La Gazzetta Veneta: N. XCV
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N.o XCV.
Mercoledì addi 31. Dicembre 1760.
Che contiene Quello, ch’è da vendere, da comperare, da darsi a fitto, le cose ricercate, le perdute, le trovate, in Venezia, o fuori di Venezia, il prezzo delle merci, il valore de’cambj, ed altre notizie, parte dilettevoli, e parte utili al Pubblico.Ebene 2
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Allgemeine Erzählung
IL (sic.) giorno di Santo Steffano il Sig. Domenico Majotto celebrato Pittore Discepolo del Piazzetta, spose in Piazza al Pubblico un Quadro, in cui rappresentò una Storia riferita da Plutarco nella vita d’Antonio. Per intelligenza dell’artifizio, e dell’espressioni, che in esso Quadro si veggono, è di necessità l’allegare le parole dello Storico, dalle quali vengono dilucidati i caratteri di Cleopatra, e d’Antonio Figure principali.
« Se n’andò Antonio, dice l’Autore, in Atene . . . Dall’altro lato Cleopatra invidiosa degli onori, che Ottavia (moglie d’Antonio) avea in essa Città già ricevuti, dov’era stata veramente amata, e grandemente onorata dagli Ateniesi, per acquistarsi la grazia del Popolo d’Atene, molti beneficii fece loro, e all’incontro essi le conferirono onori assai, e grandi, deputandole alquanti ambasciadori, che le portassero alla sua abitazione il decreto; de’quali uno fu Antonio, che come Cittadino d’Atene si presentò, e fece la diceria a nome della Città. »
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Il Quadro d’Imeneo~i.
Allgemeine Erzählung
Narrasi che un Giovinetto ricchissimo, e bello d’aspetto, era innamorato gagliardamente d’una fanciulla tutta bellezza, e modestia: con la quale avendo già pattuito, e assegnato il giorno delle nozze, era il più contento, e giovial Giovane, che vivesse a que’giorni. Tutti i pensieri suoi erano allegrezza, e speranza di godimento. Già gli parea di vedere con gli occhi il giorno delle nozze tutto sereno, gli suonavano negli orecchi gli strumenti, vedea le apparecchiate mense, gli amici, e i parenti in festa, e sopra tutto la Sposa sua vestita riccamente, acconcia i capelli, come una Venere, e in somma si raggirava pel cervello tutte le consolazioni, ch’io dico, e che non dico. In tanta festa, e ricreazione d’animo fece venire a sè un Pittore, e gli disse: Pittor mio, io voglio, che tu mi dipinga il Giovinetto Imeneo Dio delle nozze. Io ho a sposarmi di quà ad un mese, e debbo avere questo sì caro, e benefico Nume nella mia Stanza. Ma vedi bene, che tu me lo faccia a modo mio. Io voglio, che tu mi dipinga un garzoncello tutto grazia, con un visetto di latte, e rose, pienotto, con due occhiolini, che sfavillino per la giocondità: delle sue manine l’una terrà una facellina con una fiammolina chiara, e se tu puoi fare, che la sua luce somigli a quella del Sole, sì la farai tale, l’altra avrà una finissima catena d’oro con maglie, che a pena si veggano, fornita qua, e colà di diamanti. Abbia d’intorno le Grazie, qualche Amoretto, i giuochi, gli scherzi, e i risolini. In somma ed egli, e tutta la famiglia sua, fa che sia una delizia, e una consolazione. Il Pittore accettata la commessione, va a casa sua; squaderna Libri di mitologia, s’empie la testa, e il cuore di quanta allegrezza sa, e può, e con l’immaginativa pregna dello studiato, e dell’inventato, disegna, e dipinge un Imeneo tale, che parea dipinto fra i suoni, e i canti dell’Olimpo. Arreca il Quadro suo al Giovane, lo scopre! questi lo guarda, e loda: ma non pienamente. Maggiore era ancora l’allegrezza sua intrinseca di quella, che vedea nel Quadro. Ordina al Pittore, che lo ritocchi, che faccia più lieto l’Imeneo, più gioconde le Figure, che avea d’intorno. Il Pittore promette, e nel riporta seco. Il tempo era breve, si fanno le nozze prima, che sia compiuto il Quadro. Passano quindici dì in circa dopo il Matrimonio, e il Pittore ritorna con la tela sua, la quale avea lasciata qual era prima, senza metterle pennellata sopra. Il Giovane la vede: e dice: Ohi! troppo più, ch’io non volea, l’avete voi fatto ora lieto questo Imeneo. Quelle labbra ridono piú del dovere, questa catena vorrebbe essere un po’ più grossa, quella facella è soverchiamente chiara, e dovrebbe gittar fuori un poco di fummo. Che dirò io più? che in due mesi lo volea dipinto con le lagrime agli occhi, con una catena grossa due dita da Galeotto, e con un tizzone rovesciato in cambio di facella. Ma il Pittore, ch’era uomo di giudizio, non volle fare questo scandalo, anzi dipinse un certo Imeneo, che veduto fuori per un cristallo da lontano parea tutto festevole, e ridente, e veduto da vicino, facea all’incontro una bocca, e due occhi da piangere, che parea battuto, e in tal guisa soddisfece alla volontà degli amanti, e degli ammogliati.
Metatextualität
Richiede il debito mio, ch’io risponda, come promisi nel passato Foglio, a chi mi domandò, se gli Uomini Scienziati possono fra loro essere legati da Amore.
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Adi 27. fu rappresentato per la prima Sera nel Teatro di Sant’Angelo il Dramma giocoso Intitolato Amore Artigiano~i. Esso è del Signor Dottor Goldoni, onde non è da maravigliarsi, che sia ripieno di tutti que’movimenti focosi, e vivaci, che richiede la Scena; e principalmente nelle due chiuse dell’atto primo, e secondo. Egli può chiamarsi il primo inventore del chiudere gli atti con quella novità di sollecita, e variata azione. La Musica è del Signor Gaetano Latilla, il quale ritrovò con l’ingegno suo tutte le possibili imitazioni de’caratteri, e gli espresse con tutta quella verità, che richiede l’arte sua bene intesa. Riescono poi mirabilmente i balli, e d’essi principalmente il secondo.
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Un ricco, e devoto Cittadino, detto Giacomo del Pin, che nell’anno 1689. morì, lasciò in testamento una buona quantità di danari investiti a benefizio della Scuola grande di San Giovanni Evangelista, in cui era confratello. Fra gli altri ordini suoi commise, che dopo terminato l’Altare della Croce, e fatte quivi due lampade d’argento, si dovesse spendere de’danari da lui lasciati diecimila ducati in una lampada d’oro, in cui fosse intagliata l’arme sua, e ch’essa lampada fosse ogni prima Domenica esposta ad detto Altare della Croce. Fu per la prima volta sposta il giorno della passata Domenica, e venne da tutti ammirata la ricchezza, e lo squisito lavoro di quella.
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Allgemeine Erzählung
Poche sere fa io mi trovai al letto d’un Ammalato, e si ragionava dalla compagnia, che quivi era, intorno agli stomachi umani, i quali quando gli Uomini sono infermi, divengono un barile ripieno di purganti, d’acque, di cordiali, e d’altre sì fatte cose, che sarebbero capaci di rendere infermo un sano, non che di guarire un Ammalato. In questo, entrò nella Stanza il Medico, Uomo veramente di molta dottrina, e di senno, il quale dopo d’aver tocco il polso all’Ammalato, si pose anch’egli alquanto a sedere con gli altri; ed essendo pervenuto al tempo del ragionamento, ch’ivi si facea, incominciò anch’egli ad essere Personaggio del dialogo. Io vorrei disse uno, sapere schiettamente, se i Medici usano nelle loro malattie quegli stessi modi, che adoperano nel medicare l’altre Persone. Signor mio, rispose il Medico valentuomo, fra gl’infiniti Libri di Medicina, che sono al Mondo, uno ne manca ancora, il quale dovrebbe avere per titolo: Della Medicina usata da’Medici nelle malattie loro~i. Io son certo, che si vedrebbe una dottrina nuova affatto, e un Libro di Medicina senza ricette. L’usanza mia nel governarmi, mentre ch’io son sano, è lo studio del mio stomaco, il quale è da me con diligenza ubbidito. Domandogli, per esempio, oggi che vorresti tu per pranzo? e ascolto bene, che mi risponde, e s’egli mi domandasse per quel dì ostriche, o carni salate, io ne lo contento; nè queste vivande io le mangierei giammai, s’egli non mi dicesse d’averne voglia. Così faccio ogni dì, e oltre al conoscere, che questo giova alla salute mia, ho anche il piacer di variare, e di mangiar sempre una cosa richiesta con avidità dallo stomaco, che mi da doppio diletto al palato. Se poi vuole la disgrazia, ch’io mi ammali, dò luogo alla natura di sbrigarsi da sè, senza metterla in due impacci, cioè in quella del combattere con la malattia, e nell’altra dell’azzuffarsi con le medicine. Ma sopra tutto conforto il cuor mio con la pazienza; perchè spesso non il male; ma l’impazienza dell’Infermo è quella, che move la mano del Medico a scrivere le ricette. Sicchè per oggi V. S. (e si volse all’Ammalato) si contenterà di figurarsi d’esser Medico, e di rimediarsi alla nostra usanza. Così detto, salutò la compagnia, si partì; e quanti quivi erano rimasero persuasi di medicarsi da indi in poi, come i Medici.
Metatextualität
Nel seguente Foglio vedremo chi abbia ragione.