Lezione XCIV Cesare Frasponi Moralische Wochenschriften Alexandra Fuchs Editor Lisa Pirkebner Editor Institut für Romanistik, Universität Graz 19.12.2016

o:mws-096-275

Frasponi, Cesare: Il Filosofo alla moda, ovvero, Il Maestro Universale. Venezia: Giovanni Malachino 1728, 177-183 Il Filosofo alla Moda 2 094 1728 Italien
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Lezione XCIV A Poeti miniatori, e dissegnatori.

Ut Pictura, Poesis erit.

Hor. A. P. 361.

Non vi è cosa, che più si ammiri, e meno si conosca, dell’Ingegno. Io non sò, che verun Autore ne abbi scritto di professione. E quelli, che ne dicono qualche cosa, lo fanno alla sfuggita, in qualche particolare occasione; nè v’impiegano che qualche picciola riflessione in generale, espressa in termini fioriti, senza entrare di proposito nel fondo della materia. Perciò, mi lusingo, che i miei Leggitori rimaranno soddisfatti nel vedere, che io ne tratto un poco a longo; e che cerco allo stesso tempo di non incorrere il rimprovero, che un famoso Critico ha fatto ad un Autore, il quale si era invanito di scrivere del sublime in istile basso, e piano. Impiegherò alcuni fogli di seguito all’esecuzione del mio dissegno, per non interrompere il filo de’miei pensieri. Ardisco lusingarmi, che se i miei Leggitori mi accorderanno una favorevole attenzione, avranno migliori idee. Procurerò in oltre di rendermi intelligibile a tutti, ma se si ritrovasse nell’uno, o nell’altro de’miei Fogli, qualche luogo alquanto elevato sopra la portata degli ordinarj ingegni; questo non dee disanimarli, avvegnache, il seguente non lascierà di mettere tutto in chiaro.

Si come il principale, ed unico fine, che mi propongo, è di esiliare il vizio e la ignoranza da nostri Paesi, non risparmierò i miei sforzi, per istabilirvi il buon gusto e la Politezza nelle Composizioni d’Ingegno. Per questo ho di già rilevati molti diffetti delle Opere, delle Tragedie, delle Comedie, e suggeriti i mezzi valevoli a perfezionarle. Ho pure inteso dal mio Librajo, che i discorsi di Critica, e quelli da me fatti sopra la vivacità dell’Ingegno, e sopra la Piacevolezza, hanno avuto più buon successo di quello potessi aspettare da’soggetti di tale natura, il che non è debole motivo, per incoraggirmi a questo nuovo dissegno.

Nel presente Foglio e ne’due seguenti, scorrerò la Storia dell’ingegno di cattiva legale; e ne segnerò le differenti specie, giusta l’ordine, con cui hanno prevaluto nel mondo. Questo mi pare tanto più necessario, in quanto non è gran tempo, che si sono fatti de’tentativi di richiamare alcuna delle antiche sorte d’Ingegno, che sono state, già da molto tempo esiliate dalla Repubblica de’Letterati. Si ferono correre molte Satire, ed alcuni Penegirici, in versi Accrostici. Il che diè occasione a certi nostri miserabili Ingegni, di nodrire de’pensieri ambiziosi, e di ergersi in qualità di Autori politi. Così io descriverò un poco a lungo, tutti que’artificj dell’ingegno di cattiva lega, che fanno comparire più l’applicazione dello Scrittore, che la belta del suo ingegno.

La prima specie, che io ritrovo d’un tale Ingegno, è molto venerabile per la sua antichità: ha prodotte diverse opere, che sono vissute quasi tanto tempo, quanto la stessa Iliade. Que’Poemi, cioè, in miniatura, impressi ne’Poetelli Greci. Questi si rassomigliano ad un Ovo; ad un pajo di Ale; ad un Accetta; ad un Altare, ed al Flauto d’un Pastore.

Il primo è un picciolo Poema ovale, che si potrebbe intitolare, con qualche ragione, l’Ovo d’uno scolaro giovine. Vorrei provarmi di farne escire il pulcino, o per servirmi di termini più intelligibili, di tradurlo nella nostra lingua, se non mi paresse troppo difficile; avvegnache l’Autore mostra d’essere stato più attento alla figura del suo Poema, che a mettervi del buon senno.

Il pajo di Ale è formato di dodici versi; o più tosto di dodici piume, ciascuna delle quali si và diminuendo nella longhezza, a misura del sito, che occupa. Il soggetto di questo Poema, come pure degli altri di questa specie, ha qualche relazione lontana colla sua figura. Ci discrive un Cupido, che si rappresenta sempre alato.

L’Acetta avrebbe potuto servire, per quanto m’immagino, di buona figura per un Libello, se le parti più satiriche della composizione ne avessero formato il tagliente. Ma tale quale si osserva nel suo originale, pare non fosse altra cosa, che la Divisa dell’Acetta, consegnata a Minerva; e che si credea essere la stessa di cui Epeo si era servito nella struttura del Cavallo di Troja. Egli è questi un sospetto, che mi è venuto in mente, e che lascio all’esame de’Critici. M’immagino, in oltre, che la Divisa fosse, una volta, impressa sull’Acetta, come quella, che i nostri Artiggiani mettono oggidì su’Coltelli, che lavorano; e cosi la Divisa rattenga ancora la sua antica figura, benche l’Acetta sia perduta.

La iscrizione, che comparisce sull’Altare, è l’epitasio di Troilo figlio di Ercole; il che per dirlo di passaggio, m’impegna à supponere, che queste pretese composizioni d’ingegno, siano più antiche degli Autori, ai quali sogliono attribuirsi: per lo meno, non sò persuadermi, che Teocrito, Scrittore sì delicato, abbi potuto dare alla luce un sì ridicolo Poema.

La Zampogna o Flauto da Pastore si può dire, ch’ella è piena di musica, avvegnache è composta di nove sorte di versi, che, colla loro differente longhezza, si rassomigliano ai nove buchi di questo antico stromento. Questo è il soggetto del Poema.

Era quasi impossibile, che un uomo riescisse in questa sorta di opere, se non sapea un poco dipingere, o almeno dissegnare. Bisognava, che prima delineasse il contorno del soggetto, sopra di cui pretendea scrivere; e che indi vi aggiustasse la sua Composizione. Dovea, cioè, allongare, o accorciare i suoi versi, estenderli, o storpiarli, giusta la figura del Dissegno, in cui li mettea; presso poco, come il Tiranno Procuste praticava con que’infelici, che fea corricare nel suo Letto di Ferro; s’erano troppo longhi tagliava loro le gambe; e se erano troppo corti, gli applicava alla tortura, fino, che giognessero ad una longhezza proportionata al Letto.

Molti Poeti dell’ultimo secolo pensarono di rinovare questo cattivo gusto. Ho inteso a dire, che vi era un celebre Scrittore, il quale avea raunato tutto il Testamento vecchio, sotto la forma d’una longa Perucca, e promettea di aggiongervi gli Appocrisi, coll’addizione di due trecce, in caso, che le grandi perucche ritornassero alla moda. Ho pure veduto io stesso ristretto in una picciola Immagine del Crocefisso, tutto il Testamento nuovo; e nella circonferenza d’una pietra d’anello l’intero Vangelo di S. Giovanni, a caratteri sì minuti, che per leggerlo, vi volea un microscopio esatto.

Ma per ritornare a nostri antichi Poemi di miniatura, avrei qualche desiderio di proporre à nostri gallanti verseggiatori moderni, la imitazione de’loro antichi confratelli, in codeste spiritose invenzioni. Ho communicato il mio pensiero ad un Giovane Amante, a me novo, che si diletta di verseggiare; e che ha rissoluto di presentare alla sua Innamorata un Poema sotto la figura d’un ventaglio; ha già terminate le trè prime stanghette, per quanto mi ha detto. Ha di più il dissegno di avere la misura del suo quarto dito, in cui le Donne portano l’anello nuzziale; e di fare una Divisa, che abbi la stessa circonferenza. È cosa tanto facile il gareggiare sopra una buona idea, che non dubito, che molti nostri begl’Ingegni, non sieno per applicare ciò, che ora ho detto a molti altri soggetti; si che vedremo ben presto la Città piena di Fichi poetici, di Tabacchiere, di Mostre, e di tutti gli ornamenti del bel sesso figurati in Rime. Per conclusione, dirò una parola d’avviso a codesti ammirabili Scritori, imitatori di Pindaro: Che dourebbono applicarsi incessantemente a pubblicare di codeste composizioni gallanti, e spiritose; mentre, più d’ogn’altro Poeta, sono proveduti di versi d’ogni misura, e d’ogni ordine.

Lezione XCIV A Poeti miniatori, e dissegnatori. Ut Pictura, Poesis erit. Hor.~i A. P.~i 361. Non vi è cosa, che più si ammiri, e meno si conosca, dell’Ingegno. Io non sò, che verun Autore ne abbi scritto di professione. E quelli, che ne dicono qualche cosa, lo fanno alla sfuggita, in qualche particolare occasione; nè v’impiegano che qualche picciola riflessione in generale, espressa in termini fioriti, senza entrare di proposito nel fondo della materia. Perciò, mi lusingo, che i miei Leggitori rimaranno soddisfatti nel vedere, che io ne tratto un poco a longo; e che cerco allo stesso tempo di non incorrere il rimprovero, che un famoso Critico ha fatto ad un Autore, il quale si era invanito di scrivere del sublime in istile basso, e piano. Impiegherò alcuni fogli di seguito all’esecuzione del mio dissegno, per non interrompere il filo de’miei pensieri. Ardisco lusingarmi, che se i miei Leggitori mi accorderanno una favorevole attenzione, avranno migliori idee. Procurerò in oltre di rendermi intelligibile a tutti, ma se si ritrovasse nell’uno, o nell’altro de’miei Fogli, qualche luogo alquanto elevato sopra la portata degli ordinarj ingegni; questo non dee disanimarli, avvegnache, il seguente non lascierà di mettere tutto in chiaro. Si come il principale, ed unico fine, che mi propongo, è di esiliare il vizio e la ignoranza da nostri Paesi, non risparmierò i miei sforzi, per istabilirvi il buon gusto e la Politezza nelle Composizioni d’Ingegno. Per questo ho di già rilevati molti diffetti delle Opere, delle Tragedie, delle Comedie, e suggeriti i mezzi valevoli a perfezionarle. Ho pure inteso dal mio Librajo, che i discorsi di Critica, e quelli da me fatti sopra la vivacità dell’Ingegno, e sopra la Piacevolezza, hanno avuto più buon successo di quello potessi aspettare da’soggetti di tale natura, il che non è debole motivo, per incoraggirmi a questo nuovo dissegno. Nel presente Foglio e ne’due seguenti, scorrerò la Storia dell’ingegno di cattiva legale; e ne segnerò le differenti specie, giusta l’ordine, con cui hanno prevaluto nel mondo. Questo mi pare tanto più necessario, in quanto non è gran tempo, che si sono fatti de’tentativi di richiamare alcuna delle antiche sorte d’Ingegno, che sono state, già da molto tempo esiliate dalla Repubblica de’Letterati. Si ferono correre molte Satire, ed alcuni Penegirici, in versi Accrostici. Il che diè occasione a certi nostri miserabili Ingegni, di nodrire de’pensieri ambiziosi, e di ergersi in qualità di Autori politi. Così io descriverò un poco a lungo, tutti que’artificj dell’ingegno di cattiva lega, che fanno comparire più l’applicazione dello Scrittore, che la belta del suo ingegno. La prima specie, che io ritrovo d’un tale Ingegno, è molto venerabile per la sua antichità: ha prodotte diverse opere, che sono vissute quasi tanto tempo, quanto la stessa Iliade. Que’Poemi, cioè, in miniatura, impressi ne’Poetelli Greci. Questi si rassomigliano ad un Ovo; ad un pajo di Ale; ad un Accetta; ad un Altare, ed al Flauto d’un Pastore. Il primo è un picciolo Poema ovale, che si potrebbe intitolare, con qualche ragione, l’Ovo d’uno scolaro giovine. Vorrei provarmi di farne escire il pulcino, o per servirmi di termini più intelligibili, di tradurlo nella nostra lingua, se non mi paresse troppo difficile; avvegnache l’Autore mostra d’essere stato più attento alla figura del suo Poema, che a mettervi del buon senno. Il pajo di Ale è formato di dodici versi; o più tosto di dodici piume, ciascuna delle quali si và diminuendo nella longhezza, a misura del sito, che occupa. Il soggetto di questo Poema, come pure degli altri di questa specie, ha qualche relazione lontana colla sua figura. Ci discrive un Cupido, che si rappresenta sempre alato. L’Acetta avrebbe potuto servire, per quanto m’immagino, di buona figura per un Libello, se le parti più satiriche della composizione ne avessero formato il tagliente. Ma tale quale si osserva nel suo originale, pare non fosse altra cosa, che la Divisa dell’Acetta, consegnata a Minerva~i; e che si credea essere la stessa di cui Epeo si era servito nella struttura del Cavallo di Troja. Egli è questi un sospetto, che mi è venuto in mente, e che lascio all’esame de’Critici. M’immagino, in oltre, che la Divisa fosse, una volta, impressa sull’Acetta, come quella, che i nostri Artiggiani mettono oggidì su’Coltelli, che lavorano; e cosi la Divisa rattenga ancora la sua antica figura, benche l’Acetta sia perduta. La iscrizione, che comparisce sull’Altare, è l’epitasio di Troilo~i figlio di Ercole~i; il che per dirlo di passaggio, m’impegna à supponere, che queste pretese composizioni d’ingegno, siano più antiche degli Autori, ai quali sogliono attribuirsi: per lo meno, non sò persuadermi, che Teocrito~i, Scrittore sì delicato, abbi potuto dare alla luce un sì ridicolo Poema. La Zampogna o Flauto da Pastore si può dire, ch’ella è piena di musica, avvegnache è composta di nove sorte di versi, che, colla loro differente longhezza, si rassomigliano ai nove buchi di questo antico stromento. Questo è il soggetto del Poema. Era quasi impossibile, che un uomo riescisse in questa sorta di opere, se non sapea un poco dipingere, o almeno dissegnare. Bisognava, che prima delineasse il contorno del soggetto, sopra di cui pretendea scrivere; e che indi vi aggiustasse la sua Composizione. Dovea, cioè, allongare, o accorciare i suoi versi, estenderli, o storpiarli, giusta la figura del Dissegno, in cui li mettea; presso poco, come il Tiranno Procuste~i praticava con que’infelici, che fea corricare nel suo Letto di Ferro; s’erano troppo longhi tagliava loro le gambe; e se erano troppo corti, gli applicava alla tortura, fino, che giognessero ad una longhezza proportionata al Letto. Molti Poeti dell’ultimo secolo pensarono di rinovare questo cattivo gusto. Ho inteso a dire, che vi era un celebre Scrittore, il quale avea raunato tutto il Testamento vecchio, sotto la forma d’una longa Perucca, e promettea di aggiongervi gli Appocrisi, coll’addizione di due trecce, in caso, che le grandi perucche ritornassero alla moda. Ho pure veduto io stesso ristretto in una picciola Immagine del Crocefisso, tutto il Testamento nuovo; e nella circonferenza d’una pietra d’anello l’intero Vangelo di S. Giovanni, a caratteri sì minuti, che per leggerlo, vi volea un microscopio esatto. Ma per ritornare a nostri antichi Poemi di miniatura, avrei qualche desiderio di proporre à nostri gallanti verseggiatori moderni, la imitazione de’loro antichi confratelli, in codeste spiritose invenzioni. Ho communicato il mio pensiero ad un Giovane Amante, a me novo, che si diletta di verseggiare; e che ha rissoluto di presentare alla sua Innamorata un Poema sotto la figura d’un ventaglio; ha già terminate le trè prime stanghette, per quanto mi ha detto. Ha di più il dissegno di avere la misura del suo quarto dito, in cui le Donne portano l’anello nuzziale; e di fare una Divisa, che abbi la stessa circonferenza. È cosa tanto facile il gareggiare sopra una buona idea, che non dubito, che molti nostri begl’Ingegni, non sieno per applicare ciò, che ora ho detto a molti altri soggetti; si che vedremo ben presto la Città piena di Fichi poetici, di Tabacchiere, di Mostre, e di tutti gli ornamenti del bel sesso figurati in Rime. Per conclusione, dirò una parola d’avviso a codesti ammirabili Scritori, imitatori di Pindaro~i: Che dourebbono applicarsi incessantemente a pubblicare di codeste composizioni gallanti, e spiritose; mentre, più d’ogn’altro Poeta, sono proveduti di versi d’ogni misura, e d’ogni ordine.