La Gazzetta Veneta: N. CII
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Nível 1
N.o CII.
Sabbato addi 24. Gennaro 1761.
Che contiene Quello, ch’è da vendere, da comperare, da darsi a fitto, le cose ricercate, le perdute, le trovate, in Venezia, o fuori di Venezia, il prezzo delle merci, il valore de’cambj, ed altre notizie, parte dilettevoli, e parte utili al Pubblico.Nível 2
Ciancia. QUel mirabile, e superlativo capo di
Platone, dice in uno de’Dialoghi delle Leggi, che a farle ubbidire volentieri, anzi spontaneamente
dagli Uomini, conviene dalla prima giovinezza allevargli per modo, e far loro prendere piega tale,
che un giorno finalmente, non s’avveggano d’essere alle leggi soggetti, ma assecondino la volontà di
quelle, e le ordinazioni, come se natura parlasse in iscambio di statuti. Per dichiarare con qualche
netta comparazione l’effetto dell’educazione, ch’io dico: egli mi pare, per una via di dire, che le
leggi sieno quale una bene ordinata, e armonizzata danza, la quale s’abbia a fare solennemente, e
alla quale debba entrare ognuno a fare secondo la figura sua i passi, senza sconciare l’ufficio, e
gli atteggiamenti altrui. Per far sì che l’Uomo v’entri a suo tempo, ed eseguisca interamente gli
ordini, che la compongono, verrà dunque avvisato prima a tenere il corpo suo diritto, a movere a
poco a poco, e con certe belle misure i piedi, a dare un garbato, e soave atteggiamento alle mani, e
a fare altre gentilezze fino col capo, e con la guardatura. Tale educazione, e pratica di corpo
acquistata di giorno in giorno, gli avvezza l’orecchio alle cadenze del suono, la gamba, il piede, e
il braccio ad assecondarlo a tempo, in guisa, che ritrovandosi alla danza comune, fa naturalmente, e
senza fatica quanto l’ordine, e l’armonia di quella richiede. All’incontro se non vi fosse
accostumato prima al nome de’passi, a’movimenti, e all’altre appartenenze, entrato in danza farebbe
ogni cosa fuor di dovere per sè, e metterebbe in iscompiglio altrui. Io avrei parecchi esempii
d’arrecare avanti, per dimostrare gli errori, che si commettono nell’educazione, sicchè le leggi
riescono nuove, ed acerbe a’Giovani già ingranditi, e sì diverse dal costume già preso, e
dall’intenzione nell’animo loro stabilita, che s’assoggettano ad esse a fatica, ed interrompono
l’ordine, e l’armonia de’patti nella Società con iscompiglio della quiete altrui, e talora con la
propria rovina. Non è cosa al Mondo, che
venga più comunemente lodata della ricchezza, e dovunque essa si ritrovi, e comunque acquistata sia,
è l’ammirazione di tutti. All’incontro è la Povertà biasimata universalmente. Venga o dalle percosse
dell’avversa fortuna, contro alla quale l’Uomo non ha potere, o dalla Virtù medesima dell’Uomo, il
quale per non macchiare, la coscienza, e la riputazione, del suo proprio stato s’appaghi, o non tema
in grazia del suo buon nome il minoramento delle facoltà sue, non solo non riceve commendazione, ma
ne viene beffata. Di quà nasce, che fin da’primi anni della più tenera giovinezza, s’appicca
nell’animo umano un orrore così grave contro alla povertà, e tale nimicizia contro al solo nome di
quella, che chi non può fuggirla tenta almeno con l’apparenza di farsi credere altrui quegli che non
è, e di apparire maggiore, e più ricco di quello, che in effetto si trova. Come potrà dunque un Uomo
il quale ha per fondamento di credenza il dover essere schernito delle calamità sue, non cercare
ogni mezzo di fuggire l’altrui beffe! e in qual guisa si frenerà, e tempererà l’animo suo sì, che
non tenti ogni via, per non manifestarsi sfortunato, e degno di riso? A che gioveranno allora le
santissime leggi del non danneggiare altrui, s’egli sarà allevato coll’intenzione, che il maggior
vituperio del Mondo sia l’esser povero di beni di fortuna? Chi non sarà usurajo, ladroncello,
aggiratore, e peggio? Oh! almeno fosse fatta una distinzione, che fossero scherniti coloro, che per
infingardaggine, e per ozio si stanno con le mani a cintola, che questo forse gioverebbe
all’esercizio più diligente, e sollecito delle arti! Oh! almeno fosse libera dalle beffe
quell’estremità di beni, che non solo non ha colpa, ma è virtuosa, e nata dal desiderio di
conservare un’incorrotta fama a se stesso, e lasciare alla Società una discendenza onorata!
Avviso Lunedì li 19. corrente una Persona con due contro Firme in mano poco discosto dal
Cancello di Lotto di S. Gio: Grisostomo, volendo prendere il legale pagherò, per il gran freddo,
ch’avea caderongli in terra, e nell’atto stesso ritrovosi Persona di basso Rango, che li colse da
Terra, affermando essere mero accidente l’averli ritrovati, e non della Persona, che li perdette. Di
questo fatto si fa consapevole il Publico, perchè, se per caso sortissero tali numeri, apparisca la
sincerità di chi pretenderà la riscossione della vincita. Li numeri sono li seguenti. 43. 45. 48. )
5. /150. 4. 8. 82. 43. 48. ambo 5. 14. 43. 49. 5./125.
Cose perdute. È stato perduto una quadriglia di diamanti di sette in otto grani, contornata
d’altri piccioli diamanti. Chi l’avesse trovata la porti al San Lorenzo Giustiniani, che gli saranno
dati Zecchini dieci. Una Cagna da Bologna con due tache rosse, chi l’avesse ritrovata la porti da
Zuanne Characci sulla Fondamenta di Kà Balbi, che li sarà data la buona mano Libri da vendere.
Questi Libri si trovano appresso il Sig. Giambatista Pasquali. Dissertazione del Dominio antico
Pisano sulla Corsica, composta da un Professore dell’Università Pisana Accademico Etrusco. 1760. 4.
Lir. 1. Memoria Apologetica sull’ultima rivoluzione dell’Isola di Corsica. Lir. 1: 10.
Metatextualidade
Un solo esempio sceglierò fra tutti, lasciando a chi
leggerà la cura d’altre considerazioni, e d’aggirare l’intelletto per varie circostanze, a
confermare sempre più la verità del detto da me riferito di Platone.
Nível 3
Carta/Carta ao editor
Al sig. Gazzettiere~k
Sofronia. S.~i NOn (sic.) sò dissimulare il timore, in cui m’ha messo la Lettera della Signora Ippolita~i, di cui v’ho fatta menzione nella mia ultima. Una Donna arrabbiata, capricciosa, e dal torrente della moda trasportata, mi fa paura. Dessa minaccia voi, e per conseguenza non si dimenticherà di me. Gli spiriti i quali credono d’aver’il privilegio di fare quelche vogliono, e credono di far bene tutto quello, che fanno, sono intolleranti. L’ambizione, la vanità, ed il dispetto divengono la loro guida, e la verità diviene ad essi odiosa. Odiano quello che non conoscono, e credendosi di conoscere tutto, stimano, che sia maldicenza di maligna invenzione la verità palpabile de’fatti. Quanto sia vero quello di che io vi scrivo nelle mie Lettere, lo sanno, e lo veggono, tutte quelle assennate persone, che s’accorgono delli danni cagionati dalla moda corrente. E pure la Signora Ippolita~i va menando romore, e fra la guerra accesa tra il Vizio e la Ragione, tra la Virtù e la Carne ed il Sangue, pretende d’esser lasciata in pace, e di dormire tranquilla all’ombra de’Mirti, e all’aura piacevole degl’amori. Vuole essa esser lasciata in pace, nel mentre che procura di far guerra al buon Senso, alla buona Morale, ed a tutte le virtù civili. Oppone ingiurie a ragioni, fantastiche maligne (sic.) invenzioni a fatti. Dessa è quella, che non sapendo schermirsi dalli miei argomenti, attacca la mia persona, e mi chiama Vecchia. Che c’entra la vecchiaja, il malinconico temperamento, la mia gobba, o l’occhio mio stravolto, colla ragione delle cose che dico, per il bene della Società, per l’onore del mio sesso? che c’entra il mio scrivere rozzo, colla verità di quelche scrivo? A quelli che vogliono passare per puliti Scrittori si può fare la rivista de’Conti, ma, non poi con numeri berneschi, o collo spirito di quella, che da Francesi sì dice mauvaise plaisanterie, e da noi direbbesi bene scurilità; ma ad una Donna piena di buona volontà come io professo d’essere, si perdona, se manca la galanteria della fattura, e del pulito lavoro, quando il metallo di cui mi servo è buono. Non v’è Moneta di figura più scantonata ed informe delle Pezze Sivigliane, ma non v’è nemmeno argento più fino del loro. I pensieri degli uomini fanno il merito degli uomini, e le parole, quando esprimono, e danno ben contornato il pensiere, debbono esser tollerate, se però quelli che parla, non pretende di ben parlare. Io, dunque Sig. Gazzettiere Stimatissimo, non voglio trovar brighe, colla Signora Ippolita~i, la quale ardisse tutto, perchè non conosce niente. Lascerò, che le Donne pacificamente facciano quelche vogliono, perchè mi preme la conservazione della mia persona. E siccome i malinconici sogliono esser violenti nel loro sdegno, quando sono tirati per i capelli, non vorrei fare la Metamorfosi della mia penna in una Clava. Godasi la Signora Ippolita~i la sua moda, e faccian pure le Donne quelche vogliono, che io voglio la mia pace, unita però alla vostra, da me amata e pregiata amicizia. Addio.
Sofronia. S.~i NOn (sic.) sò dissimulare il timore, in cui m’ha messo la Lettera della Signora Ippolita~i, di cui v’ho fatta menzione nella mia ultima. Una Donna arrabbiata, capricciosa, e dal torrente della moda trasportata, mi fa paura. Dessa minaccia voi, e per conseguenza non si dimenticherà di me. Gli spiriti i quali credono d’aver’il privilegio di fare quelche vogliono, e credono di far bene tutto quello, che fanno, sono intolleranti. L’ambizione, la vanità, ed il dispetto divengono la loro guida, e la verità diviene ad essi odiosa. Odiano quello che non conoscono, e credendosi di conoscere tutto, stimano, che sia maldicenza di maligna invenzione la verità palpabile de’fatti. Quanto sia vero quello di che io vi scrivo nelle mie Lettere, lo sanno, e lo veggono, tutte quelle assennate persone, che s’accorgono delli danni cagionati dalla moda corrente. E pure la Signora Ippolita~i va menando romore, e fra la guerra accesa tra il Vizio e la Ragione, tra la Virtù e la Carne ed il Sangue, pretende d’esser lasciata in pace, e di dormire tranquilla all’ombra de’Mirti, e all’aura piacevole degl’amori. Vuole essa esser lasciata in pace, nel mentre che procura di far guerra al buon Senso, alla buona Morale, ed a tutte le virtù civili. Oppone ingiurie a ragioni, fantastiche maligne (sic.) invenzioni a fatti. Dessa è quella, che non sapendo schermirsi dalli miei argomenti, attacca la mia persona, e mi chiama Vecchia. Che c’entra la vecchiaja, il malinconico temperamento, la mia gobba, o l’occhio mio stravolto, colla ragione delle cose che dico, per il bene della Società, per l’onore del mio sesso? che c’entra il mio scrivere rozzo, colla verità di quelche scrivo? A quelli che vogliono passare per puliti Scrittori si può fare la rivista de’Conti, ma, non poi con numeri berneschi, o collo spirito di quella, che da Francesi sì dice mauvaise plaisanterie, e da noi direbbesi bene scurilità; ma ad una Donna piena di buona volontà come io professo d’essere, si perdona, se manca la galanteria della fattura, e del pulito lavoro, quando il metallo di cui mi servo è buono. Non v’è Moneta di figura più scantonata ed informe delle Pezze Sivigliane, ma non v’è nemmeno argento più fino del loro. I pensieri degli uomini fanno il merito degli uomini, e le parole, quando esprimono, e danno ben contornato il pensiere, debbono esser tollerate, se però quelli che parla, non pretende di ben parlare. Io, dunque Sig. Gazzettiere Stimatissimo, non voglio trovar brighe, colla Signora Ippolita~i, la quale ardisse tutto, perchè non conosce niente. Lascerò, che le Donne pacificamente facciano quelche vogliono, perchè mi preme la conservazione della mia persona. E siccome i malinconici sogliono esser violenti nel loro sdegno, quando sono tirati per i capelli, non vorrei fare la Metamorfosi della mia penna in una Clava. Godasi la Signora Ippolita~i la sua moda, e faccian pure le Donne quelche vogliono, che io voglio la mia pace, unita però alla vostra, da me amata e pregiata amicizia. Addio.
Nível 3
Narração geral
Un Greco Pittore, il quale dovea fare una Venere, perchè la fosse
oltre misura bellissima, e avesse un’immagine degna della madre d’Amore, e Dea della bellezza,
raccolse quà, e colà per le Contrade della Città sua più giovani, e da esse trasse le parti meglio
composte, e più aggraziate. Da una si prese la serenità della fronte, da un’altra i graziosi archi
delle ciglia, da questa due occhi gai, e bruschetti, da quella il profilato naso, e da chi le
labbra, da chi il mento, e in breve le membra di questa, e di quella accozzando insieme, fece una
Dea, che parea allora allora discesa dalla sua stella, celebrata in quel tempo per tutta la Grecia,
e appresso per tutto il mondo. Da questo esempio non solo si può trarre un bellissimo argomento
d’imitazione nelle buone arti per perfezionarle; ma anche una regola da rendere perfetti, non dico i
visi, ma i contegni delle femmine. Io immagino dunque d’esser Pittore, e voglio formare una Donna
perfetta. Veggo la Signora X. O. la quale nelle faccende di casa sua ha squisito cervello, e
discernimento, ma uscita di casa, e volendo dare nel galante, e nel buon garbo del trattare, lo fa
con tanto sgarbo, che il fatto suo è una miseria, io prenderei la sua prima attività sola per la mia
Donna, e lascerei tutto il restante qual capo morto. All’incontro ne veggo una di buona grazia nel
conversare, e in casa cervellina, sventata, caparbia: al diavolo, direi, questi ultimi difetti, e
s’appicchi la buona grazia alla donna da me disegnata. La Signora T. Y. parla di Guerre, e di
Geografia, e non sa quello, che si dica; ma di cuffie, e di mode benissimo; via la prima parte dalla
mia, e l’ultima si riceva. Una fa stare allegra la brigata col motteggiare, e col sale degli
scherzi; questi gli abbia la mia; ma non abbia le magre sentenze, e le cose serie fuori di
proposito, che quella dice. Questa quando è da sè sola è disinvolta e graziosa; in compagnia
affettata, e che ogni cosa fa, e dice col compasso; la mia abbia la disinvoltura, e la grazia,
l’affettazione si rimanga alla prima. S’io volessi allungarmi a dire, vede ognuno, che non mi
mancherebbe materia, e s’egli è vero che formerei la più interamente compiuta Donna, che vivesse al
mondo. A me basta d’avere fatto un picciolo disegno, e uno schizzo di quest’opera, la quale si
potrebbe anche colorire, e condurre a fine, se le femmine volessero, o se i maschi avessero cuore di
far loro comprendere quali sieno quelle perfezioni, che si debbono imitare, o di qual sorta le
qualità, che s’hanno a fuggire.
Nível 3
Carta/Carta ao editor
A Sofronia. S.~i Non vi sbigottite, e non vi sdegnate per la collera
della signora Ippolita~i. Conosco il temperamento di lei. Ell’ha piuttosto voglia di scherzare, che
d’altro. So che ha preparata una Lettera, la quale è pure giudiziosamente pensata. Vedrete un’Ironia
continua; ma modesta, e cortese. So bene che avete qualche faccenda, e che per alcun giorno io non
riceverò le grazie vostre. Avrò pazienza. Badate a quello, che più importa per voi. Quando potrete
si riaprirà la vostra corrispondenza, ed io l’avrò cara. Intanto vi ringrazio di quanto avete fatto
fino al presente. State di buon umore, amatemi, che sono tutto vostro Il Gazzettiere~i.