Il Caffè: XII
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XII
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Zitat/Motto
ro beni in maniera che gli eredi, ch’essi lasciano, debbono essere
risguardati come procuratori per un’affare che gl'interessa.(1)1".
Metatextualität
che capisco che queste mie riflessioni debbono parere alla maggior parte d’essi, sogni
d’un fanatico, idee stravaganti, e ridicole, progetti chimerici. Felice me se non mi s’attribuiranno
intenzioni maligne, e se alcun uomo ragionevole benchè sconosciuto, o disprezzato, applaudirà
segretamente, se non alla giustezza de’miei ragionamenti, almeno all’amor della umanità che mi ha
spinto a pubblicarli. Finirò con Montesquieu,
Avviso primo.
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Brief/Leserbrief
Signori Caffettisti. Nel foglio primo nella storia naturale del Caffè
vi siete serviti della voce Pavimento, e dovevate dire suolo, ve ne do avviso per vostra regola. Il
ciel vi salvi.
Avviso secondo.
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Brief/Leserbrief
Signori del Caffè. La storia naturale del Caffè è descritta nel
Dizionario Enciclopedico e nel Savary, onde non è cosa nuova. State sani.
Risposta.
È vero, che i due Dizionarj citati descrivono il Caffè colle proprietà che gli assegniamo noi, ma non è colpa nostra, se il Caffè è sempre la stessa pianta e per Savary e per gli Enciclopedisti e per noi. Se tutt’i lettori del nostro foglio avessero letto in prima que’due Dizionarj, la descrizione da noi fatta del Caffè non sarebbe stata cosa nuova. Stia sano anch’egli.Avviso terzo.
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Brief/Leserbrief
Signori Caffettieri. Avete detto nella prima pagina del primo foglio
la notte è illuminata: sproposito insigne, perchè la notte è oscura, non illuminata. Scusate la
libertà, e sono ec.
Risposta.
Quando vi siano accese delle buone candele ci pare che la notte possa dirsi illuminata. In avvenire diremo così: era oscurata la notte da moltissime candele. Scusiamo la libertà, e lo lasciamo quale ec.Avviso quarto.
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Brief/Leserbrief
Signor Demetrio. Dite ai vostri Scrittori, che è cosa facilissima lo
scrivere come essi fanno; e che li riverisco.
Risposta.
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Brief/Leserbrief
Amico Demetrio. Dite al vostro corrispondente, che ce lo provi
scrivendo anch’esso qualche cosarella del suo, e che frattanto gli diamo il buon giorno.
Avviso quinto.
Signori del Foglio.Ebene 3
Brief/Leserbrief
Il discorso sul Giuoco del Faraone è tutto preso dalle Ricreazioni
Matematiche dell’Ozanam, e dall’Accademia de’Giuochi.
Risposta.
Nè il Signor Ozanam, né l’Accademia de’Giuochi hanno calcolato il Faraone. Ciò non è stato mai fatto che dai due Autori citati, Montmort, e Moivre, i quali hanno scritto per gli Algebristi.Metatextualität
Per consolazione poi di tutti quei che ci
trasmettono tanti avvisi, pubblichiamo il seguente. P.
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Saggio di Legislazione sul Pedantesimo.
E quando sia che sappiano anche le delicate Madamigelle alle loro toillette, e le tenere Spose fra i soavi profumi d’un solitario gabinetto, che razza d’uomini furono coloro che vissero ne’secoli addietro, sicchè nominando Epaminonda, Tullo Ostilio, Comizj, Campomarzio, Centurie, non s’abbia ad interrogare che razza d’animali sono eglino costoro? Ciò non oso dire, che accada a’dì nostri, ma per certo non avverrà che quando ci spoglieremo ormai di quell’austero Pedantesimo, che sparge la melanconia sopra tutte le cognizioni, e che ha fatto delle belle lettere la cosa più sonnifera del Mondo. Chi ci vien di questi eruditi ad opprimere con grossi volumi chi con largamente stemprate dissertazioni, chi con medaglie, iscrizioni, pergamene ci addormenta; in somma la maggior parte vendonci al caro prezzo di eterna noja molte parole, e poche cose. Nelle Scienze, e nelle Lettere, in ogni umana cognizione per fine, vi abbisogna ogni sorta di moneta; grande, minuta, d’oro, e d’argento, poichè come in uno stato dalle grosse monete d’oro fa d’uopo discendere sino a quelle di rame, o d’argento, acciocchè ad ognuno venga facilitato il commercio, onde chi non può spendere la dobbla, spenda il paolo; così pure convien fare nelle Scienze. Vi partecipino tutti gli uomini se è possibile, sappia il volgo la decima parte di quello che sa l’uomo illuminato, sappia l’Artigiano il triplo del volgo, sappia il Mercante più dell’Artigiano, sappia per fine ogni vivente qualche cosa di più che mangiare, bere, dormire, sbadigliare, e seccare il suo prossimo, le quali doti mirabilmente sono unite per lo più alla vita priva di miserie, e di bisogni. Ma che farò io meschino sepolto in un canto dell’Universo, di non altra autorità munito, cde di quella che somministra la ragione? Pretenderò io forse a questo tavolo, in quest’oscuro gabinetto d’esser Legislatore? Pure per quanto piccola cosa io mi sia in questo Mondo non credendomi l’ultimo degli uomini, io scriverò per quelli che mi vengono addietro; e se pur nessun m’ascolta a te io parlo, o Calif mio fido con barbone, che pur sei sì buono, e sì ragionevole, senz’astio, senza maldicenza, senza inimicizia del merito; ascolta e dimmi poi, se i precetti ch’io propongo non meritano quattro Sonetti, cinque Madrigali, otto Canzoni e due mila Pasquinate da quelle penne felici, che da Socrate sino al 1764. esercitarono la pazienza degli uomini ragionevoli.I.
Quando taluno avrà la malaugurata voglia di diventar autore, non cominci prima col dire: Io voglio fare un libro in foglio per esempio sull’Etica; ma bensì dica: Ho varie idee su di questa materia, proviamoci a scriverle più chiaramente, e concisamente che si può; venga poi il libro in ottavo, in quarto, in foglio, ciò non importa. Per lo che sia ogni libro proporzionato alla sua materia.II.
Saranno proibite tutte le prefazioni, veramente prefazioni, al Leggitor cortese, al benigno Lettore, ad cupidam Juventutem, e gli avant-propos, avis au public, du Libraire, buona parte delle note e de’commenti, le tavole degli Autori citati, li testimonii intorno all’autore, e simili riempiture che ingrossano inutilmente i volumi, come l'esperienza ci dimostra; e ciò a cagione che non pochi si disgustano della grossezza de’libri, e misurando da quella fatica, che si deve fare per intenderli, prendono il comodo partito di restar ignoranti.III.
Converrà cominciare le opere dove cominciano le idee chiare e precise, e non al di là di quelle, come sanno coloro che con un lungo proemio (che per esser della vera razza de’proemj starebbe tanto a capo di un libro di Astronomia, come di uno di Legge) con un lungo proemio, dissi, vi spuntano da lontano, e vi si aggirano intorno, intorno alla materia di cui imprendono a trattare per tanto tempo, che finalmente non vi cadono, che alla metà del volume, e poi non hanno rossore di dirvi, per entrare come si dice di piè pari in materia; per non istar più sul praemiare e simili tradimenti.IV.
Chiunque vorrà stampare alcuna sua opera, dovrà sempre aver di mira d’instruire gli uomini, non di affogarli in un mare di erudizione, o di sfoggiare tutte le sue cognizioni a luogo, e fuor di luogo, inserendole se non lo può nel contesto dell’opera, in note, addizioni, rimarche, nota bene, e simili cose, che fanno i libri sgraziatamente abbondanti, gonfi piuttosto, che pregni d’idee.V.
Dovrassi dalla studiosa gioventù prima d’ogni cosa dar buona ordine alle proprie idee, avvezzarti a far uso della ragione, ed a sentire la verità a preferenza della autorità d’opinione, e poi sarà loro concesso di seriamente occuparsi, se il vogliono, e della ortografia, e della lingua; ma non mai comincieranno da quest’ultime, atteso che sono sterili facoltà, serve, e non padrone de’nostri pensieri, e che altro produrre non sogliono che miseri Pedantelli, o come la crusca vorrebbe Pedantuzzi, altrettanto vuoti d’ingegno, e d’idee, quanto gonfi d’accenti gravi, acuti, di apostrofi, interponzioni, raddoppiamenti di vocali, consonanti, e di tante belle bellissime parolette, e periodini che non pronunciano mai senza sorridere per una secreta compiacenza, di modo che sono nel medesimo tempo attori, e spettatori di se stessi.VI.
Abbandonerassi la ormai ridicola, e smacherata Impostura d’alcuni gravissimi eruditi, che si arrogano la dignità di primi ministri della Storia, delle medaglie, delle antichità, di modo che sembrano avere sempre in corpo una dozzina di Marc’Aurelj, e di Vespasiani, ed esigano per loro medesimi la venerazione a quelli dovuta; e perchè son pieni di storia Greca, or credonsi Filippo, ora Amilcare, or Pausania, onde col contegno grave, e severo ne sostengono meravigliosamente il decoro. Così pure alcuni mediocri Rimatori converrebbe che più non facessero gli occhi sviati, e stravolti, il crine o la parrucca rabbuffata, o tenessero gli abiti laceri, succidi, e negletti affettando così di essere assorti in un estro che non ponno avere; e mill’altri pure converrebbe che si riformassero, i quali per esser un poco ragionevoli affettano una tale negligenza delle umane cose, che fa odiare la sapienza istessa ne’suoi professori, e che fa il popolo, malamente unisca la sacrosanta idea di Filosofo a quella di delirante.VII.
Scrivendo in Italiano, o in altra lingua, non farassi una vana pompa di termini rari, e prelibati, facendo in tal modo che la lingua nazionale diventi forestiera, e che abbisogna di traduzione; ma bensì rinunciando a questa misera superbia scriverassi per essere inteso da tutto il Mondo, giacchè non si deve scrivere, o stampare che per far sapere a quanti più si può quello che sappiamo noi.VIII.
Non si chiameranno più superficiali quegli uomini insigni, che sapendo la difficil’arte di mescolare l’utile al dolce, resero comuni, e piacevoli le lettere che in prima erano ispide di pedantesimo. Più non si dica, che il Sig. N. N. ne’suoi saggi della Storia Universale è pieno di falsità, senza indicare quali sieno queste falsità, anzi leggendola, e rileggendola, ed essendo alla fine debitori ad essa di quel poco che sanno in questa materia, sicchè nel medesimo tempo che la biasimano forz’è, che se la tengano come un’inesausto magazzino di Filosofia, e di erudizione, che non fu mai sì bene accoppiata colle grazie.IX.
La sapienza non consisterà più nella sola memoria, nè più dirassi scire est reminisci, ma bensì, scire est ratiocinari. Onde non dovrassi avere per uomo di buon senso colui, che sappia molto d’istoria, di erudizione, e molti frontispizi di libri, e molti nomi di Re barbari, qualora tali cognizioni non saranno che un’inerte deposito nella sua mente, dalle quali nessuna conseguenza ne deduca e nessun ragionamento; poichè la ragione vuol’essere Signora della mente umana, e nessuna delle umane cose si deve sottrarre al dolce suo impero, onde costoro, che hanno ripieno il capo di una disordinata erudizione, non chiameransi che meri vocabolarj della Repubblica Letteraria. Ma non credano essi per ciò di essere inutili ad ogni cosa, che anzi è giusto il dire, che di tali creature ve ne vogliono come quelle, che alla occasione rischiarano la storia, e le antichità anche nelle sue miniature, ed allora soltanto meriteranno il nome di soperchiatori, quando passando incautamente gli stretti confini del loro sapere, alzeranno orgogliosamente la garrula voce decidendo indiavolatamente d’ogni cosa, ed opprimendo con una facile vittoria a forza di polmoni la modesta gioventù, e sempre parlando, e non mai ascoltando crederansi, non so perchè, di non potere se non ben ragionare, e che il restante degli uomini non merita di lasciarli terminare un periodo, per sensato ch’egli sia.X.
Taluni hanno fatto della ragione una cosa si duttile, e maneggievole che credonsi di poterla stirare qual molle cera in ogni parte, per il che non amano la verità per se medesima, ma bensì con ordine inverso cominciano dal supposto, e poi vi addattano le ragioni. Del qual male sono in buona parte cagione quegli institutori della gioventù, che insegnano a sostenere a spese della Logica, che pur è una sola, qualunque tesi, e che gettano la sterile scienza de’loro sogni nell’avida turba di più scolari, i quali inaffiati da questa pioggia di sapienza, anzi che diventare pacifici indagatori del vero, divengono ostinati, e loquaci sostenitori di quanto di buono, o di cattivo scrissero, ed ascoltarono; ed a ragione disse l’eccellente Poeta del Mattino, che fanno nascere avversione agli studj di PalladeEbene 4
Zitat/Motto
. . . . . . . ”i queruli recinti Ove l’arti migliori, le scienze,
Cangiate in mostri e in vane orride larve, Fan le capaci volte eccheggiar sempre Di giovanili
strida.
XI.
Sarà proibito il dire, che il tavolino ammazza l’uomo, il che non concedo se non nel senso che si dia il tavolino sopra la testa; poichè anzi gli esempi ci provano, che gli amatori della vita sedentaria e studiosa vissero lungo tempo, e tali sono per dirne alcuni, che mi cadono sotto alla penna, Platone che visse anni 108. e ne’moderni il Padre Calmet, il Signor Giovanni Bernoulli, il Cav. Newton, il Signor di Fontenelle, ed il Sig. Lodovico Antonio Muratori, ec. i quali tutti vissero lungamente, benchè fossero stati molto al Tavolino. Per la qual cosa releghiamo questa frase pedantesca fra di coloro, che interrompono i loro studj con frequenti sbadiglj, e che ne preparano a’cortesi Lettori; essi la usino, che hanno ragione, poichè certo la noja indebolisce la complessione, come io lo provo in certi luoghi, più di raro però che posso.XII.
Dovranno in oltre tutti li seguaci della ragione guardarsi bene dall’insultare, o deridere personalmente i Pedanti, poichè egli è da uomo ragionevole il tolerare gli errori, ed i difetti degli animali della nostra specie; onde non sarà permesso che di burlarsi del Pedantismo, ma non mai personalmente de’suoi professori, i quali tutt’al più possono essere compresi nel numero degli uomini, che hanno una particolare pazzia, e non è fuor di luogo il credere, che fra tante cose curiose che fanno gli uomini, in qualche paese, vi sia stato, o vi sia un Ospedale di Pedanti.Metatextualität
La giusta e discreta doglianza fattaci da alcuno de’più rispettabili
nostri Lettori intorno all’incomodo di vedere ne’nostri fogli interrotto per lo più il senso,
terminando il foglio dove la materia non è terminata, ci ha mossi a proccurare in avvenire di fare
che ogni foglio, come distintamente si distribuisce, così anche possa far casa da se. A questo fine
occuperemo gli spazj, che non bastano a contenere tutto un discorso, con alcune Riflessioni sopra
varj soggetti, che si dicono nel nostro Caffè, senza cercare d’interporvi quella
unione che l’indole loro non comporta; essendo esse nate dal fortuito giro de’diversi ragionamenti,
che vi udiamo, e scelte a misura che ci pajon degne d’essere scritte. Eccone frattanto alcune.
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Memoriale ad un rispettatissimo nostro Maestro.
Brief/Leserbrief
Illustrissimo Signore. Alcuni degli Autori del Caffè umilissimi
Servitori di V. S. Illustriss. avendo udito vociferare, ch’ella trovi temerario il loro assunto di
diventare autori in sì fresca età, ed intempestiva la voglia di ragionare (delitto enorme che non si
perdona, che dopo la morte), e che perciò sia mal contenta che s’ardisca scrivere così un poco
ragionevolmente, senza avere acquistato tal diritto con mezzo secolo di laborioso tirocinio; queste,
ed altre tali serissime riflessioni avendo essi udite con infinito dispiacere, punti quindi nel più
vivo del cuore d’avere incontrata l’alta di lei disapprovazione, chiedono benigno compatimento a V.
S. Illustriss. che mai più non offenderanno d’ora in avanti l’l’Illustrissimo amor proprio della
medesima, col pretendere che senza la di lei protezione si possa ragionare anche tolerabilmente, e
col dare a divedere, che basta avere una testa, la quale possa ricevere delle idee, e che tenga due
occhj uno di quà e l’altro di là dal suo bravo naso, i quali occhi abbiano la facoltà di vedere gli
oggetti almeno alla lontananza di un palmo, leggendo con questi occhi su tanti buoni libri ch’ora vi
sono in ogni bottega di Librajo, si possa senza incomodare V. S. Illustriss. sapere
così qualche cosetta. Ma sono molto bene puniti della loro temerità i poveri Autori da V. S.
Illustriss., la quale non annuncia il foglio del Caffè senza abissarlo con un censorio sorriso in
quella oscurità, di cui lo giudica clementissimamente degno. In tale stato di cose osano pur
supplicare V. S. perchè si degni di abdicare in grazia de’supplicanti una minima porzione di quel
diritto, che a V. S. compete, per immemorabil possesso sulle libere menti degli uomini, su’loro
studj, sulle oneste loro occupazioni, ed a rilasciare un tantino dell’alto di lei dominio nel regno
della ragione: conciossiachè accordano benissimo i supplicanti, che V. S. Illustriss. ha già da
molto tempo il monopolio della facoltà ragionatrice in cui tanto si distingue, ma, se di tanto
possono lusingarsi, ella sarà una grazia singolare degna del bel cuore di V. S. Illustriss. il
concedere loro almeno titolo di precario un pocolino di jus a ragionare. È vero verissimo che taluni
de’sopradetti Autori hanno non molta barba sul mento giovanile, hanno i respettivi loro denti in
bocca, sono vegeti, sani, robusti grazie al Cielo; È vero, che non hanno inondata la Repubblica
Letteraria con una dozzina di volumi in folio; egli è vero altresì, che l’età di tutti quanti
insieme non eccede di molto un secolo; ma siccome che la ragione sembra, che non debba misurarsi
dagli anni, poichè loro è stato detto che vi furono a questo mondo de’grandi Uomini di vent’anni, e
de’gravissimi buffoni di sessanta, così i supplicanti pregano V. S. Illustriss. a giudicare delle
produzioni indipendentemente dalla loro gioventù. E certo V. S. intenderà benissimo, che il sapere
dipende e dal primo getto della testa, e dal metodo con cui nella testa s’introducono,
e si collocano le idee; onde se mai alcune teste, che non fossero le più male organizzate che natura
abbia poste fra due spalle, avessero con ordine, scelta, ed intenzione studiate, e meditate le cose
di quaggiù, vi sarebbe fra i casi possibili quello, che queste tali teste potessero essere
ragionevoli benchè non per anche calve. In ogni caso sperano i supplicanti di placare co’loro
Letterarj sudori il ben giusto sdegno di V. S. Illustriss. e finalmente per ora di null’altro la
supplicano se non se di voler accordar loro la superiore protezione, che implorano e per
giustificazione di loro medesimi, se in avvenire ragioneranno, e per la indennità del buon senso di
tanti, i quali hanno sin ora osato leggere con qualche piacere gli scritti loro; che della grazia
ec.
Brief/Leserbrief
Illustrissimo Signore.