La Gazzetta Veneta: N. 83
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N.o 83.
Mercoledì addi 19. Novembre 1760.
Che contiene Quello, ch’è da vendere, da comperare, da darsi a fitto, le cose ricercate, le perdute, le trovate, in Venezia, o fuori di Venezia, il prezzo delle merci, il valore de’cambj, ed altre notizie, parte dilettevoli, e parte utili al Pubblico.Ebene 2
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Brief/Leserbrief
Sig. Gazzettiere,
La sera del Sabbato passato nel fiorito circolo di persone dell’uno, e dell’altro sesso si leggeva in uno Camerino della mia Bottega, da un bel spirito moderno la Gazzetta vostra di quel giorno. Tutti ne sono restati malcontenti, eccettuatone un buon Vecchio, il quale lodò di molto la vostra buona intenzione, e partissi dicendo: ah pur troppo dice bene il Gazzettiere, e chi fa quel che non deve, deve sentire quel che non vuole. Dopo la sua partenza sentii un bisbiglio universale, e quel vostro amico Fronimo Salvatico fu regalato del nome di Sciocco. Di voi si parlò con più moderazione. Molti, e molte dissero, che eravate stato sedotto da qualche Misantropo, ma con tutto ciò vi fu ancora chi disse, che se continuarete a voler far da Rifformatore della Moda, incontrerete l’odio di tutte le moderne brigate. Io, che vi amo per l’utile, che mi reca la vostra Gazzetta, da me proveduta a comodo de’miei avventori, vi avviso di tutto; e vi esorto a mettervi delle belle Novellette, che diano pascolo all’ozio, a cercare delle belle mode da’Paesi stranieri, per contentar la vanità del bel Sesso, e smugnere la borsa de’Mariti, o di lasciar almeno di turbare con Fogli antimodisti la letargia di quelli, che si vanno dimenticando della lodevole semplicità degli antichi. Che sarebbe di me, se la Garba tornasse alla moda? Badate dunque a voi, ed approfittate del consiglio del vostro ben’affetto
Il Caffettiere.
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Brief/Leserbrief
Sig. Caffettiere.
Vi ringrazio dell’avviso datomi da voi con tanta cordialità. Pochi sono quelli, che come voi, facciano partecipi gli amici di quanto vien detto di loro, acciocchè prendano regola in quel, che fanno. Piuttosto molti sono, quelli, i quali vestendo con un viso caritativo, e modesto la propria malignità, vengono agli orecchi, e dicono: il tale ha profferito sì e sì del fatto tuo; e ha detto questo, e questo. E non sarà vero. Ma sfogano la voglia del dir male del fatto vostro in faccia di voi, coprendosi come dire, dietro al tappeto dell’averlo sentito a dire. Sicchè oltre all’essere punto, e svillaneggiato, vi conviene anche ringraziarli della loro lealtà, e schiettezza. Io so chi voi siete, e conosco quanto siete onesto uomo; e poi non mi dite cose, ch’io non le oda da mille parti. Chi fa la casa in Piazza, o la fa alta, o la fa bassa, dice il proverbio; ch’è quanto a dire chi pubblica le cose sue, non può dare nell’umore a tutti. Spiacemi bene, ch’egli si creda, ch’io abbia un capello, che pensi a riformagione d’usanze, o d’altro. Sempre sono state al mondo due fazioni, l’una che vuol fare a modo suo, e l’altra, che vuol dire quel, che le pare. La prima non ha mai potuto turare la bocca alla seconda, e la seconda non ha mai fatto cambiare l’opinione della prima d’un iota, d’un puntino. Io sono del secondo partito, e ciancio, e rido talvolta più di me, che d’altrui, a pensare quante baje, e chiacchere vado spargendo al vento. Sicchè non dubitate mai, ch’io potessi, per quanto mi sfiatassi a parlare, far che si scambiasse il Caffè nell’antica Garba. Tutti i Libri sono pieni de’fatti, e delle parole de’due partiti da me accennati; sicchè il mondo è sempre stato ad un modo. In ogni Secolo le Mogli hanno fatto spendere, i Mariti; in ogni età hanno i figliuoli biasimata la ruvidezza de’Padri, sempre sono state le mode al mondo; e in ogni tempo si trovò, chi se ne fece beffe senza frutto. Le novellette, che voi dite, che sarebbero più care al Pubblico, quando le ho, le scrivo. Ma vi ricordo, che certe riflessioni entrano nel genere delle novelle; e anche i costumi degli uomini sono Novelle, e Storie; nelle quali, voi non trovate il nome di Giampaolo, nè di Lamberto; ma sono però atti, opere, fantasie, stravaganze e capricci di questo, e di quello, che si sentono a dire cotidianamente, e si veggono in ogni luogo. In somma le sono di quelle cose medesime, che udirete a dire più volte il dì nella Bottega vostra, e delle quali avrete riso più volte. Io non fo altro, che scriverle, in iscambio di dirle sedendo con la chicchera in mano; anzi all’incontro, quando ho la chicchera in mano, succio, taccio, ascolto, e quella, ch’io stampo è per lo più materia somministratami da molti gentili ingegni, a’quali escono le grazie, e le urbanità, senza ch’essi punto se n’avveggano; e io sono come un raccoglitore di quello, che anderebbe in aria disperso. Di nuovo vi ringrazio della vostra amorevolezza, e sono di cuore, vostro affezionatissimo.
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Risposta di Clio ad Ilaria~i sopra la vecchiaja.
Brief/Leserbrief
Ilaria~i Carissima
Conoscendo io, che siete docile e ragionevole, ad onta della universale ostinatezza e bizzarria del nostro sesso, sono persuasa, che non vi sdegnerete contro di me, se vi dirò, che la vostra Lettera m’ha fatto ridere di core, colla viva immagine del vostro spavento, alla vista di quel terribile Uomo degli occhiali. Io sono d’accordo con voi nella opinione di non esservi cosa, che; particolarmente al nostro sesso; sia più rincrescevole della età, non dirò avanzata, ma un poco matura; e sò che poche volte sono appresso noi i benvenuti quelli, che ce ne fanno rissovenire. Ma non sono d’accordo con voi, che l’avversione per gli anni molti sia una debolezza così grande, come voi la credete. Non è l’avvicinarsi allo scioglimento della vita, nè il timore di perder la bellezza, o di soggiacer’alle infermità, alla Vecchiaja più, che ad altra età comuni, che renda terribile cotanto quel Periodo fatale, ma bensì altra disgrazia, di cui non avete fatta menzione; ed è il disprezzo, che hanno per noi tutti quelli, che di qualche anno sono più giovani. Quest’è il vero motivo, che atterrisce ogn’uno, il quale diviene Vecchio. Tutti, e li Vecchi ancora, hanno delle condiscendenze favorevoli per la Gioventù. La Gioventù attrae l’amore, il rispetto, la servitù di tutto il Mondo, nel mentre che la Vecchiaja se ne giace negletta e sprezzata. Non è, dunque, da dirsi debolezza, il timore della Vecchiaja, ma dee dirsi, ridicola ed assurda la pazzia di quelli che disprezzano la Vecchiaja negl’altri, nel tempo, che vi mettono tutto lo studio, per arrivare, vivi e sani, ad invecchiare. La cosa però va così, e così anderà finchè durerà il Mondo.
Pensar dunque dobbiamo nel vigor de’nostri anni a procacciarci delle buone e virtuose qualità, ed a coltivare il nostro spirito, per non rendere nojosa agl’altri, e solitaria a noi, la nostra Vecchiaja. Allora con questo provvedimento saggio al pari e doveroso, sapremmo guardarci dalle giovanili affettazioni, che mal ci starebbono, e non c’arrogheremo il privilegio di censurare con austerità gl’altri; ma correggeremo più coll’esempio, che con precetti dalla mormorazione animati, l’altrui condotta. Imperciocchè tutte le volte, che vi accade di vedere; e spesse volte veggo; delle Civette, alle quali l’Autunno della età incomincia a render languidi gli occhi, volare come tante farfalle da visita in visita, ricercar le Mode, e far mille e cento giovenili morfie, mi compiaccio nel sentirle diventar la ridicola favola delle brillanti compagnie. E tutte le volte, che sento una Vecchia pedante a mormorar de’passatempi i più innocenti, non mi maraviglio, se dessa viene da tutti schernita ed isfuggita. Il maggior male della Vecchiaja, a mio creder’è quello, che i capelli canuti ingrandiscono gli errori, ed impiccioliscono le Virtù; e perciò dobbiam rivolgere tutta la nostra attenzione a coltivare, e perfezionare i talenti che abbiam dalla natura ricevuti, per divenire sempre più saggie, a misura che andiam avvicinandoci alla nostra eterna abitazione. Approfittiamoci dunque, degli errori, e degl’altrui inganni, ed invece di contare, e di rattristarci del numero de’nostri anni, contar ci giovi il progresso, che facciamo in quelle Virtù, che sono proprie delle Creature ragionevoli, perchè da queste ridonderà in noi quella soddisfazione, che in vano cercheremmo dal nostro specchio, e dalla adulazione di quelli, che ci corteggiano. Addio Ilaria mia, e credetemi per sempre, vostra sincera Amica
Clio~i.
Metatextualität
Bel pensiero veramente è venuto in capo, ad un Amico mio, il quale chiede ch’io gli dia consiglio in un caso d’amore. Questa è una materia, che non ha consiglio, s’egli si ricorda, non solo quello, che ne dice Terenzio, ma tutti i casi degl’Innamorati, che avrà veduti a’giorni nostri. Io avrei quì posta la propria Polizza di lui, s’egli non l’avesse, con soverchia cortesia, empiuta di molte da me non meritate espressioni. Non priverò tuttavia il Pubblico d’un Sonetto, che va con essa Polizza congiunto, nel quale egli mi partecipa il suo amore, e la crudeltà della sua Signora.
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Zitat/Motto
Ragion maestra dell’Umano core,
Senza cui pere inevitabilmente,
Spense il divo suo lume, e crudelmente,
Misero! il mio diè in podestà d’Amore.
Prego non valse, forza, arte, o valore,
Onde scampar da’lacci immantenente,
Che prevalse il potere Onnipossente
Del riverito, e sommo mio Signore.
Quindi, ahi lasso! perdei mia libertate,
E ad amar diemmi in Donna altera, quanto
Puote leggiadra Angelica Beltate.
Chiesi morte, o pietà con voce, e inchiostro
A Lei; ma invan, che vuolmi vivo, e in pianto.
Consiglio, o Amico, onor del Secol nostro.
Risposta
Come soave odor nasce col fiore,
Così ne viene Amor con nostra mente;
E fuggir non si può, tanto è possente
Lo forte raggio di suo bello ardore.
Beltà di Donna, e suo rigido onore
Vie più lo rende lucido, e cocente:
Ma qualor essa a’tuoi desir consente
Debil è fatto, e alfin si spegne, e more.
Gloria di Donna è il non usar pietate,
Perch’ei non manchi; e gloriosa intanto
Mira la forza della sua beltate.
Tacer meglio era, e non versare inchiostro;
Or sa che l’ami: e sarai servo quanto
Ella vorrà; che questo è il destin nostro.
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Brief/Leserbrief
Al signor Gazzettiere
Salvatico Fronimo~i. S.
La Gentilezza, con cui avete avuta la bontà di esprimervi in mio favore, nella vostra Gazzetta n. 82. non mai farà, ch’io pensi di me con vana compiacenza; e perciò appunto stò occulto, perchè conosco il poco, che vaglio. So che l’amor per le Lettere, non rende un uomo Letterato, e che il merito d’un sano ingegno, non pende dal numero delle Idee, ma dalla verità, e dall’aggiustatezza delle medesime. Le mie picciole fatiche sono frutti della conversazione, che io mi fo da per me. Essi sono acerbi, ma l’albero non ne produce di più maturi. Sono contento, se voi li aggradite come segni di riconoscenza, per quel molto, che io ricevo da voi, sì nella vostra Gazzetta, sì nell’altre molte, dotte ed erudite, fatiche vostre, che sanamente mi dilettano, ed utilmente mi ammaestrano. Non importa, che si sappia, chi io mi sia. L’amor, o l’odio dell’Autore, servono di guida agli spiriti pregiudicati. Il bene ed il male, non vanno soggetti alle modificazioni personali, ma sono relativi a quello, che giova, e a quello che nuoce alla Società umana. Se qualche fantasia pregna d’Idee miste, confuse, e false, tenta di sedurre il volgo; non è egli dovere d’un uomo, che ama la Società, di smascherare l’impostura, e tenere ben guardati, e ben custoditi i principii della verità, e della naturalezza? Se il costume, e li pregiudizj della Moda, minacciano di voler oltrepassare i confini della moderazione; non è egli dovere d’un uomo, che ama la Società, di mostrarne il ridicolo, d’indicarne il danno?
Quelli, che conoscono la economia dell’animo umano, che sanno con qual forza s’imprimono ne’fanciulli le Idee per via degli esempj coll’occhio veduti, e con qual facilità la mente degli uomini si lascia infiammare dalli detti, e dalli fatti maravigliosi e falsi, possono ben’accorgersi dell’agevolezza con cui si forma l’abito di pensare falsamente in un genere di cose, e della insidiosa maniera con cui questo abito, in virtù dell’associazione delle Idee, qual contagio, si comunica alla massa intera delle medesime. Quanti uomini eccellenti nelle più astruse Scienze hanno avuta la fantasia rovinata da qualche studio di accessoria dilettazione, fatto con falsi principii! I fanciulli, colla impressione di esempii poco moderati, di studii mal condotti, de’falsi sentimenti, e dallo Stile scommesso e gonfio di quel che leggono, o sentono, non divengon forse, scostumati, sofisti, ampollosi? Da chi mai possono guardarsi questi pericoli con indifferenza, quando per principio di verità, si sa, che quanto più gli uomini sono vicini alla semplicità ragionevole della Natura, tanto meno sono imperfetti? Ma io non perciò, m’arrogo merito alcuno, poichè non fo altro, se non quello, che può fare un Soldato invalido, il quale grida all’armi nel vedere il nemico, e lascia alla condotta d’intrepidi Capitani, e al valore de’bravi Soldati l’attaccarlo, e lo sconfiggerlo. La vostra Gazzetta può molto giovare alla Società, sebbene in quella non si possan portare le parole fin dove posson portarsi i pensieri. Ogni cosa, però giova, dove; grazia a Dio, e alla Saggia Provvidenza delle Leggi; gli uomini non hanno di bisogno d’esser corretti in quel che fanno, ma solamente ammoniti di quello, che non hanno da fare. Nel ringraziarvi pertanto della gentilezza vostra, mi professo obbligato di molto alla bontà con cui mi accordate il titolo, che io, non mai smentirò, di vostro
Amico, e Servidore.