Lezione CXI Cesare Frasponi Moralische Wochenschriften Alexandra Fuchs Editor Lisa Pirkebner Editor Institut für Romanistik, Universität Graz 17.01.2017

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Frasponi, Cesare: Il Filosofo alla moda, ovvero, Il Maestro Universale. Venezia: Giovanni Malachino 1728, 286-291 Il Filosofo alla Moda 2 111 1727 Italien
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Lezione CXI

Non sono mai stato fin ora onorato da veruna corrispondenza colla Università di Caragno; Ne ricevo oggi una Lettera coll’onore di pubblicarla. Questa parla d’una nuova Setta di Filosofi pullulata in quel famoso soggiorno delle Muse. Se si dee credere all’apparenza, ella è l’unica, che si produrrà dal nostro secolo. Che che ne sia; ecco la Lettera.

Signor Filosofo.

Persuaso, che voi siate promotore universale delle arti liberali, e delle scienze, e che abbiate piacere nell’essere informato di quanto passa nella Repubblica de Letterati, ho creduto, che la descrizione d’una Setta di Filosofi, communissima frà di noi; nè sò che verun Autore nè antico, ne moderno, nè abbi fatta menzione, non vi riescirà disgradevole.

Questi Filosofi, nella frase della nostra Accademia, si chiamano Zeroni. Se gli Antichi non ne hanno parlato, si come di molte altre cose, per me, l’attribuisco a mancanza di notizie. Cer-ti Sapienti pretendono, che questi Filosofi siano una specie di Peripatetici, perche si veggono sempre a passeggiare da una parte e dall’altra; ma vorrei, che codesti Signori si ricordassero, che se gli antichi del Peripato passeggiavano molto, hanno altresì scritti de’grossi volumi, come Aristotile, e suoi seguaci, a confusione de’nostri moderni, che non ispendono mai un soldo in penne, in carta, ed inchiostro. Ve ne sono altri, che li fanno venire da Diogine, perche molti de’loro Capi abbondano di Cinica; e molto amano di esporsi al sole; ma si può dire loro, che Diogine vivea felice, ed a suo agio dentro meschina Botte molto angusta; la dove i nostri Filosofi sono sì lontani dal seguire questo esempio, che si crederebbono di morire se stassero rinchiusi una mezz’ora dentro una stanza buona, commoda, e gentile. Altri finalmente, a cagione della politezza, che osservano in alcuni de’nostri Zeroni, li fanno discendere da Socrate, il quale, dopo avere impiegata tutta la sua vita nello studio, dicea, che tutto ciò sapea era, che sapea di non saper niente.

Questa prova, quando non sia ironica, è sì debole, che non merita rifflessione.

Ho fatte, per molto tempo, con incredibili diligenze, quantità di osservazioni sopra questi Filosofi; ed ho già pronte le materie per comporne un Trattato, in cui parlerò della, origine, del progresso, delle massime, e della maniera di vivere di questa famosa Setta. Ho anche ottenuto da un Amico, che ben presto dee pubblicare una nuova Edizione di Diogine Laerzio, la permissione di unirvi questo Trattato, in forma di supplemento. Ed a fine, che il mondo sappia ciò, che in questo può aspettare da me, ne toccherò quì in poche parole alcuni capi. Avrete la bontà, se vi piace di pubblicarli, dopo, che mi dirò vostro umilissimo servidore. Ecco due o trè delle loro massime. La principale, sopra di cui gira tutto il loro sistema, ci insegna: Che il tempo è il nemico irreconciliabile, e il distruttore di tutte le cose; che però si dee pagare colla stessa moneta; perderlo, ed ucciderlo, senza veruna pietà, per tutte le strade, che si ponno immaginare. Un altro de’loro favoriti precetti egli è: Che la fatica non è che per la Canaglia; e lo studio per i Sciocchi. Un altro, che pare burlesco, ma che ha molta influenza sopra la loro condotta, stabilisce: Che il Diavolo è sempre a Casa. Per quello riguarda la loro maniera di vivere, mi somministra un vasto campo di estendermi; ma non rifferirò qui, se non due, o trè de’principali loro esercizj. I più agiati frà di loro, si applicano ad esaminare i costumi degli Uomini, ed a conoscere tutte le in-segne, e tutte le Case della Città.

Alcuni sono gionti a sì alto grado di perfezione, che vi ponno dire tutte le volte, che l’uno, o l’altro de’Beccaj ammazza un vitelo; o che la Gatta della minima vecchierella stà sul punto di partorire, con mille altre novelle di tale importanza. Vi è uno di codesti vecchi Filosofi, che contempla un orologio da Sole due o tre ore al giorno. Li giovani studiosi di questa Setta, non hanno portate fin ora le loro speculazioni, che sopra i nidi de’Colombi, sopra il giuoco delle palle, e sopra simili altri esercizj. Tanto dee bastare per darvi una idea del mio disegno. Vi priego di volerlo favorire, e di credermi &c.

La giustizia m’impegna a riconoscere, che ho veduti altre volte di codesti Filosofi, benche non fossero onorati con questo titolo di Zeroni. Questi si contentano di fare parte del genere Umano, senza volersi distinguere dalla folla per alcun verso. Si può dire, che lasciano più tosto scorrere il tempo, che perderlo, senza rifflettere sul passato, nè inquietarsi dell’avvenire. Tutta la loro vita si ristringe a godere del presente, che pure non godono. Quando un Uomo di quest’ordine si ritrova possessore di considerabili facoltà, l’impiego del suo tempo si riduce alla sua Carrozza, ed a’suoi Cavalli; e si dee misurare il di lui vivere dal loro moto, non già da’suoi piaceri, o dalle sue pene. Il più gradito trattenimento, che uno di codesti Filosofi possa avere, egli è di pigliare qualche gusto negli ornamenti, e negli abiti. Questo solo potrebbe mascherarlo a se stesso, e disannojarlo della propria cara Persona. Ne ho conosciuto uno, a cui queste due applicazioni davano qualche specie di rillievo nel mondo. La diversità de’suoi abiti, coi quali compariva nelle pubbliche adunanze; e la sveltezza de suoi Cavalli, che lo tiravano ora in un luogo, ora nel altro, gli diè finalmente la sorte di far parlare di lui, nel proposito. Da che i nostri ricchi Zeroni escono dall’Accademia, ed in vece di portarsi a vivere nelle Conversazioni polite, si ritirano in campagna; non lasciano quasi mai di unirsi ad una muta di cani, ed impiegare il loro tempo nel difendere i loro Pollaj dagl’insulti de gli animali, che gl’infestano. Io non sò, che alcun Gentiluomo di quest’ordine abbi mai pigliata un’altra strada per distinguersi. Ma cercherò con diligenza tutti quelli, abbiamo quì in Città, che sieno gionti alla dignità di tali Filosofi, colla sola forza de’loro naturali talenti senz’avere vedute le nostre Accademie; e per abbellire il Trattato del mio Corrispondente, gli manderò i nomi, e la storia di quelli, che passano la loro vita senza verun accidente, e che vanno di Bottega in Bottega, per liberarsi dal penoso imbarazzo, che hanno di non avere niente da fare.

Lezione CXI Non sono mai stato fin ora onorato da veruna corrispondenza colla Università di Caragno; Ne ricevo oggi una Lettera coll’onore di pubblicarla. Questa parla d’una nuova Setta di Filosofi pullulata in quel famoso soggiorno delle Muse. Se si dee credere all’apparenza, ella è l’unica, che si produrrà dal nostro secolo. Che che ne sia; ecco la Lettera. Signor Filosofo. Persuaso, che voi siate promotore universale delle arti liberali, e delle scienze, e che abbiate piacere nell’essere informato di quanto passa nella Repubblica de Letterati, ho creduto, che la descrizione d’una Setta di Filosofi, communissima frà di noi; nè sò che verun Autore nè antico, ne moderno, nè abbi fatta menzione, non vi riescirà disgradevole. Questi Filosofi, nella frase della nostra Accademia, si chiamano Zeroni. Se gli Antichi non ne hanno parlato, si come di molte altre cose, per me, l’attribuisco a mancanza di notizie. Cer-ti Sapienti pretendono, che questi Filosofi siano una specie di Peripatetici, perche si veggono sempre a passeggiare da una parte e dall’altra; ma vorrei, che codesti Signori si ricordassero, che se gli antichi del Peripato passeggiavano molto, hanno altresì scritti de’grossi volumi, come Aristotile~i, e suoi seguaci, a confusione de’nostri moderni, che non ispendono mai un soldo in penne, in carta, ed inchiostro. Ve ne sono altri, che li fanno venire da Diogine~i, perche molti de’loro Capi abbondano di Cinica; e molto amano di esporsi al sole; ma si può dire loro, che Diogine~i vivea felice, ed a suo agio dentro meschina Botte molto angusta; la dove i nostri Filosofi sono sì lontani dal seguire questo esempio, che si crederebbono di morire se stassero rinchiusi una mezz’ora dentro una stanza buona, commoda, e gentile. Altri finalmente, a cagione della politezza, che osservano in alcuni de’nostri Zeroni, li fanno discendere da Socrate~i, il quale, dopo avere impiegata tutta la sua vita nello studio, dicea, che tutto ciò sapea era, che sapea di non saper niente. Questa prova, quando non sia ironica, è sì debole, che non merita rifflessione. Ho fatte, per molto tempo, con incredibili diligenze, quantità di osservazioni sopra questi Filosofi; ed ho già pronte le materie per comporne un Trattato, in cui parlerò della, origine, del progresso, delle massime, e della maniera di vivere di questa famosa Setta. Ho anche ottenuto da un Amico, che ben presto dee pubblicare una nuova Edizione di Diogine Laerzio~i, la permissione di unirvi questo Trattato, in forma di supplemento. Ed a fine, che il mondo sappia ciò, che in questo può aspettare da me, ne toccherò quì in poche parole alcuni capi. Avrete la bontà, se vi piace di pubblicarli, dopo, che mi dirò vostro umilissimo servidore. Ecco due o trè delle loro massime. La principale, sopra di cui gira tutto il loro sistema, ci insegna: Che il tempo è il nemico irreconciliabile, e il distruttore di tutte le cose; che però si dee pagare colla stessa moneta; perderlo, ed ucciderlo, senza veruna pietà, per tutte le strade, che si ponno immaginare. Un altro de’loro favoriti precetti egli è: Che la fatica non è che per la Canaglia; e lo studio per i Sciocchi. Un altro, che pare burlesco, ma che ha molta influenza sopra la loro condotta, stabilisce: Che il Diavolo è sempre a Casa. Per quello riguarda la loro maniera di vivere, mi somministra un vasto campo di estendermi; ma non rifferirò qui, se non due, o trè de’principali loro esercizj. I più agiati frà di loro, si applicano ad esaminare i costumi degli Uomini, ed a conoscere tutte le in-segne, e tutte le Case della Città. Alcuni sono gionti a sì alto grado di perfezione, che vi ponno dire tutte le volte, che l’uno, o l’altro de’Beccaj ammazza un vitelo; o che la Gatta della minima vecchierella stà sul punto di partorire, con mille altre novelle di tale importanza. Vi è uno di codesti vecchi Filosofi, che contempla un orologio da Sole due o tre ore al giorno. Li giovani studiosi di questa Setta, non hanno portate fin ora le loro speculazioni, che sopra i nidi de’Colombi, sopra il giuoco delle palle, e sopra simili altri esercizj. Tanto dee bastare per darvi una idea del mio disegno. Vi priego di volerlo favorire, e di credermi &c. La giustizia m’impegna a riconoscere, che ho veduti altre volte di codesti Filosofi, benche non fossero onorati con questo titolo di Zeroni. Questi si contentano di fare parte del genere Umano, senza volersi distinguere dalla folla per alcun verso. Si può dire, che lasciano più tosto scorrere il tempo, che perderlo, senza rifflettere sul passato, nè inquietarsi dell’avvenire. Tutta la loro vita si ristringe a godere del presente, che pure non godono. Quando un Uomo di quest’ordine si ritrova possessore di considerabili facoltà, l’impiego del suo tempo si riduce alla sua Carrozza, ed a’suoi Cavalli; e si dee misurare il di lui vivere dal loro moto, non già da’suoi piaceri, o dalle sue pene. Il più gradito trattenimento, che uno di codesti Filosofi possa avere, egli è di pigliare qualche gusto negli ornamenti, e negli abiti. Questo solo potrebbe mascherarlo a se stesso, e disannojarlo della propria cara Persona. Ne ho conosciuto uno, a cui queste due applicazioni davano qualche specie di rillievo nel mondo. La diversità de’suoi abiti, coi quali compariva nelle pubbliche adunanze; e la sveltezza de suoi Cavalli, che lo tiravano ora in un luogo, ora nel altro, gli diè finalmente la sorte di far parlare di lui, nel proposito. Da che i nostri ricchi Zeroni escono dall’Accademia, ed in vece di portarsi a vivere nelle Conversazioni polite, si ritirano in campagna; non lasciano quasi mai di unirsi ad una muta di cani, ed impiegare il loro tempo nel difendere i loro Pollaj dagl’insulti de gli animali, che gl’infestano. Io non sò, che alcun Gentiluomo di quest’ordine abbi mai pigliata un’altra strada per distinguersi. Ma cercherò con diligenza tutti quelli, abbiamo quì in Città, che sieno gionti alla dignità di tali Filosofi, colla sola forza de’loro naturali talenti senz’avere vedute le nostre Accademie; e per abbellire il Trattato del mio Corrispondente, gli manderò i nomi, e la storia di quelli, che passano la loro vita senza verun accidente, e che vanno di Bottega in Bottega, per liberarsi dal penoso imbarazzo, che hanno di non avere niente da fare.