La Gazzetta Veneta: N. 40
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N.° 40.
Sabbato addi 21. Giugno 1760.
Che contiene Quello, ch’è da vendere, da comperare, da darsi a fitto, le cose ricercate, le perdute, le trovate, in Venezia, o fuori di Venezia, il prezzo delle merci, il valore de’cambj, ed altre notizie, parte dilettevoli, e parte utili al Pubblico.Nivel 2
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Relato general
Mi disse l’altra sera un Uomo benestante, ch’egli avea bisogno di persona, che soprantendesse alle cose sue; ma che avrebbe desiderato, che questa sapesse far conto della roba. Pochi sono oggidì quelli, che così facciano, e sappiano risparmiare. Di cosa in cosa si venne a ragionare, a quali segni si potesse riconoscere un Uomo, che risparmia, quando anche di fuori desse indizio d’essere spenditore. Molte cose vennero dette. E vi fu uno fra gli altri, che parlò in questa forma. S’egli vi fa di bisogno veramente uno, che faccia conto della roba, egli è il tale, e disse il nome. Questi è un vecchiotto, che va pulito della persona, e si veste con gentilezza. Al vederlo, voi direste, ch’egli spende molto in vestiti; ma ha trovato il modo di fargli durare in perpetuo, quando gli ha comperati una volta. Non vi dirò tutte le diligenze, ch’egli usa nel battergli, rinettargli d’ogni peluzzo, ripiegargli, allogargli, coprirgli, e far loro carezze; ma solamente vi dirò, che poche sere fa uscendo egli d’una casa, dove avea fatto una visita solenne, ed era andato vestito da festa, quando fu in sull’uscio, vide che piovea, onde rientrato, e sedutosi sopra una panca (sic!) nella prima entrata, si trasse di gamba un pajo di calzette bianche, e nette che avea, e rinvoltele in un foglio bianco se le pose nella scarsella. Rovesciò il mantello; ma pensando, che la pioggia potea sì immollarlo, che sarebbe forse trapelata sul vestito, trattosi il mantello di nuovo, rovesciò anche il primo vestimento, avendo non poco che fare con le maniche, le quali rovesciate stentavano ad adattarsi, dov’è l’imboccatura verso la mano, oltre all’impaccio delle falde e de’bottoni, che di dentro gli ammaccavano la pelle. Vestitosi in tal guisa tutto riverso, traendo qualche sospiro a cagione delle scarpe e delle calze di sotto, s’avviò col nome del Cielo per andare a casa sua. Io che per caso avea veduto tutta questa manifattura gli andai dietro, osservando com’egli s’affaticava di camminar leggiero, e come spesso s’avea l’occhio alla gamba, ed ogni sprazzo di fango gli era un coltello nel cuore. Se la Signoria vostra può avere alla testa delle faccende sue cotesto Uomo dabbene, io son certo, che a’tai segni avrà uno de’più oculati, e diligenti risparmiatori, che sieno al Mondo.
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Relato general
In una Città non molto da Venezia discosta, a cagione d’uno di siffatti ingegni piuttosto lunatici, che altro, poco mancò, che non avvenisse uno scandalo molto nuovo, e crudele. Avea egli due amici, e all’uno, e all’altro di questi dovea scrivere una lettera di grande importanza. Al primo di certi interessi, e al secondo con una lettera di relazione, e di consiglio delle più difficili, che si possano scrivere, dovea dare un doloroso avviso, cioè che una figliuola di lui era grossa di tre mesi, e confortarlo alla prudenza, dirgli, che la conducesse occultamente in campagna; e col silenzio, e con la diligenza riparasse all’onor suo, e della sua famiglia. Scritte le due lettere, le suggella, e scambia i nomi nel fare l’indirizzo, tanto, che le due lettere non andavano a cui erano scritte; ed essendo egli Maestro d’un figliuolo dell’Amico suo, a cui doveva scrivere d’interessi, lo chiamò a sè, e gli diede la lettera, che dava conto della figliuola grossa; e gli disse: Figliuol mio, darai questa lettera al Padre, poichè oggi dei andare a casa, chiamalo in disparte, essendo cosa di molta premura: salutalo per me, e digli che attendo la risposta. Il figliuolo dice, che sì; fa il suo viaggio, giunge alla casa del Padre, e trovalo a pranzo, con la Moglie, due altri figliuoli, e tre figliuole. Dopo i primi convenevoli; lo prega ad udire una parola. Il Padre si leva, entra in una stanza col figliuolo, il quale lo saluta per parte del Maestro, e gli da la lettera, dicendogli la segretezza, con cui gli era stata consegnata. Il Padre apre, e legge: era Uomo di natura collerica, e sul punto dell’onore dilicatissimo. Vien pallido, vermiglio ad un tratto, spalanca gli occhi, pesta i piedi in terra, si da la mano nella fronte, sospira, bestemmia. Il figliuolo si dispera, che non sa di che, il Padre lo manda fuori, e dice. Dì a tua Madre, che venga quì. Così fu fatto. Entra la Madre tremando, che parea morta, non sapendo che fosse, egli tace: ella domanda, che è stato? Questa, grida egli, questa è l’educazione, ch’io dissi, che tu dessi alle figliuole, e questo è l’occhio, ch’io tanto ti raccomandai, che avessi alle loro azioni. E bene, che è? Io l’ho fatto, dice la Moglie. Fatto? Ben l’hai fatto, ch’una d’esse è grossa di tre mesi. Oimè! che dite voi, Marito mio, replica la Moglie. Oimè, grida il Marito, misero a me, meschino a me, ecco l’onore della mia famiglia rovinato. Leggi. La Donna legge, e piange, giurando, che per le sue figliuole avrebbe posto la mano nel fuoco, e che le conoscea per belle, e per buone. Quì non è da piangere grida il Marito. Trovisi la colpevole, e si gastighi. Chiamale. La Moglie le fa venire. Quando son dentro il Padre chiude l’uscio col catenaccio, e sguainata una spada, narra quanto gli viene scritto, e con un viso da atterrire ogni Uomo, non che tre Giovani, alle quali batteva il cuore, come alle colombe, domanda, che qual d’esse è la rea lo confessi. Esse gridano, e piangono, la Madre inginocchiata prega per la vita delle figliuole, egli non ascolta, ma con la punta alla gola, ora di questa ora di quella insiste, con voce orribile, e con gagliarde minacce. Bello fu, che le spaventate Figliuole scopersero per lo spavento tutti i loro intrighi amorosi. Dicea l’una: è vero ch’io ho parlato al tale; ma solo dalla fenestra; l’altra: io ho bene ricevuto lettera dal tale; ma in casa non è venuto mai; e io diceva la terza, fui salutata dalla tal Donna per parte del tale, e ho mandato a risalutar lui; ma non l’ho veduto ancora. Il Padre incalzava, temendo pure, che da questi principii fosse nato peggio; le Giovani stridono, la Madre chiama soccorso. I maschi ch’erano all’uscio pingono, e trovandol chiuso, s’affrettano, e con scale entrano per le fenestre. Allora il Padre apre gli occhi, e dice fra sè: Questo è troppo scandalo. Licenzia tutti, che piangevano, e tien seco il solo Figliuolo, che gli avea arrecato la lettera; e allestitosi subito, monta con lui in un Calesse, e va a ritrovare il Maestro di lui, per intendere, s’egli potea, qualche altra circostanza. Giunto a casa sua, comincia a domandargli conto del fatto. Il Maestro impallidisce, e gli chiede perdono, gli fa vedere, che la lettera non andava a lui, e che le sue Figliuole sono innocenti. Dice il Padre. Ne ringrazio Iddio; ma alla Scuola da una testa qual è la vostra, non verrà più il mio Figliuolo. E dato la volta indietro ritorna a casa sua a consolare la Moglie, e le Figliuole, ma non sì però, ch’egli non le tenga più ristrette, che prima a cagione degli amanti, che gli aveano per paura manifestati.
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Relato general
Ne’trascorsi giorni passando un uomo dabbene per la Contrada di San Canziano, ode molte voci, che gridavano: Ah cane! lascialo. Che vuoi tu, ucciderlo? Va oltre, e vede un uomo, che avea disteso in terra un fanciullo, e con pugna, e calci l’avea condotto a tale, che il poveretto non si potea più muovere, nè quasi avea voce da dolersi. Il buon uomo lo rimprovera, e quegli lasciato il fanciullo, volta la faccia a lui, e con parole minacciose, e villane l’attacca. L’altro, che non avea arme, nè sapea come difendersi, presa una subita risoluzione; e fatto un viso, e una voce grave, gli disse: Ad un mio pari parli così? Fa quel che vuoi, e ammazza il fanciullo; ma vediti le forche sugli occhi. L’altro sbigottito, si tragge la berretta, e con inchini gli chiede perdono. Vedendolo il valentuomo umiliato, e volendo vendicarsi, forse della paura, che fatta gli avea. Io t’insegnerò, gli disse, a parlare agli uomini della mia condizione con sì poco rispetto, e avventatosi addosso a lui, gli diede una buona pastura di calci, e pugna, alle quali fu sempre risposto, con riverenze, ed inchini. Il pronto ingegno è un dono, che salva da molte disgrazie.
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Relato general
In un picciolo Campo a S. Giovanni in Bragora vicino al magazzino detto del Tezon, Martedì verso le ore ventidue giuocavano diversi giovani alle Borelle; standovi d’intorno una numerosa calca di Spettatori. Avvenne, che per caso uno di questi trattenne col piede una palla tirata da uno de’Giuocatori, sicch’essa non potè ruotolando giungere alla meta per vincere il punto. Il Giuocatore pien di dispetto, perchè era perdente, n’ebbe tanta rabbia, che senza altro pensarvi sopra scagliò l’altra palla che in mano avea con tanta furia verso lo spettatore, che s’egli l’avesse colto l’uccideva; ma egli con uno scorcio di persona sfuggì il colpo; e senza mostrar d’essere per ciò punto alterato, si stette tacendo alquanto, e si tolse poi via di là, tanto che ognuno s’era dimenticato del caso. Ma l’offeso spettatore meditando in suo cuore un’acerba vendetta, n’andò cheto in calle della Pegola a San Martino alla sua abitazione, e prese quivi due palle di ferro di mezzana grandezza, ritornò un’altra volta colà dove si giuocava, e colto il momento in cui l’offensore s’abbassava per ricogliere le palle da giuoco, sparò il braccio per iscagliargli una delle palle di ferro nella schiena; e gli riusciva, se un uomo là vicino non l’avesse ritenuto. Allora tutti i Giuocatori gli furono addosso, e con le percosse lo scacciarono fuori dal luogo ove si giuocava, sicchè non essendosi contentato del primo colpo uscito a voto, volle aver peggio.
Metatextualidad
Fo parte al Pubblico d’una Lettera pervenutami dalla Mira, essendo essa scritta con certe circostanze, che hanno in sè qualche galanteria degna d’essere veduta.
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Carta/Carta al director
Amico carissimo.
Domenica sono stato all’Opera di Padova. L’Udienza era numerosa, e fu udita volentieri. Fino a quel dì mi fu detto, che avea avuto poco buon incontro; per essere andata in Scena con disordine. La prima Donna era ammalata; una Ballerina non venne; vi si cantarono poche arie, e l’Opera terminò così mozzata verso le quattr’ore. Io ho avuto buona sorte, che l’ho udita intera, e ho sentito un buonissimo Terzetto, e veduti buoni balli, tanto, che uscii del Teatro molto tardi, e montato in Sedia ritornai alla Mira col fresco mezzo addormentato. Quì fo la mia vita aspettando lo scoppio di qualche scuriada, e i sonagli d’alcuni cavalli, e il tuono delle ruote. Tutte queste cose m’invitano a correre alla fenestra, o all’uscio quando anche pranzassi. Ma il mio maggiore spasso, è verso la sera, quando il Sole comincia a dar campo alle Signore di passeggiare. Non vi potrei dire quante fogge di cuffie, e di cappellini vanno intorno; e come fra loro senza parere, si guardano, quel ch’hanno indosso. Esamino il viso a’maschi contenti, agli scontenti, agli allegri, e malinconici, agl’ingrognati. Studio le Signore, quelle che vogliono dare gelosia, quelle che n’hanno, quelle che fingono d’averne. Tra queste, o somiglianti riflessioni passo il giorno. Ve le dico così in generale, alla mia venuta vi dirò poi alcune particolarità, che non vi scrivo. Intanto conservatevi tra gli Scirocchi della Città, e v’abbracciò.
Metatextualidad
La Pellegrina è una certa figura strana composta di tela di ragnatelo. La pare una Donna, e non è una Donna, e non sa ella medesima quello, che la sia. Ella non volea ad ogni patto, che si dicesse, che la non istà bene, affermando, che quando si conta troppo spesso, che una Donna ha male non le viene creduto, e si stima subito ch’ella sia una fastidiosa, ritrosa, e una certa lasciami stare, che voglia co’finti maluzzi dare passione agli spasimati del fatto suo. Ma nel vero ell’ha uno stomacuzzo di carta stata in acqua. Tutto questo preambolo serve per dirvi, che il foglio del Mondo Morale~i tirerà innanzi ad uscire fino a Mercoledì, e che l’abbiate per iscusata. Vedete a che la meschinetta sarà condotta, se alcuno di voi si querela di non vederlo Lunedì, ch’ella sarà in tanta soggezione, che non avrà più neppure la libertà d’ammalarsi per timore di farvi dispiacere. Concedetele almeno questa licenza, che le possa venir la febbre qualche volta, e stiasi a letto a suo agio. I mali suoi non sono cose da epitaffio; ma tuttavia spesso ne sofferisce. La si raccomanda dunque alla grazia vostra; e vi promette da quì in poi, non di non ammalarsi più, ma d’apparecchiare tanto della sua Storia anticipatamente, che ogni Lunedi uscirà il foglio, e potrà infermarsi senza pensiero.