Placido Cerri an Hugo Schuchardt (02-01587)

von Placido Cerri

an Hugo Schuchardt

Bivona

27. 04. 1871

language Italienisch

Schlagwörter: language Piemontesische Dialektelanguage Sizilianische Dialektelanguage Italienischlanguage Sardischlanguage Sanskritlanguage Griechischlanguage Deutschlanguage Lateinlanguage Arabisch Flechia, Giovanni Pitrè, Giuseppe Alighieri, Dante Sizilien Florenz Italien Piemont Rom Palermo Frankreich Pitrè, Giuseppe (1870) Schultz, Ferdinand (1895)

Zitiervorschlag: Placido Cerri an Hugo Schuchardt (02-01587). Bivona, 27. 04. 1871. Hrsg. von Frank-Rutger Hausmann (2020). In: Bernhard Hurch (Hrsg.): Hugo Schuchardt Archiv. Online unter https://gams.uni-graz.at/o:hsa.letter.9545, abgerufen am 29. 09. 2023. Handle: hdl.handle.net/11471/518.10.1.9545.


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Bivona ( Sicilia) 27 aprile 1871.

Illustre e caro Sig. Professore,

Non so che cosa Ella possa aver pensato a quest’ora di me, o come abbia giudicato il mio modo di procedere verso di lei specialmente dopochè ricevetti la cortesissima sua lettera del mese di gennaio, la quale mi giunse qui molto in ritardo dopo avermi cercato inutilmente altrove. In quest’anno ho avuto da fare in diversi luoghi senza stabilirmi definitivamente in alcuno. Dapprima fui nominato a Brescia, dove trovai degli imbrogli, per cui dovetti presto andare a Firenze. Qui mi fermai per qualche tempo poi mi fu offerto un incarico provvisorio a Bivona1 dove erano successi disordini; un prof aveva abbandonato il suo ufficio un altro era stato destituto, e simili diavolerie. Esitai un poco, ma siccome non si trattava che di pochi mesi finii con accettare per avere occasione di vedere la Sicilia, sola parte d’Italia che mi restava da visitare. Rimangono ancora circa tre mesi, poi la mia missione sarà compiuta ed allora ritornerò in Piemonte. Ma prima d’arrivarvi è probabile che mi fermi alcune settimane a Roma. Ella che vi è stata molto tempo se desidera alcuna cosa non ha che a scrivermi, ma prima del mese di luglio, altrimenti forse non mi troverebbe più qui. Intanto vorrei chiederle il permesso di dispensarmi per ora dal darle minutei ragguagli intorno al dialetto Piemontese. Temerei di non essere preciso. Non mi sono mai occupato |2| di queste comparazioni dialettiche, e le minime differenze di pronunzia tra un paese e l’altro sfuggono a chi non si proponga di studiarle. Nel prossimo autunno con qualche accurata osservazione e piú ancora con qualche conferenza col Flechia2 potrò darle tutte quelle indicazioni che Ella mi domanderà.

Quello che ora dovrei fare è parlarle dei dialetti siciliani. Ma in questi sono nuovo; e poi v’è pochissima differenza tra quello di Bivona ed il Palermitano che Ella conoscerà specialmente per le opere del Meli.3 Domandai di altre pubblicazioni e mi fu accennata soltano un opera che ora è in corso di stampa. Deve essere una raccolta di canti Siciliani di tutti i tempi e di tutti i luoghi della Sicilia.4 L’autore chiamasi Pitrè5 e l’opera viene pubblicata in Palermo coi tipi di Pedone-Lauriel. Se Ella desidera intorna ad essa altre informazioni piú particolareggiate, basterá che me ne scriva, che appena seguita la pubblicazione vedrò di soddisfarla.

Le osservazioni che finora mi riuscì di fare si riducono a poca cosa. Mi si dice che sostanzialmente in tutta la Sicilia non v’è che un solo dialetto, e le differenze nelle divese provincie si riducono quasi tutte al modo di pronunziarlo. Così le vocali i ed u che così spesso nel Meli rappresentano l’e e l’ oItaliano, qualche volta ma raramente qui si pronunziano e ed o. Così vattene in Pal.6 vattínni |3| e in Bivonese vattínne. Ma nella maggior parte dei casi questa differenza non ha luogo.

Ho trovato un analogia col Sardo nella pronunzia del dd che sta per ll. Questa pronunzia ha luogo appoggiando la lingua al palato e rendendo così un suono che dovrebbe essere ad un dipresso come quello delle cerebrali dell’alfabeto sanscrito. È poi frequentissimo, come in iddu p. ello (forma antiquata di egli che si trova usata spesso dagli scrittori del sec. XIV. Così in Dante verso il fine del canto XXXI dell’inf.) Così ddocu p. llocu = lì, e Toriddu p. Torello nome proprio diminutivo da Salvatore e Piddu per Pello diminutivo di Giuseppe di cui ha ritenuto solo l’ultima sillaba. Altri nomi proprii formano qui il loro vezzeggiativo in modo curioso; come Totó, Tití, Cocó, Nenè da Antonio, Agostino, Nicolò, Emanuele.

Nel parlare comune molte parole soffrono apocopi notevolissime. Così le espressioni nónsi, sísi e più spesso nonssis che stanno per no signore. Così Vossia è talvolta vossa e talvolta solo ssa per Vostra Signoria. Una maniera di saluto verso il superiore specialmente ecclesiatico è: ssabenedica. Così: vossaacchiana = V. S. salga. Acchianari p. salire ha modificato alquanto il significato etimologico di appianare. Della mutazione di una labiale in gutt. quando sta davanti ad i abbiamo numerosi esempi: chianu p. piano; cunchiri per compire; cchiú p. piú; |4| ciatu per fiato, ciumi p. fiume ecc.

È singolare che mentre in molte parti della Sicilia vi è tanta predilezione per le vocali i ed u da sostituirli quasi sempre ad i ed o, in alcuni luoghi come ad es. in Caltanisetta avviene il fatto apposto: anzi questi e ed o sono là pronunziati molto larghi; ad es. zóccaro p. zucchero; e la espressione Ital. unlitrodivino sarebbe a Bivona: un litru di vinu ed a Caltanisetta onletrodibeno. – È pur notabile la difficoltà che qui si incontra per pronunziare certi suoni. Tra gli scuolari non mi riuscì mai di ottenere che l’υ greco sia pronunziato come l’ü tedesco. I più pronunziano senz’altro u; altri sforzandosi a dire ü, vi permettono inavvertemente un i e pronunziano ad es. μύω come se fosse scritto μιύω.

Così non possono pronunziare di seguito alcune vocali, mentre d’altra parte evitano pure molti gruppi consonantici. Per questo nel dialetto correggono molte sincopi che nella lingua Ital. sarebbero necessarie come amarisi p. amarsi. Anche leggendo il latino o l’Ital. non possono pronunziare di seguito due vocali forti. Leggendo il vocabolo latino eo dicono egho; così alleghanza p. alleanza facendo però sentire più fortemente l’aspirazione h che il g.

Per mostrarle a qual segno talvolta modifichino suoni per essi difficili a pronunziarsi le citerò ancora un esempio. Qui è in uso la grammatica latina dello Schultz.7|5| Crederebbe lei che leggendo questa parola dicono Curti? Non conoscendo per il ch altra pronunzia che quella del k, per loro questa parola è come se fosse scritta: Skultz. Trovando duro il suono sk sopprimono a dirittura la 1 a consonante e resta kultz. Evitano poi il gruppo consonantico finale coll’inserzione di un i dicendo kultis, e poi kulti per non finire la parola in konsonante. Un Toscano avrebbe detto Cultisse. Riguardo alla mutazione di l in r davanti a t si vede pure in alcuni luoghi della Toscana dove si pronunzia ad es. morto p. molto. Avrei creduto di trovare qui maggior copia di vocaboli puramente greci. Ed invece mi parve di sentirne pochissime, fra cui p. es. vastásu = facchino da cfr. con βαστάζω, e la espressione intu = ἐν τῷ nella forma e nel significato, mentre tradotta in puro Siciliano sarebbe inlu.

Anche la lingua Araba ha lasciato meno traccie che mi sarei aspettato. Ma siccome questa lingua non la conosco niente affatto, non vorrei arrischiarmi ad affermare come arabe parole per me di etimologia ignota. Tali sarebbero ad es. le seguenti voci qui usate: khaja : siepe; khaneja = arco cavalcavia; crafócchiu = spelonca; alè = baia. Derisione; lemmu (nome di un vaso grande di terra cotta simile al bacile); allabafattaţu = stanco, spossato ecc.

|6| Così ho soddisfatto al desiderio da lei espresso nella sua lettera che le scrivessi molto. Purchè coll’essere lungo non sia riuscito inutile o peggio.

Non voglio però finire senza rettificare un suo giudizio sugli Italiani quando ci diceva troppo ligii alla Francia. In questioni di questa natura le opinioni sono sempre molto varie. Io crederei di poter dire che nel passato conflitto il più delle simpatie furono per la Germania. In favore di questa avvennero molte dimostrazioni popolari; e non fu così per la Francia. E se vi furono molti Italiani che seguirono Garibaldi nol fecero per amore dei Francesi quanto della repubblica; e credo colla speranza di farla trionfare in Francia per trasportarla poi altrove. Del resto quasi tutti coloro che parlano dei mali onde la Francia è presentemente afflitta, soggiungono: le sta bene che così sia stato posto freno alla sua superbia. Difatti da molti anni ella voleva farla da padrona in casa nostra, e con modi tanto insolenti che tutti ne erano irritati.

Stia bene, e mi conservi sempre la sua benevolenza.

Suo devmo et aff mo

Placido Cerri


1 Kleinstadt in der Provinz Agrigento.

2 Giovanni Flechia (811-1892), ital. Sanskritist, Lehrer Cerris; vgl. HSA 03049.

3 Giovanni Meli (1740-1815), ital. Arzt, Naturwissenschaftler und Dichter.

4 Canti popolari siciliani raccolti da Giuseppe Pitrè, Palermo: Pedone-Lauriel, 1871 (Biblioteca delle tradizioni siciliane, 1-2).

5 Giusepe Pitrè (1841-1916), ital. Volkskundler; vgl. HSA 08864-08871.

6 Palermitano.

7 Ferdinand Schultz, Grammatica della lingua latina, manuale d’esercizi graduali sulla grammatica latina con apposito vocabolario, Roma-Torino: Paravia, 1895, 2 vol. (es gibt verschiedene, immer wieder erweiterte Ausgaben dieser Grammatik). Schultz (1814-1893)

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