Graziadio Isaia Ascoli an Hugo Schuchardt (148-00312a)
an Hugo Schuchardt
20. 07. 1898
Italienisch
Schlagwörter: Accademia dei Lincei (Rom) Diez, Friedrich Meyer-Lübke, Wilhelm Schuchardt, Hugo (1898) Schuchardt, Hugo (1898) Liberatore, Raffaelle (1829–1840) Diez, Friedrich Christian (1853) Ascoli, Graziadio Isaia (1892–1894) Meyer-Lübke, Wilhelm (1890) Ascoli, Graziadio Isaia (1898) Ascoli, Graziadio Isaia (1898) Ascoli, Graziadio Isaia (1898) Ascoli, Graziadio Isaia (1898)
Zitiervorschlag: Graziadio Isaia Ascoli an Hugo Schuchardt (148-00312a). Mailand, 20. 07. 1898. Hrsg. von Klaus Lichem und Wolfgang Würdinger (2013). In: Bernhard Hurch (Hrsg.): Hugo Schuchardt Archiv. Online unter https://gams.uni-graz.at/o:hsa.letter.1297, abgerufen am 07. 12. 2024. Handle: hdl.handle.net/11471/518.10.1.1297.
Milano, 20. 7. 98.
Amico pregiatissimo,
Vi ringrazio del vostro Estrattino1, che m'arrivò il 17, cioè nel primo giorno del mio 70mo anno. Ne ho súbito scritta una molto allegra confutazione, per la parte che mi concerne; e ve la volevo mandare. 2 Ma ho poi temuto che vi potesse dispiacere, non ostante il rispetto e l'amicizia che naturalmente ne trasparivano. Non c'entrava, bene inteso, nessun particolare studio. Era un'improvvisazione, per la quale non avevo aperto se non un pajo di libri che ho sempre sul tavolo. E la festosità pareva dipendere dai brindisi della sera innanzi, quando avveniva il salto dai 69 ai |2|70. Ma era una festosità eccessiva; e preferisco di annojarvi con una traduzione in prosa di quel singolare ditirambo, senza però alcun ritocco nell'ordine della sostanza. L'improvvisazione resta così, nelle seguenti linee, quella stessa che m'è sgorgata dalla penna il 17; e vedremo più tardi se qualche aggiunta o emendazione parrà necessaria.
caporale ecc. - Di certo ho potuto leggere anch'io, sin da fanciullo, nel Tramater3, che caporale vien da cápora. Ma poi ho studiato il Diez, che dedica a questa voce un articolo del suo lessico e non ricorre a cápora. 4 Ora, perchè il Diez |3|e altri linguisti non si rassegnavano a derivar caporale da cápora? Manifestamente per una doppia ragione. C'è imprima che un plurale non è un tema, e che le derivazioni, sien di latino classico o di volgare, provengono dal tema. Voi mi sapete insegnare che temporale non è tempora+le ma è tempor+ale. Data poi una derivazione italiana da una forma di plurale, sarebbe naturale che la pluralità vi si sentisse. Così, non è ideologicamente assurdo il tirar ramoruto da ramora, perchè ramoruto dice 'pien di rami'. Ma caporale non vuol già dire 'pieno di teste' o 'che ha più teste'. Volere che il contenuto ideale di caporello sia diverso da quello di capitello (friul. |4|ć̓ avidjél; ecc.) mi pare cosa assolutamente arbitraria. In caperozzolo è manifesta la 'unità del capo' non meno che in capitozza; così come in caporano allato a capitano. Insomma, un caporale o caporano derivato da un plurale, non sarebbe già, come il povero lettore può credere, un esempio fra i tanti che questo imbecille catedratico italiano non s'è accorto che esistessero; ma sarebbe un 'unicum' nell'ordine grammaticale e ideologico e perciò cosa tutt'altro che sicura o da agitarsi con ironia contro l'onesta ricerca.
Ma che idea date poi al lettore del procedere di questo vostro collega? Venuto come io sono (XIII 295) 5 a pensare a un *capor da cui potesse aver ragione |5|l'-o del cabo asturiese che m'era opposto da Meyer-Lübke6, soggiunsi, in modo assolutamente dubitativo, in modo che assolutamente escludeva, per allora, un qualsiasi principio di fiducia, che codesto *capor poteva forse darci la chiave di caporale, la qual voce restava ancora per me, povero imbecille, abbastanza enigmatica, tal quale com'era rimasta per l'altro e più grande imbecille: Federigo Diez.
Solo più tardi (XIV 336) 7, riesaminati che ebbi il caporello, il caperozzolo ecc., e imbattutomi nel cum capore di un documento latino, io mostrai fede, e fede ho sempre, nella esistenza di *capor cápore (così, ca|6|ro amico, e non già *càpor *cápore, come voi fingete).
Ma voi mi addentate ancora, dite al lettore: codesto povero professore milanese pensa, figurátevi!, a una forma paleoitalica, a un *capor *capore, senza accorgersi il meschinello che d'altro non s'abbia forse a discorrere se non d'un singolare 'ricavato' dal plur. cápora. Ah, caro amico, il soperchio rompe il coperchio!
Come? Voi parlate al lettore, come di una cosa naturale e da me stranamente ignorata di un singolare capore che si possa stimar venuto a funzione di singolare, come 'estratto |7|seriore' da cápora? Fuori dunque le prove che dimostrino la ignoranza di questo vostro collega milanese. C'è una serie analogica, nella propria sua lingua, di cui egli non s'è accorto, e bisogna davvero denunziarlo a tutto il mondo civile e incivile.
Ma la verità quale è poi? Questo ignorante professore milanese ignora una serie analogica, la quale non è mai esistita se non nella focosa imaginazione del suo grande collega stiriano!
Il quale non può a questo proposito altro fare se non imbandirci nuovamente staióro o stióro allato a stáiora, e pugnóro allato a púgno|8|ra8. Ora il povero lettore s'inghiottirà senz'altro l'insegnamento che stióro e pugnóro sieno, puramente e semplicemente, voci che dicano il singolare di stuójora e púgnora. Ebbene, è tutt'altro. Le due voci dicono: 'quarta parte dello stajo e misura di terreno per quella sementa', 'tanta terra, per un pugno di seme'. Queste significazioni specifiche e l'accento sulla penultima dicono apertissimamente che non siamo a mere forme singolari 'estratte' da stájora e púgnora. Son forme da ristudiare; ma ho stimato e stimo per certo che si tratti dei diminutivi stajólo e pugnólo in cui si mescoli il r di stájora ecc. Questa dichia|9|razione è portata pressocchè all'evidenza dal fatto che pugnóro ha accanto a sè il sinonimo pugnólo. E questa roba s'oppone al cápor che esce dal sub capore di un documento latino!
Toccare ecc. 9 Voi stimate che 'toc toc toc' abbia dato un verbo al volgare latino (toccare toucher ecc.) e ne abbia tornato a dare uno di particolare al francese ( toquer); e ugualmente stimate che 'tac tac tac' abbia dato un verbo al volgare latino (taccare tacher ecc.) e ne abbia tornato a dare uno di particolare al francese ( taquer). Concedete però che tra i prodotti di 'tac tac tac' e un *tagicare corra una parentela primordiale. Mi |10|permetterete di non entrare per ora in alcuna discussione intorno a queste etimologie 'fin de siècle'. Io torno più volentieri a una questione di principio, etico insieme e dottrinale. Che idea date voi dunque al vostro lettore dell'opera del vostro collega? Il quale ha detto e mostrato che taccare sta a tagax*tagicare, come ficcare sta a *figicare come fraccare sta a fragilij*fragicare, come leccare sta a ligurire*ligicare, ecc. Voi non ne dite verbo. Sdegnate forse di parlarne? O vi pare evidente che la teoria del 'tac tac tac' importi la naturale affermazione di 'fic fic fic', 'frac frac frac', ecc. ecc.?
|11|Finalmente cosliere (forma che si aggiunge dal lucchese) ecc. 10 - Io ho raccolto le rispettive forme con industria nuova e ho detto che la riduzione umbra di kl in sl eliminerebbe subitaneamente ogni difficoltà tra le due serie neoitaliche. Dicevo insieme che kl dà all'umbro uno sl perchè nell'umbro l'anaptissi sia fralatina (kil ćil sil), laddove nel latino, quando pur s'abbia l'anaptissi, essa è labiale. Questo voleva dire, molto manifestamente, che l'ipotesi di un latino *kokiljario io l'avevo considerata e ricusata. Che fate voi ora per convincerne me o i lettori? Bizanteggiate orrendamente, con una serie di presunzioni 'fin de siècle. Dove c'è, in nome di dio, un indizio qualunque |12|di un kl, che per una causa qualunque diventi un kil latino, il quale si continui per uno ćil neolatino, o per uno ć l, o, Dio ce ne liberi, per uno sl toscano? Non c'è, non c'è, non c'è nulla di simile; e se ci fosse, io non potrei non saperne e noi non scriviamo per giocare ai bussolotti. Voi in effetto venite a dire: un toscano *enuslare sarebbe il legittimo continuatore di enucleare. E siccome la contiunazione di ogni -kl- importa veramente uno klj, venite insieme a dire: un toscano *orisla sarebbe il legittimo continuatore di auricla. Et maintenant tirons l'échelle!
Eccovi dunque la rapida traduzione del rapidissimo ditirambo. Ora, qualche cosa bisogna pur che io dica |13|al pubblico intorno a queste vostre manifestazioni. Si tratta d'inezie, in fondo; ma il modo di discutere intorno a simili inezie importa ogni più dilicata ragione della critica e dell'esercizio della critica su per le riviste. Parecchie volte, benchè acremente tentato, io m'astenni dal prorompere, perchè i tentatori non mi parevano meritare che di loro si facesse come un tipo dell'abuso della critica. Ma voi siete voi; e, se tacessi, mi parrebbe, a non dir di tutto il resto, di mancarvi di rispetto. La nostra vecchia amicizia non può e non deve d'altronde soffrire da un tale accidente. Come dunque facciamo? Vi pare che io ne scriva alla Zeitschrift? O non è meglio che voi me ne anticipiate le vostre |14|repliche e si stampi tutto insieme, - nella debita forma che s'intende, - sull'Archivio? // Vi prego di dirmene una parola, quanto più presto potete. E, munito (come spero) delle vostre controsservazioni, e povere e nude come stanno, vogliate aver la bontà di restituirmi a suo tempo queste mie paginuzze. Io rimango in Milano a tutto il 27 del mese, poi sarò per quattro settimane al Monte Generoso (La Vetta), Canton Ticino. //
E intanto mi confermo coi miglior sentimenti
l'aff
mo devmo vro
Ascoli.
1 Es muß sich um einen Separatabdruck aus der ZRP 22 (1898) handeln, der die folgenden Etymologien beinhaltete: Hugo Schuchardt: Astur. "cabo"?, 394-397; Ital. "toccare" u.s.w., 397 ; Bol. "cuslir" u.s.w. } "coc(h)learium"., 398 (Brevier-/Archivnr. 330-332).
2 Dieser Entwurf befindet sich ebenfalls im Fondo Ascoli der Bibliothek der Accademia dei Lincei in Rom (26/24).
3 R. Liberatore (Hrsg.): Vocabolario universale italiano, Neapel, 1829-40; genannt Il vocabolario del Tramater.
4 Vgl. dazu: Friedrich Diez: Etymologisches Wörterbuch der Romanischen Sprachen, Bonn, 31869, 110.
5 G. I. Ascoli: Figure nominativali, in: AGI 13 (1892-94), 280-298.
6 Vgl. dazu: Wilhelm Meyer-Lübke: Grammatik der romanischen Sprachen, 1.Band: Lautlehre, Leipzig, 1890, 247. - Meyer-Lübke hat sich dann aber Ascolis Meinung angeschlossen und schreibt diesem am 6. Februar 1898: "Ein *capor oder *capore [...] in abrede zu stellen ist wohl nicht mehr möglich." (Diese Correspondenzkarte findet sich im Fondo Ascoli der Bibliothek der Accademia dei Lincei in Rom; 10/102).
7 G. I. Ascoli: Varia: 1. *Capor,Cápore, per caputcapite, in: AGI 14 (1898), 336.
8 Vgl. dazu: G. I. Ascoli: Due parole d'anticritica, in: AGI 14 (1898), 469-472.
9 Vgl. dazu: G. I. Ascoli: Varia: 2. toccare ecc., in: AGI 14 (1898), 337 f.
10 Vgl. dazu: G. I. Ascoli: Varia: 5. coslario e coclario, in: AGI 14 (1898), 352.