Zitiervorschlag: Gioseffa Cornoldi Caminer (Hrsg.): "Num. IV", in: Donna galante, Vol.3\04 (1786), S. 82-108, ediert in: Ertler, Klaus-Dieter / Fuchs, Alexandra (Hrsg.): Die "Spectators" im internationalen Kontext. Digitale Edition, Graz 2011- . hdl.handle.net/11471/513.20.4813 [aufgerufen am: ].


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Num. IV.

Italia 1788.

Si vende in Venezia al Negozio Albrizzi a San Benedetto.

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[83] Mode.

LA pettinatura delle Donne è stata sempre soggetta a molte rivoluzioni tanto presso ai Greci che ai Romani. In diecinove anni del Regno di Marco Aurelio sua moglie comparve con cento pettinature diverse: ognuna di quelle mode aveva la sua origine, a tale varietà vi era unito il buon gusto? Questo è quello che non sappiamo. Ciò ch’è certo si è che le mode dei nostri antichi succedevansi le une alle altre con egual rapidità delle nostre, ma erano mancanti di quella grazia, e di quell’eleganza che forma il bello dell’abbigliamento delle nostre Dame. Sotto il regno di Francesco I. le Donne in Francia erano acconciate con un capello alto fatto a guisa di pane di zucchero: sotto il regno susseguente le Donne portavano dei cappelli piccoli con una piuma: sotto quello di Enrico IV. gli stessi cappelli con un penacchio: egualmente sotto di Lodovico XIII., e nel bel secolo di Lodovico XIV. l’affetto della testa diventò un’arte: quest’arte si perfezionò al regno di Lodovico XV. e si può dire perfettissima sotto il presente regno. I nostri Mercanti di mode faranno arrossire i secoli passati ed i futuri, i quali necessaria-[84]mente genereranno, per tal l’è la sorte di tutto ciò che arriva alla perfezione.

Novità.

Il Sig. Stone Inglese pazzo per amore, dopo varj esami ed interrogatorj è stato condotto a Bedlam. Confessò ai Giudici la sua passione per la Principessa Reale, ed aggiunse che meno era dolente per la sua propria sorte, che per quella di sua Alt. Reale di cui conosceva egli la sensibilità, e l’attaccamento per lui. Se questo delirio non fosse bastato per giustificare la di lui prigionia, la lettera di questo infelice diretta alla Regina prova almeno quanto egli aveva bisogno d’una simile medicina. Ecco il tenore di questa lettera stravagante, quale la riportano i foglj Inglesi.

Alla nostra graziosa Regina Sovrana della Gran Bretagna, Irlanda ec. ec.

Ebene 3► Brief/Leserbrief► Signora.

“Dicendovi che un estremo turbamento tiene il mio cuore in continua agitazione, e che questo male è cagionato dalle bellezze della vostra figlia maggiore, egli è scusare in qualche parte la mie temerità per poco che si voglia con-[85]siderare le rare perfezioni che brillano nella persona della Principessa Reale. Quanto mi stimerei felice, Signora, se la mia nascita, e gli altri titoli somministrati dalla sorte mi autorizzassero a chiedere in isposa questa Principessa, appoggiando la mia domanda ai diritti di una fortunata uguaglianza: ma siccome arriviamo in questo mondo senza pensarvi, e senz’averlo desiderato, non possiamo essere biasimati se non sortiamo i natali da quelle prime case che tra esse dividonsi il Sovrano potere. Comunque sia la cosa io vengo al fatto. Vidi, Signora, la Principessa Reale, e posso assicurare Vostra Maestà che il folgoreggiante splendore della sua bellezza sorpassa di molto agli occhi miei quello del rango, in cui essa si trova.

I Matrimonj giusta la definizione d’Hudibra non sono nel corrente secolo che una specie di affare di Finanza, ma io sono ben lontano di adottare sentimenti sì vili: gli affetti del mio cuore non si estendono al di là dell’oggetto ch’egli desidera, e conto per nulla tutti i vantaggi che lo circondano. I miei affari veramente sono un poco imbarrazzati lo confesso, ma che importa? la purezza della mia fiamma basterà sola per farmi sortire dall’oscurità in cui vissi finora. Io me ne rapporto alla di lei saviezza, Signora, per partecipa-[86]re al Re le mie intenzioni. Se io ottengo la sua approvazione io son quasi sicuro di ottenere quella di sua Maestà.

“Dietro un antichissimo assioma i Matrimonj sono scritti in Cielo: se il mio si realizza, aspetto la mia felicità dall’Onnipossente, piuttostocchè dalla volontà di un debole mortale. Possa io veder l’Imeneo, colmando i miei voti, illuminare tutto il mio essere ai dolci raggi della sua fiacola. Ardisco di lusingarmi Signora che non si avrà veduto giammai una copia più felice.

Nella, ttenzione di una pronta risposta, io sono con la più profonda venerazione.”

Signora

Di Vostra Maestà.

L’obbligatissimo, sommesso, e divotissimo Servitore e suddito

T. Stone. ◀Brief/Leserbrief ◀Ebene 3

Articolo sensibile.

Ebene 3► Fremdportrait► LA debolezza è propria del bel sesso: questi lo sa; la Donna sentì pur troppo che vieppiù ella interessa col comparire un ente dilicato. Ecco perchè le nostre Donne quantunque sane e robuste im-[87]parano a camminare neghittosamente, a parlare affettato, a far le malate, a lagnarsi dei loro nervi. La natura inspira alle Donne l’arte di comparire lontane dal sentimento della forza. E perchè mai piace loro il rossore? Perchè questi è il tacito contrassegno di qualche imperfezione, d’un difetto di forza e di coraggio, e lusinga l’amor proprio di chi è testimonio di questa modestia. Una bella Donna è sempre commovente, ma nella disgrazia e nel pianto eccita essa un interessamento che piega l’avaro, e disarma il tiranno. Perchè? Perchè la debolezza è all’ultimo suo poriodo, ed allora non v’è che di appigliarsi al partito dalla generosità.

Le nostre Donne hanno voluto darsi tempo fa a qualche faticoso esercizio, montare a cavallo ec. bastò un solo accidente a nuovamente immergerle nello stato loro favorito, l’inazione. ◀Fremdportrait ◀Ebene 3

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Squarcio.

D’un Galateo di nuovo conio.

DOrmire ove brigata onesta stassi

È segno che di lei poco ne caglia,

E che al discorso attenzion non dassi.

[88] V’è alcun che punzecchiare o batter suole

Colla mano o col gomito colui

Col quale parla, e ben attento ci vuole.

Per abboccarti con persona degna

Rammenta, che il fermarla pel mantello

O per la veste è una maniera indegna.

Tenere astratta in specular la mente

Non si deve, allorchè stassi con altri,

Chi vuol filosofar fugga la gente.

Chi ragiona con te vegga, che ascolti

Attentamente, e immobile ad udirlo

Ad altri oggetti il pensier tuo non volti.

Vi sono alcuni tanto dilicati

Che si mostran crucciosi, se fra gli altri

Non sono distinti i primi e salutati.

Se non sei riverito o corrisposto,

Se non ti danno il titolo che debbono,

Non ti lagnar; dissimula piuttosto.

Vengono à noia, ed erano coloro

I quali in boca altro non han giammai,

Che i lor bambin, la balia, e mogli loro.

Con manière affettate quel marito,

Che fa carezze in pubblico alla moglie

Per ridicolo passa, e scimunito.

Se parlasi d’alcun non mai si stenda

Troppo la mano, e non si mostri a dito

[89] Questo è un atto per cui qualcun s’offende.

Ove parlando stanno altri in disparte

Accostarsi è increanza, se non siete

Da lor chiamati del discorso a parte.

Ove maggiori son di noi, si stima

Meglio il tacer, che l’introdur discorso

Nè risponder a lor degli altri prima.

Troncar discorso, quando qualche storia

Narra alcun, non si dee ne’suggerirgli,

Quando mancasse ancor nella memoria.

Se contradetta cosa a noi ne viene

Per sostenerla non si prenda impegno

Contender con alcun mai non conviene.

Non si faccia ad alcun ricordo mai

Di svantaggiose cose, nè che cera

Egli abbia poco buona tu dirai.

A persona che brami esser tenuta

Giovane, non dir mai, presente altrui

D’averla da gran tempo conosciuta.

Stando con altri insieme in allegria

L’oriuol non si dee guardar sovente,

Nè andar chiedendo altrui che ora sia.

Nè stando in compagnia devesi mai

Per funesto pensier che venga in mente

Prorompere in sospiri o in mesti lai.

Se lo star malinconico è incivile

[90] Ove altri lieti sono; allegro troppo

Dimostrarsi è da pazzo, e puerile. ◀Ebene 3

Toleta.

Mantecca per le fessure dei labbri.

PRendasi un’oncia e mezzo per ciascuno di olio violato e di suco di malva, due dramme per sorte di grasso d’oca, e di midolla di vitello, una dramma, e mezzo di gomma dragante: si ponga il tutto a foco, e si rimescoli con ispatola finchè il tutto sia disciolto.

Se le crepature sono alquanto profonde si può aggiungere una dramma di litargirio, ovvero servirsi dei ceroto rinfrescativo detto di Galeno, che si fa semplicemente con olio rosato, e con cera bianca, scogliendogli a fuoco lento in vaso di vetro con ispatola di legno, e raffreddato tale ceroto lavarlo in acqua chiara.

Carnevale.

IL Carnevale è terminato: oimè! Quanto presto passano questi giorni di piacere e di follia. Fra tanti costumi che noi abbiamo, e di cui non [91] sappiamo render ragione si può contare il Carnevale. Si pretende da alcuni che sia un avanzo delle antiche feste Lupercali di Roma: altri un necessario contrapposto ai giorni della Quaresima: noi perciò non contenderemo; qualunque ne sia l’origine, il Carnevale non sarà per questo nè più nè meno brillante. Certo è che il nostro Carnevale agli occhi d’una persona del nuovo Mondo deve comparire qualche cosa di straordinario e sorprendente: infatti giunto in Italia per affari di commercio per la prima volta un Indiano, raccomandato ad un bello spirito, fu da questi condotto al Teatro in una sera di festa di ballo, e ci viene riferita la seguente bizzarra conversazione da essi tenuta dal girare che fecero per la sala del ballo, e pel ridotto.

Ebene 3► Dialog► Ind. Oh cospetto! Questo è un tempio! Oimè, fermatevi, chi sono coloro che non conosco bene se uomini o donne vestiti a lutto con nere gramaglie, che hanno il viso coperto d’un pezzo di carta che ha l’aspetto di un cranio umano? Dove siamo mai?

Naz. Siete ad una festa di ballo: noi usiamo a questa di vestirsi così.

Ind. Ma cosa fanno quelle due persone ch’io credo di sesso indifferente inchinarsi non so a chi, [92] prendersi per mano e poi lasciarsi . . . . guardate ora si voltano le spalle: sono forse adirati? . . . . Nò nò sono ritornati amici, tornano a prendersi per la mano: passeggiano sempre in fianco: ora si abbassano, ora si alzano: ora si voltano a destra, ora a sinistra.

Naz. Zitto: non vi fate sentire, quello è un minuet.

Ind. Cos’è questo minuet?

Naz. È una specie di ballo usato fra noi.

Ind. Ed una simile bagatella voi l’eseguite con tanta serietà?

Naz. Osservatene ora un altro: questo è un ballo diverso che da noi si chiama contraddanza.

Ind. Io non vedo che due lunghi cardoni irregolari, uno formato di uomini, l’altro di donne: essi s’intrecciano, si urtano coi cappelli, colla vita; coi piedi: a coppia a coppia giungono alla fine del cordone . . . come sembrano stanchi, come sudano, come si smaniano!

Naz. Eppure assicuratevi che questo ballo forma il più grato dei piaceri, e non può sentirlo chi non lo prova.

Ind. Ma come mai si può provare piacere a stancarsi. Osservate alcuni sbadigliano, altri dormono sonoramente, chi spalanca la bocca, an-[93]nunziando il tedio mortale in cui sono assorti, chi passeggia svogliatamente da un capo all’altro della festa. Ma ditemi in grazia chi è quella donna così elegantemente vestita senza maschera sul volto, ch’è molto occupata a far la conversazione con tanti giovinotti che sembrano a lei avviticchiati?

Naz. Quella è una donna disgraziata, perchè le è stato detto ch’è la più bella e più graziosa di quante mai si vedono ai nostri spettacoli. La pubblica opinione ha dunque resa questa donna vana di sua bellezza, e le ha fatto trascurare delle qualità più importanti e più durevoli. Ella non è per questo meno sicura di piacere, giacchè si ama sempre una bella donna senza che si sappia troppo bene il perché. Osservate com’ella richiama a se gli occhi di tutta l’Assemblea. Ora ella fa il giro della sala preceduta, e seguita da un gruppo di Siberiti galanti, i di cui sguardi sono sempre rivolti, e fissi sopra di lei. Ella dal canto suo mirate come ricusa con indifferenza i taciti voti, ed i soffocati sospiri di chi la corteggia. Sorride all’uno, fa un segno di testa all’altro, si rivolta verso un terzo, consegna ad un quarto il suo ventaglio quasi per pegno di [94] sua fedeltà, e prende nel tempo istesso il braccio d’un quinto, con cui poi si mette a ballare.

Ind. Sospendente per carità. Quante cose in un fiato: sarei curioso di sapere chi sia quella donna ch’è attualmente in ballo, che sembra attempata, ma che è però una bella figura?

Nax. Quella è una donna ripiena di ottime qualità: ha dello spirito, del talento, e dell’educazione: ma io vorrei che ella si ricordasse che non è più in caso di far la galante soprattutto avendo una figlia che è in istato di molto meglio rimpiazzarla; ma quì come altrove questa è sempre quella cosa che le Signore mammine si dimenticano facilmente.

Ind. E quell’altra in fresca età che và girando soletta e che parla ora con l’uno ed ora con l’altro?

Naz. Quella è una giovine vedova che desiderava già di divenirlo da lungo tempo. Pochi giorni dopo la morte di suo marito ella mostrò una smania sì grande di passare alle seconde nozze che aveva scritti sul suo ravolino i nomi di quattro o sei pretendenti. Per sua disgrazia però ella non ha trovato fin ora nè un marito nè un amante. Vi sono delle bellezze che sono condannate a non essere nè amate, nè sposate.

[95] Ind. E questa bionda che si è fermata qui appunto in faccia a noi, la conoscete?

Nax. Quella è un portento: essa è singolare perchè non ama nè odia alcuno, anzi ella è incapace d’una passione. Si pretende che si ponga a sbadigliare, e si addormenti subito che gli si parla d’amore. Ella non sa cosa sia un sospiro, o non ne conosce il valore. Suo marito che si loda della sua saviezza e della sua virtù, non deve vantarsi se non della sua costituzione.

Ind. Dite davvero? E sia ciò possibile? Ma caro amico scusate l’importuna mia curiosità, chi è quella donna con una testa così ben guarnita posta colà a sedere in mezzo a tanti che tutti tiene a bada?

Naz. Questa è di un carattere opposto all’altro di cui or ora vi parlai. Ella non è insensibile; anzi ha la passione d’innamorare, se è possibile, tutti gli uomini senza innamorarsi mai alla stessa. Quanti mezzi ella mette in opera per farsi amare da quelli che poi ella non ama! Frequenta le Assemblee numerose e brillanti; si trova a tutti i passeggi, ai Teatri, alle feste di ballo di Città e di Campagna. Alla fine di un Carnevale ella ha fatto parec-[96]chie conquiste, ha incatenato al suo carro parecchi disgraziati, che rimpiazzano quelli che stanchi di più soffrire sono abbastanza forti e risoluti per rompere le sue catene. Appunto guardate questo giovine che viene verso di noi con grande pettinatura e senza cappello, questi pochi giorni addietro non aveva altri occhi se non per vedere le attrattive di quella sua bella; addesso la fugge, la disprezza, e l’abborre. Ma ormai il vostro abito naturale si fa osservare di troppo: passiamo al Ridotto; con una carta geografica che vi mostrerò di quel luogo vi porrò al fatto di molti galanti e curiosi fattarelli. ◀Dialog ◀Ebene 3

Aneddotti

È Morto a Llanvare presso Ruthin nel Dierbighsbire una figlia attempata che lasciò in testamento la somma di tre ghinee ad un suonatore di arpa con patto che nel giorno dell’umazione del suo corpo ei dovesse eseguire sul suo sepolcro due arie lugubri che a tal fine si aveva ella medesima prescelte. Un grande concorso di popolo si portò alla Chiesa per sentire il povero musico legatario, ch’era un vecchio domestico della defunta. [97] Vedendosi circondato da tanti spettatori non potè trattenere le sue lagrime, e non si trovò in istato di eseguire gli ordini della sua padrona, se non dopo di avere dato un libero sfogo al suo pianto.

Durante il soggiorno fatto a Vienna da Pietro il Grande, l’Imperatore Leopoldo rinnovò per lui l’antica festa dell’Oste e dell’Ostessa, che non si era fatta mai nel decorso del suo regno.

L’Imperatore è l’Oste, l’Imperatrice l’Ostessa il Re de’Romani, gli Arciduchi, le Arciduchesse sono ordinariamente gli Ajutanti, e ricevono nell’Osteria tutte le nazioni vestite all’antica loro moda. Quelli che sono invitati alla festa traggono a sorte dei biglietti sopra ciascuno de’quali è scritto il nome della nazione, e della condizione cho (sic.) si deve rappresentare. L’uno ha il biglietto di Mandarino Chinese, l’altro di Mirza Tartaro, di Satrapo Persiano, o di Senatore Romano. Si formano delle danze adattate a questi caratteri. L’Oste, l’Ostessa e la loro famiglia servono a tavola: quest’è l’antica instituzione. Ma in questa occasione il Re da’Romani, e la Contessa di Traun rappresentarono gli antichi Egizj; l’Arciduca Carlo, e la Contessa Valstein i Fiamminghi del tempo di Carlo V. L’Arciduchessa Maria Elisabetta e il Conte di Traun erano in abito di Tartari; [98] l’Arciduchessa Giosessina col Conte di Workla alla Persiana; l’Archiduchessa Marianna, ed il Principe Massimiliano d’Hanovre da paesani della Nord-Olanda. Pietro il Grande da paesano di Frisia, e non gli si parlava, che in tal qualità favellandogli sempre del Gran Czar di Russia.

Una Dama si era recata in una Chiesa di Frati coll’idea di confessarsi. Trovò appunto uno di quei Religiosi in un Confessionale che leggeva il Breviario. Gli si mette ginocchione e gli confessa tutte le sue colpe. Nulla mai rispondendo il Confessore, essa le chiese l’assoluzione. – Io non posso darvela, perchè non sono confessore. – Come non avete questa facoltà, e mi ascoltate? – Chi vi ha comandato di venire a palarmi? –Anderò a ricorrere al vostro superiore. –Ed io anderò a aaccontare (sic.) a vostro marito le belle cose che mi rvete detto. Questa risposta mitigò la collera della Dama, la quale pensò che meglio era di ritirarsi tranquillamente.

[99] Gabinetto delle mode

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Spiegazione della tavola VI. Fig. 10

Mode Francesi.

Fremdportrait► LE nostre Dame avendo adottati li carachi quasi esclusivemente a tutte le altre sorta di vestiti, era relativamente necessario che si applicassero a variarli, ed abbellirli, e a levar loro quella grande semplicità, quell’uniformità che a lungo andare finisce con dispiacere, qualunque sia la sua eleganza, il suo gusto, precisamente perchè non varia, e quindi ferisce sino a questo punto le leggi della moda. Per ritenere le relative convenienze, hanno perciò variati ed abbelliti tai carachi caricandoli di ricami. Questo è un male perchè in tal guisa ne sollecitano la fine, tuttocchè debbasi convenire che la varietà, l’abbellimento che vi hanno aggiunto, è di un perfetto gusto, e che nulla di più bello all’occhio sarebbe impossibile d’immaginare.

Questo bello è sensibilissimo nel caraco quì figuratol. È questi di mussolina bianca solia: egli è ricamato sulle partite davanti, sullo patelette, sul [100] colletto e sui paramani di fiori di varj colori. La sua sottana è posta sopra altre sottane bianche senz’alcuno trasparente di colore.

Sopra il caraco tiene in cintura un largo nastro coquelicot colle sue estremità di dietro pendenti assai basse.

Sotto questa cintura sono adattati due scarsellini per i due orologj, a cui sono attaccate delle catene fatte di granelli blò d’India guarnite d’oro arte ad attaccarvi chiavi, e bijoux.

Al collo un fazzoletto di darza tutto solio, assai gonfio, ed alquanto aperto verso il mento.

Alle mani dei lunghissimi guanti di pelle color coda di canarino.

Scarpe coquelicot.

Un mazzetto di fiori artefatti al petto.

In testa un cappello alla Teodora colla testiera alta, e fatto di garza bianca guarnita di bella bionda colli bordi assai stretti, fatti di raso blò celeste con un nastro coquelicot, guarnito di un mazzo di fiori pure coquelicot, e di foglie di rose, restandovi pendente di dietro una gran vela di garza bianca solia attaccata colle punte alla sommità della testiera.

L’affetto del capo è a tapet con quattro ricci per parte a due giri pendenti sul seno; i capegli [108] di dietro sparsi alla Senatoria legati nel mezzo con una spilla alla Cagliostro.

Abbiamo di sopra accennati i guanti lunghissimi di pelle per far sentire la differenza dei guanti attuali da quelli che si portavano da qualche tempo, e che rassomigliavano ai guanti da uomo. Questa differenza stabilisce quella pure che deve regnare fra le maniche attuali, e le vecchie dei carachi. Queste maniche non possono più discendere fino alla mano; bisogna che siano fatte a gala, e che non oltrepassino il gomito.

Si è di sopra pure mentovato la testiera del cappello di garza bianca guarnita di bella blonda per indicare che questi cappelli alla Teodora hanno ricevuto una nuovo moda, e che non sono fatti come prima di taffetà cinti con dei larghi nastri di differenti colori. Di questi cappelli se ne fanno ora di velo blò celeste, color di rosa, coquelicot con testiere gonfie, di modo che essi della prima forma non hanno che i bordi cadenti a guisa di terro: ben presto ricondurranno i cappelli bonnetti. ◀Fremdportrait ◀Ebene 3

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[102] Tavola VII. Fig. 15.

Mode Inglesi.

Fremdportrait► È Giusto che avendo noi annunziate le mode Inglesi sieno anche queste esposte qualche volta come le Francesi agli occhi del pubblico. Crediamo però che non sembreranno novissime ai nostri Associati, perchè sono esse propriamente le mode Francesi che sono ora a Londra adottate dagl’Inglesi: comunque sia la cosa noi siamo obbligati a darle per non mancare al nostro dovere.

L’Inglese qui raffigurato è vestito con un abito blò celeste a colletto alto, ornato d’una cordoncella di seta o pistagna scarlato con fodera di panno pure scarlato, e guarnito di larghi bottoni di panno bianco ricamati all’intorno di seta scarlato.

Sotto quest’abito un gilet a righe larghe bianche e scarlato bordato d’un lungo sfilato scarlato e bianco.

I calzoni di panno casimir coda di canarino colli centurini, bottoniere e cuciture ricamate difesa blò celeste.

Stivallini di cuojo lucido nero dal piede sino a [103] grosso della gamba, e da qui sino al ginoccho che devono sorpassare, di cuojo simile naturale con piccioli bottoni da una parte neri lucidi.

Non sono che quindici giorni dacchè furono adottati tai stivallini dai Damerini Franco-Inglesi. Invece di questi molti hanno ripreso i stivalli molli di due colori metà neri sino al grosso della gamba e metà di color naturale del cuojo fino al ginocchio. Questa moda che da gran tempo regnò a Parigi, e che ritorna ora a seguirsi la dobbiamo realmente agl’Inglesi. Pare che siano essi predestinati ad ornare le gambe e la testa dei nostri Petits-Maîtres giacchè questi hanno addottato tutte le loro foggie di cappelli, come sono i cappelli jockei, i cappelli à l’Androsmane, i cappelli montati all’Inglese ec.

Questo Inglese ha diffatti in testa un cappello à l’Androsmane con una grande cocarda di nastro nero applicata alla sinistra della stesso capello.

La pettinatura è di un riccio solo assai basso. I suoi capegli di dietro sottilmente incodati.

Una crovatta al collo colle sue estremità componenti un grosso nodo davanti guernite d’un leggier pizzo.

La gala ed i manichetti della camicia sono pure di pizzo.

[104] Alle mani guanti di pelle color coda di canarino. Colla destra tiene una canna, e colla sinistra ripone in tasca il suo fazzoletto. ◀Fremdportrait ◀Ebene 3 ◀Ebene 2

Tavola

Delle Materie contenute in questo Numero IV.

Mode pag. 83

Novità. 84

Articolo sensibile. 86

Squarcio d’un Galateo di nuovo conio. 87

Toletta. Mantecca per le fessure dei labbri. 90

Carnevale. ivi

Aneddoti. 96

Gabinetto delle Mode. Spiegazione della Tavola VII. Fig. 10. 99

Tavola VIII. Fig. 11. 101 ◀Ebene 1