Lo Spettatore italiano: L’invidia
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L’invidia
Lividio non parve vinto dalle mie ammonizioni, nè doveva io sperarlo; perchè la più indomita
passione è l’invidia. Gli altri vizi stanno tutti insieme con qualche buona qualità, che se bene si
adopera, può rimeritare stima e benivolenza: ma l’invidia si trova divisa da tutte le bontadi,
perchè ella mira ad un abbominevole segno per vie malvagie; e non ama più il proprio bene che
l’altrui male. L’invidia e l’unico vizio che può sempre operare e per tutto, e l’unico che non ha
mai potuto trovar posa per mancanza di chi la stimoli o la nutrichi. Se ne veggono in ogni parte gli
effetti, e tutti sono a pericolo di esserne assaliti. Ma ciò che rende l’invidia sì difficile ad
esserne corretta, egli è perchè ha in sè assai stupidezza; perocchè se l’invido potesse saviamente
pensare, non vorria certo una passione in sè pascere, la quale mai non ottiene il suo scopo, e non
produce che vergogna, travaglio e perturbazione. Son ancor più gli uomini senza interesse che quelli
senza invidia, disse la Rochefoucault; il che non suona altro, se non che la più vasta passione è
l’invidia. In fatti l’interesse non può aggiungere che a certi termini e non più oltre. Il numero di
chi possa sperar di occupare il luogo di un potente abbattuto, o ricogliere gli avanzi della fortuna
di un ricco impoverito, non è grandissimo: ma l’impero dell’invidia è incircoscritto,
perchè non ha bisogno di molto aiuto nè d’estrinseche occasioni a mostrar sua potenza. Essa or nasce
da orgoglio ed or da infingardia; e chi trova un luogo dove questi affetti non sieno? L’interesse
richiede qualità che pur non sono a tutti concedute: e perciò l’altrui rovina non gli gioverà
niente, se non ha accorgimento a cogliere il suo tempo, se non ha ardire di occupare, se non ha
destrezza a perseguire. Ma la fredda malignità dell’invidia usa il suo mestiere nella pigrizia e nel
non fare, dentro un certo stordimento d’animo e nell’occulte latebre della viltà. Colui che è vinto
agli assalti dell’interesse, è come da una digiuna tigre addentato, e può pure il nemico scuoprire e
schermirsene: ma chi cade nei lacci dell’invidia, è oppresso da non conosciuti nè visti assassini, e
muor come soffocato da un vapor venefico, senza conoscere il pericolo che gli soprasta, nè potervi
riparare. L’interesse cercando le più volte vantaggio, inviluppasi ne’cimenti; e chi vuole
acquistare, spesso ha da perdere del suo. Se rompe guerra a chi gli è superiore e non vince, rimane
pesto senza potersi rilevare. Ma l’invidia opera senza rischio e senza spesa: nè ci vuol fatica nè
ardimento a seminare scandali, sospetti e calunnie. Un menzognero ha tutto l’agio a celarsi, e non
gli è uopo avvedimento a mandare attorno la maldicenza.
Citation/Motto
Insitum est
mortalibus natura, recentem aliorum fe
licitatem aegris oculis introspicere, modumque for
tunae a nullis magis exigere, quam quos in aequo
videruntRiguardare con occhi torti l’altrui novella felicità; ed
licitatem aegris oculis introspicere, modumque for
tunae a nullis magis exigere, quam quos in aequo
viderunt
Tacit..
Riguardare con occhi torti l’altrui novella felicità; ed
a soli quelli che in
basso stavano, desiderar tempe
ranza e fortuna, è natural qualità degli uomini.
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Example
Pochi sono più miseri di me, dicevami Lividio, mio antico compagno di
collegio, dopo molti anni di assenza che non ci eravamo più veduti. Questo motto perchè aveva faccia
di menzogna, mi fece meraviglia, e dissi: E qual male è il vostro? Voi avete una casa bene stante ed
onorata, avete una moglie bella e buona, avete una salute che parete un fiore. Egli è vero, Lividio
rispose, quello che voi dite; ma voi non sapete quanti dispiaceri e avversità ho dovuto sostenere.
Ho aspirato a certi carichi, nei quali poteva io fare qualche pro al mio paese, e ne sono stato
respinto: ho fatte spesse volte azioni di vero amatore della patria per acquistarmi la pubblica
fama, e non ci è stato uno che me ne abbia saputo grado: ho fatto conoscere, ardisco dire, delle
prerogative che mi potevano fare stimare da’miei concittadini, e nessuno ne ha fatto conto. Ma poco
mi dorrebbe di questo torto, se io non vedessi satisfare a ogni lor desiderio, godere di molta fortuna e della pubblica riputazione, persone che non valgono il fango ch’io calpesto, o
che al più mi sono uguali. Troppo mi è forte udir sempre commendare il loro ingegno non vero e le
loro false virtù, e spesso ancora doversi applaudire. Avete ragione, diss’io, o Lividio, di dire che
non ci vive più misero uomo di voi, perchè vi siete lasciato entrare addosso il maledetto spirito
dell’invidia. Io, l’invidia, sclamò Lividio: e chi ha mai sì vile e sì biasimevol passione sentita?
quello che voi chiamate invidia, altro non è che il dispregio di questa gente. Io non cerco,
soggiunsi, che voi v’accusiate d’una passione che non fu mai confessata. Assai v’ha di tal gente che
non pur vuole altrui persuadere, ma eziandio persuade a se stessa che dispregia quelli ai quali
invidia. Ma entrate in voi stesso; consigliatevi colla propria ragione e imparate a conoscervi. Voi
non siete felice, perchè altri felici vi sono: voi non sentite bene, se non quando il potete
pareggiare al male altrui; e così fate a modo de’rettili che i più soavi sughi dell’erbe in veleno
convertono, in vece d’imitare i chimici, i quali dal più potente veleno traggono i farmaci più
efficaci. E perchè voi vi avete ad aggravare dell’ingegno e dell’altrui fortuna, quasi che tali
vantaggi sieno detratti ai vostri, e v’impediscano il godimento di quelli che possedete? Se cieca e
folle passione si trova, è questa certamente, la quale nè il proprio cerca nè l’altrui bene, ed in
vece di approssimarsi al suo segno, se ne allontana. L’invidia vuole calcare gli altrui meriti, e
non fa altro colle sue offese che sollevarli; essa divulga e commenda ciò che vorrebbe
distruggere, e viene così a riconoscere altamente quella maggioranza che l’avvilisce e tormenta.