Alfredo Trombetti an Hugo Schuchardt (18-11799)
an Hugo Schuchardt
10. 08. 1904
Italienisch
Schlagwörter: Accademia dei Lincei (Rom) Ascoli, Graziadio Isaia Bologna Anderson, Nikolai (1893) Budenz, Jószef (1873–1881) Delitzsch, Friedrich (1881)
Zitiervorschlag: Alfredo Trombetti an Hugo Schuchardt (18-11799). Savona (Liguria), 10. 08. 1904. Hrsg. von Bernhard Hurch (2015). In: Bernhard Hurch (Hrsg.): Hugo Schuchardt Archiv. Online unter https://gams.uni-graz.at/o:hsa.letter.3147, abgerufen am 05. 10. 2024. Handle: hdl.handle.net/11471/518.10.1.3147.
Savona (Liguria)
10 agosto 1904
Sono qui a far bagni, in cerca in un pò di ristoro e di quiete per me e per la mia famiglia. Ricevetti a Cuneo la Sua cortese cartolina, dalla quale seppi del Suo ritorno a Graz.1 Spero che Ella sia ritornata i buona salute.
Da una mia cartolina i più dai giornali Ella avrà saputo delle fortunate vicende che seguirono dope che io ebbi ottenuto il premio. La domenica susseguente a quella del conferimento del premio, cioè il 12 giugno, fui nominato per decreto Reale, i in base all’art. 69 della legge Casati, professore ordinario di «filologia semitica» all’Università di Bologna, mia città natale. Non fui interpellato nè ufficialmente nè ufficiosamente e mi diedero comunicazione del |2| decreto a cose fatte. La Corte dei Conti fece delle riserve d’ordine amministrativo, perchè mancavano i fondi nel bilancio; ma il Ministro li seppe trovare e così ogni difficoltà legale è appianata. Restano però altre difficoltà. A Bologna, ove per la prima volta sentii parlare della cattedra de «filologia semitica» destinata a me, io protestai subito che essa non mi conveniva e che il titolo del mio insegnamento avrebbe dovuto essere «Scienza del Linguaggio» (titolo proposto dall’Ascoli, ma non per la cattedra d’ordinario, bensì per un incarico – il Ministro invece volle fare di più). Ricevetti le più ampie assicurazioni dalla Facoltà di Lettere della Università di Bologna che il titolo sarebbe stato accettato. Io non credetti di dover rifiutare la nomina onorifica, tanto più che tutti (e ultimamente prefino il Re) mi assicurarono che nessuno avrebbe posto limiti al mio insegnamento. Non così il venerando professore Ascoli, il quale mi fece varie obiezioni. Risposi che speravo nel promesso mutamento del titolo; ma che, ad ogni modo, avendo io accettato la filologia semitica e volendo restare onesto, |3| ove quel mutamento non potesse farsi, mi metterei in grado di sostenere l’insgnamento a qualunque costo, a costo anche di rovinarmi la salute. Intanto comincerei con la glottologia semitica, che è pure una parte della filologia semitica (quantunque l’Ascoli la dica parte impercettibile).
Più grave e complicata è la faccenda della pubblicazhione del mio lavoro. La R. Accademia dei Lincei ha il diritto di pubblicare i lavori premiati che siano manoscritti. Ora, nel mio caso, il Re si è degnato di fornire il denaro occorrente, denaro di cui forse non potrebbe disporre l’Accademia. Al prof. Ascoli io promisi che, qualora il mio lavoro avesse avuto l’onore della stampa, io l’avrei riveduto da capo a fondo per migliorarlo sotto tutti gli aspetti, mettendo a profitto le osservazioni contenute nella Relazione della Commissione, quelle contenute nella Sua relazione non pubblicata (ma di cui ebbe comunicazione privata) nonchè tutte le altre osservazioni che l’Ascoli benevolmente mi fece a voce e in iscritto. Tutto questo io promisi all’Ascoli e sono fermamente risoluto di farlo; ma, |4| non so perchè, l’Ascoli da un pò di tempo mi scrive lettere molto severe, nelle quali mi dice che la disposizione del mio spirito non è più quella di prima, cioè non è più remissiva. Non può credere quanto mi addolori un simile rimprovero, che non mi pare di meritare. L’Ascoli teme che la pubblicazione possa compromettere la Commissione e la R. Accademia dei Lincei. Ma è dunque così orribile il mio lavoro? Non so più che cosa pensare, che cosa fare. Ho promesso di migliorare il mio scritto e lo farò con la massima cura, facendo il massimo sforzo intellettuale e fisico di cui io sia capace; se questo non basta, che mi resta a fare? Siccome io non voglio assolutamente compromettere la Commissione e la R. Accademia, eseguirò le correzioni e introdurrò i maggior numero possibile di miglioramenti; quindo presenterò di nuovo i manoscritti alla R. Accademia, la quale delibererà sul da farsi. Senonchè l’angusta parola del Re è già impegnata ....
Insomma si è creato, senza colpa |5| di nessuno, uno stato tale di cose che mi addolora profondamente. Ho avuto grande fortuna, è vero, ma quanto non è questa amareggiata! Ho bisogno di pace, di quiete. I giornalisti si sono impadroniti del mio caso e hanno detto tutto quel che sapevano e, sopratutto, quello che non sapevano. Hanno inventato interviste, hanno pubblicato come scritto d’occasione un mio breve articolo («La monogenesi del linguaggio») che invece fu inserito un anno fa in un ignoto giornaletto del Piemonte, ecc. Eppure dopo il consegnimento del premio io mi mantenni riservatissimo, come potrebbero attestare tutti quelli che mi conoscono. Feci di tutto per evitare il rumore inorno al mio nome.
Sono talmente addolorato per il presente stato di cose che quasi quasi rinunzierei a qualche «fortuna».
Nella sua ultima lettera il prof. Ascoli mi ha fatto alcune obiezioni concrete, e di ciò mi sono rallegrato, perchè ho potuto rispondere secondo |6| scienza e coscienza. Egli mi osserva che in nessuna parte del mio lavoro è dimostrato il nesso diretto, che io affermo, fra l’indoeuropeo da una parte e l’uralico e il dravidico dall’altra, nonchè quello indiretto con l’altaico e col maleopolinesiaco. Ciò sarà verissimo; però io gli ho ricordato che il mio lavoro non è completo e che mi riservavo di dare quelle dimostrazioni nelle parti analitiche mancanti nel manoscritto. Ho però riconosciuto l’opportunità di anticipare le dimostrazioni nell’Introduzione e ciò farò volontieri. Del resto, il nesso indoeuropeo-uralico non l’ho scoperto io, ma, come tutti sanno, e per non parlare dei lavori più antichi, esso apparisce evidente negli Studi di Nicolaj Anderson.2 Fece opposizione, è vero, il Budenz;3 ma l’Anderson rispose in modo secondo me convincente (Die Wandlungen der anlautenden dentalis Spirans im Ostjakischen – Pietroburgo, Acc. delle Scienze). E in generale, le mie conclusioni, quantunque siano veramente mie, si trovano essere d’accordo con ciò che i migliori glotto|7|logi hanno intuito finora o dimostrato. Sono dunque in buona compagnia.
L’Ascoli si mostra scandalizzato del mio parallelo fra הוה, היה„essere” : הוא, היא „egli, ella” e indoeur. es- „essere” : e-s- „egli, ella”. Ma il verbo semitico „essere” fu già dal Delitzsch (Wo lag das Paradies? nell’Anhang – non ho con me il libro)4 collegato col pronome di 3a persona, e io non vedo come l’indoeur. *es- „essere” non possa collegarsi col pronome * so-, sā- cui sarebbe preposto un e- (cfr. ἐ-κεῖ ecc.). La mia supposizione non vale nè più nè meno di quella del Delitzsch, e non so perchè io dovrei essere paragonato, per essa, a un Court de Gébelin!5
Egregio professore: non mi faccio illusioni e so quanto posso avere errato nei miei lavori. Ma ho pure la coscienza di avere studiato moltissimo, di aver studiato da capo a fondo le opere migliori. Questa coscienza mi rende tranquillo; ma, d’altra par|8|te, del mio lavoro vorrei per me solo tutta la responsabilità e non vorrei a nessun costo compromettere gl’illustri e venerati miei giudici nè l’Accademia. Dica l’Accademia se il mio lavoro – corretto che sia – merita di essere pubblicato sotto i suoi auspici e a spese del Re; se non merita tanto onore, lo dica senz’altro, e allora io sarò libero e non comprometterò che me stesso.
Perdoni, egregio professore, questo mio sfogo. Esso era necessario all’animo mio, che in questi giorni è amareggiato. Non so di aver commesso nessun fallo, e mi sento addolorato e oppresso come un colpevole.
Abbia la bontà di scrivermi due righe.
Con inalterabile affetto e con gratitudine imperitura
Suo
Alfredo Trombetti
Fermo in posta – Savona
oppure a Cuneo.
1 Schuchardt hatte 1904 eine 4-monatige Reise nach Skandinavien unternommen.
5 Diesem liegt offenbar eine Ironie Ascolis gegenüber Trombetti zugrunde. Court de Gébelin galt als leichtfüßiger Vertreter einer Ursprachentheorie.