La Gazzetta Veneta: N. CI
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N.o CI.
Mercoledì addi 21. Gennaro 1761.
Al signor GazzettiereSofronia S. Che contiene Quello, ch’è da vendere, da comperare, da darsi a fitto, le cose ricercate, le perdute, le trovate, in Venezia, o fuori di Venezia, il prezzo delle merci, il valore de’cambj, ed altre notizie, parte dilettevoli, e parte utili al Pubblico.
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Brief/Leserbrief
Nella Gazzetta num. 99. ho letto quello, che v’è stato scritto da due
Signore Donne, sul particolare delle mie Lettere, che voi non isdegnate di pubblicare ne’vostri
fogli.
Non si leggono già nella vostra Gazzetta, come si leggono in quella d’altre Nazioni, non meno
colte della nostra, Problemi Matematici, Quistioni Metafisiche, e cose simili, che non sono a
portata di tutti. La vostra Gazzetta è diretta a giovare, ed a dilettare i Leggitori. Un Padre,
dunque, che nell’età sua cadente è obbligato di vegliare all’amministrazione delle proprie rendite,
per non potersi fidare del figliuolo, trasportato dalla moda corrente, non si diletterà egli nel
leggere quello, che posto in uso gioverebbe a sollevarlo da’fastidii e da’pensieri? Un figliuolo di
famiglia, che per viver’alla moda, ha bisogno d’industriosa alchimia, non si diletterà egli nel
leggere quello, che posto in uso gioverebbe a trarla fuori della necessità di tanti impegni, e di
tanti raggiri? Una Madre saggia, una Fanciulla modesta, non hanno da sentire il piacere, di esser
almeno compensate del male, che d’esse si dice ne’moderni circoli, col bene, che d’esse si dice
ne’pubblici fogli? Credetemi, Sig. Gazzettiere Stimatissimo, che la sdegnosa Signora Ippolita~i è
ingiusta non meno verso gl’altri, di quelch’è verso sè medesima. E non è Ella ancora sazia
de’dispiaceri, che beve a tazze piene, nel vedersi rapire un favorito Servente? Questa razza di
Narcisi, usano con tutte, quel Linguaggio che usava quel bel Giovane della Novella delle Tragiche
forbici, colle tre fanciulle innamorate di lui. Io non sò quello, che essa vi direbbe, se le venisse
in capo, di farvi vedere; come minaccia; che avete il torto. Negherebbe, forse, la verità di quelche
dico? Nò. Perchè si perde ogni speranza di salvezza di quell’ammalato, che crede di non aver male.
La insensibilità e (sic.) l’ultimo de’mali. Al più potrebbe dire che se gli uomini battessero sodo,
la moda caderebbe da per sè. Questo è pur troppo vero, ma le colpe proprie, non mai si scusano colle
colpo altrui. La Storia del Pomo fatale al Genere umano, è nota. Si sa chi lo diede all’uomo, e si
sa, che non valse l’iscusa. Le Donne che vogliono dar’il tono a tutte le cose di questo Mondo,
quando nasce qualche dissonanza, incolpan l’uomo, che le lascia fare; e se questi vuole prender’il
di sopra, metton’esse in iscompiglio, la Casa, la Città, il Mondo. Io, però, sarei d’opinione, che
sarebbe una ottima cosa, il lasciare alle Donne fare più di quelche non fanno. Vorrei che il Marito,
con un piano vero ed esatto, consegnasse alla Moglie tutto quello, che serve al mantenimento della
Famiglia, e che la Moglie, sapesse, e vedesse quello che s’ha, e quello, che si può. E poi, ci
scometterei, che venirebbe ad esse la Chiragra, e passerebbon loro i grilli ed i capricci. Potrebbe
alcuna d’esse dimenticarsi di tutti, e pensar’a sè, ma ciò sarebbe difficile, perchè sapendo quel
che si può fare, si regolerebbe con prudenza, e mancandole la speranza del Marito, essa non farebbe
quello, che sapesse, che non si può far dal Marito. Questo almeno potrebbe piacere alla Signora
Ippolita~i; o se ne men questo le piace, voi Sig. Gazzettiere Stimatissimo, la potete compiacere,
col non pubblicare le mie Lettere, ed in mancanza di Novelle curiose del Paese, si potrebbe, per
piacere alle Signore Donne, far’una Raccolta d’avvenimenti amorosi, e mettercene uno per ogni
Gazzetta, onde dar pascolo alla loro passione favorita. Passione in fatti, che fa il bene di questa
vita, ma non nel tono in cui si canta. Se ho la disgrazia di dispiacer’alla Signora Ippolita~i, ho
il piacere di dirmi vostra buona Serva ed Amica. Addio.
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Fremdportrait
La Signora Margherita~i, e la Signora Ippolita~i sono di diverso
umore, come sono di diversa indole. La prima v’esorta a pubblicare le mie Lettere, come utili, e la
seconda vi minaccia disperazione, rovina, e desolazione, se continoverete a pubblicarle. Il
desiderio della Signora Margherita~i tende al bene, e perciò non mi sorprende; ma lo sdegno della
Signora Ippolita~i è contro natura, dacchè la benevolenza è qualità constituente l’esser’umano. Come
mai può darsi, in un Ente moderno (tal’è la Signora sdegnosa) che con effluvii di dolcezza,
d’affabilità, e d’amore, riempie il vortice galante de’più teneri affetti, come può darsi, che
alligni tanta smania, e tanto furore? E (sic.) ella forse offesa dalla rozzezza del mio scrivere, o
dalla seria verità di quel che scrivo? Se cerca ella uno stile pulito, una frase ben contornata, o
vocaboli che reggono al martello della buona Lingua Toscana, vi sono nella Gazzetta delle cose
scritte da mano Maestra, la quale, a differenza d’altri Puritani, accoppia alla buona Lingua, il
buon Senso, la buona Filosofia, e la moltiplice Letteratura, e può, perciò, la Signora appagar il
suo gusto dilicato. Ma sè Ella viene offesa dalla verità delle cose, che scrivo; rifletta, che i
fogli non sono fatti per contentare una sola persona, e che, appagandosi essa di quello, che v’ha in
essi di piacevole, e di curioso, lasciar deve qualche parte, anche a quelle persone che amano il
vero.
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Lettera di Giampaolo A.~i
alla Signora S. X.
Brief/Leserbrief
Io mi sono obbligato alla Signoria vostra d’avvisarvi di tutto quello,
che non mi piace in voi, e voi m’avete dato parola di non adirarvi meco. È qualche tempo, che vi
scrivo, e ringrazio il Cielo, che questa corrispondenza v’ha fatto benefizio. Mi ricordo, che un
tempo era vostro Amico solamente chi vi lodava di bellezza, io a poco a poco vi posi in cuore, che
sono migliori quelle lodi, che vengono date allo spirito. Voi m’avete creduto; e vi dò parola, che
siete più degna di amore mille volte da quel tempo in quà, e non potreste credere, quanto vi rendano
più grata molte avvertenze, e gentilezze di costume, che avete acquistate. Voi sapete quante volte
insieme abbiamo considerate certe Giovani, le quali sono dotate di tutti que’vezzi, e quelle grazie,
che può dare la natura; e sarebbero le più compiute Creature del Mondo, se avessero intorno, chi
parlasse loro qualche volta d’altro, che della bellezza degli occhi loro, della vivacità della
carnagione, della bella simmetria della faccia. Si parla oggidì alle Femmine, come se le fossero
incapaci d’altra qualità, che di bellezza; e non potessero avere mille altre doti più durabili, e
che alla bellezza congiunte le renderebbero più felici, e più grate a chiunque ha conversazione con
esse. Ma questo è un Mar grande, e richiede altra opera, che una breve Lettera. Vegnamo al fatto
nostro. Jersera io v’ho veduta a giuocare a trisette, e a perdere contra l’usanza vostra, essendo
voi per lo più fortunata. Non mi sarei immaginato mai di vedere, che il giuoco, ritrovato per
passatempo, e per tenere occupate quelle Persone, che non saprebbero fare altro in una compagnia, vi
desse cagione di tanta alterazione. A giudizio d’ognuno il compagno vostro giuocava con ottimo
discernimento, e con ogni cautela, e tuttavia poco mancò, che non gli gittaste le carte in faccia.
Non so se vi siate avveduta, che i circostanti occultamente ridevano della vostra collera. Voi che
siete sì quieta, e sì bene accostumata in ogni cosa vostra, poco mancò che non bestemmiaste. Ognuno
diceva piano. Egli è mala cosa essere suo compagno quand’ella perde. Ella non mi vi coglierà. Vi fu
chi vi pose qualche soprannome tratto dalla collera vostra, del quale non vi potrete forse spogliare
finchè vivrete. Ad alcuni parve di scoprire in voi un fondo d’avarizia, che non aveano più veduta;
io però non v’incolpai d’altro, fuorchè di quell’amor proprio, che abbiamo tutti, di voler essere in
ogni cosa superiori ad altrui. Sia come si vuole, tenetevi bene gli occhi addosso, e pensate, che
nelle conversazioni gentili non si giuoca, nè per votare le borse altrui, né per superbia di
signoreggiare in fortuna; ma per passare il tempo, e vedere quanto diversi sieno i casi della sorte,
e prendersi diletto delle stravaganze di quella. Serbate la vostra collera ad usi migliori, e, se
anche la vostra bellezza vi sta a cuore, ricordatevi, che gli occhi stralunati, gli orecchi, e le
guance troppo infiammate, l’aggrottar le ciglia, e certi atti subitani, e scomposti, non le fanno
giovamento, e che la faccia vostra era diversa da quella dell’altre sere. Scusatemi, e sono Vostro
Amico Il Sincero.
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Novella Orientale.~k
Allgemeine Erzählung
Leggesi nelle
Storie Orientali, che Ormuz fu un Califfo pieno d’amore de’Popoli suoi, e che sopra ogni cosa
desiderava, che ciascun uomo nelle sue Città, e nelle sue terre facesse quell’ufficio, e quell’arte,
che a lui apparteneva. Venne dinanzi a lui accusato un Dervis, il quale in iscambio d’attendere agli
uffici suoi, s’era dato del tutto al dipingere, e a fare ritratti, principalmente di Donne, e che
per non esser conosciuto, vestivasi al modo de’giovinetti del Paese, e dimenticatasi la decenza
della sua condizione, entrava ora in questa casa, ora in quella, ed esercitava la vietata pittura,
nella quale però egli avea piuttosto voglia d’essere valente Maestro, di quello, ch’egli fosse in
effetto. Certificatosi Ormuz dell’errore, volea gastigare il colpevole con gravissima pena. Ma un
peritissimo Mago, e molto studioso della natura umana, pensò che questo non fosse errore da punire
con tanta rigidezza, e dissene il suo parere al Califfo, esibendogli l’arte sua per far ravvedere il
Dervis del suo fallo. Consentì il Califfo, e lasciò la faccenda nelle mani del Mago; il quale fece
sì con l’arte sua, che mentre il Dervis adoperava il pennello per dipingere le immagini altrui, in
quello scambio sulla tela si vedea sempre l’immagine del Pittore, e all’intorno certe figurette
ch’esprimevano allegoricamente l’intrinseco de’suoi pensieri, e mettevano l’animo suo sotto gli
occhi altrui. Onde nacque il provverbio: O tu che pingi altrui, guarda te stesso.
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Brief/Leserbrief
A Filomuso~i. Io vi prego di scusa, se non ho fatto uso delle vostre
due Lettere. È grande la stima, che fo del vostro ingegno, e del vostro sapere. Ma io ho deliberato
di non esporre chicchessia a’calci, e a’morsi dell’ignoranza. Voi sarete forse sdegnato del mio
silenzio, derivato da una cagione d’onestà, e di buon animo. Considerate perchè io abbia taciuto
fino al presente, e non cessate d’amarmi, ch’io amerò voi sempre, desideroso di farmi conoscere
Vostro buon Amico, e Servidore.
Il Gazzettiere~i.
Il Gazzettiere~i.