Zitiervorschlag: Gioseffa Cornoldi Caminer (Hrsg.): "Num. XII", in: Donna galante, Vol.3\12 (1788), S. 282-304, ediert in: Ertler, Klaus-Dieter / Fuchs, Alexandra (Hrsg.): Die "Spectators" im internationalen Kontext. Digitale Edition, Graz 2011- . hdl.handle.net/11471/513.20.4821 [aufgerufen am: ].
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Num. XII.
Italia 1788.
Si vende in Venezia al Negozio Albrizzi a San Benedetto.
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[283] Racconto.
Exemplum► UN Re di Persia fece osservare un giorno il suo oroscopo. Questo Re che si burlava assaissimo del passato, ed anche del presente, era molto inquieto sull’avvenire. L’Astrologo avendo bene esaminato la congiunzione degli astri, dichiarò molto innocentemente che il Re sarébbe morto per certo di un luogo sbadigliamento; il che secondo la traduzione delle parole Persiane equivaleva a morire di noja. Tutta la Corte si applicò dunque accuratamente a prevenire tutto ciò che potesse provocare questo segno fatale, il quale doveva essere per Sua Maestà l’annunzio della morte. Per conseguenza si proibì a tutti i melanconici di traversare i cortili, e farsi vedere sulle scale dei palazzi, che il Re potesse abitare. Ordine espresso ad ogni cortigiano di avere incessantemente il sorriso sulle labbra, ed alcuni buoni aneddoti alla memoria. Si levarono dalle Biblioteche del Principe tutti i moralisti antichi e moderni, tutti i difettori, giureconsulti, li metafisici, e si tappezzarono le muraglie di pitture piene di fuoco, e di giovialità. Si ordinò che le persone di toga non portessere più che abiti color di ro-[284]sa. Si reclutarono dei buffoni che furono largamente pagati. Ballo quattro volte alla settimana, commedia tutti i giorni, ma nessun’Opera in musica. Alle porte del Palazzo persone fidate versasavano del caffè a tutti quelli che arrivavano, e chiunque avanzava un tratto di spirito, otteneva sul campo un passaporto per andare da per tutto. Ridere, e far ridere era proprio di un gran uomo, che serviva degnamente il suo Principe, e lo Stato. Tutte le dignità appartennero meritamente a quelli che narravano le più allegre facezie.
Un Poeta che non era nè malinconico, nè allegro, ma che molto divertiva quelli, che lo sentivano a parlare dei suoi versi, era arrivato non si sà come, alla Corte, e siccome volontieri si confondono in quel paese i poeti coi pazzi ottenne l’ingresso. Mise a profitto questo vantaggio, e fece così bene, che ottenne il permesso di leggere a Sua Maestà un’intiera tragedia di sua composizione; tragedia secondo lui sorprendente, patetica, e che in se ruinava tutto ciò che esige Aristotile. Questa tragedia era prima esaltata con un singolare entusiasmo, ed ognuno senza conoscerla pretendeva che fosse ammirabile. Venne il Poeta, e lesse. Il Re sbadigliò, e morì.
L’Autore fu subito arrestato come colpevole di [285] delitto di lesa Maestà, e condannato a perdere la vita in mezzo ai supplizj di etichetta. Si lamentò fortemente meno sulla violenza commessa contro la sua persona, che sopra l’orribile ed abbominevole ingiustizia; che si faceva alla sua produzione tragica ammirata da tutti. Il Tribunale Sumo credette di dover procedere con tutte le formalità; e siccome si presenta sempre al colpevole l’istromento del delitto, così fu ordinato al Poeta di riprendere, e di rileggere quella fatale tragedia al cospetto di tutti i Giudici adunati. Il Poeta colla testa nuda, e nella positura dei colpevoli, circondato da tutti gli ordini dello Stato lesse la sua produzione. Al secondo atto ecco che tutte le fronti severe, ed accigliate cominciano a far sparire le rughe, e progressivamente si fece sentire uno strepito di risa, che volevano soffocare. Queste degenerarono in convulsioni, e finalmente annunziarono la grazia del Poeta. In fatti tutti i Giudici alzandosi dichiararono ad alta voce, che non v’era al mondo nulla di più piacevole quanto quella tragedia, e che la subita morte di Sua Maestà aveva auto certamente tutt’altra cagione. In conseguenza il Poeta fu rimesso in libertà, e rimandato bene assolto al circolo dei suoi ammiratori. ◀Exemplum ◀Ebene 3
[286] La città di Parigi
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Sonetto
Zitat/Motto► O nella ruota dell’età presente
In motti, arti, saper, piaceri e scene,
Dejja (sic!) faceta ed ingegnosa Atene
Emula, tu, Lutezia seducente.
Qual più ti sei? giuliva, oppur dolente?
Ardita o vile? al mal più presto o al bene?
Vivace o dotta? ingiusta alle camene,
O liberal? loquace od eloquente?
Inconcepibil sei: simile al mare
Ogni pregio e ogni danno in te s’aduna,
Nè al guardo mai tutto il tuo sen traspare.
So che a stupor ti fabbricò fortuna;
So che insieme a servir vivi, e regnare;
So che sei di virtudi e tomba e cuna. ◀Zitat/Motto ◀Ebene 3
Metatextualität► Cotanto grati riuscivano a’Leggitori di questo Giornaletto li Dialoghi fra de’quali ne abbiamo adornati alcuni de’Numeri, e tanto interessante è il seguente, che siano certi non dover riuscire dispiacevole. ◀Metatextualität
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[287] Dialogo.
Fra Giulio Mazarini, ed Armando de Richelieu.
Dialog► Rich. SIgnor Giulio, mi si dice che voi siate stato il mio Successore nel governo della Francia? Come vi siete comportato? Avete ridotto a buon termine il gran progetto di unire tutta l’Europa contro . . . . . ? Avete finito di distruggere il partito degli Ugonotti, e la potenza de’Grandi del Regno?
Mazar. Tutto ciò fu da voi incominciato, ma io avea altre cose da discutere; mi era d’uopo sostenere una Reggenza assai critica, e vacillante.
Rich. Un Re trascurato, e geloso dello stesso suo Ministro, che a lui serve, imbarazza assai di più il Gabinetto, di quello sia la debolezza e confusione di una Reggenza. Voi avevate una Regina assai costante, e sotto di cui si potea più facilmente condurre gli affari, che sotto di un Re difficile ed inasprito ognora contro di me, a motivo di qualche nuovo Favorito. Un Principe di tal fatta nè governa, nè lascia governare agli altri. Pure mi convenne servirlo mio malgrado, e trovando-[288]mi esposto ogni momento alla morte. Ciò non ostante la mia vita non fu disgraziata; voi sapete che fra tutti i Re, che tergiversarono l’assedio della Rochelle, il mio Re fu quello che mi dava la maggior pena. Io fui che diedi il colpo mortale al Partito degli Ugonotti. I posteri non dimenticheranno giammai la rivoluzione della Catalogna, l’impenetrabile segreto, con cui il Portogallo si preparò a scuotere il giogo ingiusto degli Spagnuoli, l’Olanda sostenuta dalla nostra alleanza, tutti gli Alleati del Nord, dell’Impero, e dell’Italia attaccati alla mia persona, come ad un Uomo incapace di mancar loro di parola, e finalmente nell’interno dello Stato i Grandi abbassati, e circoscritti nei loro doveri.
Mazar. Io ero uno Straniero, e perciò mai veduto da tutti. Io non avea altra risorsa che nella mia industria. Io cominciai ad insinuarmi nello spirito della Regina; io seppi allontanare da lei tutti quelli ch’erano alla sua confidenza, ed ho saputo difendermi contro le cabale dei Cortigiani, contro il Parlamento scatenato, contro la frode, ed il partito animato da un Cardinale audace, e geloso della mia sorte, contro un Principe finalmente che si cingea la fronte ogni anno di sempre nuovi allori, e che non impiegava la [289] riputazione delle sue vittorie, se non per perdermi con maggiore autorità. Pure mi è riuscito di distruggere tanti nemici. Due volte esigliato dal Regno vi rientrai glorioso, e trionfante, anzi durante il mio esiglio io era quello, che governava lo Stato. Io cacciai fino a Roma il Cardinale di Retz; ridussi il Principe di Condè a salvarsi in Fiandra, ed in fine ho conchiusa una pace gloriosa, ed alla mia morte lasciai un Re giovine in istato di dar la legge a tutta l’Europa. Tutto ciò ebbe luogo mediante il mio Spirito fertile agli espedienti, la finezza del maneggio degli affari, e l’arte che io usava nel tenere la gente sempre in una nuova speranza; aggiungete poi che non ho sparsa una sola goccia di sangue.
Richel. Voi non eravate capace di farlo, attesa la vostra debolezza, e timidità.
Mazar. Timido! Ebbi però il coraggio di far trasferire i tre Principi a Vincennes, e Monsieur il Principe vi è rimasto prigioniero tanto che basta.
Richel. Io sono d’avviso che il vero motivo della lunga sua prigionia sia stato l’imbarazzo in cui vi trovavate, non sapendo nè come ritenerlo prigione, nè come liberarlo; ma veniamo al fatto. Io ho sparso del sangue è vero; ma ciò era necessario per abbassare l’orgoglio de’Grandi sem-[290]pre pronti alla sollevazione. Non è meraviglia, che un’uomo il quale ha lasciato rialzare i Cortigiani, e gli Ufficiali d’armata, non abbia fatto morire alcuno in un Governo sì debole.
Mazar. Un Governo non è debole quando sà condurre gli affari al loro termine colla scorta di una mera politica, e senza crudeltà. Torna meglio d’assai l’essere Volpe, che Tigre o Lione.
Richel. Non è crudeltà il punire i colpevoli. L’impunità producendo infinite guerre civili, avrebbe distrutta l’autorità del Re, ruinato lo Stato, e sparso il sangue di qualche migliaja di persone, quando col sacrificare un picciol numero di colpevoli, io ho stabilita la pace, e l’autorità.
Mazar. Voi supponevate che non si potea essere un buon Francese senza essere del vostro sentimento.
Richel. Avete voi forse risparmiato il primo Principe del Sangue allora quando lo credeste contrario a’vostri interessi? Per trovarsi bene alla Corte non bisognava essere Mazarino? Io però non ho mai portato tant’oltre il sospetto, e la diffidenza. Noi servivamo entrambi allo Stato, e nel servirlo noi volevamo governare il tutto; voi vi studiavate di guadagnare i vostri nemici colla astuzia, e col vile artificio; ed io ho saputo abbat-[291]tere i miei a faccia scoperta. Io fui amico, e nemico di buona fede; io ho sostenuta l’autorità del mio Padrone con coraggio, e dignità. Io amava le persone di merito, e ne facea gran conto, poichè non tergiversassero il mio governo, come credea necessario al bene della Francia, e se avessero servito il Re a misura de’loro talenti, e de’miei ordini, io sarei stato loro amico.
Mazar. Dite piuttosto loro Padrone geloso, ed implacabile.
Richel. È vero che io era un po’troppo geloso ed imperioso, ma io avea anche delle qualità che dimostravano un genio esteso, ed un’anima elevata. Ma voi Sig. Giulio non avete dato saggio che di una fina politica, ed avarizia. Voi avete fatto peggior male ai Francesi, di quello fosse lo spargere il loro sangue. Voi avete corrotti i loro costumi, atterrata la probità, e resa ridicola. Io mi studiai di reprimere l’insolenza de’Grandi, e voi di abbattere il loro coraggio, di degradare la Nobiltà, di confondere tutte le condizioni, e di rendere venali le grazie, ed i favori; voi temevate il merito; niun potea insinuarsi presso di voi, se non mostrandosi di uno spirito vile, arrendevole, ed atto agli intrighi. Voi non conoscevate bene il cuore degli uomini: non credeva-[292]te che al male; e tutto il resto era per voi una favola. Chiunque era capace di procurarvi dell’oro, e d’ingannare coloro, co’quali avevate a trattare, quegli era in istima presto di voi: motivo appunto per cui il vostro nome è rimasto avvilito, ed odioso nel mondo, quando il mio all’opposto cresce ogni giorno in gloria presso la nazione Francese.
Mazar. Confesso che le vostre inclinazioni erano più nobili delle mie; voi eravate un poco più fiero, ed orgoglioso, ma avevate del pari un non so che di vano e di doppiezza. Voi volevate esser Potea, Oratore, e Rivale di Cornelio; Voi componevate libri di divozione, senza essere divoto; tutte le arti dovevano essere alla vostra cognizione; voi volevate in somma essere eccellente in ogni genere di cose, fare il Galante, ed essere incensato. In Sorbona non v’è porta o finestra ove non abbiate fatto mettere le vostre armi.
Richel. La vostra Satira è pungente, ma non e senza fondamento, io veggo bene che la gloria ricercata ci disonora sovente, anzi che nò; ma ognuno mi farà giustizia, che io amava le Lettere, e che eccitai l’emulazjone per ristabilire; ma voi per lo contrario non avete giammai portate alcuna attenzione nè alla Chiesa, nè alle Lette-[293]re, nè alle Arti, od alla Virtù; ciò stante non bisogna stupirsi se una condotta cotanto odiosa abbia sollevati tutti i Grandi del Regno, e l’onesta gente contro di uno Straniero.
Mazar. Voi non parlate che della vostra magnanimità chimerica; ma per ben governare uno Stato, si esige non generosità, non buona fede, nè un cuor ben fatto, ma bensì uno spirito secondo negli espedienti, impenetrabile ne’suoi disegni, tutto dato all’interesse, e nulla alle proprie passioni.
Richel. La vera abilità consiste nel non aver giammai bisogno d’ingannare alcuno. Egli è un effetto di debolezza, e di errore il servirsi di strade indirette, e di ricorrere all’astuzia per venire a capo di un affare. La vera abilità consiste nella scelta prontissima de’mezzi migliori all’effetto, in paragone di ogni altro, con occhio chiaro e preciso. La vera abilità consiste nel comprendere, che il mezzo migliore negli affari è la riputazione universale di probità. Voi eravate mai sempre in pericolo qualora non vi riusciva di mettere a parte de’vostri interessi qualche briccone, o truffatore; ma quando alcuno è conosciuto per uomo onesto, tanto i buoni che i cattivi si fidano di lui; i nemici lo temono, e lo amano gli [294] amici; quindi è che voi non avete saputo farvi amare, stimare, nè temere da alcuno. In somma voi foste un gran Comico, ma non già un grand’uomo.
Mazar. Voi parlate di me come se io fossi stato un uomo senza cuore. La Spagna mi è testimonio, che non ho temuta la morte, e questo si è verificato in mezzo ai pericoli, ai quali fui esposto durante le guerre civili in Francia; altronde si fa che voi avevate timore della vostra ombra medesima, e vi pareva di vedere sempre nascosto sotto del vostro letto qualche assassino sul punto di trucidarvi; convien credere però che cotesto panico timore non vi prendesse che in certe date ore.
Richel. Deridetemi pure quanto vi piace, che io non lascerò per questo di farvi giustizia sopra le vostre buone qualità: voi eravate valoroso in gnera (sic!), ma negli affari voi mancavate di coraggio, di costanza, e di grandezza d’animo; voi non eravate flessibile che per debolezza, e per mancanza di massime fisse. Voi non osavate resistere a’faccia scoperata, motivo per cui eravate troppo facile nel promettere, eludendo in seguito tutte le vostre parole con cento mancamenti, raggiri, ad inganni; ed un onesto uomo avrebbe avuto [295] più a grado, che voi gli aveste detto sinceramente: “Io ebbi torto di promettervi, poichè mi veggo inabilitato ad eseguire quanto vi ho promesso” di quello sia di aggiungere al mancamento di parola anche delle buffonerie, ed in tal guisa prendervi giuoco dell’altrui infelicità. Molti Principi capaci di morire gloriosamente, si sono disonorati colla loro dappocaggine negli affari giornalieri.
Mazar. Fa bel dire, ma quando si hanno molte persone da contentare, si tengono a bada come si può. Le grazie non sono tante da poterne conferire a tutti, e però conviene pascolarli con vane speranze.
Richel. Fin quì vi accordo anch’io che torna bene di lasciar vivere molti in qualche speranza. ma senza ingannare alcuno; poichè niente evvi di più indegno per un uomo d’onore, e di più pernicioso negli affari, quanto asserire oggi una cosa, e negarla domani. Per me, io ho saputo sostenere ed ingrandire l’autorità del Re, senza ricorrere a’mezzi così miserabili: Il fatto è convincente, e voi disputate con un uomo che è un esempio decisivo contro le vostre massime. ◀Dialog ◀Ebene 3
[296] Deffinizione del Matrimonio. Passeroni. Canto 9.
Ebene 3► Zitat/Motto► OGgi è cosa assai rara, che ‘l Marito
In una Settimana, o poco dopo,
Non mangi colla Moglie il pan pentito,
Come succede verbigrazia al Topo,
Che tirato tallor dall’appetito
Si fa prigione, come dice Esopo,
Per un poco di cacio, e al primo assaggio
Maledice la trappola, e il formaggio. ◀Zitat/Motto ◀Ebene 3
N.o de recentissime.
IL Fanatismo di Moda è in oggi tutto per i Cappelli, a Parigi non solamente, ed a Londra, ma altresì a Vienna, ed è per questo motivo che diamo sei Figurini sopra sì importante, utile, economo, abbellimento Articolo. Le belle di Vienna hanno ormai superato le Parigine nel creare nuove Mode, ed i Fabbricatori Viennesi avanzano tutti gli altri nel travagliare sollecitamente i Nastri alla moda. Otto giorni dopo la presa di Dubicza si viddero volare per tutta la Città i Nastri alla Dubicza; trè giorni dopo la presa di Novi alla Novi; e si lavorano anticipatamente cap-[297]puccj, cappuccioni, e cose simili alla Banialucca, ed anche alla Belgrado.
Infine per onorare il Felt-Maresciallo Laudon le Dame di Vienna hanno addottato l’uso di una qualità di Nastri che chiamano alla Laudon. Sono questi di colore turchino celeste, quale è appunto quello che distingue la divisa del Reggimento Laudon, ed hanno l’impronto dell’Eroe con ornamenti di Merli di Torre per alludere alle passate, e molto più alle presenti sue conquiste.
Gazzette.
FRa tutte le Scienze la politica è quella che si può imparare a migliore mercato: essa si vende per sì pochi quattrini che sino gli artigianelli ne possono fare incetta: i principj di tale scienza si trovano scritti su certi fogli volanti detti gazzette. Le Accademie di tale scienza si tengono per lo più nelle botteghe de’ barbieri, o de’caffe, e quivi taluno che sa a malappena leggere, si pone tutta volta con prosopopea nella sedia curule, e sputa sentenze de’Principi e de’Ministri; vuol insegnare a far la guerra a’Generali, e si pone a criticare questo o quel gazzettiere.
Questa usanza di scrivere le gazzette fu trova-[298]ta da’Viniziani nel diciassettesimo secolo, allor quando l’Italia era ancora il centro de’maneggi polici d’Europa, e dal suo prezzo n’ebbe la denominazione. Turte (sic!) le grandi Città imitarono poscia i Viniziani, ed oggidì i gran professori di politica sono in Olanda. Cotesta economica Repubblica è giunta sino a trar profitto da’suoni incerti della fama, e stende l’industria sino sulle frottole: i gazzettieri d’Olanda spediscono la loro scienza in tutta l’Europa, e fanno dapertutto sapere le loro profonde congetture.
I moderni ammiratori de’Cinesi dicono, che in quell’Impero è antichissima l’usanza di stamparvi la gazzetta. Ogni di n’esce una cola per ordine della Corte, in cui sono registrate le avventure della Cina. Gli estatici panegiristi di quelle regioni ci vorrebbono far bever giù, che mai si stampano in que’fogli se non cose che sieno vere verissime: quando ciò fosse, bisognerebbe dire che quelle gazzette siano molto succinte e stucchevoli, poichè poche sono le cose veramente vere, e molte verità non istanno bene stampate.
Tutte le gazzette hanno un differente genere di erudizione, e di maniere. Cotesta è ammirevole per pubblicare degli avvenimenti superficiali ed immaginarj: l’altra è scritta con una certa arabe-[299]sca elocuzione, che vi annoja periodicamente; taluna è fatta a bella posta per descrivere messe vespri processioni: avene poi una che si distingue nel dir male degli sventurati, e questa è quella che più si ricerca da quelli che fanno professione di carità: quella poi che sbucò fuori l’ultima è la più meschina di tutte, ed è forse la più piena di allucinazioni, ne tornava certo il conto di principiare sì tardi a far sì male.
Checchè ne sia, certa cosa è che l’usanza di stampare le gazzette è utilissima: colla lettura di che si è instrutto in alcuna maniera degli avvenimenti de’nostri dì; ed una tale cognizione può essere giovevole a mille occasioni. Come che tali foglj sono sovente pieni di false nuove, possono però somministrare materia alla storia, poichè gli errori di un ordinario sono per lo più radrizzati dalle notizie che vengono dietro, e dal confronto degli avvenimenti.
A imitazione delle gazzette politiche, nel 1665. s’introdussero anche quelle di letteratura: sulle prime non si faceva che registrarvi i libri che si stampavano di nuovo in Europa: vi si aggiunsero poscia alcune riflessioni, e talvolta un poco di critica: una tale usanza comecchè adoperata con moderazione dispiacque agli autori; ma si dovet-[300]tero adattare al fatalismo che regna su tutte le cose.
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Il racconto amoroso.
Allgemeine Erzählung► QUando già il Sole rivolgeva alla metà del suo viaggio luminoso, s’incontrarono Eutichio e Lucetta nelle vie di un florido giardino, e fattisi scambievoli complimenti, diedersi a passeggiare, e ragionando arrivarono ad una grotta artificiosa, fuori di cui erano collocati marmorei sedili all’ombra di sempre verdi allori. Ivi pertanto inviati a placida confabulazione dal silenzio, e dalla fresca aura mattutina, l’uno si pose dirimpetto dell’altra, e dopo aver dette varie cose, cadde il discorso sulle vicendevoli vicende d’amore, e Lucetta prevenendo colla domanda, disse: tu devi manifestarmi le tue vicende d’amore, colle quali io sono certa che non fosti quant’io infelice; ed egli a lei rispose: anch’io provai le barbare agonie, delle quali tu puoi forse lagnarti, e ciascuno crede se medesimo più misero di tutti quando le soffre: non aspettarti però prolissa e varia istoria, perchè io non andai in traccia di casi amorosi, essendo anzi di mia natura inclinato alla pacifica vita; Ebene 4► Exemplum► ma la iniqua sorte invidiando la mia calma giovanile, trovò pure un oggetto che si fece non padrone, ma tiranno de’miei sensi. Il silenzio, la solitudine, i volumi, la mia professione, e qualche amico agevolmente inclinato alle medesime contemplazioni, erano gli oggetti soli noti all’inesperto animo mio, e così vissi alquanti anni troppo fugaci, e che più non ritornano: Avvenne finalmente per mia sventura, che per andare ogni dì al mio dicasterio, passassi sempre da una strada, nella quale abitava colei, dove io feci l’infelice naufragio: ella era giovine, bella; aveva que’vezzi che di rado trovansi nelle donne delle [301] grandi Città, perchè la sua presenza produceva quel rispetto religioso che inspirano le donne più illibate; a prima vista conveniva rispettarla, amarla, e poi temere che l’espressione di questo omaggio non la offendesse: i suoi sguardi, i suoi passi, i suoi menomi moti eccitavano un genio sempre più seduttore, e senza esagerazione può dirsi che vinceva in vaghezza i fiori che la circondavano: era il mio cuore alla vista di tanti pregj come come brace alquanto ricoperta di cenere, onde al soffio di quell’altro amoroso, divampò quasi paglia lungamente inaridita ai raggi del sole estivo; e quindi io affascinato ne’sensi dal velenoso filtro, che stillava soavissimo dalle di lei labbra, tolsi i miei pensieri dalla contemplazione dell’universo, abbandonai gli afforismi d’Ippocrate, e di Galeno, diedi un addio alla nobil arte di guarire, ed ogni mio senso si rivolse in quel volto. Per lo che quell’io che dapprima colla chioma incolta, e triviale desire ricercava solitarie strade tacito e pensieroso, quando poi conobbi il desiderio di piacere, imparai ben presto le voluttà di molli costumi, e poi divennero le mie vesti eleganti non meno che corrispondenti alla mia gioventù; e cominciai a parteciparle i delirj infelici del mio cuore. In tal guisa ingolato in questo pelago, qual nave in calma, pareva trattenuto il corso della vita nelle delizie presenti; ma pur troppo rapido scorrea verso angosce non prevedute: Giunse quel giorno crudele, la di cui luce infausta mi svelò in un sol momento quelle odiose verità alle quali era stato per lungo tempo cieco il mio intelletto: un padre che mentre si sveglia dal soave riposo ritrova il suo figlio amato in atto d’immergergli nel cuore insidiosamente un pugnale, non sarebbe così sorpreso, quant’io lo fui nello scoprire infedele quel labbro, che io credeva incapace di mentire, [302] e di rendermi il trastullo della conversevole adunanza, imitando con arte studiosa i miei moti involontarj, li miei giusti indifferenti. Ma pure adunandosi nel mio cuore tante nuove angosce fino allora sconosciute, non ne spensero la fiamma, anzi l’agitarono più violenta; e però spinto da smania mortale, altro io non desiderava, sennonse di seppellire la mia miseria nel pelago, nelle voragini, o di errare ne’deserti, riempiendo di querele le solitarie valli, e gli sterili monti. Calmato quindi quel delirio, dissi fra me stesso. Forse che debbo morire, forse che debbo rompere la sacra promessa, prima di rimproverare, quanto merita, quell’anima ingannatrice, e poi rivolsi i passi al di lei albergo, nel quale entrai con animo preparato a severe voci di estremo dolore, e a tormi di vita innanzi a quegli occhi che me l’avevano fatta nauseosa. Così sdegnato penetrai le stanze di lei segrete, non senza errore, temendo d’incontrare il successore di me più felice; ma la ritrovai sola placidamente occupata ne’suoi domestici lavori: essa m’accolse coll’usata soavità di parole, ond’io rimasi come chi correndo con impeto, si trova al margine di un abisso. Imperocchè preparato a confondere coi rimproveri la infedele, restai io per lo contrario confuso dalla di lei tranquillità: oh maraviglioso inganno, il quale io rammento benchè antico, non senza vergogna! Omai però ondeggiando fra pochi e non sinceri diletti, e fra molte ed amarissime cure, scuopriva ognor più instabile il possesso di un cuore, il quale si distribuiva giornalmente in minutissime dramme, e risolsi di abbandonarla, in modo che non potendo rammemorar nè con mio, nè con di lei encomio, non ti dispiaccia ch’io nasconda: ◀Exemplum ◀Ebene 4 ed ecco ora mi vedi così tranquillo come provetto nocchiero che narra le passate procelle, in maniera che ben puoi [303] comprendere, che il tempo è la medicina di questi mali. ◀Allgemeine Erzählung ◀Ebene 3
Ebene 3►
Gabinetto delle mode. Spiegazione della tavola XIII. Figurini 6.
Fremdportrait► LE acconciature che qui rappresentiamo non sono veramente tutte novissime, ma tute quelle che ultimamente e addesso si portano si troveranno nelle altre due Tavole, che noi rappresentaremo per dare dieciotto medaglie da fare de’bottoni di abiti. A Parigi hanno esse rimpiazzato i paesetti, i fiori, i camei, gli insetti, li volatili, i gerolifici, i monumenti. Quella delle acconciature è la nascente moda de’nuovi bottoni.
I nostri Signori Associati avranno la rappresentazione della moda, e la moda istessa, se voglion far montare in bottoni le dieciotto medaglie che noi rappresenteremo.
Prima Medaglia. Una Dama vestita di taffetà color di rosa, acconciata a capegli colla testa cinta di un largo nastro violetto, con cui formasi un grosso nodo di dietro, portando davanti un grosso mazzo di rose finte.
2 Una Dama con un cappello in testa di taffetà bianco, coi bordi ricamati di seta verde. La testiera è cinta d’una fascia di velo verde, con cui viene formato di dietro un grosso gruppo. Davanti un pennacchio di penne di pollo tinte di verde.
5 Una Dama con un bonnetto a globo, ed a cannoncini fatto di garza gialla a pagliuole d’argento cinto di un nastro color di rosa a bistantini pure d’argento, ed ornato di tre grosse penne bianche.
4 Una Dama assettata alla Sacerdotessa. La sua testa è cinta d’una ghirlanda di rose finte. Sul suo berretto è attaccato un gran velo legato con [304] un cerchio d’argento, e di dietro pendente assai basso.
5 Una Dama con un bonnetto a scoglio fatto di garza color di rosa, cinto di un largo nastro verde componente due grossi gruppi, uno davanti, in mezzo del quale vi è una stella d’argento, ed un altro di dietro, colle code pendenti assai basse. Sei grosse penne sono situate davanti.
6 Una Dama acconciata a capegli. La sua testa è cinta da un largo nastro verde, con cui viene formato di dietro un grosso nodo. Dinanzi è situato un pennino composto di cinque penne di pollo di diversi colori. La testa resta superiormente coronata da una ghirlanda di fiori di prato finti. ◀Fremdportrait ◀Ebene 3 ◀Ebene 2
Tavola
Delle Materie contenute in questo Numero XII.
Racconto. pag. 283
La Città di Parigi, Sonetto. 286
Dialogo fra Giulio Mazarini, ed Armando di Richelieu. 287
Deffinizione del Matrimonio. Passeroni. Canto 9. 296
N.o De Recentissime. ivi
Gazzette. 297
Il Racconto Amoroso. 300
Gabinetto delle Mode. Spiegazione della Tavola XIII. Figurini 6. 303 ◀Ebene 1