Francesco D´Ovidio an Hugo Schuchardt (51-08469)
an Hugo Schuchardt
05. 01. 1899
Italienisch
Schlagwörter: Diez, Friedrich Meyer, Gustav Ovidio, Francesco d' (1898) Meyer-Lübke, Wilhelm (1890) Schuchardt, Hugo (1899) Schmitt, Christian (2001) Meyer-Lübke, Wilhelm/Ovidio, Francesco d' (1888) Diez, Friedrich Christian (1836–1838)
Zitiervorschlag: Francesco D´Ovidio an Hugo Schuchardt (51-08469). Neapel, 05. 01. 1899. Hrsg. von Sandra Covino (2022). In: Bernhard Hurch (Hrsg.): Hugo Schuchardt Archiv. Online unter https://gams.uni-graz.at/o:hsa.letter.7662, abgerufen am 19. 03. 2024. Handle: hdl.handle.net/11471/518.10.1.7662.
Napoli Largo Latilla 6
5 del ’99
Mio carissimo,
Come potrei dirti tutta la vergogna mia del risponder che ti fo così tardi alla tua bella lettera di sei settimane sono? È vero che essa mi giunse mentre ero immerso negli esami di laurea, nelle faccende della Facoltà (di cui quest’anno son preside), e che dipoi una malattia di quindici giorni, noiosa e stupefaciente benchè senza gravità, m’impedì ogni occupazione e mi fece accumulare infinite faccende atrasadas. Ma è vero pure che a dir queste cose tardi e da lontano non si riesce a dileguare tutta la cattiva impressione che un lungo silenzio ha prodotta. Dunque ti domando umilmente perdono, ti faccio mille auguri pel nuovo anno, faccio a me l’augurio che tu venga a Napoli per la Pasqua, ed eccomi a risponderti alla meglio.
|2|La tua lettera è una tale condensazione di arguzie finissime, che quasi sento rimorso che una così bella cosa resti inedita. Il vero è che o tu scriva in lingua barbara o in romana, la barbara s’incivilisce e la romana cessa d’essere rustica. La lettera io me la son più volte riletta, e anche questo ha contribuito a farmi tardar la risposta. Mi pareva quasi giusto che non vi rispondessi prima d’averla gustata abbastanza.
Le lodi che mi fai del mio lavoro sulla ritmica mi hanno fatto un piacere infinito. Me ne hanno fatto tanto che quasi quasi temo che tu le abbi un po’ accresciute per eccesso di benevolenza o per buonumore o perchè ti venivano dette con tanta lepidezza. Ma insomma, anche se ci dovessi far la ta|3|ra, me ne resta tanta parte da costituire di per sè un sufficiente premio delle fatiche durate per rendermi conto di questioni così difficili e per cercar di ridurle a un’espressione facile.
Quanto a ovum non avevo punto dimenticato l’opinione del “valoroso Alemanno”; ma nonostante la mia riverenza e la mia fede nel suo singolare acume, non mi sono mai potuto persuadere della sua teoria1. Ho mostrato il mio dissentimento in quel modo che più volentieri si fa quando si dissente da uno scrittore autorevole o da un amico carissimo, cioè tacitamente. Se dovessi parlar direi: come mai se in ovum ebbe luogo un allargamento per semplice dissimilazione dal v, il medesimo non è avvenuto in ove, róvere, gióvane, cóva, giova, rovo, ecc.? per non dir di sopra sovra ecc. ecc.? Qualcuna di tali parole sporadicamente |4| assume l’o largo in qualche parlata italiana o perfin toscana (p. es. senese giòvane), ma la norma toscana fondamentale resta fedele all’o stretto. Perciò m’è sempre parso più semplice spiegare codeste aberrazioni sporadiche con ragioni particolari di analogia ecc., come ho fatto nel Grundriss2, e per ovum attenersi alla dottrina del Diez3. Del resto è inutile dirti che io son pronto a convincermi, se le mie obiezioni potranno essere abbattute.
E ora veniamo al fuso. Avendo lasciato la mia Campobasso sui nove anni, non ho mai più visto filare. E poichè la mia vista è stata sempre cortissima, le percezioni sensibili di ordigni non passati solitamente per le mie mani, sono state sempre debolissime e le reminescenze mal fide. La voce muscolone perfino mi era ignota e non ne intravedo l’etimologia. A me par di ricordarmi che i fusi visti da me nella puerizia avessero la cocca; e dell’intaccatura spirale non saprei che dirti4. E il peggio è che a Napoli nessuna fila, e non so a chi domandare.
E il povero Meyer?
Il tuo aff.mo
F. d’Ovidio
1 Il lavoro di D’Ovidio lodato da Schuchardt è l’articolo Origine versi italiani: cf. la lettera L, CASNS, FDO, HS 18; in partic. il poscritto su *ŏvum. Nella sua Italienische Grammatik (Leipzig, Reisland, 1890, pp. 41 e 50) Meyer-Lübke aveva sostenuto che il tosc. uovo deriverebbe da un lat. volg. ǫvum, in cui «das ǫ sich durch den dissimilierenden Einfluss des v erklärt». Schuchardt ne era convinto e così spiegherà anche il dittongamento dell’ant. fr. trueve nelle Rom. Etym. II, pp. 63-64: cf. Christian Schmitt, Wörter und Sachen, in LRL, vol. I.1. Geschichte des Faches Romanistik. Metodologie (Das Sprachsystem), Tübingen, Max Niemeyer, 2001, pp. 235-292: 251. Discutendo altri fenomeni, la perifrasi «il molto valoroso alemanno» era stata utilizzata da Ascoli in riferimento a Meyer-Lübke, in AGI, IX, 1886, p. 104.
2 Cf. F. D’Ovidio & W. Meyer-Lübke, Die italienische Sprache, in Grundriss, pp. 518-520.
3 Cf. Diez, Grammatik, I, pp. 136-137, dove non è ancora riconosciuta l'influenza dissimulatrice della labiale sulla precedente o, ipotizzabile in *OVUM, *NOPTIAE, *PLOVIA, ecc.
4 Cf. la lettera L, CASNS, FDO, HS 18, e la nota 6.