Alfredo Trombetti an Hugo Schuchardt (07-11788)

von Alfredo Trombetti

an Hugo Schuchardt

Cuneo

03. 12. 1902

language Italienisch

Schlagwörter: language Dravidische Sprachen Meinhof, Karl Bleek, Wilhelm Heinrich Immanuel Reinisch, Leo Praetorius, Franz Basset, René Barth, Johann Ambrosius (Hans) Brugmann, Karl Friedrich Christian Osthoff, Hermann Donner, Otto Budenz, Josef Kern, Johan Hendrik Caspar Codrington, Robert Henry Caldwell, Robert Erckert, Roderich von Brosset, Marie-Felicité Schmidt, Wilhelm Abel, Carl Clarke, Henry Butler Platzmann, Julius Kuhn, Ernst Müller, Friedrich Reinisch, Leo (1873) Abel, Carl (1886) Chase, Pliny Earl (1869) Edkins, Joseph (1876) Meinhof, Carl (1899) Torrend, Julius (1891) Kuhn, Ernst (1889)

Zitiervorschlag: Alfredo Trombetti an Hugo Schuchardt (07-11788). Cuneo, 03. 12. 1902. Hrsg. von Bernhard Hurch (2015). In: Bernhard Hurch (Hrsg.): Hugo Schuchardt Archiv. Online unter https://gams.uni-graz.at/o:hsa.letter.3136, abgerufen am 10. 10. 2024. Handle: hdl.handle.net/11471/518.10.1.3136.


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Cuneo, 3 Dicembre 1902

Onoratissimo Signor Professore

Grazie, mille grazie della sua lettera del 30 Nov., contenente tante cose assennate. Grazie dell’interesse che Ella mostra per i miei studi vasti e pur modesti (come Le spiegherò). Sono dolente soltanto di farle perdere un pò del suo tempo prezioso. Se Le scrivo di nuovo, lo faccio per chiarire certe cose in cui mi dorrebbe assai di essere frainteso.

Ella ha ragione: sarebbe stato più prudente cominciare da lavori non molto vasti. Ora non è possibile rimediare, ma non tutto il male viene per nuocere. Io ho fatto uno studio coscienzioso e più approfondito che mi fu possibile di tutti i principali gruppi linguistici del mondo antico; ho dato come uno sguardo generale al vasto campo e credo che ciò, in ogni modo, possa ora o poi giovare non poco. Quello che avrei forse dovuto fare prima intendo fare dopo; giacchè è mia intenzione di comparare fra di loro gruppi più estesi e presumibilmente moto affini.

Io dimenticai di dirle che col mio lavoro non pretendo affatto di aver dimostrata la monogenesi del linguaggio. Questo soltanto io vorrei sostenere: che tutti i gruppi linguistici del mondo antico sono tra di loro collegati per affinità grammaticali e lessicali. All’idea della monogenesi ci giungo io personalmente, ma per ora non la metto in pubblico, non per mancanza di coraggio, ma perchè non sono sicuro che dall’essere tutte |2| le lingue grammaticalmente e lessicalmente collegate tra di loro si possa dedurre con sicurezza la monogenesi. Il mio vero scopo è il seguente: io vado raccogliendo quelle coincidenze grammaticali e lessicali che non sembrano fortuite, col desiderio di fornire agli specialisti un ampio materiale da esaminare, rettificare, scartare ecc. Sarei dolente che Ella, o altri, credesse che io voglia  sostituirmi agli specialisti o che mi arroghi il diritto di sentenziare. Tutt’altro: io sottopongo agli altri del materiale perchè va esaminato, vagliato ecc. Credo che sia indispensabile l’opera degli specialisti, ma forse non è male che qualcuno cerchi di raggruppare le sparse fila. Un giudizio mio proprio me lo permetto solo nel campo Indoeuropeo, Camitosemitico, Bantu e in pochi altri e anche in questi solo dopo avere ascoltato la voce dei grandi maestri; in tutti gli altri campi io mi attengo quase sempre scrupolosamente (ma non ciecamente) alle maggiori autorità. Ricorro sempre alle migliori fonti e uso una cura infinita nello stabilire quali sono le forme corrette. In generale non accolgo fra il mio materiale se non quelle forme che sono già state analizzate da glottologi competentissimi nei singoli gruppi. Così, per esempio, per il Bantu mi attengo alle conclusioni alle quali perviene Meinhof nei suoi recenti e ottimi lavori, e da lui prendo le forme del Protobantu (oltre ai lavori  del Meinhof conosco naturalmente anche quelli del Bleek, del Torrend ecc.). Per il Cuscitico mi attengo al Reinisch, al Praetorius ecc.; per il Berbero ai lavori di R. Basset; per il Semitico a quelli di Barth, Philippi, Zimmern ecc. Nell’Indoeuropeo sono mie guide K. Brugmann, Osthoff, Hirt ecc. Per l'Uralaltaico io ho studiato e sfruttato i lavori di Donner, Budenz, Schott, Grunzel ecc. Per il Maleopolinesiaco segno Kern, Codrington, Schmidt e tanti altri. Per il Dravidico studiai accuratemente Caldwell. |3| Solo per il Caucasico mancano i necessari Vorarbeiten e quelli che ci sono non sono tutti a mia disposizione. Posseggo i lavori di Uslar-Schiefner, die Erckert (pur troppo zeppi di errori), gli Éléments di Brosset, lo estudio sul Lazo di Adjarian, il suo lavoro sul carattere passivo del transitivo delle lingue caucasiche, e qualche altro. Insomma, nei limiti del possibile, io ricorro sempre alle migliori fonti e cerco di partire dal punto al quale gli altri arrivano.

Che la trattazione simultanea di più gruppi linguistici possa far cadere in errori grossolani, è certo e io avrò preso chissà quanti abbagli. Ma è innegabile che può darsi il caso che chi estende più in largo lo sguardo riesca a scoprire cose non scoperte prima da chi poteva figgere profondo lo sguardo in un campo ristretto. Il Codrington, per esempio, spiega lo -e di ime in ime qoe „a pig’s house” (ima „casa”) come un affievolimento di -a e P. W. Schmidt approva e paragona lo status constructus semitico. Io spiegherai invece ime qoe da *ima i qoe; e credo che questa spiegazione sia evidente, ove si pensi che i è il segno del genitivo in molte lingue delle Solomon Isalnds e che il gruppo delle Banks’ Islands sarebbe altrimento privo della particella del genitivo, la quale non manca in nessun altro gruppo melanesiano (altre ragioni vi sono che sarebbe largo esporre). Nell’Ottentoto, nel Bantu e nel Camitosemitico, gruppi di cui ho fatto una minuta analisi, spero di avere trovato molte cose nuovissime, le quali mi potranno forse compensare delle sviste che avrò commesse in quelli e più in altri gruppi.

Per carità, non mi parli del lavoro del Reinisch Der einheitliche Ursprung ecc.1 Io lo conosco benissimo, ma pur troppo devo dire che è uno di quelli che hanno screditato le ricerche un pò vaste sull’affinità dei gruppi linguistici. Io lo metto insieme ai lavori di C. Abel sul nesso egizio-indoeuropeo,2 a quelli |4| di Edkins, di H. Clarke, di Platzmann e di tanti altri. Di buono il lavoro del Reinisch ha soltanto le prime pagine dove si confrontano fra di loro suoni dentali con suoni dentali (e dico buono solo in parte); ma quando il Reinisch ammette scambi dentali con gutturali, labiali ecc. si perde in un mare senza sponde. Di utile c’è poi la raccolta di un materiale copiosissimo, benchè non sempre sicuro. Il mio metodo è diversissimo, opposto. Ammetto la possibilità di qualsiasi alterazione nella costituzione fonetica e nel significato o nella funzione, ma io valgo solo di quegli elementi che per il loro  equilibrio, dirò così, stabile poterono rimanere inalterati o quasi. Io noto, per esempio, che t- è un prefisso onorifico nei nomi di parentela tanto nel Dravidico, quanto nel Maleopolinesiaco, quanto nelle lingue dell’Australia; qui c’è indentità di forma e di funzione e nulla si può obbiettare, se non l’intervento del caso. Ma il caso ha minor parte di quello che comunemente si crede nelle comparazioni linguistiche (v. Pliny Earle Chase «On the mathemantical probability of accidental linguistic resemblances» 1863)3. Soprattutto poi bisogna notare che io non paragono di regola voci di qualsiasi lingua con voci di altre lingue qualsiansi di qualunque regione. No. Io paragono tra di loro, per esempio, voci protobantu co voci protocamitosemitiche e così via. Eppoi, non accetto generalmente le coincidenze fra gruppi molto lontani se non scopro le stesse le coincidenze fra gruppi molto lontani se non scopro le stesse coincidenze nei gruppi intermedi. Avevo notato una volta che una radice nak- „vedere” (näk-), ma non prestai fede alla coincidenza se non quando ebbi trovata la medesima radice nei gruppi intermedi.

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Percorrendo certi vocabolari di lingue parlate presso il Capo York dell’Australia, la parola piti, pitši e sim. „naso” mi fece risovvenire il Cinese „naso”. Consulto la Introduction di Edkins4 e trovo che fu più anticamente *bit (forse *pit). Non avrebbe potuto essere diversamente (*bik ecc.)? Trovai poscia la medesima voce in molte altre lingue e sempre del tipo pit. Generalmente non si trovano coincidenze a grande distanza senza che si scoprino poi quelle intermedie. Qualche volta però quelle intermedie non si scoprono tutte. Un caso curioso è quello della coincidenza dei numerali 1, 2, 4, 5 e 10 nelle lingue bantu e nelle lingue del gruppo Mon-Khmêr (compreso il Kolh, il Nancowry e i dialetti degli Orang de Malacca). Mi permetto di segnalarlo qui

ProtobantuMon-Khmêr ecc.
1. mue, mo
(prob. mue = *muai)
mue, mui, muay, muôi ecc.
2. bali (bari)bar, Mundari bari-a
4. Bantu uana
Bari-Dinka-Massai *uṅguán (*uṅguán prob. = uṅkuán)
Grundform:
*unpuán
5. tjano, šano, sano
Somali e Galla šan
Khasi san, Lakadong dān, Mon m-sun ecc.
10. kumi (anche šumi, šume)Nancowry šom

Come si spiegano queste coincidenze? Non è forse vero che se si trovassero fra gruppi geograficamente sarebbero già notevolissime? Quanti |6| non hanno identificato delle lingue con minori indizi? Vi è forse qualche cosa di simile nei numerali delle lingue uraloaltaiche? Eppure io non voglio affermar nulla: noto soltanto le coincidenze, come queste, le quali mi sembrano a ogni modo degne di nota. Se poi il numero di siffatte coincidenze cresce, cresce .... allora gl'indizi diventano prove. Non è bene trascurare gl'indizi. – Il controllo per gl'indizi precedenti è facile: basta consultare  il Grundriss der Lautlehre der Bantusprachen di Meinhof5 e la Grammatica comparativa dei Torrend6 da una parte, e l’eccellente lavoro di E. Kuhn «Beiträge zur Sprachenkunde Hinterindiens» Monaco,7 dall’altra.

Spero pertanto che, malgrado i molti errori in cui sarò incappato, il mio lavoro – frutto di ricerche pazientissime – potrà essere giudicato non inutile. Sopratutto sarei desolato se venisse giudicato come lavoro presuntuoso. Ripeto: io non ho nessuna presunzione, se non quella di avere coscienziosamente lavorato per raccogliere un grande numero di fatti per avventura non indegni dell’attenzione dei glottologi.

Se ora vengo a parlare delle sviste che Ella ha rilevato nelle parole da me citate, non lo faccio certamente per difenderle, ma solo per provarle quanta cura io metta nel raccogliere materiali linguistici.

Pur troppo, nel Basco e nelle lingue caucasiche mi sento meno sicuro che in qualsiasi altro gruppo linguistico e ciò per l’indole speciale di quelle lingue e per la mancanza di buoni lavori generali su di esse. Io scrissi georg. tshuχe-li „sera” ed Ella mi osserva che tsh sarebbe ც, mentre la parola georgiana comincia per წ. Giustissimo. Ma ecco come stanno le cose ed Ella vedrà che io scrissi tshuχe-li non per isvista, ma a ragion veduta. La parola non |7| si trova in Erckert, ma io la devo avere incontrata in qualche lettura di testi georgiani facili. Ricordo però che la presi di peso da Brosset Éléments pag. 200 (non posseggo pur troppo nessun vocabolario georgiano), ove è scritta  წუხელის le soir. Brosset trascirve il წ, come Ella sa, con ths (pag. 5; è vero che è nella parte scritta da Klaproth, ma fa lo stesso). Fed. Müller usa nel Grundriss non ths ma tsh (come nell’Armeno), mentre ც viene trascritto tanto negli Éléments quanto nel Grundriss di F. Müller con ts. Io mi attenni alla trascrizione del Müller senza volere con ciò dichiararla esatta, ma solo perchè ad essa sono avvezzo da pareccho tempo. Io trascrissi adunque წუხელის con tshuχelis, donde proviene il mio tshuχeli o tshuχe-li o tshuχ-e-li. Certamente Ella ha ragione di trascrivere ც con tsh e წ con ts’ e io adotterò ben volontieri per lo innanzi la sua trascrizione che è giustissima; ma Ella capirà ora che non si trattava di una svista o negligenza da parte mia, tanto è vero che troverà anche nella «Lettera» წ trascritto con tsh e ც con ts. Quanto al significato di „sera”, io lo trovai nel Brosset insieme con la citazione di un passo in cui occorre, ed ammetterà Ella stessa che non potevo sospettare una inesattezza. Mi fa piacere intanto che Ella mi fornisca m-ts’uχ-ri  „sera”.

Quanto al basco eskum, conoscevo l'esistenza della forma eskuin, che io non citai perchè non era necessario, volendo con eskum ricordare semplicemente che la parola basca „destro” si poteva collegare (come era stata collegata per es. dal Giacomino) con le parole egizio-copte di eguale significato.

Verissimo che il tema del verbo „dare” è ma nel Basco, come nel Nama. Io però non volli, |8| se ben mi ricordo, analizzare le forme basche da me citate, ma soltanto riunirle come presunte affini al tipo M „dare” dell’Egizio, Nama ecc.

Due cose mi stanno sommamente a cuore: non parere presuntuoso, perchè non sono; non parere trascurato, perchè sono quasi pedante.

Del resto, Ella non si dia troppo pensiero di me: se potrà giovarmi con qualche parola favorevole presso gli amici di qui, farà opera buona e io gliene sarò grato per sempre. Spero di mettermi presto in corrispondenza con Ignazio Guidi, al quale avrei da sottoporre alcune cose da me trovate, atte a chiarire certi fatti oscuri della grammatica semitica; spero anche di poter rimettermi in corrispondenza con l'illustre Ascoli, il quale mi incitò vivamente alcuni anni fa a proseguire certi miei raffronti fra le lingue indoeuropee e le camitosemitiche. Al venerando Maestro avevo mandato due fogli di stampa di un mio lavoro redatto in tedesco e gli domandavo se credeva utile che io lo proseguissi o se dovevo darlo alle fiamme. Fra le tante belle cose che mi scrisse c’era anche questa: «Superfluo soggiungere che io non posso non augurare che la S.V. continui imperterrita per la via nobilissima in cui s’è messa con tanto coraggio». Non ostante il consiglio di così grand’uomo, io tralascai quel lavoro, perchè riconobbi che bisognava cambiar strada. Questo dimostra, credo, che io non sono facile ad esaltarmi e che giudico freddamente le cose. Se io potessi supporre anche lontanamente che il mio è un lavoro simile a quello del Reinisch «Der einheitliche Ursprung ...», darei tutto alle fiamme. Nè io pretendo o spero di trovare fra i glottologi approvazioni |9| entusiastiche: sono pago se riesco a richiamare la loro attenzione su ciò che ho accumulato.

Mi hanno scritto da Firenze che alla fine di questa settimana mi manderanno gli estratti. Io scrissi già che ne mandassero uno direttamente al suo indirizzo.

Mi perdoni la soverchia lunghezza delle mie lettere. Qui non ho modo di parlare con nessuno di queste cose e perciò è un piacere per me lo scriverne a Lei. Solo mi dispiace che le rubo un pò del suo tempo. Ma Ella non si tenga però obbligata a rispondermi. Se può, due righe sue mi sono sempre care; se non può, non s'incomodi.

Mi creda sempre

Suo devm̃o

ATrombetti.

PS:–

In una aggiunta alla «Lettera» che io Le indirizzo troverà, fra le altre cose, un curioso raffronto, sul quale vorrei fin d'ora richiamare la sua attenzione. Io credo che il presente del verbo «essere» kharthwelico-basco sia identico ai pronomi personali dell’Abchazo e del Circasso di Kuban. Cfr.

Abchazo Circ. di Kub.Georg. Basco
h-ara ...........................................
h-ar-th .........................................
............................... g-ara
w-ar-th g-ara-te
šv-ara ...................su-ore
šv-ar-th .........................................
............................... s-ara
χ-ar-th ................... s-ara-te

Come spiegare questo fenomeno? Se anche questo è un caso, vuol dire che il Caso se piglia gioco di me! Molto gradirei che Ella mi dicesse che cosa ne pensa.


1 Reinisch (1873).

2 Abel (1886).

3 Chase (1869). Den Akademievortrag hielt Pliny Earl Chase bereits 1863, doch erschien die Arbeit erst 1869 in Druck.

4 Edkins (1876).

5 Meinhof (1899).

6 Torrend (1891).

7 Kuhn (1889).

Faksimiles: Universitätsbibliothek Graz Abteilung für Sondersammlungen, Creative commons CC BY-NC https://creativecommons.org/licenses/by-nc/4.0/ (Sig. 11788)