si ritrova la di lui statua, occupati a rimirare quell’affluenza di ricchi Cittadini, che vi convengono ogni giorno. Quale non sarebbe, dicevo, la di lui sorpresa, nell’udire a parlare tutti i linguaggj di Europa in quel picciolo sito del suo antico Dominio; e vedere un sì grande numero di particolari negoziare somme più considerabili di quello fossero nel suo Reale Tesoro. Il commercio da alle Città sempre nuovi splendori; moltiplica il numero de’Ricchi, e rende i Paesi più popolati.