Citazione bibliografica: Gasparo Gozzi (Ed.): "N. XCIII", in: La Gazzetta Veneta, Vol.1\093 (1760-12-24), edito in: Ertler, Klaus-Dieter / Fabris, Angela / Fuchs, Alexandra (Ed.): Gli "Spectators" nel contesto internazionale. Edizione digitale, Graz 2011- . hdl.handle.net/11471/513.20.3717 [consultato il: ].


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N.o XCIII.

Mercoledì addi 24. Decembre 1760.

Che contiene

Quello, ch’è da vendere, da comperare, da darsi a fitto, le cose ricercate, le perdute, le trovate, in Venezia, o fuori di Venezia, il prezzo delle merci, il valore de’cambj, ed altre notizie, parte dilettevoli, e parte utili al Pubblico.

Livello 2► Livello 3► Racconto generale► UN (sic.) buon Religioso, udito l’universale concetto della Commedia intitolata la Casa Nuova, s’invogliò anch’eglì di vederla l’ultima Sera, che fu rappresentata. Ma essendo Uomo di coscienza sottile, e nimico delle cose mondane, comecchè, comprendesse, che l’essere presente ad una rappresentazione d’onesti costumi, non fosse cosa degna di biasimo, pure temendo, che i popolani suoi si scandalezzassero del vedernelo a uscire di Casa mascherato, fuori dell’usanza sua, prese per ispediente di mettere certi vestiti da maschera prestatigli da un amico in un involto, e fatta venire alla Riva di sua Casa una Gondola verso l’un’ora di notte, entrò in essa vestito, come egli era, per travvestirsi poi in essa Barchetta, senza saputa d’alcun altro, fuorchè del Gondoliere, che ne lo conduceva. Mentre che la Barchetta facea suo viaggio, per andare al luogo assegnato, tramutò egli i vestimenti, e giunto ad una Riva al Teatro vicina, quivi sbarcò mascherato, raccomandando al Gondoliere le vesti sue, che avea nella Barchetta lasciate, e ordinato che quivi ne lo attendesse fino alla sua venuta; andò a vedere la Commedia. Il Gondoliere, a cui parea strano di dover indugiare quivi soletto forse tre ore, e venendogli a noja la solitudine, mentre, che gli altri si davano buon tempo, non sapendo che farsi, spogliatosi de’panni suoi, quelli del Religioso indosso si pose, e uscito fuori della Barchetta sua, se n’andò in tal guisa contraffatto a passeggiare. Non lunge di là, dov’egli si trovava, è una via detta del carbone, dove abitano in certe casipole terrene, le più sozze, e vituperose uccellatrici degli uomini; nella quale strada entrato il Gondoliere, piuttosto concio del vino, che altro, essendo uomo nel fondo suo, di buona coscienza, il vino cominciò ad uscirgli in morale; e diceva ad alta voce: O fracide, o corpi datisi al mondo, quando vi pentirete voi di questa vita universale? Ben è questa calle detta del carbone, poichè voi siete veramente carboni accesi, i quali ardete o tingete. Con tutto ciò io vengo a voi qual fratello a sorelle, e dicovi....E qui fece un Lago di riprensioni a modo suo quali gli venivano, senza pensare a’fiori di Retorica, se non che di tempo in tempo per rinforzare il ragionamento, e dargli nervo, lo rincalzava, massime in sul chiudere de’Periodi, con qualche vocabolo imparato in sui traghetti, e di quelli, che un fratello, qual egli dicea d’essere, non avrebbe detti alle sorelle. Le donne, che a questo parlare, si avvidero, ch’egli non avea altro indosso di buono, che i panni, s’adattarono vigorosamente all’eloquenza di lui; sicchè il Sermone, cominciò a diventare Dialogo, con tanta furia, che di quà, e di là si scagliavano le più veementi Figure del mondo. Mentre ch’egli sermoneggiava, ed esse ribattevano, eccoti che passa di là con la sua compagnia un Capo di Birri, il quale, udito il romore va presso al Gondoliere, e credendolo da prima quello, ch’egli parea nel vestito. Oh! vergogna, gli dice, che voi quì state a tale ora di notte, ad azzuffarvi con le cantoniere del Paese. Andatevi, andatevi al nome del Cielo. Ahi! misero a me! ripiglia il Gondoliere; che tu vieni ora ad interrompere la più bella emendazione di costumi, ch’io facessi giammai. Non vedi tu, come queste Buldriane piangono, e come le sono presso, che pentite? Va tu, e lasciami compiere l’ufficio mio. Mentre, ch’egli così ragionava, si avvide il Birro, ch’egli avea in capo un berrettino giallo da Gondoliere, onde rivoltosi a’compagni suoi disse loro: Quel giallore, ch’egli ha in capo mi da indizio, ch’egli non sia quello, che sembra, cercategli intorno. Detto fatto: gli s’avventano incontro, e nelle tasche de’calzoni gli trovano non sò quali coltella; gli pongono gli artigli addosso, e lo conducono, dove il giorno seguente avrebbe veduto il Sole a scacchi. Intanto termina la Commedia, e la Maschera va alla Gondola per ripigliare i panni suoi, e andarsene a casa. Chiama, perchè il Gondoliere esca. Egli era da lontano. Crede che dorma, chiama di nuovo, alza la voce. N’è quel medesimo. Che diavol sarà? entra nella Barchetta, la trova vota; cerca de’suoi panni, sono smarriti. Non sa che giudicare. Siede, e sta ad attendere. Aspetta il corvo, che non torna. Finalmente gli convenne, quando quasi tutti erano a dormire andare alla casa d’un amico suo, il quale si levò da letto, ne lo ricolse, e la mattina per tempo, mandò per altri panni neri; e se n’andò a casa mezzo trasognato di quello che gli era avvenuto. ◀Racconto generale ◀Livello 3

Livello 3►

Proseguimento della Lettera in difesa delle Donne.

Lettera/Lettera al direttore► Ma per non procedere con tutto il rigore di stretta verità, voglio accordarvi, che anche le Donne abbiano i loro difetti; e non so, se più per onore, o più per vergogna nostra, voglio accordarvi, che gli Uomini hanno una privilegiata sodezza di spirito, di cui mancano le Donne. Da questo risulta in noi il dovere, d’agire con sodezza di ragione, e di buon esempio. Se non che, con questa nostra sodezza di spirito, come ci comportiamo noi? Non sembra egli che la incostanza, e la volubilità sia la più pregiata delle nostre qualità? Le Donne, attente imitatrici degli Uomini, e studiose nel compiacerli, appena veggono che l’Uomo varia di genio, varian’esse ancora di maniera per uniformarsi alla bizzarria dell’Uomo; e come credono, che da noi si pensa, e si opera bene, così credono di pensar, e di oprar bene esse ancora, quando sieguono le nostre pedate. La varietà delle mode, nasce nelle Donne da un principio di armonia universale, e dall’amore che queste Colombe portano alli Corvi ingrati. L’uniformità, e l’eguaglianza sarebbono la felicità del Mondo. E chi più delle Donne studia e cerca questa uniformità? Una si mette addosso un vestimento di nuova foggia, un nastro di non usato colore, ed ecco tutte le altre far’a gara per imitarla, e per andare d’accordo. Che bella figura farebbe il Mondo se non ci fosse la moda? Ogn’una farebbe un Mondo a parte e a modo suo; dal che nascerebbe la confusione. Perchè dunque, cercan le Donne l’armonia, perciò a voi dispiacciono? dispiacer’ingiusto. Sarebbe atto di superbia, il non voler seguir la moda, ed è atto di docilità il conformarsi a quello, che vuole il costume. Mi direte, che ho ragione, ma che vi dispiace quel cambiare così soventemente di moda. Di questi cambiamenti però, chi n’è la cagione? Gli uomini. Noi amiamo la varietà, perchè siamo volubili, e la nostra incostanza fa, che le Donne canginsi in tante foggie, per amorosa ansietà di fissarci. Provvedute di fortezza d’animo, cosa mai non fanno esse per piacerci? Nulla temono, tutto rischiano, di niente si sgomentano. Osservate la loro intrepidezza nella foggia del loro vestire. L’abito moderno è tagliato a fianchi, è aperto d’avanti. Qual Soldato che si fida del proprio valore, e non della stretta armatura, affrontan’esse il nemico, e a petto scoperto combattono il rigore della fredda stagione. Nel loro privato, guardansi dall’aria, che può insinuarsi per lo spiraglio d’una stanza ben serrata, ma quando si tratta di presentarsi agli sguardi altrui, dimentiche della loro dilicatezza, dispregiano la brina, la neve, e il gelo, e trionfano dell’acute, penetrantissime assiderazioni della Tramontana. E qual cosa mai non fanno le Donne per dar’ in genio all’Uomo? Non è la loro vanità, ma bensì il nostro capriccio, anzi la nostra poca discrezione, che fà il viver loro cotanto penoso. Oh! con qual tormento soffron le poverelle, li cambiamenti delle mode; ma purchè piacciano, volentieri vi s’assoggettano, e sono tanto compiacenti, che colla propria tortura voglion procurarci diletto. Livello 4► Exemplum► Sovvienmi di M. Sig. Euremond, il quale era un’allegro Filosofo, e che aveva non men di stima, che d’inclinazione per il bel sesso. Con tutte queste belle e lodevoli qualità, ebbe la disgrazia di scrivere un Capitolo sulla stima, che fanno le Donne della loro bellezza, dove dopo aver detto molte debolezze conchiude, che alle Donne dispiace più il perdere la bellezza che la vita. ◀Exemplum ◀Livello 4 Voi, ancora, la fate da crudel Critico della cura, che hanno le Donne della loro bellezza. Ma ditemi di grazia, per qual motivo custodite voi con tanta gelosia i vostri occhi, e per qual motivo procurate d’abbellire collo studio il vostro ingegno? Mi risponderete: che vi credete obbligato di custodire, e di coltivare i preziosi doni della natura. Ma la bellezza delle Donne, non è anch’ella un prezioso dono della natura? Perchè a voi sarà lecito, senza biasimo, di custodire quello che avete, e alle Donne non sarà lecito di custodire quello, che hanno? Gli Uomini sono ingiusti (sic.) maligni e invidiosi. Vorrebbon’esser’essi, i soli belli, i soli attillati. E ve ne sono, pur troppi, oggi giorno, che stanno alla Tavoletta, e avanti lo Specchio, più delle Donne, nelle quali è giunta a tal segno lo modestia, che per non farsi da tutti vedere, portano il cappuccio, e lascian’agl’effeminati Damerini l’onore d’un bel tuppè, e la vivezza delle guancie tinte in grana. Gli ornamenti, che s’usan dalle Donne, sono effetti della decenza, e della pulitezza. La modestia è il loro vero pregio, ed oh! quanto sono modeste; le maniere graziose sono il loro studio, ed oh? quanto sono affabili; la docilità del cuore è la loro qualità, ed oh! quanto sono arrendevoli; la misura nel parlare è il loro carattere, ed oh! quanto sono caute e prudenti! Se camminano, i passi sono compassati, e accompagnati da studiato portamento di vita; se guardano il girar degl’occhi va sempre diretto a qualche fine: tutto finalmente ha il suo perchè. E creature così attente, così piene di riflessione, così sincere, così costanti, così virtuose, non meritan forse oltre all’amore, rispetto, lode, e venerazione? Se non siete di macigno, fate loro giustizia, e ritrattate le vostre maldicenze. Addio. ◀Lettera/Lettera al direttore ◀Livello 3

Livello 3► Lettera/Lettera al direttore►

Mio Signore,

In una Conversazione jersera fu fatta una lunga quistione intorno alle Bestie; cioè qual d’esse abbia più cervello, e non si conchiuse mai nulla. Una Signora, deliberò, che se ne domandasse alla Gazzetta. Vi prego dite qualche cosa, tanto che un altra sera si cianci intorno a questo argomento. Sono tutto vostro, e mi raccomando. ◀Lettera/Lettera al direttore ◀Livello 3

Livello 3► Eteroritratto► Di tutti gli Animali, che si conoscono, io quanto è a me dò la preminenza al Gatto, e non saprei quale altra bestia in giudizio gli si potesse uguagliare, nè delle Salvatiche, nè delle Domestiche alcuna. Le Salvatiche con la loro subitana furia, e impazienza sono condotte a vivere ne’Boschi senza consolazione di veruna Società, in continue guerre, e bestialità da Bestie; e per acquistarsi il vitto, debbono fare una continua caccia, essendo sempre nemiche degli Uomini, i quali potrebbero soccorrere alle bisogne loro, se non fossero cotanto difficili, e dispettose. Gli Animali domestici poi, avendo lasciato affatto la bestialità animalesca, si godono bensì di tutti i vantaggi, che può dare la Società, quanto è al mangiare, e al bere; ma vanno altresì per la soverchia dimestichezza soggetti a tutti i disagi che derivano dall’assoluta padronanza, che gli Uomini si hanno presa sopra di loro. Per un po’ di paglia, e di fieno, ch’hanno i Buoi, vedi quante fatiche hanno a sostenere. I Cavalli hanno fieno, paglia, biada, stregghia, ma le fatiche loro non hanno mai termine, e fino a quando sono vecchi, e azzoppati, e’ tocca loro a tirare l’alzaja, o a volgere una macine. I cani hanno più bastonate, che pane, per assuefarsi alla caccia, o ad essere buoni guardiani, o perchè non piscino; o sono tenuti ad una catena tutto il dì con mille dispetti, e rancori, nè finiscono i loro guai, se vengono odiati peravventura da Servi, o dalle fantesche. Se non hanno voglia di far carezze, tu vuoi, che te ne facciano a forza; in somma non hanno mai pace. Di tutti questi Animali il Gatto solo ha conosciuto, come Aristotile, la via del mezzo; e tanto si rese domestico, quanto può bastare al suo mantenimento, e tanto rimase salvatico, quanto può fare, che gli Uomini non gli comandino liberamente. S’egli ti vuole spontaneamente venire intorno, ad accarezzarti lo fa a suo beneplacito, e se non vuole, tu puoi bene lusingarlo, allettarlo e consumarti in vezzi, che non ti guarda in viso. Un Cane, per esempio, non avrà voglia d’andare a caccia, e tu lo fai uscire, e dee andarvi a suo dispetto. Fa, se tu lo puoi, quando il Gatto non ha voglia, ch’esso dia la caccia a’Topi. Quando vuole, lo fa, quando non vuole, usa tu le trappole per prendergli, che non lo indurresti mai. Se gli da il capriccio di scherzare, fa mille attucci pieni di garbo, ed eccolo domestico; se non gli da, ti soffia incontra, ed eccolo salvatico: e sa farsi amare, e rispettare. Se non gli dai quanto gli abbisogna, nell’aprire armadi, e ripostigli, è ingegnosissimo. Se i Cani amano, e tu non vuoi, gli rinchiudi, e gli lasci consumar d’amore. Al Gatto, non l’accoccherai, perchè delle sue amorose furie, non t’avvedi, se non quando esso va su pe’tetti con l’amante sua. Allora egli te n’avvisa ad alta voce, e par che ti dica: Fratel mio in queste fatto tu non m’hai a comandare. Non si cura poi, come l’avara Formica di mettere insieme averi, o sostanze; che all’incontro si gode del presente; e se prende un topolino, prima di mangiarlo, scherza lungamente con esso, senza altro pensiero. Quando avrà bisogno, nè prenderà un altro. Mille altre cose potrei dire, e confermarle con evidenza per provare, che il Gatto è il più giudizioso di tutti; ma da questo schizzo potete voi medesimo giudicare del restante. ◀Eteroritratto ◀Livello 3

Il dì primo di Gennaro nell’Ospitale degl’Incurabili si replicherà l’Oratorio del Sig. Ciampi, intitolato Virgines prudentes, & fatue

Libri nuovi in Venezia.

Il Sig. Dottor Giovanni Dalla Bona Veronese, ha già dati più saggi del suo nobilissimo ingegno, e del suo profondo sapere nell’arte della Medicina. Egli del 1751. ha arricchito la Repubblica Letteraria di cinque sue Opere; cioè dell’uso, e dell’abuso del Caffè, di cui in questo anno se ne fece una seconda Edizione accresciuta con un ragionamento intorno all’uso della Cioccolata, e del Rosolio; e fa vedere quanto l’uso del Caffè sia valevole ad ingenerare le isteriche, e ipocondriache affezioni: La seconda è intitolata: L’utilità del Salasso nel vajuolo. La terza sono alcune Pratiche osservazioni circa l’uso del Mereurio sublimato corrosivo, scritte in pulito Latino. Presentemente è sotto il Torchio nella Stamperia del Radici un trattato dello Scorbuto scritto similmente in Latino, diviso in tre libri, l’uno de’quali è già impresso, ed il secondo è cominciato. Era veramente da desiderarsi, che qualche Scrittore Italiano trattasse ex professo questa materia, essendo tale infermità resa pur troppo famigliare. Siccome l’altre opere di questo Autore meritano l’approvazione universale; si spera che questa in cui s’affaticò molti anni nel fare le sue molte, e diligenti osservazioni verrà pubblicamente gradita.

Cose perdute.

E (sic.) stato perduto Domenica mattina in un involto di carta Zecchini num. 6. sulla Riva de’Schiavoni; Chi gl’avesse ritrovati li faccia avere dal Sig. Gio: Battista Scarmana dalle Acque in Salizzada a S. Canciano, che li sarà data una generosa cortesia.

Case da Fittare.

Case, e Botteghe di Kà Magno d’affittar.

Sant’Agnese. Casa primo apartamento, paga D. 90.

Santa Catarina. Casa secondo apartamento, in calle della Racchetta, paga D. 50.

San Mattio di Rialto. Casa, paga Duc. 32.

San Cassan. Riva dell’Oglio, due Botteghe solite affittarsi da Salumieri, paga D. 86.

S. Bortolamio. Botteghin alla Cerva, paga D. 12.

Santa Ternita. Casa in Corte delle Bocole, paga D. 40.

Magazeni diversi uniti, e separati, paga D. 40.

Legni arrivati.

Adì 12. Decembre. Pieligo, Patron Francesco Quintavalle, venuto da Parenzo, con 27. Bar. Miel.

Detto. Pieligo, Patron Zuanne Russignol, venuto da Piran, con 4. cai Oglio. 120. Bar. Miel.

Detto. Polaca nominata Madonna del Scarpello, e le Anime del Purgatorio, Capitan Piero Ersegovich, manca da Cipro li 7. Settembre, da Alessandria li 22. Ottobre, e da Corfù li 16. Novembre, raccomandata a D. Polimeri Paulin, con 2. Scaffassi Canella. 39. Balle, 4. Fardi, e 11. Sporte Caffè. 1015. Pelle cuori Salati. 1. Scaffasso Mira. 315. Balle Gotton. 4. Ballette Seda. 1. Balla Telle. 2. Fag. Grana. 3. Fag. Galla. 52. cai, e 93. Barille Vin di Cipro. 3. Scaffassi Salarmoniaco. 3. colli Cera zala. 2. Panni Storas. 2. Fagottini Strazze di Seda. 1. Fagottin Tellarie. 3. Fag. Lin.

Per l’Estrazione 20. Decembre 1760. in Venezia.

Introito.

Di Venezia- L. 171976 : 18

Di Terra Ferma- L. 61626 : 11:

Di Capo d’Istria, e Rovigno- L. 1874 : 5 :

L. 235477 : 14 sono Duc. 37980 g. 7

Numeri Estratti 51. 77. 28. 12. 54.

Vincite.

Ambi con l’Augmento D. 9954

Terni simili D. 9000

Estratti D. 1030

D. 19984

Qualità, e quantità de’Terni.

N. 1. - di D.1000

- 1 - di D. 500

- 3 - di D. 300

- 1 - di D. 250

- 2 - di D. 200

- 1 - di D. 150

- 12 - di D. 100

- 9 - di D. 50

- 6 - di D. 25

N. 36

La ventura Estrazione sarà li 24. Gennaro 1760. ◀Livello 2

Vendesi la presente Gazzetta a 5. soldi, e si ricevono le Notizie.

A San Marco. Nella Bottega da Caffè di Florian.

In Merceria. Nella Bottega di Paolo Colombani Librajo.

Giù del Ponte di S. Polo appresso la Calle dei Savoneri. Nella Bottega di Gasparo Ronconella Librajo.

In Venezia. Per Pietro Marcuzzi Stampatore.

Con Privilegio. ◀Livello 1