Il Caffè: VII
Permalink: https://gams.uni-graz.at/o:mws.6741
Ebene 1
VII
Ebene 2
Ebene 3
Brief/Leserbrief
Ebene 4
Satire
svisceratissimo Amico, dovete sbracciarvi accostando, e allontanando
ambe le mani alternativamente dalla bocca; facendo più volte un Orate fratres, e seeundum qualitatem
personarum, talora a ciò s’aggiunga un riso, un ah ah, e persino un ruggito da Leone; ed eccovi
fatto un amico intrinseco. Aggiungerò poscia la esatta calcolazione di quelle
riverenze, le quali si fanno più dilicatamente, accostando bel bello l’estremità delle dita della
mano destra al labbro con un insensibile curvamento, indi scostandola adagio adagio con uno schiavo
per lo più nasale, e con un vezzoso increspamento di pelle da Mandarino Chinese, che sorride. Vi
sarà una annotazione su i Profondissimi; e sono, questi Profondissimi coloro, i quali da animali a
due piedi diventano ad un tratto quadrupedi, e presentando al Protettore tutto il disco della loro
umilissima schiena pare che voglian dire, Vossustrissima mi faccia l’onore di bastonarmi. A questi
implacabili facitori di riverenze io mostrerò, come le carotidi secondate dalla gravità della Terra
debbano fare una inondazione di sangue nel capo, ed entrerò a degustare un po’ di fisica,
dilucidando l’azione che questo rigurgito deve fare sulle meningi, e quindi sull’ordine delle idee
per quel nesso occulto, per cui la disposizione organica vi influisce. Finirò poscia consigliando ai
Profondissimi di stringersi ben bene la parrucca in capo, acciocch’ella non cada in segno d’omaggio
ai piedi del riverenziato. Poichè tutto ciò sia fatto, entrerò a dare una corsa alla Istoria, e farò
vedere, come alcune Epoche memorabili abbiano fatto cambiare le riverenze in diversi luoghi. Così la
battaglia famosa di Salamina fece mutare tutte le lezioni di ballo ai Greci; così la battaglia
d’Azio fu cagione, che mutassero riverenze i Romani; e discendendo poi verrò allo stabilimento di
Costantinopoli, agl’imperatori Ottoni, a Federico Primo, e nelle altre Nazioni ad altri Principi e
Uomini illustri, fra’ quali avran luogo distinto Cromwell, il Cardinale Richelieu, Filippo secondo,
Carlo Duodecimo ed il Czar Pietro. Delle donne converrà ch’io dica qualche cosa. Elleno
non secondano i cambiamenti, che accadono negli uomini, e ciò cred’io, perchè sono esse come uno
Status in Statu, che non ha immediata parte nel governo. Da ciò farò vedere, come la maggior parte
delle Donne Europee nè abbassino il capo, nè incurvinsi negl’inchini, ma si contentino di
rannichiarsi, ed allungarsi, conservando rigidamente la perpendicolare. Entrerò poi in una
complicatissima questione, cioè se di due, uno de’ quali faccia una profondissima riverenza, e
l’altro la riceva, possa dirsi, che ciascuno di essi abbia sincerità, cognizione, e stima
dell’altro; e la risolverò stabilendo, che almeno una di queste tre cose manca in uno dei due. Per
dire poi qualche cosa dei caratteri degli uomini farò vedere, che l’uomo saggio risguarda tutte le
cerimonie come mezzi efficacissimi per tenersi lontani gl’importuni o i malvagi. Egli fa una
moderata riverenza lontana dal fasto egualmente, e dalla bassezza; e poichè gli uomini hanno fatta
una tacita convenzione, per cui l’incurvarsi il dorso è un segno d’ossequio, egli urbanamente lo
mostra a chi conviene con questo segno. Gli uomini timidi fanno per lo più o profondissime
riverenze, o non ne fanno di sorte alcuna. Le fanno profondissime a coloro da’ quali sperano; e non
ne fanno nessuna a coloro che odiano, essendo propria della debolezza la rusticità. Gli uomini
pessimi sono bene spesso de’ più officiosi, poichè temendo essi in ogni uomo o un testimonio, o un
rimproveratore delle loro iniquità, implorano colle riverenze, e colla adulazione quella connivenza,
di cui tanto hanno bisogno. Sono essi ben sovente gli uomini i più compiacenti di tutti. Gli sciocchi poi (che sono pur pochi!) sono stravaganti nelle riverenze loro, come lo sono ne’
loro ragionamenti. Altri pare, che vacillando vi cadino a’ piedi; altri serpeggiano e gambettano in
mille sconci modi, ed or con l’uno, or con l’altro piede alternano, come se scagliassero calci; ed
altri in varie guise, le quali saranno distinte in sei Dissertazioni divise in trenta Capitoli, e
ciascun Capitolo in tre Sezioni, e ciascuna Sezione in quaranta paragrafi, col che sarà fatto un
mirabil ordine di parole sempre pregievole, quand’anche non vi fosse nessun ordine nelle idee.
Finalmente farò vedere, quanto siano incomodi i saluti di taluni, che inchinandosi
profondamente vi afferranno come in una tenaglia a tutta forza la mano, e replicatamente tutto il
braccio vanno scuotendo; quindi in segno d’estrema benevolenza digrignano per fine i
denti quasi per tener raccolto il fiato a sì gran fatica, e terminano sciogliendo uno schiavo,
sprigionando un addio, lasciandovi un carissimo, uno stimabilissimo di tutto cuore, con un tuono
falsetto penetrante che consola. Questi vi farò vedere come siano i veri amici. Non avete che ad
aspettarne l’occasione per essere convinti, che sono di vero cuore. Quanto poi agl’inchini de’
Preziosi io non ardirò di esprimerli altrimenti, se non trascrivendone la corta e vivace
descrizione, che ne fa un nuovo Giovenale in questi termini
Metatextualität
Per interrompere poi la noja al Lettore d’una continuata lettura interporrò
un benissimo intaglio in Rame, rappresentante la celebre riverenza, che Marco Tullio Cicerone fece a
Cesare, quando venne trionfatore da Farsaglia, delineata da un antico basso rilievo.
Ebene 5
Exemplum
Farò menzione della celebre riverenza dei Signor Cristoforo, quando
inchinandosi al Sig. Tommaso gli urtò colla testa sì potentemente nello stomaco, che il Sig. Tommaso
perdette la respirazione, e il Sig. Cristoforo la parrucca; onde uno stordito dalla percossa, e
l’altro a testa ignuda rimasero stupidi guardandosi in viso per ben due minuti, finchè uno
ricuperato il fiato, e l’altro la parrucca, il Sig. Cristoforo disse chiamo mille scuse, e il Sig.
Tommaso rispose non v’e niente di male; con che s’accomodò anche questa, come tutte le differenze
cerimoniose, per ispasmodiche ch’elleno possan essere, hanno fine con quelle magiche parole.
Ebene 5
Zitat/Motto
. . . egli all’entrar si fermi Ritto sul liminare, indi elevando Ambe
le spalle, qual testudo il collo Contragga alquanto, e ad un medesmo tempo Inchini il mento, e col
estrema falda Del piumato cappello il labro tocchi.
Metatextualität
Le lettere ci piovono da ogni parte, e quello, che ci consola si è,
che speriamo che siano per piacere al pubblico. Almeno ella è cosa sicura che piacciono a noi. Dalle
Riverenze passiamo ad un soggetto interessante la Fisica, e sono le Osservazioni sul Clima Milanese.
Ecco la lettera che ci è stata diretta.
Ebene 3
Brief/Leserbrief
Amico.
scienza, che può essere anch’essa delle più utili, e nella quale relativamente al volerne
predire gli evenimenti non vi hanno ancora che chimere, ed inconseguenze. L’esempio della Francese
Accademia delle Scienze, che quasi da cent’anni non ha interrotto le giornali osservazioni de’
fenomeni dell’Atmosfera, mi ha determinato ad osservare io pure, e scrivere di giorno in giorno
quelli di questo Insubre Cielo, e gli effetti che seco traevano. Queste osservazioni, e le
illazioni, che si possono derivare, non sono indifferenti allo scoprire maggiormente la natura di
questo tuo Patrio Suolo. A Demetrio ho domandato il tuo nome. Se possono essere di qualche uso a te,
cui sprona il vero utile e l’amore non fanatico di tua Patria, e di tutti gli uomini,
le mando, altrimenti gettale al fuoco. I Giornali delle osservazioni Meteorologiche da me fatte in
questa Città e in questi contorni cominciano dall’anno 1756. Quest’Epoca in tal genere di cose è
rimarchevole, cominciando essa da una fisica universale rivoluzione di tutto quasi questo terrestre
Emisfero. Ad ognuno è noto, che nella fine dell’antecedente anno 1755 fu l’Europa, e buona parte
dell’Africa, e dell’Asia ancora da’ Diluvj di piogge, da debordamenti di fiumi, e da torrenti
inondata, da turbini di vento agitata, e finalmente da terremoti scossa, de’ quali il centro Lisbona
porterà per lungo tempo la funesta memoria. Se è vero, che nelle cose fisiche dopo una grande e
forte rivoluzione succeda un nuovo sistema, o in parte cambiato; fortunata per me sarebbe
quest’Epoca, perchè qualunque sieno le conseguenze, che dalle mie osservazioni possono derivarsi,
partirebbero da un punto cronologico non già, ma fisico, ed originario. Il Barometro, ed il
Termometro sono anch’essi divenuti alla moda. Sono due mobili necessarj per un Gabinetto; anzi dirò
più, sono diventati capo di Mercanzia, e per questa ragione sotto una vernice lucida, ed una
risplendente indoratura soggetti ad essere più facilmente falsificati, ed erronei essere ne’ loro
moti. Passeggiano per le strade di questa Città, la maggior parte condannati ad essere quasi nel
medesimo istante comperati, e fatti in pezzi dalla stessa inesperta mano, o ad essere alla polvere,
e a un chiodo in un angolo dimenticati. Molti ne sanno promiscuamente, e indifferentemente il nome,
pochi ne conoscono l’uso, e pochissimi li sanno osservare. Io ho avuto la pazienza, già quasi da
nove anni a quest’oggi, di consultare in ore fissate ogni giorno i movimenti, e le
variazioni di questi due stromenti. Eccone pero i risultati. Le osservazioni Barometriche fatte
nell’Osservatorio di Parigi, già quasi da cent’anni, sono tutte di un Barometro costruito io sino
nelli principj dell’Accademia delle Scienze dal Sig. de la Hire, e il di cui diametro è poco più di
una linea del piede Parigino. Generalmente tutte le osservazioni Barometriche finora pubblicate, e
nelle quali si ha la descrizione degli Stromenti, su’ quali sono State instituite, tutte furono
fatte su de’ Barometri a presso poco di questo diametro; ed universalmente il diametro di quelli ben
construiti, e purgati, che si vendono, è di una linea, o poco più o poco meno. Parimenti le seguenti
mie osservazioni ho tutte riferite ad un Barometro ben purgato d’aria, che agitandolo rende luce
molto vivida, e il di cui diametro è circa una linea Parigina. Le maggiori altezze del Barometro,
che io ho veduto dal Gennaro 1756 a quest’oggi sono: Una volta 28. pollici, 4. linee ½, rare volte
28. pollici, 4. linee, più frequentemente 28. pollici 3. linee. Le minori altezze in tutto questo
tempo da me osservate furono: Una volta 26. pollici 10 linee ½, rare volte 26. pollici 11. linee,
più frequentemente 27. pollici. Facciasi però il medio aritmetico tra tutte queste maggiori e minori
altezze, si avrà costantemente 27. pollici 7. linee ½, che chiamerò media altezza. Ho veduto
costantemente qui in Milano, che il punto dove più comunemente sta fisso il Barometro, ovvero
l’altezza corrispondente al tempo variabile è 27. pollici 9. linee circa, poco più poco
meno; e questo è quello che chiamerò punto di variabile, che non è lo stesso di quello della media
altezza, col quale da tutti gli osservatori, non so il perchè, è stato fin ora confuso. Ho osservato
generalmente, che se il Barometro è costante sopra il punto di variabile, nel tratto di tempo dal
mezzo di alla mezza notte trovasi per lo più meno alto, che tra la mezza notte, e il mezzo giorno; e
parimenti se la variazione va per gradi, ho veduto, che per lo più il maggior abbassamento succede
dopo mezzo giorno, o prima della mezza notte, od avanti il mezzo di. Generalmente, quando la
variazione del Barometro va lentamente per gradi senza salti, certo è il cambiamento dopo di tempo,
bello all’innalzarsi, cattivo all’abbassarsi; e il cambiamento che succede ad una lenta, e gradata
variazione e di lunga durata, e la variazione precede anche di due o tre giorni. Ma se la variazione
e subitanea, e grande, costantemente accade dopo cambiamento di tempo. Ad un subitaneo, e grande
abbassamento succede per lo più un gran vento di Tramontana, o Levante; ad un presto totale
cambiamento di tempo lungamente piovoso, e rotto in sereno bello precede ordinariamente un pronto, e
grande innalzamento del Barometro, e questo innalzamento, e sereno non sono in tal caso per lo più
di lunga durata; e generalmente la pronta variazione del Barometro non precede al presto cambiamento
del Cielo, che al più lungo tempo di sei o sette ore. Finalmente varia il Barometro alle volte
nell’atto istesso, che muta il tempo, e tali cambiamenti allora non sono di molta durata. Allorchè
sta costante non per ore circa il punto di variabile, il Cielo non è nè sereno, nè
piovoso, nè rotto; è in uno stato indifferente del bello, e del cattivo tempo. Che se dopo essersi
sostenuto alquanto all’altezza del punto di variabile, abbassa sensibilmente sotto, è certa la
pioggia, o il vento; se innalza sopra, è certo il bel tempo. In questi ultimi quattro paragrafi si
hanno tutti li risultati, che io ho saputo cavare da’ Giornali delle mie osservazioni Barometriche.
Il primo di questi sembrami nuovo, o almeno non ho fin ora veduto, che altri abbiano fatte simili
osservazioni. Gli ultimi tre confermano colla mia stessa esperienza ciò, che altri hanno veduto
forse più in complesso, e con men ordine. Vedesi dunque in detti quattro ultimi paragrafi, quali
sieno i cambiamenti del tempo, ossia del Cielo Milanese, che succedono alle differenti altezze del
Barometro, cioè quando si fissa, o si abbassi, o s’innalzi sopra il punto variabile, e quando fa
tali movimenti per gradi, e lentamente, o pronti, e subitanei. Queste costanti osservazioni possono
essere altrettante regole, sulle quali stabilire i principj almeno di una nuova arte divinatoria;
perchè posta la Barometrica verga in mano di uno spregiudicato, paziente, ed illuminato osservatore,
potrà forse diventare un giorno di non piccolo uso nelle predizioni delle stagioni, e cambiamenti
della terrestre atmosfera. Una delle più importanti conseguenze, che si può ricavare dall’aver
determinato con una reiterata osservazione di più anni io il punto di variabile, ossia il limite tra
le altezze corrispondenti al bel tempo, e quelle corrispondenti al cattivo, e circa il qual limite
tiensi la colonna di Mercurio più frequentemente sospesa, è lo stabilire l’altezza del
pian-terreno di Milano sopra il Livello del mare. E noto a tutti, che tra li Tropici, e
particolarmente sotto l’Equatore, le variazioni del Barometro sono quasi insensibili, e che al Mare
è costante a 28. pollici, e che questo è il punto fisso, da cui partono, o al quale si riferiscono i
metodi finora inventati per calcolare le altezze dell’atmosfera corrispondenti a quelle del Mercurio
nel Barometro su differenti piani più o meno elevati della Terra. Dunque l’altezza, alla quale sta
più comunemente fermo il Milanese Barometro sarà corrispondente all’elevazione del piano di detta
Città sopra quello del Mare. Ho sopra fissato con replicate osservazioni di più Anni il punto di
variabile in Milano a 27. pollici 9. linee misura di Parigi. Dunque sarà il pian-terreno della Città
di Milano più alto della superficie delle acque del Mediterraneo secondo il metodo delli Signori
Cassini e Maraldi, 31. tese Parigine, o 101. 5/11 braccia Milanesi, e giusta il metodo delli Signori
Bouguer, e Niedam, 109. 33/55 braccia Milanesi, ossia 33 7/25 tese Parigine. G.
Ebene 4
Selbstportrait
Se non mi conosci, ecco in pochi tratti, quale in parte io mi sia.
Altro Polo, altre costellazioni invisibili su quest’Orizonte videro i miei occhi
allorchè nacqui. Altre terre non ancora calpestate da piede Europeo diedero forma al mio corpo; ed
altro Clima, cui il Quadrante non ancora, ma il calcolo solo dell’immortale Inglese1 fissò i
confini, modellò il mio spirito e le mie passioni. Una catena di eventi mi ha fissato da qualche
anno in queste Lombarde pianure. Le Lingue Europee hanno impiegato per alcun tempo i miei studj. La
Francese, e l’Italiana sono le due, che ho voluto rendermi più famigliari. L’una per la sua
universalità mi parve indispensabile; l’altra per la dolcezza, e la forza dell’espressione mi
piacque. Lo stile conciso, spogliato da parole superflue, è l’unico al mio gusto. Tale è il genio
del mio idioma natio. Il tempo, che ho perduto nell’Astrologia, mi ha fatto conoscere, che
l’osservazione, ed il seguitare ne’ suoi fenomeni la Natura, benchè a passi lenti, è il solo mezzo
onde fissare qualche regola, o legge nella scienza delle Meteori;
Metatextualität
Il rimanente delle Osservazioni Meteorologiche lo daremo in breve.
Ebene 3
Discorso sulla felicita de’ Romani Se la grandezza e la gloria
fossero sempre accompagnate dalla Felicità, come lo sono dall’ammirazione, avremmo molto da imparare
da quelle Nazioni, che si resero famose coll’arrivarvi, e potrebbero le Storie loro essere una
utilissima scuola dove apprendere la difficile scienza di esser felice. Ma è ben
diverso il sembrare felice dall’esserlo; il che siccome accade tante volte in ciascun uomo, che agli
altri sovrasti, cosi pure alle Nazioni. Ammira, ed invidia il Volgo il fasto, e l’opulenza de’
Grandi, nè sa quanta noja, e quanti timori compensino, o superino questa apparenza di felicita.
Volgo io pur credo, che siamo talvolta noi, venerando le Conquistatrici Nazioni, e loro invidiando
la gloria, e ‘l potere. Si squarcia agli occhi d’un freddo Ragionatore quel velo, che col nascondere
l’interno delle cose accresce loro venerazione. Quindi ritrovasi ben sovente il pianto e la miseria
là, dove brilla il riso, ed il piacere. Da tali verità non furono guidate le penne della maggior
parte degli Storici, che tutti intenti a descrivere le battaglie, le vittorie, gli eserciti, ed i
trionfi, abbastanza contenti di dare il nome di grandi, e di gloriose, non mai di giuste, e virtuose
alle Nazioni, mandarono a’ Posteri una congerie di miserande grandezze, e ne celarono e tacquero
tutti que’ mali, che accompagnano le grandi rivoluzioni. Quelle gloriose carnificine, in cui quasi
fiere arrabbiate gli uomini miseramente si divorano, e distruggonsi, ottengono gli encomj della
poesia, e della eloquenza, nè senza fremere nel fondo del cuore, che anzi, in rime canore, ed in
purissimo stile sono celebrati i massacri di molte migliaja d’uomini tagliati a pezzi, come oggetti
indifferenti di mera curiosità ed erudizione. Niente di più comune all’adulazione di una sonnifera
dedicatoria che il lodare i nemici sconfitti, e le gloriose conquiste; mali, che, se pur talvolta
son necessarj, dovrebbero esser sepolti nel silenzio, e nella oscurità, anzicchè esser per lungo
tempo il soggetto delle umane cognizioni. Quanto studio per un Antiquario per
rintracciare fra le tenebre delle antiche cose in qual giorno fu la famosa battaglia di Canne, o del
Lago Regillo? Eppure, che cerca egli mai, se non se di rischiarare la Cronologia degli umani
delitti? E quale elogio avremo noi fatto alla umana natura, quando manderemo a’ nostri nipoti la
memoria delle nostre crudeltà? Perchè piuttosto non consacrare la Storia agli esempj di virtù, di
clemenza, di beneficenza, che alle illustri sceleratezze? La Storia del Popolo Romano oggetto si
comune della curiosità d’ognuno, fu per tanti versi e scritta e contemplata, e dalla sagace
erudizione rischiarata per modo, che ormai nulla rimane d’aggiugnere a tanta folla di Scrittori.
Alcuni questa Storia hanno scritta sì diffusamente, che i menomi fatti non tralasciarono, esaurendo
il proprio sapere, e la pazienza del Leggitore; altri con molta Filosofia hanno rintracciate le
cagioni della grandezza, e decadenza di tanta Repubblica; altri i fasti, la Cronologia, ed i costumi
Romani illustrarono. Nessuno ch’io sappia scrisse della Felicità di questa Nazione; punto ben più
interessante, che la Raccolta delle Medaglie dei trenta Tiranni, o la scienza delle Iscrizioni;
giacchè se malgrado tanti secoli di gloria, e tanta grandezza, non fosse stata quella Nazione
felice, ne verrebbe in conseguenza, ch’ella, benchè vantisi il modello delle altre, non lo dovrebbe
essere in conto alcuno, il che, se risulti dalla Storia istessa, scorrendovi brevemente sopra il
vedremo. Quanto turbolento, ed incostante fosse il sistema di Roma ne’ 244. anni della sua Monarchia
ben ce lo prova il leggere, che Romolo, Tullo Ostilio, Tarquinio Prisco furono tutti assassinati per congiura. Argomento non debole, che era il governo dispotico, non potendosi dare tal
successione di Regicidj in un moderato governo. È certo il più grande dispotismo, Numa, il
religiosamente sagace Numa stabili, interessando gli Dei a proteggere la sovrana Podestà; ed allora
fu, che ogni Legge discese dal Cielo, e che industriosamente fu condotto il Popolo al dispotismo
colla invenzione de’ giorni fasti, e nefasti, col Collegio de’ Pontefici al Re divori, e cogli
augurj, insensibili, ed occulti ingegni della somma potenza. Allora al non mai ragionante Popolo
colla veneranda Maestà d’una falsa Religione celaronsi gli arcani del dispotismo; e la guerra, e la
pace, e le leggi dai prodigj, dal tuono, da1 volo degli uccelli, dalle palpitanti viscere delle
vittime ebber norma. Quindi per altra via tal sistema corroborò Tullo Ostilio avveduto Legislatore,
che i pubblici Comizj ridusse ad una pura apparenza di libertà, ben sapendo che gli uomini
contentansi dell’esterno delle cose, gli usi, ed i costumi rispettando, nè più in là vibrano lo
stupido sguardo, sicche lasciandogli le parole gli si tolgono le cose agevolmente. Ridusse Tullo
Ostilio colla famosa divisione delle Centurie in mano di pochi il governo, ed in tal guisa indusse
nella Nazione forse il più fatale d’ogni sistema, cioè una corrotta Repubblica, non vi essendo
dispotismo più duro di quello che ha molti Tiranni. Al principio del terzo secolo di Roma era il
numero de’ Cittadini Romani ottantaquattromila settecento (84700.) (1), numero minore di quello di Roma d’oggidì. Con si ristretta popolazione ben vedesi, perchè tante piccole, e
sanguinose tenzoni facessero coi vicini senza stendere i confini, e quale durissima vita menassero
per resister continuamente a popoli più di loro agguerriti, che li circondavano. Destossi finalmente
il Popolo dal letargo di due secoli, e s’accorse di sua schiavitù. Fu tutta la Nazione in fermento
per l’attentato di Tarquinio; ella che sofferse in pace, che Tullia il Padre assassinasse, e sul di
lui cadavere scorresse col cocchio quasi in trionfo. Furono banditi i Re, ma altro con loro non
bandissi, che il vocabolo Rex; e Mario, e Silla de’ Tarquinj più crudeli Roma dappoi insanguinarono
impunemente, chiamati Dittatori; ma se avessero osato aggiugnere alla loro potenza quella odiata
parola, avriano ritrovato in ogni Cittadino un Bruto. Tolsesi il Popolo Romano dalla Tirannia per
slanciarsi ad una estrema Libertà, e dall’avvilimento passossi alla Tirannia della Virtù; quindi per
un crudele amor della Patria Bruto se uccidere i Figlj ribelli; ed il Popolo feroce per la nuova
libertà, quanto fu infingardo sotto al dispotismo, disfece Console Collatino, che d’esser Parricida
ricusò; ed il console Valerio dovette abbassare la sua Casa al comune livello, tanto temeasi ogni
spirito di diseguaglianza. In questo intervallo di pericoli, e di torbidi ripieno (come lo sono
tutte le violenti mutazioni nella forma di governo) fu Roma veramente libera, e forse non lo fu mai
in altro tempo. Gli esempj memorandi di virtù, che altro non è che l’utile comune1, allora sfoggiarono,
1Parlasi di virtù puramente umana.