Lezione LXIV Cesare Frasponi Moralische Wochenschriften Alexandra Fuchs Editor Lisa Pirkebner Editor Institut für Romanistik, Universität Graz 01.12.2016

o:mws-092-223

Frasponi, Cesare: Il Filosofo alla moda, ovvero, Il Maestro Universale. Venezia: Giovanni Malachino 1728, 399-404 Il Filosofo alla Moda 1 064 1728 Italien
Ebene 1 Ebene 2 Ebene 3 Ebene 4 Ebene 5 Ebene 6 Allgemeine Erzählung Selbstportrait Fremdportrait Dialog Allegorisches Erzählen Traumerzählung Fabelerzählung Satirisches Erzählen Exemplarisches Erzählen Utopische Erzählung Metatextualität Zitat/Motto Leserbrief Graz, Austria Italian Mode Moda Fashion Moda Mode Erziehung und Bildung Educazione e Formazione Education and Formation Educación y Formación Éducation et formation Italy 12.83333,42.83333 Greece Athens Athens 23.72784,37.98376

Lezione LXIV Alli Fisonomisti.

Heu quàm difficile est crimen non prodere vultu!

Ovid. Met. L. II. 447.

Vi sono certe arti, delle quali, tutti gli Uomini ne hanno qualche infarinatura. Tutti quelli, che discorrono sono Grammatici, e Logici, benche non abbino mai applicato a simili studj. Così pure tutti s’intendono, qualche poco di Fisonomia ciascuno si forma una idea del Carattere dell’umore, e dello stato d’una Persona, sopra i delineamenti del di lei volto. Appena veggiamo, uno sconosciuto, che subito concepiamo della sua Fisonomia, sia d’un naturale, o superbo, o sostenuto, o dolce, o affabile. Subito, che entriamo in una compagnia de’Forastieri, sentiamo della benevolenza, o dell’avversione del rispetto, o del dispreggio, per quelle Persone, prima d’avergl’intese a proferire una sosa parola, non che di sapere chi siano.

Ciascuna passione communica un aria particolare al volto, e vi si scuopre, in qualche tratto, ch’ella vi forma. Ho veduto alle volte un occhio a’maledire per un quarto d’ora intero, ed un sovraciglio a trattare uno da miserabile. Non vi è niente di più commune, che il vedere degli Amanti, lagnarsi, vendicarsi languire, disperarsi, e seppellirsi in un profondo silenzio. Per me sono si disposto a giudicare sopra l’umore, e sopra la situazione degli Uomini da’loro occhi, che qualche volta passeggiando per la Città delle ore intere, mi sono applicato a caratterizzare nella mia mente tutti quelli, che ho incontrati: quando miro un Uomo, colla Fronte raggrizzata, e con una mina fosca, compassiono la di lui moglie; ed’allora, che ne veggo un altro coll’aria serena, e colla mina ridente, penso alla felicità de’suoi Amici, della sua famiglia, e de suoi Parenti.

Non mi ricordo il nome di quell’antico Autore, che alla vista d’uno straniero, il quale non avea per anco apperta la bocca gli disse parla acciò ti vegga; loquere ut te videam; mi pare con sua buona pace, che possiamo essere meglio conosciuti dalle nostre occhiate, che da nostri discorsi. È più facile il mascherare le parole di quello sia il nascondere l’aria del viso. Credo in oltre, che questa sia molto più espressiva d’ogni atteggiamento, avvegna che ella non è altra cosa, in generale, che la disposizione interna dell’animo, resa visibile.

Quelli che hanno dichiarato la Fisonomia essere oggetto d’un arte, ed hanno prescritte delle Regole per giudicare l’umore delle persone dal viso, ebbero più riguardo ai delineamenti ed alle disposizioni del corpo, che all’aria della Persona. Marziale rileva simili circostanze in un gentile epigramma, che fà sopra un certo Zoilo, di cui dice che avendo egli i capelli rossi, la barba nera, ed essendo guercio, e Gobbo, sarebbe una grande meraviglia se fosse un buon’Uomo. Crine ruber; niger ore; brevis pede, lumino læsus – Rem magnam præstas Zoile si benus est.

Ho letto al proposito un Auttore molto ingegnoso, il quale suppone, che ogni Uomo, il di cui viso ha qualche lontana relazione colla testa d’un Bue, d’una Pecora, d’un Leone, d’un Porco, o di qualche altro animale, si rassomiglj loro nella inclinazione, e nelle passioni. Indi espone il profilo di molti volti di varia figura, e dopo averne caricata un poco la rassomiglianza, vi scuopre l’aria, e la mina di tutti que’Animali. Ora lascio ai Filosofi che non sono alla moda il decidere se i moti degli spiriti animali nelle differenti passioni, che aggitano gli Uomini, contribuiscano à formare i delineamenti del volto, quando le carni, e le fibre sono tenere, e pieghevoli; o se la stessa sorta di ani-ma ricerchi la stessa sorta di abitazione. Che che ne sia; io non ritrovo niente di più glorioso per un Uomo, che il dare per cosi dire una mentita al proprio volto, coll’avere il cuore buono, giusto, ed onesto, al dispetto di tutti li segni contrarj, che la natura gli ha impressi sul viso. Accade sovente a questi, che in vece di affligersi della loro cattiva mina, o d’invidiare quella degli altri, si applicano a coltivare l’animo, e ad ornarsi di bellezze più squisite e di più longa durata. Ho veduto buon numero di codesti amabili bruti, ed ho osservato in loro una certa giovialità, in un ammesso di tratti tanto bizzari, quanti ne sieno mai stati uniti assieme; che mi sono piacciuti infinitamente più di tutti li vezzi, e di tutto il vermiglio d’una insolente; beltà si può dire, che la virtù merita un doppio eloggio, quando si ritrova in un corpo, che parea destinato a dare riccetto al vizio; in molti di questi casi l’Anima el corpo non paiono fatti l’una per l’altro.

Socrate ce ne somministra, nella propria persona, un essempio ben singolare. Ritrovavasi, a suoi tempi un Fisonomista nella Città d’Atene, che scuopria in maniera stupenda, l’umore, e le inclinazioni, di molte persone sulla loro semplice apparenza esterna. Alcuni Discepoli di Socrate, per vedere fin dove giognea la sua virtù, in questo proposito, lo conducessero al loro maestro, a lui totalmente ignoto; e ferono si che comparisse come straniero a caso sovragionto alla loro compagnia. Dopo, che il Fisonomista ebbe alquanto essaminati li delineamenti del di lui viso, pronunciò, che quegli era un vecchio il più inclinato alla Lascivia, ed alla ubriacchezza, che avesse mai veduto. I Discepoli dierono in una scoppiata di ridere, credendo d’avere scoperta nel Fisonomista la debolezza, e la vanità della sua Arte. Ma Socrate disse loro, che i principj della sua arte poteano essere molto giusti, non ostante l’errore, in cui parea caduto. Mentre la sua naturale inclinazione lo strascinava a que’due vizi; ma che l’avea coretta coi precetti della Filosofia.

In fatti ci dice un Autore antico, che Socrate, e Silene si rassomigliavano molto nella Faccia: Le statue, e i Busti che ci restano dell’uno e dell’altro, come pure diversi figilli antichi, e buon numero di Pietre preziose che si ritrovano nelle Gallerie de curiosi. Ma, benche le osservazioni di questa natura possano essere giuste, un Uomo prudente non dee prestare loro, si di leggeri, credenza. Si può fare a’molti un irreparabile torto, quando dalla Fisonomia delle Persone, a noi incognite, si concepisse qual-che pregiudizio contro di loro. Quante volte non avviene che si ha della aversione per le Persone di merito; o che si tacciano da superbi e di naturale cattivo, sulla loro semplice mina; e che indi, dopo averle vedute, e praticate da vicino, non si saprebbono a bastanza stimare? un Dotto autor di morale, mette questa inclinazione di giudicare degli altri, sulle apparenze, tra i diffetti del cuore, e la chiama se bene mi ricordo Prosopolepsia.

[…] una parola Greca, che si ritrova nel […] Rom. 2. II. eph. 6.

Lezione LXIV Alli Fisonomisti. Heu quàm difficile est crimen non prodere vultu! Ovid.~i Met.~i L. II. 447. Vi sono certe arti, delle quali, tutti gli Uomini ne hanno qualche infarinatura. Tutti quelli, che discorrono sono Grammatici, e Logici, benche non abbino mai applicato a simili studj. Così pure tutti s’intendono, qualche poco di Fisonomia ciascuno si forma una idea del Carattere dell’umore, e dello stato d’una Persona, sopra i delineamenti del di lei volto. Appena veggiamo, uno sconosciuto, che subito concepiamo della sua Fisonomia, sia d’un naturale, o superbo, o sostenuto, o dolce, o affabile. Subito, che entriamo in una compagnia de’Forastieri, sentiamo della benevolenza, o dell’avversione del rispetto, o del dispreggio, per quelle Persone, prima d’avergl’intese a proferire una sosa parola, non che di sapere chi siano. Ciascuna passione communica un aria particolare al volto, e vi si scuopre, in qualche tratto, ch’ella vi forma. Ho veduto alle volte un occhio a’maledire per un quarto d’ora intero, ed un sovraciglio a trattare uno da miserabile. Non vi è niente di più commune, che il vedere degli Amanti, lagnarsi, vendicarsi languire, disperarsi, e seppellirsi in un profondo silenzio. Per me sono si disposto a giudicare sopra l’umore, e sopra la situazione degli Uomini da’loro occhi, che qualche volta passeggiando per la Città delle ore intere, mi sono applicato a caratterizzare nella mia mente tutti quelli, che ho incontrati: quando miro un Uomo, colla Fronte raggrizzata, e con una mina fosca, compassiono la di lui moglie; ed’allora, che ne veggo un altro coll’aria serena, e colla mina ridente, penso alla felicità de’suoi Amici, della sua famiglia, e de suoi Parenti. Non mi ricordo il nome di quell’antico Autore, che alla vista d’uno straniero, il quale non avea per anco apperta la bocca gli disse parla acciò ti vegga; loquere ut te videam; mi pare con sua buona pace, che possiamo essere meglio conosciuti dalle nostre occhiate, che da nostri discorsi. È più facile il mascherare le parole di quello sia il nascondere l’aria del viso. Credo in oltre, che questa sia molto più espressiva d’ogni atteggiamento, avvegna che ella non è altra cosa, in generale, che la disposizione interna dell’animo, resa visibile. Quelli che hanno dichiarato la Fisonomia essere oggetto d’un arte, ed hanno prescritte delle Regole per giudicare l’umore delle persone dal viso, ebbero più riguardo ai delineamenti ed alle disposizioni del corpo, che all’aria della Persona. Marziale rileva simili circostanze in un gentile epigramma, che fà sopra un certo Zoilo, di cui dice che avendo egli i capelli rossi, la barba nera, ed essendo guercio, e Gobbo, sarebbe una grande meraviglia se fosse un buon’Uomo. Crine ruber; niger ore; brevis pede, lumino læsus – Rem magnam præstas Zoile si benus est. Ho letto al proposito un Auttore molto ingegnoso, il quale suppone, che ogni Uomo, il di cui viso ha qualche lontana relazione colla testa d’un Bue, d’una Pecora, d’un Leone, d’un Porco, o di qualche altro animale, si rassomiglj loro nella inclinazione, e nelle passioni. Indi espone il profilo di molti volti di varia figura, e dopo averne caricata un poco la rassomiglianza, vi scuopre l’aria, e la mina di tutti que’Animali. Ora lascio ai Filosofi che non sono alla moda il decidere se i moti degli spiriti animali nelle differenti passioni, che aggitano gli Uomini, contribuiscano à formare i delineamenti del volto, quando le carni, e le fibre sono tenere, e pieghevoli; o se la stessa sorta di ani-ma ricerchi la stessa sorta di abitazione. Che che ne sia; io non ritrovo niente di più glorioso per un Uomo, che il dare per cosi dire una mentita al proprio volto, coll’avere il cuore buono, giusto, ed onesto, al dispetto di tutti li segni contrarj, che la natura gli ha impressi sul viso. Accade sovente a questi, che in vece di affligersi della loro cattiva mina, o d’invidiare quella degli altri, si applicano a coltivare l’animo, e ad ornarsi di bellezze più squisite e di più longa durata. Ho veduto buon numero di codesti amabili bruti, ed ho osservato in loro una certa giovialità, in un ammesso di tratti tanto bizzari, quanti ne sieno mai stati uniti assieme; che mi sono piacciuti infinitamente più di tutti li vezzi, e di tutto il vermiglio d’una insolente; beltà si può dire, che la virtù merita un doppio eloggio, quando si ritrova in un corpo, che parea destinato a dare riccetto al vizio; in molti di questi casi l’Anima el corpo non paiono fatti l’una per l’altro. Socrate~i ce ne somministra, nella propria persona, un essempio ben singolare. Ritrovavasi, a suoi tempi un Fisonomista nella Città d’Atene~i, che scuopria in maniera stupenda, l’umore, e le inclinazioni, di molte persone sulla loro semplice apparenza esterna. Alcuni Discepoli di Socrate~i, per vedere fin dove giognea la sua virtù, in questo proposito, lo conducessero al loro maestro, a lui totalmente ignoto; e ferono si che comparisse come straniero a caso sovragionto alla loro compagnia. Dopo, che il Fisonomista ebbe alquanto essaminati li delineamenti del di lui viso, pronunciò, che quegli era un vecchio il più inclinato alla Lascivia, ed alla ubriacchezza, che avesse mai veduto. I Discepoli dierono in una scoppiata di ridere, credendo d’avere scoperta nel Fisonomista la debolezza, e la vanità della sua Arte. Ma Socrate~i disse loro, che i principj della sua arte poteano essere molto giusti, non ostante l’errore, in cui parea caduto. Mentre la sua naturale inclinazione lo strascinava a que’due vizi; ma che l’avea coretta coi precetti della Filosofia. In fatti ci dice un Autore antico, che Socrate~i, e Silene~i si rassomigliavano molto nella Faccia: Le statue, e i Busti che ci restano dell’uno e dell’altro, come pure diversi figilli antichi, e buon numero di Pietre preziose che si ritrovano nelle Gallerie de curiosi. Ma, benche le osservazioni di questa natura possano essere giuste, un Uomo prudente non dee prestare loro, si di leggeri, credenza. Si può fare a’molti un irreparabile torto, quando dalla Fisonomia delle Persone, a noi incognite, si concepisse qual-che pregiudizio contro di loro. Quante volte non avviene che si ha della aversione per le Persone di merito; o che si tacciano da superbi e di naturale cattivo, sulla loro semplice mina; e che indi, dopo averle vedute, e praticate da vicino, non si saprebbono a bastanza stimare? un Dotto autor di morale, mette questa inclinazione di giudicare degli altri, sulle apparenze, tra i diffetti del cuore, e la chiama se bene mi ricordo Prosopolepsia. […] una parola Greca, che si ritrova nel […] Rom. 2. II. eph. 6.