Francesco D´Ovidio an Hugo Schuchardt (83-08489)

von Francesco D´Ovidio

an Hugo Schuchardt

Neapel

03. 01. 1912

language Italienisch

Zitiervorschlag: Francesco D´Ovidio an Hugo Schuchardt (83-08489). Neapel, 03. 01. 1912. Hrsg. von Sandra Covino (2022). In: Bernhard Hurch (Hrsg.): Hugo Schuchardt Archiv. Online unter https://gams.uni-graz.at/o:hsa.letter.7694, abgerufen am 19. 03. 2024. Handle: hdl.handle.net/11471/518.10.1.7694.


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Napoli 3 del 1912

Mio carissimo,

Non puoi immaginarti con quanto gusto ho ricevuto e udito il tuo bell’articolo1. Da un pezzo non dandomi tu alcun segno di vita, cominciavo a chiedermi donde mai nascesse questo nostro mutuo silenzio, e che significato potesse finir ad assumere pur avanti a noi stessi. E giusto l’ultimo dell’anno ero sul punto d’incominciare una lettera per te, quando fui |2| interrotto da una visita. Poche ore dopo mi giunse il tuo articolo! Esso mi parve una buona parola che venisse a smentire una cattiva cosa, e mi fece pensare alla così detta telepatia.

Or sappi che io non scrivo quasi più a nessuno. Gli anni e i malanni m’incalzano, mentre séguito a dover fare un centinaio di lezioni l’anno e tutte le altre faccende pubbliche e private2. La mia famiglia, che |3| era il forte della mia segreteria, s’è dileguata: la mia primogenita è da più anni stabilita in Roma3, la seconda, maritatasi4, abita in un piano sottoposto al mio, ma non le avanza un minuto dalle sue faccende domestiche; mia moglie, per alleviarla, è dedita tutta al primo dei due nipotini, cui han posto nome Ovidio, e che, quel ch’è peggio, soffre di lattime5, e non ha e non dà un momento di pace, nè di giorno nè di notte, mentre |4| è tanto vivace e grazioso che sarebbe la nostra consolazione. Io dunque passo molte ore in questa alternativa: o leggo e scrivo da me, rovinandomi peggio gli occhi, o sto in ozio forzato! Ho due anagnosti6, ma per non più che cinque ore al giorno. Se dopo il 1884 consideravo come la mia età dell’oro quella in cui almeno avevo avuto gli occhi sani o quasi7, oggi considero come età aurea quella in cui avevo almeno tanti aiuti pietosi da poter lavora|5|re una decina d’ore al giorno. Se non fossi un povero padre di famiglia mi farei collocare a riposo.

Sarei ben lieto di sapere come passi tu il riposo tuo8. Ma non te lo chiedo, perchè ciò equivarrebbe a volerti scemare una parte di esso riposo.

Spero che la nevrastenia non ti tormenti, e che la tua salute sia abbastanza buona9.

Ti mando due cosucce mie stampate10. Non ci unisco quelle apparse nei |6| rendiconti dei Lincei, perchè questi tu li ricevi11. Te le manderei ove tu le volessi. L’ultimo mio volume, versificazione italiana ecc., non so se ti sia mai capitato. D’avertelo o no mandato non ho alcuna chiara reminescenza12. In quanto a inviar libri e opuscoli, son diventato un vero nevrastenico: tanto mi pesano tutte le fatiche correlative.

Un cordiale abbraccio dal

tuo aff.mo

F. d’Ovidio


1 Probabilmente, H. Schuchardt, Primo congresso di etnografia italiana, Roma – 19-24 ottobre 1911, Cose e parole – Relazione del prof. Hugo Schuchardt, Roma, Tip. Manuzio, 1911, estr. da «Rassegna contemporanea», IV/11, 1911, pp. 57-63; l’articolo, completamente rimaneggiato, fu ripubblicato in tedesco, con il titolo Sachen und Wörter, in «Anthropos», VII, 1912, pp. 827-839.

2 Cf. la nota 5 alla lettera XXXVII, HSA, B 8461.

3 Carolina D’Ovidio aveva sposato nel 1902 Manfredi Porena (Roma 1873-1955). Allievo di Zumbini e dello stesso D’Ovidio, dopo una decina di anni d’insegnamento nei licei, Porena aveva ottenuto nel 1909 la cattedra di Stilistica e nel 1910 quella di Lingua e letteratura italiana presso l’Istituto Superiore di Magistero Femminile di Roma.

4 Elvira D’Ovidio aveva sposato Carlo Lefevbre: cf. la nota 2 alla cartolina LXXIX, CASNS, FDO HS 29.

5 Cf. Tommaseo-Bellini, II, p. 1769, s.v. lattime: «Esalamento di materia albuminosa, la quale si dissecca in forma di dense croste che invadono le orecchie, la fronte e il derma capelluto de' fanciulli poppanti, su i quali insiste talvolta anche dopo di averli slattati».

6 Cf. ivi, I, p. 412, s.v. anagnosta: «2. Servo che ai Romani leggeva durante la cena. È una specie di Lettore».

7 Già molto miope, nell’autunno del 1884 D’Ovidio era stato colpito, come si è più volte ricordato, da una patologia oculare che nel corso degli anni si era progressivamente aggravata.

8 Schuchardt era in quiescenza sin dal 1900.

9 Sulla nevrastenia di Schuchardt, cf. la nota 2 alla lettera XXXV: HSA, B 8459.

10 Forse le Tre notarelle etimologiche. Memoria, Napoli, Tip. S. Giovanni e figlio, 1911 (estr. da AAN, XLI/1) e il Poema del Cid. Glossario, Roma, Loescher, 1911.

11 Nei RAL, erano apparsi l’articolo di D’Ovidio Il vocabolo canicula e suoi derivati (serie V, XIX/12, 1910, pp. 779-787; rist. in Opere, X, pp. 189-199) e le sue commemorazioni dei soci Felice Tocco e Filippo Mariotti (serie V, XX, 1911, pp. 345-349 e 606-609; rist. in Opere, XIV, pp. 310-322).

12 Il riferimento è alla silloge di D’Ovidio, Versificaz. ital., uscita nel 1910.

Faksimiles: Universitätsbibliothek Graz Abteilung für Sondersammlungen, Creative commons CC BY-NC https://creativecommons.org/licenses/by-nc/4.0/ (Sig. 08489)