La Gazzetta Veneta: N. 23
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Livello 1
N.o 23.
Mercoledì addi 23. Aprile 1760. Che contiene Quello, ch’è da vendere, da comperare, da darsi a fitto, le cose ricercate, le perdute, le trovate, in Venezia, o fuori di Venezia, il prezzo delle merci, il valore de’cambj, ed altre notizie, parte dilettevoli, e parte utili al Pubblico.Livello 2
Livello 3
Racconto generale
Una persona nobile, e molto degna di fede m’ha affermato, ch’essendo uscita di Venezia per villeggiare alcun poco di tempo, l’è accaduto di vedere con gli occhi suoi proprii a’giorni passati in Valbona un Villano con un corno in capo. È costui un uomo vicino a’settant’anni, e fino a’sessantatrè in circa non avea segno veruno di quello, che gli dovea accadere. Giunto a tale età gli cominciò un acuto dolore, e un enfiato lo seguì, che finalmente s’aperse in un naturalissimo corno, che poi crebbe fino alla lunghezza d’una spanna, grosso quanto è il giro di due dita insieme congiunte, sulla cima auncinato, e nel mezzo gli rampolla un ramicello, quale alle corna de’Cervi. Nella base ha patentissimo segno di ceppo, o radice, e picchiato con qualche ferro risuona, come corno d’animale. Dicesi, che venga stimolato a venire in Venezia per farsi vedere, a guisa di molte altre curiosità, ne’casotti, e trarne qualche utilità, e sussidio alla sua vita, essendo povero, e bisognoso contadino. S’egli verrà, si potrà adattargli quel trito provverbio degli Spagnuoli, i quali dicono: Le corna sono come i denti, che spuntando pungono, e quando sono spuntate con esse si mangia.
Livello 3
Racconto generale
A’passati dì s’arrestarono sulla Fondamenta a’Frari certi uomini, che col suono o piuttosto col fracasso d’una Corna musa, e d’un trombone, che par che fenda l’aria, invitano prima le genti ad affacciarsi agli uscii, e alle fenestre, e poi fanno danzare un orso con la museruola; il quale mostra per lo più d’aver voglia maggiore di dormire, che di gambettare, e fare scambietti. Ma sia come si vuole, i villanzoni pur suonando, e l’orso ballando, che parea ch’andasse ad impiccarsi, v’avea un gran cerchio di spettatori, che si stavano in dilettazione del fatto. Quando, non sò in qual modo, ne perché, due de’circostanti appiccata una zuffa di parole, vennero alle coltella, e sarebbero andati più oltre, se le genti, che quivi erano, non gli avessero incontanente divisi, e condotti da due diverse parti; la qual cautela piacque loro grandemente, perchè mostrarono quel valore che bastava, e furono salvi. L’uno, e l’altro de’due combattenti avea moglie, le quali udito qualche cosa del fatto corsero incontanente colà dond’era già sparito l’orso, e la festa, e vedutesi insieme, e conoscendosi per avversarie, come quelle ch’erano mogli de’due avversarii mariti, incominciarono a pungersi con la lingua, e di puntura in puntura si riscaldarono per modo, che mescolarono alle ferite vicendevoli della lingua, non so quali ceffate di quà, e di là; e sempre più infuriando, provarono diverse arme, come dire ugne, e denti, graffiandosi, e mordendosi con una furia, che pareano invasate. Mentre che più bolliva il certame, e tutti i circostanti si stavano a vedere animandole, ecco che da un lato esce d’improvviso una Donicciuola, la quale correndo, e ansando, gridava: Oh! somma vergogna del nostro sesso! Io non so che si dirà di noi da quì in poi, che sulla pubblica via, in presenza delle genti ci bastoniamo, come uomini. Sorelle mie, sorelle mie in amore, prossimo mio, non fate, non vi fate svergognare quì pubblicamente, ricordatevi la decenza conveniente alle Donne. State quiete, se Dio vi salvi; e con queste pacifiche, e morali parole, entrata la Filosofessa fra esse, mena all’una sulla guancia una ceffata con quanta palma aperta di mano avea, e in un batter d’occhio ritocca l’altra col dosso della stessa mano, tanto che tutte due quasi ad un tempo sentirono le prudenti parole, ed il picchio, come tuono, e folgore. Il ridere de’circostanti fu grande, i quali aveano ogni cosa udito, e veduto: e le due combattenti rimasero sì attonite, che non sapeano più, che dire, mentre che la terza rinvigoriva la sua eloquenza con la mano alzata in atto di rifare il giuoco. Borbottavano le due senza più saper, che dirsi all’aspetto d’una Donna cosi (sic.) risoluta; la quale, come s’ella lo statuto fosse stata, o anzi la medesima Giurisprudenza; incominciò, a far loro conoscere, che aveano grandemente errato, e che si doveano l’ire deporre. Anzi stabilì, che pel giorno vegnente si dovessero tutte e tre ritrovare ad una determinata ora sotto a quel portico, che mette capo sulla fondamenta de’Frari, con un’orciuolo di vino, tre bei bicchieri, e un tovagliuolino di bucato, per soscrivere alla pace, e affogare in corpo l’ira. Partironsi le due donne brontolando, e ingrognate; ma venuta l’ora dell’altro dì, eccoti l’arrecatrice della pace, ed ecco l’altre due in viso rasserenate, che non pareano più quelle del giorno innanzi, che udito prima un breve parlamento della retorica Donna, si diedero a far girare i bicchieri. Vero è che fra’sorsi, e ciantellini di quando in quando l’una diceva all’altra: Vedi io non ho nulla contro di te nell’animo mio, e per tal segnale prendi, e baciavala; ma tu però, perdonami non ti se’diportata da savia donna come io credea, che tu fossi, per tale, e tal ragione. Sa Iddio rispondeva l’altra, s’io ti voglio bene, e appiccale un baciozzo ad una guancia; ma tu non dovevi mai far così, o così. La terza, che mezzana era della pace, non baciando nè questa nè quella, ma il bicchiere, giurava ch’erano state pazze l’una, e l’altra. Così bevendo, e cianciando sempre durarono più di due ore, sè non che veduto, che molte genti quivi si raccoglievano, e più ch’era venuto meno il sugo nell’orciuolo, come se mai non avessero detto parola, e mancasse loro molto, che dire ancora, abbracciaronsi amorevolmente, e si promisero di dirsi il rimanente a maggior comodo, e a tempo più opportuno, dividendosi per allora con grandissima fatica.
Livello 3
Racconto generale
Fu ne’passati giorni con molto stento fatto prigione un villano in Cavarzere, il quale con violenze, rubamenti, e altre iniquità infestava, e atterriva i vicini. Venne assediato da birri nella propria casa; da’quali si difese per lungo tempo con le archibusate. Ma pur finalmente veduto, che gli conveniva cedere, balzò giù da una finestra dietro alla casa, e cominciava a correre; sè non che un archibusata lo colse, l’arrestò, e fu condotto ferito nelle carceri, a pagar la pena de’suoi lunghi misfatti.
Livello 3
Racconto generale
Non bastando ad un Lacchè due zecchini al mese, e altre molte larghezze, che gli usava un suo ricco e buon Padrone in Rovigo, immaginò di fargli un grossissimo furto, e d’andarsene. Fu scoperta la sua fuga dagli altri servi, e fattone avvisato il Padrone; il quale ricorrendo alla Giustizia, fece sì che subito da molte parti gli fossero mandate dietro genti per arrestarlo. Il Ladro era entrato in un molino, e vedendolo i mugnai armato, e sospettoso, e con certi involti, contrastavano seco, che quivi nol voleano, facendo dentro romore. In questa passano le brigate, che andavano in traccia di lui, e stando in orecchi odono la voce del Lacchè, da loro conosciuta. Entrano in una barchetta, il Lacchè se n’avvede, apre l’uscio del Mulino, che chiuso era, spara un’archibuso, e ferisce un birro. Gli altri senza perder tempo gli sono addosso, fra quali uno per difendersi da lui, che con un coltello in mano parea un Dragone, gli mena con una Sciabla addosso, e gli taglia quattro dita della destra mano. In tal forma venne imprigionato; avendo cominciato a sentire la sua punizione in quella mano, che avea assecondata così facilmente la sua maledetta volontà.
Metatestualità
Una nuova maniera d’innestare alberi da frutto m’è pervenuta alle mani ne’giorni passati, ritrovata in Germania, la quale come quella, che agevola di molto questa spezie di coltivazione, mi pare che meriti d’essere ricordata.
Livello 3
Citazione/Motto
Tagliasi il tronco del picciolo albero, che si vuole annestare vicino alla terra, o poco più su; ma con un taglio obbliquo e per isghembo; e poi si prende und ramo d’uguale grossezza da un albero, che già abbia cominciato a fruttificare, tagliato anch’esso nello stesso modo. Gli applicherai poscia l’uno all’altro in guisa che si combacino molto bene, talmente che la corteccia, il midollo, e tutto il legno dell’uno, s’affronti alla corteccia, al midollo, e al legno dell’altro; legandogli poi come faresti ogni altro innesto, e fasciandogli validamente. Afferma l’Autore, che la maggior parte di tali alberi in detta forma copulati, fioriscono nel primo anno e producono frutte, e spesso in tanta abbondanza, che ne muojono. Vedi quanto questa maniera toglie via di tardanza, e indugio. Aggiunge l’Autore che spesso egli tagliò somiglianti alberi copulati, in più modi nel sito della connessione, qualche tempo dopo fatta l’intera concrezione;