Clemente Merlo an Hugo Schuchardt (13-07086)

von Clemente Merlo

an Hugo Schuchardt

Savona (Liguria)

10. 07. 1907

language Italienisch

Zitiervorschlag: Clemente Merlo an Hugo Schuchardt (13-07086). Savona (Liguria), 10. 07. 1907. Hrsg. von Frank-Rutger Hausmann (2019). In: Bernhard Hurch (Hrsg.): Hugo Schuchardt Archiv. Online unter https://gams.uni-graz.at/o:hsa.letter.11060, abgerufen am 03. 10. 2023. Handle: hdl.handle.net/11471/518.10.1.11060.


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Spotorno (Savona), 10 luglio 1907

Appena arrivato in questo paesello della nostra Riviera e riposata un poco la mente dalle fatiche di quest’anno scolastio, eccomi a Lei, Illustre e Venerato Sr Professore. Io sono mortificatissimo, addoloratissimo, di non avere ancora risposto a quella sua dolcissima, graditissima lettera che mi commosse profondamente e ancor mi commove oggi ch’io la rileggo per la ennesima volta e tanti mesi son passati dacché la ricevetti. Io non ebbi da quel giorno un minuto, un sol minuto, di quiete, di pace, per dirLe il conforto, la gratitudine mia ch’Ella m’abbia creduto degno d’udire il suo sfogo, d’aprirmi l’animo suo nobilissimo, squisitamente gentile e buono. Quanto m’affligga il dissenso scoppiato fra il Maestro mio che amo d’affetto vivissimo, a cui mi lega profonda riconoscenza, e Lei per cui sento ammirazione infinita e affetto reverente e riconoscenza non meno grandi; che cosa non farei perché i lor rapporti ridivenissero quei d’una volta e più cordiali |2| ancora che una volta, Ella non può immaginare. Ne proverei la gioja stessa che provai quando seppi che nell’aula de’ Lincei l’Ascoli e il D’Ovidio s’eran gettati d’un subito l’uno nelle braccia dell’altro.

Ella mi prega di non insister di più contro il carattere personale della cosa e io m’arrendo, ma non senza dolores alla Sua preghiera. Io so che dal Maestro mio, e nella scuola e nella conversazione privata, prima ancor che dalla lettura delle opere Sue, io imparsi ad ammirare la acutezza e versatilità del Suo ingegno, la profondità e vastità della Sua dottrina. Ancora jeri, negli esami dell’Accademia, discorrendo del 'Vocalismo del volgar latino', ci la diceva una fra le opere più meravigliose che sieno mai state scritte. |3| Ma, se è vero che il voto del mio povero cuore non avrà a compiersi mai, Ella non voglia accrescere il mio dolore scrivendomi ancora quelle linee “da Sie ja naturgemäß auf Seite Ihres Lehrer’s stehen müßen”. No, Illustre e Venerando S. Professore, no davvero. Sarà immodestia la mia, ma io non credo alla massima ‘jurare in verba magistri”: nol credo nella scienza, meno che mai fuori della scienza. Io riconosco con Lei la vivacità di talune frasi del Maestro mio; ma, creda, anche quando egli scrisse “ con questa negozza non si piglio altro che un granchio” lungi da lui era ogni intenzione di offender Hugo Schuchardt, egli non vedeva che la negozza e il zz di negozza. Io glielo posso dire, ché lo conosco da tempo e lo # in momenti tristissimi, infelicissimi, |4| anche il cuore di Salvioni è grande, è squisitamente compassionevole e buono; sol nelle discussioni egli s’accende, spesso oltre misura, persuaso della bontà della causa che sostiene, e, rapido nel gettar sulla cresta come nel concepire non riflette sempre sulla opportunità maggiore o minore di ogni singola frase. Di questo io vorrei che Ella si convincesse, Illustre e Venerando Sr. Professore.

Quanto al Suo scritto per A. Mussafia, così caldo d’affetto per l’Italia e per cose italiane, se niuno ne parlò fuor del Salvioni, Ella ne incolpì il momento disgraziatissimo. La nostra maggiore rivista, per la rapacità degli editori, vicina a tacere per sempre; ora risorge a novella vita (che Dio voglia rigogliosa!) sotto la Direzione del Goidanich. De’ glottologi, neo-latinisti, di maggior fama, il Parodi (speriamo per poco) distolto |5| in tutt’altro campo; giovai gli altri, e tali da non poter, senza peccar d’immodestia, discorrere di un’opera di H. Schuchardt. Ma tempo verrà che se ne discorrerà e se ne dirà tutto il bene.

Ma io La tedio con questa mia. Chiudo, pregandoLa con tutta l’anima di volere, malgrado tutto, seguitarmi la Sua grande benevolenza che tanto mi conforta. Io vorrei pregarLa ancora di un grande, di un immenso favore, ma forse è troppo ardire il mio; io non ho ancora il bene di conoscerLa di persona, io spero che Iddio mi conceda presto questa consolazione ma non so quando si possa avverar mai. S’Ella credesse di mandarmi il ritratto Suo, mi farebbe cosa gratissima; vorrei porlo nel mio studiolo, vicino a quelli dell’Ascoli, del D’Ovidio, del Flechia, dei molti cui non spiacque di seguitare al figliolo l’affetto che volevano al babbo suo. |6| È tanto che glielo volevo scrivere ma non ne ho avuto mai la forza; se ho troppo osato, Ella me ne perdoni.

Le manderò presto un’altra coserella mia che uscirà nella Rivista di Filologia e che m’è costata moltissimo per ragioni che Le dirò in una prossima mia. È una recensione del lavoro del Bartoli sul Dalmatico; è un auto-difesa e insieme vorrebbe esser la condanna di quel giovane a cui non feci alcun male, in cui sognavo, più che un compagno di studi, un amico, un fratello e che, troppo borioso con tutti, pochi Maestri eccettuati, con me è stato cattivo. Iddio faccia che, anche questa volta, l’approvazione Sua non m’abbia a mancare!

Con la ammirazione e devozione più profonda
Il Suo obblig.mo e ricon.mo
C. Merlo

Faksimiles: Universitätsbibliothek Graz Abteilung für Sondersammlungen, Creative commons CC BY-NC https://creativecommons.org/licenses/by-nc/4.0/ (Sig. 07086)