Zitiervorschlag: Gioseffa Cornoldi Caminer (Hrsg.): "Num. V", in: Donna galante, Vol.3\05 (1786), S. 106-227, ediert in: Ertler, Klaus-Dieter / Fuchs, Alexandra (Hrsg.): Die "Spectators" im internationalen Kontext. Digitale Edition, Graz 2011- . hdl.handle.net/11471/513.20.4814 [aufgerufen am: ].
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Num. V.
Italia 1788.
Si vende in Venezia al Negozi Albrizzi a San Benedetto.
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[107] Occhiata
Sopra i Cavalieri serventi.
Non v’è cosa tanto comune fra noi quanto il Cavalier servente. Questi è un Cavaliere scelto da una Dama per servirla, accompagnarla in carrozza, al passeggio, al teatro, alla conversazione, al ballo; trattenerla, divertirla, disannojarla. Egli è un servitor libero distinto dal mercenario, un mobile divenuto quasi di necessità, perchè le leggi del mondo galante obbligano una giovine Dama ad aver sempre dei simili servitori ai suoi ordini.
Questa è almeno l’idea che noi ci siam fatta da lungo tempo della condizione del Cavalier servente. Le nazioni vicine che ne hanno seguitato l’esempio, ne vantano una consimile.
È dunque stabilito che un Cavalier servente è una specie di ornamento di cui assolutamente una Dama non potrebbe far senza. Ve ne sono però alcune che ne hanno due, tre, cinque ec. Penetrano essi nell’interno più segreto dell’appartamento senza farsi prima annunziare, ed essendo parecchi, una Dama di spirito dà a ciascuno di essi la loro ora di servizio. Non v’è cosa tanto bizzara [108] quanto il vedere due di questi servitori senza livrea, di cui l’uno entra nel momento che l’altro esce, salutarsi sì freddamente come non si fossero conosciuti giammai.
Al presente il Cavalier servente è giunto al più alto grado di perfezione e di civiltà. La moda cominciò dalle Dame della più alta sfera e qualità, ma a poco a poco venne adottata anche da quelle di un secondo ordine: solo alcune donne del popolo vivono ancora secondo i loro vecchi costumi.
È da notarsi che un Cavalier servente addetto al servizio di una donna pazza, capricciosa, e stravagante, come ve ne sono tante, deve mettere in pratica una pazienza più facile ad ammirarsi che ad imitarsi.
L’uso di questa servitù è una legge non scritta, ma di tacita convenzione corroborata dal tempo, garantita dalla moda, e che non ammette alcuna interpretazione. Se accade talvolta, ciò ch’è però molto raro, che qualche giovine sposo pretenda di esentare la sua moglie da tal costume; diviene ben presto la favola della Città; talchè poi meglio illuminato lasciata in libertà la sua moglie si pone al servizio egli pure di un'altra Dama.
Anche le donne che hanno lasciato il mondo, perchè il mondo ha voluto lasciarle, prendono tut-[109]te l’aria di devote, ed hanno pure dei servito privilegiati, e senza livrea, ma di questi ci risparmieremo di parlare.
Sembra senza dubbio, cosa maravigliosa il vedere molti di questi impegni galanti sostenersi un gran numero di anni. Ve ne sono alcuni che vantano dieci, venti, e fino quarant’anni. Bisogna dunque supporre che siano essi fondati sopra una reciproca stima, sopra le virtù, ed il merito, senza di che languisce, e si rompe infallibilmente il nodo più intimo.
Nelle conversazioni numerose e brillanti tutti i componenti sono disposti a coppia a coppia: ciascun Cavaliere parla sempre all’orecchio della sua Bella, affettando parlare di cose misteriose ed importanti. Disgraziato colui che vi si trova senz’avere anch’egli un impegno galante. Sarà obbligato di prendere il partito di nojoso spettatore, o di partire di là senza disturbare la compagnia bene occupata con un utile congedo.
Bisogna frattanto convenire che lo stabilimento del Cavalier servente racchiude in se qualche vantaggio: esso dà una specie di occupazione ai giovani cadetti di famigli, e ad altri, e li salva dai disordini perniciosi, a cui và soggetta la gioventù facendo delle cattive conoscenze.
[110] Del resto è cosa poco onorevole per una Dama, che presentandosi nel mondo abbia da mendicare un servente; ed è nel tempo stesso poco stimabile fra noi un Cavaliere ozioso e privo affatto di simili impegni. Un giovine senza la conoscenza di alcuna Dama viene sospettato di un cattivo carattere, di essere un libertino, o almeno di avere l’intenzione di divenirlo.
Questo sistema stabilito dalla politica più raffinata occupa talmente le donne dell’unica premura di piacere, ch’esse non hanno il tempo e la volontà imbarazzarsi in altri affari. Incapaci di cabale e di intrighi propri di quelli chi voglio ingannare i loro simili, la Toletta forma tutta l’estensione del loro distretto. Vi passano elleno quindi la maggior parte della loro giornata, e mettono alla prova più grande la pazienza delle loro Cameriere: il resto è diviso in due parti eguali: l’una in visite da ricevere o rendere, l’altra al passeggio, ed al Teatro.
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Lo sposo
Exemplum► Cleonte incontra l’amico Damone, l’abbraccia, ed in una grande effusione di allegrezze gli dice: io sono il più felice fra gli uomini: sposo una gio-[111]vine che esce ora da un Monistero, e che altri per così dire non vide giammai. Porta sulla fronte il segnale della dolcezza e della bontà. Nulla di più ingenuo, di più semplice, di più modesto: i suoi occhi temono d’incontrarsi nei sguardi che sopra di se medesima fissa la sua bellezza. Quando parla, un amabile rossore colorisce il suo volto; e questa timidezza è un nuovo pregio, perchè sono certo che nasce dal pudore, e non già da mancanza di spirito. Le disgrazie che affliggono l’umanità, la trovano sensibile, e non potrebbe sentirne il racconto senza provare un mal forte. Quanto è dolce di vederla spargere delle lagrime sopra le altrui disavventure! Non v’è anima più di lei sensibile, più dolce, più amante; non vivrà, non respirerà che per me. Compirà i suoi doveri, e sarò il più felice dei mariti.
Cleonte è fatto sposo. In capo a sei mesi Cleonte incontra il suo amico, e nulla gli dice di sua moglie. Damone viene a sapere che quest’angelo maritato, che non ha più bisogno di ritegno, ha sostituito alla modestia la fierezza, l’ardire alla timidità, e che se ancora qualche volta arrossisce, arrossisce di orgoglio o di dispetto. Viene a sapere che ha già il suo appartamento separato; ch’è sempre in compagnia e confidenza della Marche-[112]sa, della Baronessa; che apprese le loro massime altiere e sprezzanti; che mette in ridicolo suo marito, e che alla minima contraddizione s’adira, e lo dipinge come un geloso, un brutale, un avaro.
Non si alza che due o tre ore dopo mezzodì, e và a letto alle sei della mattina; sorte a cinque ore. Non si sa precisamente quale sia il suo amante, cosa soprattutto che fa disperare suo marito. Egli è ridotto a desiderare che ne abbia uno, perchè potrebbe per lo meno col di lui mezzo farle intendere le sue ragioni sopra delle cose che interessano la loro fortuna, punto principale che la presente sottometti tutto il resto.
Nelle sole conversazioni ella dirige la parola sorridendo al marito, ma passano in casa delle intiere settimane senza vedersi e senza parlare. Tutte le donne dicono che vive decentemente, e che suo marito deve stimarsi felice d’aver una donna così saggia. ◀Exemplum ◀Ebene 3
Aneddoti
Ebene 3► Allgemeine Erzählung► Una giovine di diecisette in dieciotto anni, bella quanto dir si possa, cadde malata. I di lei parenti che molto l’amavano per essere l’unica lor [113] figlia, mandarono a cercare i migliori medici del paese per risanarla. Il primo medico che andò a visitarla le chiese il braccio per sentire in quale stato si trovava di febbre. La giovine per fare la schizzinosa e la modestina non voleva presentare a un uomo il suo braccio nudo; i suoi parenti perciò l’assicuravano che non correva alcun rischio, e che poteva presentarglielo. A forza di preghiere fu dunque costretta di trarre dalla coltre il suo braccio, ma lo presentò al medico tutto coperto fino alle dita colla camicia. Il medico non avendo potuto ottenere il suo intento si alzò, e partendo disse, che per una malata di tela era necessario un medico di panno. ◀Allgemeine Erzählung ◀Ebene 3
Ebene 3► Allgemeine Erzählung► Trovandosi nel proprio gabinetto un Letterato studiando intento a comporre un’Opera alquanto seria, vi entrò una giovinetta, a cui egli chiese subito ciò che volesse. Vorrei pregarvi, gli rispose, di permettermi che io prenda un poco di fuoco al vostro camminetto. – Volentieri, prendetelo pure figlia mia, ma voi non avete recipiente da metterlo. – Oh non importa, lo trasporterò ben io senza di esso. Ed in così dire si accosta al cammino, prende un pugno di cenere fredda, e su di essa vi colloca due o tre carboni accesi. A tal vista restò così sorpreso il Dottore, [114] che gettati a terra i suoi libri, esclamò protesto che con tutto il mio sapere non avrei fatto altrettanto. ◀Allgemeine Erzählung ◀Ebene 3
Pensieri scelti.
Le donne del Settentrione sono come le loro aurore boreali, esse rischiarano, ma non riscaldano.
Molti hanno il cuore così tenero come i Mogolesi, i quali hanno scrupolo di fare dei capponi, e non ne hanno di fare quotidianamente degli eunuchi.
Le femmine risguardano gli amanti coll’occhio medesimo con cui riguardano le carte. Esse se ne servono qualche ora per giuocare, e dopo di aver guadagnato le gittano per prenderne delle nuove, e spesso succede che perdano colle nuove tutto quello che avevano guadagnato colle vecchie.
Negli affari più complicati si suol prendere da molto tempo prima misure cotanto giuste che vi si riesce meglio assai che negli affari più semplici. Si veggono ornate le femmine per andare ad un festino molto prima degli uomini.
Il cuor dell’uomo non è suscettibile che di una determinata dose di piacere. Lo spirito non è capace che di un determinato numero di cognizio-[115]ni; siccome l’acqua non può stemprare che una determinata dose di sale.
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Couplet
Adressé à la Comtesse R. P. . . . .
Par l’esprit, per les graces
Dont le Ciel te fit don,
Tu suis de prés les traecs
De l’aimable Linon;
Mais moins sensible qu’elle,
Rebutant tous nos vœux,
On t’adore cruelle,
Sains espoir d’être beureux. ◀Ebene 3
Toletta.
Acqua per le bolle che nascono sul viso.
SI metta a molle nell’acqua del salnitro in un sacchettino di tela fina, vi si lasci per qualche tempo, e con quest’acqua si tocchino le bolle che svaniranno.
[116] Acqua per le rossezze della faccia.
Facciasi bollire insieme un pugno di lapazio e di anagallide, indi si lavi pure quanto si vuole il volto con quest’acqua.
Rimedio per torre le macchie dal volto.
In un boccale e mezzo di latte si maceri per lo spazio di cinque ore tre once di midolla di pane bianchissimo: pongasi in un lambicco, e se ne stili acqua nella quale vi si metterà mezz’oncia di borace in polvere. Lavandosi si lasci asciugare la pelle da se medesima, che oltre il distruggere ogni macchia, la rende oltremodo bella.
Osservazioni della moda.
LA moda nelle case grandi è di pranzare colla spada al fianco: dopo il pranzo si sfugge pian pianino senza salutare; ma il dovere della padrona di casa è di osservare la vostra sparizione, e di dirigervi, qualche vaga parola, a cui non si risponde che con una monossillaba. Sotto pena d’inciviltà si deve ritornare dopo qualche giorno di absenza.
[117] Quando sia passato un anno senza andare in una casa, dove siasi già stato ammesso, bisogna farsi presentare da qualcuno che faccia le vostre scuse: si dice di esser stato in campagna, di aver fatto un viaggio; e la padrona che vi ha veduto al Teatro tutto l’anno deve fingere di credervi.
Si allevano i figli della prima età molto meglio delle altre volte: s’immergono sovente nei bagni freddi, ed è stato adottato il felice costume di vestirli leggermente e senza legature. Questo è ben fatto, perchè in generale non manca ai nostri uomini per comparir donne, che di avere delle dolci fattezze e delle ritondette sembianze. Una quantità d’anime femminine soggiornano presso gli uomini, dai quali non bisogna pretendere una certa dose di energia, di cui sono incapaci.
Alcune donne non si alzano che verso sera, e vanno a coricarsi quando sorge l’aurora.
La padrona della casa non deve parlar mai in favore dei piatti che sono in tavola: non gli è permesso che di annunziare una pernice, un fagiano, un intingolo oltramontano, o simili cose rare.
Per esser l’uomo alla moda bisogna avere delicatezza di spirito, delicatezza di sentimento.
Un buon moto fa adesso la fortuna di qualcuno. [118] Il Conte di. . . . . non aveva che mille scudi di rendita; dava di questi tre mille lire al suo lacchè, e diceva: ho trovato l’arte di avere sempre davanti a me la metà della mía entrata. Questo buon moto incantò tutte le donne, e fece una parte del suo avanzamento.
Adesso si parla molto di Finanza perchè somministra delle grandi risorse a chi non se le aspetta; ma si è ormai perduto il libro doll’esazione e delle spese.
Poche sono le case tanto ricche per dare e da pranzo e da cena. La Magistratura pranza, la Finanza cena. I Signori non devono pranzare che a quattr’ore; ma i nostri pranzi e le nostre cene sono diventate assai melanconiche. Si cambiano i tondi senza che siano sporchi; alla sinistra si dice all’orecchio male di chì sta alla destra: una certa fredda dignità ha rimpiazzato la gioja che altre volte inspirava il vino. Chi fa una buona tavola ha per lo meno il vantaggio che non si passino sotto silenzio le sue qualità; se ha qualche talento non resterà senza panegirista.
Il cameriere non porta livrea; si limita ad assettare il suo padrone, tiene cura della sua guardarobba, e lo serve a tavola.
Ad un pomposo banchetto signorile non è raro [119] il vedere delle donne a non bevere che dell’acqua, a non assaggiare venti dilicate piattanze, sbadigliare, lagnarsi del loro stomaco; e gli uomini imitarle sdegnando il vino per affettare una certa aria tutta nuova.
Le donne di sessant’anni s’acconciano ancora come a venti, ed offrono una faccia liscia e ben colorata.
Alcuno ormai più non legge per imparare: non si legge che per criticare.
Un panno più o meno fino, un galone più o meno largo, un grande equipaggio, ovvero una carrozza da nolo, dodici servitori, o un semplice domestico, una batrachite di quindici lire in dito, ovvero un brillante di cinquecento Luigi, metteranno sempre una grande differenza fra gli uomini. Questa è una eera scioccagine; ma i poveri mortali giudicano così.
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Psiche, e cupido.
Racconto.
Allegorie► IN una certa Città soggiornavano un Re ed una Regina che avevano tre figlie: le due maggiori furono date in moglie d’una ad un Re decrepito, [120] l’altra ad un Re infermo oppresso dalla grotta. Queste Principesse erano ambidue belle, ma la bellezza loro era nulla in paragone di quella di Psiche loro cadetta; le attrattive di questa erano così maravigliose, che i popoli passarono per lei dalla meraviglia alla venerazione, e trascurarono il culto di Venere per rendere a Psiche gli onori di cui godeva prima questa Dea; la quale fu così irritata, che comandò all’Amore di vendicarla sulla sua rivale; ma l’Amore stesso concepì per Psiche una furibonda passione. Un oracolo intanto ordinò che Psiche fosse condotta sopra un monte abitato da un mostro crudele, di cui, e non d’altri doveva essere sposa. Fu obbedito l’oracolo, e Psiche fu colà esposta; ma Zefiro la trasportò dall’altra parte del monte in un palazzo incantato, dove il di lei sposo, che ricusavale il piacere di essere da lei veduto, ma che al tatto non le sembrava un mostro, si portava da lei ogni notte,
Questo sposo le proibì di cercare di vederlo, e la prevenne che questa felicità era annessa a questa proibizione. Psiche fu infatti felice finchè obbedì agli ordini del suo sposo, che altri non era che l’Amore.
Ma questa calma fu turbata dalla gelosia delle sue sorelle, le quali andarono a trovarla, e non [221] poterono contemplare la sua situazione senza invidia. Esse la persuasero, che suo marito era un drago, che finalmente l’avrebbe divorata: la consigliarono altronde a munirsi di una lucerna, e d’un ferro tagliente nel tempo in cui si coricava con lo sposo: la credula Psiche infatti seguì questi perfidi consiglj risoluta di vedere a qual mostro era stata maritata, e di torgli la vita. Quale fu mai la sua sorpresa, allorchè con la lucerna da una mano ed il ferro dall’altra, si vide ai fianchi il più bello, ed il più delizioso degli sposi: allora volle abbracciarlo, ma il moto ch’ella diede, fece cadere sulla spalla dell’Amore una goccia d’olio infiammato della lucerna; e tosto questo nume irritato prese verso l’Olimpo il volo, e lasciò Psiche in preda ai suoi rimorsi, ed alla sua disperazione.
Errante o fuggiasca, vittima egualmente della collera dell’Amore e di Venere, trascorse indarno tutte le contrade della terra per trovare l’oggetto che avea perduto. Giove impietositosi finalmente del suo dolore diede l’immortalità a Psiche, e confermò il suo matrimonio con Cupido, da cui riebbe e tenerezza e cuore. Da tal matrimonio nacque la voluttà. ◀Allegorie ◀Ebene 3
[222] Poesie.
Metatextualität► AVendo noi pure avuta la sorte di far acquisto di due Sonetti, che la Signora Contessa Silvia Curtoni Verza ha recitato in Roma in alcune adunanze di persone erudite, prendiamo occasione di pubblicarli per fare onore al bel sesso, ed accrescere la storia delle Dame celebri Italiane. ◀Metatextualität
Ebene 3► Zitat/Motto► In morte del marito.
Ben nell’aspetto del divin Fattore,
Che tutto mira, e in cui tutto si scorge
Ben vedí, che ognor più vivo l’amore,
Onde sì ti fui cara in me risorge.
Sposo e amico tu m’eri, e sempre l’ore
Trass’io lieta con te. Non mi si porge
Dopo il tuo dipartir conforto al core,
Nè sereno per me giorno mai sorge.
Deh perchè non lasciarmi un dolce figlio
Da stringere al mio seno, e in caldi bacci
Temprar sovra il suo volto il mio cordoglio?
L’orme gli additerei, che ad alto soglio
Te guidaro dai ben vani, e fallaci,
Fatta al suo ben oprar scorta e consiglio.
[223] Alla propria tomba.
La tomba che mie membra accoglier deve
Un dì, che forse non è lungi io miro;
Spente le voglie, ond’io spesso deliro,
Giacerà qui mia salma immota e greve.
Ma d’esta vita dopo il corso breve
Pieno d’affanni, e di lungo martiro,
Spiegherà i vanni al luminoso Empiro
Sciolto di sua prigion lo spirto lieve.
Folle che dissi mai? Chi m’assicura
Dopo il cotanto vaneggiar che sei,
Poter si lieta conseguir ventura?
Deh tu che padre e scrutator mi sei,
Pria ch’io scenda entro questa tomba oscura,
Frangi del cor mio infermo i lacci rei. ◀Zitat/Motto ◀Ebene 3
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[224] Gabinetto delle mode. Spiegazione della tavola VI Fig. 10
Fremdportrait► Tuttocchè sia vero che i panni a righe larghe servono ora a fare degli abiti di gala, le rigature non devono avere un impero ancor lungo. La continuazione però di tal moda sarebbe di un grandissimo vantaggio per i Mercanti, i quali sembrano di essersi provveduti d’una quantità grande di panni rigati, e pare che si applichino a variare all’infinito l’assortimento dei colori, e delle rigature. Non minor vantaggio per il gusto che troverà in questa estrema variazione la novità che cerca sempre, ovvero il bello, a cui piace di comparir sempre nuovo, e d’incontrare soltanto quando tale si fa vedere.
Se noi c’inganniamo sull’opinione che prendiamo qui delle rigature, e sul giudizio che ne portiamo, bisogna perdonarci un tal errore, perchè c’inganniamo di buona fede.
I panni a righe larghe sono impiegati tanto per i vestiti di gala delle donne che degli uomini, se però si possa dire che i caracchi e le vestine che ora vengono adottate dal bel sesso, e che sono di [225] panno a righe larghe siano abiti di gala.
La Dama qui rappresentata ha una vestina con una sottana di panno zebro a righe largde (sic.) bigie, e bianche guarniti d’uno sfilato di seta violetto e nero. La vestina colle maniche aperte alla marinaja, e con corsetto è guarnita con larghi bottoni dorati solj, cioè alle maniche, al busto, ed ai fianchi.
Tienne al collo un fazzoletto soglio assai gonfio ed aperto verso il mento con un grosso mazzo di fiori finni al petto.
Sulla testa un semplice cappello à la Farare fatto di raso a righe nere e color d’arancio legato con un largo nastro violetto componente due grossi gruppi, uno di dietro, e l’altro alla destra per tener rilevata l’ala del cappello, e formontato da cinque grosse penne bianche coll’estremità violette.
La pettinatura è a piccoli ricci staccati, quattro dei quali più grossi a due giri cadenti per parte sul seno. I capegli di dietro rialzati a chignon.
Scarpe di raso arancio cen (sic.) taloni bianchi, e con falbalà di nastro bianco.
Le nostre Dame in questa stagione portano molto le scarpe di pelle di capra nera, fatte a guisa di claque sopra il piede, e di raso color violetto [226] bianco, arancio, coda di canarino, o verde per i quartini ossiano partite di dietro; allora la pelle di capra è guarnita di un falbalà di nastro rasato di simil colore. e il raso dei quartini guarnito di un nastro nero. La cucitura di dietro è coperta di un nastro pure nero. ◀Fremdportrait ◀Ebene 3
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Tavola X. Fig. 13.
Fremdportrait► L’uomo qui raffigurato è vestito con abito di gala di panno zebro a righe larghe bigie e bianche guarnito di larghissimi bottoni di filo d’oro, e foderato di un leggier raso color coda di canarino.
Sotto di quest’abito una giubba di stoffa d’oro foglia.
Calzoni di stoffa di seta nera con due orologi con sue catene e bijoux d’oro.
Calzette di seta bianche.
Fibbie tanto delle scarpe che dei calzoni ovate lunghe e strette.
Spada con guardia damaschinata in oro guarnita d’un largo nastro nakara formandovi annesso un grosso nodo.
Sotto al braccio un cappello molto grande di castoro foglio.
[227] I capegli di dietro legati in una borsa di mediocre larghezza. Due ricci molto grossi, e lunghi per parte con un largo grecque quadrato aperto di dietro a ferro di cavallo:
Gonfio colletto: manichetti e gala della camicia di punto d’argentan ricamati. ◀Fremdportrait ◀Ebene 3 ◀Ebene 2
[128] Tavola
Delle Materie contenute in questo Numero V.
Occhiata. Sopra i Cavalieri serventi Pag. 107
Lo Sposo 110
Aneddoti 112
Pensieri scelti 114
Couplet. Adressé a la Comtesse R. P. . . . . 115
Toletta. Acqua per le bolle che nascono sul viso ivi
Acqua per le rossezze della faccia 116
Rimedio per torre le macchie dal volto ivi
Osservazioni della moda ivi
Psiche, e Cupido. Racconto 119
Poesie 222
In morte del marito ivi
Alla propria tomba 223
Gabinetto delle mode. Spiegazione delle Tavole IX. X. Fig. 12. 13 ◀Ebene 1