Alfredo Trombetti an Hugo Schuchardt (11-11792)

von Alfredo Trombetti

an Hugo Schuchardt

Cuneo

27. 01. 1903

language Italienisch

Schlagwörter: Harrassowitz Verlag Brugmann, Karl Friedrich Christian Osthoff, Hermann Trombetti, Alfredo (1897) Schuchardt, Hugo (1895) Schuchardt, Hugo (1885) Hirt, Hermann (1900)

Zitiervorschlag: Alfredo Trombetti an Hugo Schuchardt (11-11792). Cuneo, 27. 01. 1903. Hrsg. von Bernhard Hurch (2015). In: Bernhard Hurch (Hrsg.): Hugo Schuchardt Archiv. Online unter https://gams.uni-graz.at/o:hsa.letter.3140, abgerufen am 28. 03. 2024. Handle: hdl.handle.net/11471/518.10.1.3140.


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Cuneo, 27 Genn. 1903

Chiarm̃o Sig. Professore,

Temevo di riuscirle importuno scrivendole anche costì;1 però stavo per scriverle egualmente, quando ricevetti la sua gradita cartolina.

Quando le scrissi l’ultima volta a Napoli avevo tanta fretta per fare in tempo a spedirle la lettera prima ch Ella partisse, che mi dimenticai di darle le notizie richieste sul mio libro scritto in tedesco, stampato presso Harrassowitz a Lipsia. Le spiego súbito di che si tratta. Fin verso il 1896 io avevo studiato accuratamente le principali opere di glottologia comparativa riguardanti le lingue indoeuropee, camitosemitiche, uralaltaiche e altre, assimilandomi un copioso materiale grammaticale e lessicale. Fino a quel tempo io avevo sempre giurato in verba magistri, e il maestro per le lingue indoeuropee era K. Brugmann; ma poi venne una specie di crisi e io passai dall’acquiescenza quasi assoluta alle opinioni altrui alla denegazione dei risultati della lingui|2|stica indoeuropea che parevano i più assodati. Come avviene in ogni reazione, io passai il limite del giusto e del ragionevole. Frutto di quel momento psicologico – che per fortuna durò pochissimo – è il mio libro «Indogermanische und semitische Forschungen. Vorläufige Mittheilungen»,2 che io già nella prefazione qualificavo per una Erstlingsarbeit, libro scritto in fretta e furia e che ora vorrei ritirare dal commercio.* Ricordo che in una lettera Le scrissi che io non avevo pubblicato quasi nulla. Oltre a detto lavoro, pubblicai a Cefalù (Sicilia) nel 1892 alcune copie autografate di uno studio sulle iscrizioni hittite, studio che il Prof. Peiser di Breslavia avrebbe pubblicato in appendice ad un suo lavoro, se questo avesse visto la luce; il che non avvenne. Ora il Jensen crede di aver decifrato le iscrizioni hittite; ma io non sono rimasto persuaso. Di una mia conferenza sui «Grandi periodi del progresso umano» stampati per cura dei colleghi l’anno scorso – non mette conto parlare.

Benchè il mio libro tedesco sia fondamentalmente sbagliato, pure credo che non poche giuste intuizioni vi siano contenute. Non essendomi ristretto nella cerchia delle lingue indoeuropee, molte cose |3| mi apparvero ben presto diverse da ciò che apparivano a coloro i quali non usavano che occhiali arii, per usare una frase già usata da Lei. Nella fonologia indoeuropea, per esempio, io non solo negai l’esistenza dello ǝ protoindoeuropeo, ma affermai pure che si dever ammettere una sola serie di gutturali primitive, modificati poscia da vocali precedenti o seguenti, e che le gutturali velari labializzate sono geneticamente velari +w (per es. kwo- = gr. πο, lat. quo ecc. da kw-o-; cfr. tw-o- del pron. di 2. persona ecc.). Opinioni simili alle mie – ma sostenute con prove valevoli – hanno manifestato recentemente Holger Pedersen, Hirt e altri. Il Grimme ha pubblicato testé uno studio ottimo sulle gutturali labializzate del Semitico; ma io avevo scoperto tali gutturali molto prima di lui e per altra via: per mezzo della comparazione del Semitico col Cuscitico, nonchè col Kharthwelico e Indoeuropeo. Io negai nel mio libro tedesco che le esplosive aspirate – benchè protoindoeuropee – fossero suoni primitivi; e ciò nego anche ora. Nel mio lavoro che sta dinanzi ai Lincei credo aver dimostrato chiaramente quale è l’origine delle aspirate. Certe spiegazioni da me già date nelle Forschungen sono accennate nella Lettera con l’indicazione che esse si trovano «altrove». Per mostrarle quale fosse il mio ardire, Le dirò che in un punto io |4| identifico il greco dorico τᾱ-λί-κο- (slavo to-li-kъ) coll’arabo tā-li-ka „quello” (generalmente tilka da *tī-li-ka). Io non sostengo che vi sia un nesso storico, ma affermo che gli elementi sono gli stessi. Formazioni simili si trovano del resto in altre lingue camitosemitiche e perfino nel Bantu: ta-li, ta-li-ka col senso di „lontano” (= „quello là”).

Ora non sono più un sovversivo e credo di aver trovato la nota giusta. S’intende che nelle comparazioni vaste come faccio io non è possibile applicare subito le «leggi fonetiche»; ma neppure in un campo ristretto e omogeneo, quale è l’indoeuropeo, è possibile, secondo me, applicare le leggi dei suoni nel modo che vogliono Brugmann, Osthoff ecc. Questi insigni glottologi a me pare che abusino un pò delle spiegazioni fondate sull’analogia e che abbiano delle leggi fonetiche un concetto non giusto e un pò gretto. Tutta la scienza glottologica – come del resto tutta la scienza in genere – è fondata sull’evidenza immediata: le leggi fonetiche vengono dopo. Ammetto che in certi casi l’evidenza immediata sia fallace e che essa sia ridotta ad una semplice apparenza dalle leggi dei suoni; ma questo non è un caso frequente e spesso invece le «leggi» devone cedere dinanzi all’evidenza. Scelgo un esempio. H. Osthoff nel suo libro recente: «Etymologische Parerga, 1901» a pag. 6 dice: |5| «Wir befinden uns also offenbar in der lage des Herakles am scheidewege: entweder müssen wir auf die vergleichung der cymr. par, peri, prydu corn. pery mit aind. airan. kar- und lit. kuriù etc. verzichten, oder wir haben trotz langjähriger gewöhnung die beziehung des lat. Cerus, sowie damit dann aber auch des creāre, zu jenen formen der satǝm-sprachen aufzugeben». Io non lo credo affatto. La radice del verbo „fare” è ker- (forme corrispondenti nell’Uralico, nel „Sumerico” ecc.), donde il tema del presente kér-u-, da cui kwer-, k wer- e kur- per lo stesso processo per cui da ter- si ha ter-u- donde twer-, ­tur-. Nemmeno il lat. crēsco va separato dalla radice ker- „fare”: cr-ē-sco significa a mio modo di vedere „mi vado formando”.

Nella sua lettera da Firenze Ella chiedeva se possiamo formarci un’idea chiara delle relazioni delle lingue camitiche tra di loro e con le lingue semitiche. Se l’argomento non chiedesse troppo lungo esame e non temessi, d’altra parte, di annoiarla, Le scriverei quello che io ne penso. Se avrò la fortuna di vincere il premio, mi procurerò il piacere di vernirla a trovare a Graz. Ma vincerò il premio? Questo è per filologia e linguistica. Siamo sette concorrenti, ma credo che il mio lavoro sia l’unico per la linguistica (forse ci sarà qualche lavoro di dialettologia italiana). Gli esaminatori glottologi sosterranno, |6| spero, il mio lavoro; e la lotta, se vi sarà, sarà tra la glottologia e la filologia. Non so ancora come sarà composta la Commissione per il concorso, o se vi saranno due Commissioni. Qualche volta penso che, non essendovi in Italia abbondanza di buoni glottologi, potrebbero chiamare anche Lei a far parte della Commissione. Ne sarei davvero lieto, per la competenza straordinaria del giudice.

Deploro che finora Ella mi abbia conosciuto soltanto nel campo per me più sfavorevole ei tutti. A Lei non occorre che dica esservi ancora moltissimo da fare per le lingue del Caucaso e per il Basco e che lo studio di queste lingue è per varie ragioni assai difficile. La prima parte, poi, della Lettera fu scritta un pò in fretta, in un momento in cui dovevo mandare innanzi il mio lavoro grande. Ora sto preparando la seconda parte (lessicale, con alcune aggiunte grammaticali), la quale spero riuscirà migliore, avendo dinanzi a me più tempo. Essa uscirà il prossimo maggio. Intanto approfondisco il più che m’è possibile lo studio delle lingue del Caucaso, specialmente del Georgiano, idioma molto simpatico. Mi sono procurato in questi giorni parecchi nuovi libri, per esempio la sua dissertazione «Über das Georgische»3 e il breve scritto di Gleye «Ҩ лроисхож|7|денiи грузинскаго народа и его языка»4 Kutais 1900 (estratto dal vol. XXVII dello Sbornik ecc.). La sua dissertazione è molto chiara e fa desiderare che essa fosse assai più lunga. Lo scritto del Gleye contiente poca roba.

La ringrazio vivamente per gli auguri che Ella mi fece. Gradisca l’espressione della mia inalterabile devozione.

Alfredo Trombetti

* Benchè io sia pentito di aver pubblicato quel libro e lo consideri come un figlio rinnegato, gliene avrei già mandato una copia, se ne avessi qui una presentabile. Io non pensai più affatto a quel lavoro che fu dato a Harrassowitz da un libraio di Bologna. Se però Ella desidera vederlo, mi farò subito un dovere di procurarne una copia.

– Conosco il suo scritto «Über die Lautgesetze. Gegen die Junggrammatiker. Berlin 1885» solo indirettamente. Suppongo però che in molti punti io sia d’accordo con Lei. Per me le leggi fonetiche sono leggi-limite, cioè che si avverano solo entro certi limiti e che possono subire l’interferenza di altre leggi incrociantisi. Anche le leggi della fisica sono leggi-limite. Parlare die «Ausnahmslosigkeit der Lautgesetze» mi sembra poco logico. Quale legge, come tale, è soggetta ad eccezione? Qui sono perfettamente d’accordo con Lei.

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In quel lavoro ho messo una quantità straordinaria di cose importanti e deploro che no sia ancora pubblicato.

Per finire questa lunga lettera aggiungo i seguenti raffronti:

Udo eb Naht, Thusch ab- (perf. ab-i) nähen, Cec. ew-ni Naht.

Turco Gf. jib, sjib „cucire” (Holger Pedersen – Türkische Lautgesetze ZDMG LVII pag. 560 – ammettendo possibile un’affinità turco-indoeur.  siv- „cucire”) Mangin ifi „cucire”

Indoeur. siv- (= xs-ib-): a.ind. sī́vyati ecc. v. Hirt Ablaut 152.6

Groenlandese ipa-k  (=turco ipe-k „Faden”!) „Faser”

Tupi ab-i Nähnadel ecc. La medesima radice anche nell’Africa.

Ma io ho già abusato della sua pazienza.

Suo
ATrom


1 Schuchardt befand sich auf seiner Reise nach Ägypten.

2 Trombetti (1897). Eine bei Harrassowitz in Leipzig gedruckte Ausgabe ist allerdings nicht zu finden, lediglich bei Pietro Virano in Bologna. Vgl. die Fußnote Trombettis zu diesem Brief; Harrassowitz scheint dieses Buch lediglich vertrieben zu haben.

3 Schuchardt (1895a).

4 Anm. Dörte Borchers: „Die Herkunft des georgischen Volks und seiner Sprache“.

5 Was in der Folge als Scan/Seite 11792_8 kommt, ist schwerlich die Fortsetzung vom Vorherigen. Ich transkribiere diese Seite hier dennoch. Es müßte aber geklärt werden, ob es die Rückseite von 11792_7 ist.

6 Hirt (1900).

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