Lo Spettatore italiano: L’egoista
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L’egoista
Citation/Motto
Non potest
quisquam beate degere, qui se tantum in
tuetur, qui omnia ad utilitates suas convertit. Alteri
vivas oportet, si vis tibi vivereBeato non può essere alcuno che vive, il quale a sè
tuetur, qui omnia ad utilitates suas convertit. Alteri
vivas oportet, si vis tibi vivere
Seneca~k.
Beato non può essere alcuno che vive, il quale a sè
solo intende, ed ogni cosa a
suo pro converte. E’
conviene che tu, te vuoi vivere per te, viva ancor
per altrui.
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Example
Tornato da un suo viaggio di alcuni giorni Sefilo, fece venire a sè il
suo ministro per informarsi de’suoi affari. Gran disgrazia, gli disse il buono e leal Guido, ha
guastate le vostre terre; un terribile incendio . . . Come! incontanente turbato Sefilo disse, il
mio castello adunque? . . . Egli è salvo, soggiunse Guido, ma assai case del contado sono divorate
dalle fiamme. Sopra questo è venuto un altro infortunio ad affliggere i miseri contadini: ed è, che
la contrada è stata diserta da una infelice gragnuola. Sefilo allora esclamò: Oimè! e le mie vigne?
Non son tocche, ripigliò Guido; anzi fanno gran vista di dovere quest’anno darvi buona vendemmia. Mi
rallegro, Sefilo soggiunse, che tutto vada bene alla campagna. Fu recata a Sefilo una lettera della
sua sorella, dico dell’affettuosa Giulia, per lui tenuta chiusa in un monistero da che sono i loro
genitori defunti: nella quale ella gli dice che spasima quel dì che ella sia giunta in una sorte col suo amante, a lei da’suoi stessi genitori eletto, e dalla puerizia stato di Sefilo
famigliare, in tanto che molte testimonianze d’amistà Sefilo ha ricevute da Federigo per li
grandissimi servigi che gli ha fatto. Sefilo però non solamente non sollecita questo nodo che dee ai
vincoli dell’amistà quelli del parentado soprapporre, ma fa ogni arte per reciderlo. Sicchè egli ha
tratta a sè la badessa che deggia recar la sua sorella a rimuoversi dal secolo, e intanto predica a
Federigo che la dote di Giulia, per lo mal governo che i genitori hanno fatto de’loro averi, sarà
poca cosa. Ma Federigo afferma di amare Giulia senza vedute d’interesse. Altronde ha essa un ricco
zio che molta affezione le porta. Non per altro che perchè a sè solo deggia scadere la pingue
eredità del zio, vorria Sefilo condurre la sorella a monacarsi. Egli non iscantonasi mai da questo,
ma con tutt’altra intenzione che di mitigargli co’suoi conforti le noie dell’inferma vecchiezza, e
di fargli il poco di vita che gli avanza, più leggermente trapassare. Sotto i bugiardi sembianti di
esser tenero della salute di lui, a sè, dice, sommamente cara, d’altro non si briga che di
inquietargli il suo stato, facendogli credere lui avere un gran male; e perchè più acconciamente gli
venga fatto, s’ha comperato il medico del zio. Questa sua empia e crudel briga guarda a dovere
indurre Corimone a testare e lasciar lui suo erede. Il buon vecchio, come colui che non ha più
alcuno de’suoi figliuoli, ha sì tenero affetto al suo nipote Sefilo, come ad un suo figlio
l’avrebbe; ma non però ch’egli sia niente inchinato a diredare la Giulia; e pone nel
suo beneficio due condizioni, che sono, che Sefilo deggia menar moglie, e tenere l’ufficio ch’egli a
lui lasciar vuole.
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Dialogue
Io mi congratulo, disse Corimone un dì al suo nipote: m’è stato detto
per vero che tu sei innamorato di Lucilla, bella e savia e virtuosa giovine. Il partito fa molto per
te, ed io confido che dalla solitudine del celibato alla fine ti vorrai rimanere. Sì, rispose
Sefilo, conosco che Lucilla merita di essere amata; ma non sì, che mi sia fuggito dall’animo il
matrimonio essere un gran giogo. E non mi può sofferire il cuore di porre il piede in questa
indissolubile catena. Voglio esser mio, e di tutta la mia libertà godere . . . Corimone~k Perchè
dunque tu dici che sei amante, avendo sì disordinato avvedimento che il bene di esser marito ti fa
paura? Sefilo~k È il vero che io temo forte non da questo medesimo amore pigli argomento Lucilla di
malmenarmi. Senza che, quando sarò io incapestrato e costretto a dovere mie cose spendere nella
moglie e ne’figliuoli, chi fia che me lo retribuisca? Corimon~kO uom senza cuore! Or nessun conto tu
tieni della felicità di esser padre e di aver figli, i quali con la lor cura e col loro amore ti
saranno di dolcissimi sollazzi cagione, e t’allevieranno il peso dell’età men ferma? Sefilo~k Deh! come può uomo in questa filial pietà confidarsi? Ascoltateli, che i figli vi
diranno, nulla aver fatto i genitori per loro, ma tutto per se stessi, a malgrado di belle apparenze
in contrario; che eziandio la vita dai padri ricevuta non impone ai figli alcun obbligo di
gratitudine, perchè ne sono essi tenuti alla brama solamente di continuare in lungo il cognome, ed
al gusto de’sensuali piaceri. Vi diranno che la soddisfazione di dominare sopra la loro fanciullezza
è stata la cagione e la mercede della data educazione. Corimone~k Che principii abbominevoli hai tu
ardire di spiegarmi! Se vi sono figli sconoscenti e snaturati, egli è solo perchè ci ha di molti
cattivi padri, essendo i paterni affetti dall’odioso egoismo soffogati. Ama i tuoi fanciulli,
costumali; tieni dal cuor di quelli lontana la durezza e il vizio; purga l’animo loro dagli errori e
dagli inganni; istilla loro ogni dì alcuna virtù nel petto, accendi loro ogni dì qualche desio di
bene operare: in somma sii padre daddovero, che dai figliuoli non pur non avrai a paventare
ingratitudine e dimenticanza, ma ti fia ancora renduto bene, pace e consolazione. Temendo Sefilo non
Corimone gli si crucciasse, s’indusse ad acconsentire al matrimonio; ma pregò il zio di non
obbligarlo ad assumere l’officio che intendeva di rinunziargli. Tutti siamo debitori di noi stessi
alla società ed alla patria, Corimone gli rispose: ogni uomo che vive nella società,
deve servirla, essendo questo un debito fatto, cui soddisfare conviene. Alla patria non hai tu nella
milizia voluto servire, hai schifato il commercio che per avventura l’avrebbe fatta ricca, ed ora
ricuseresti di por mano con tanti altri al governo e mantenimento dell’ordine e delle leggi nella
città? Sefilo~k Ma perchè dee l’uomo il peso imporsi di servire altrui? Le nostre cose son quelle di
che ci dee sopra tutto calere. Dee se stesso ciascuno al suo bene. Corimone~k Se tu per te solo vuoi
vivere, tu te ne fai indegno, ed all’ultimo viverai infelice. Mira qual è la sorte dell’egoista.
Orrore e rifiuto della società, dall’odio accolto, o respinto dal disprezzo, ei non sa dove riposar
l’animo suo, e indarno cerca per mezzo i suoi simili di quella misericordia, la quale eziandio
quando è perduta ogni cosa, ed ancora la speranza, porge altrui refrigerio e conforto. Egli stesso
non ha mai d’alcuno avuto pietà: non ha mai quella magnanima compassione sentita, la quale
gl’infelici dalle percosse della fortuna ripara, e col suo pianto que’mali addolcisce che per sua
cura non potrebbe ella sanare. Solo sè ama l’egoista, e fassi il centro dell’universo. Ma guai a
lui, se il dì della sciagura gli si leva; non troverà uomo che gli risponda: si vedrà ridotto in uno
spaventevole abbandonamento, e tardi allora s’accorgerà che a volere essere ben avventuroso è
mestieri amar gli altri. Ahi che orribile quadro presenta la vecchiezza dell’egoista!
Colui che giovando ad altrui menò la vita, nel verno dell’età sua ricoglie i frutti che in migliori
stagioni ha egli seminati. La società gli è liberale di sue dolcezze, quando le forze gli vengono
meno per gli anni. I congiunti, gli amici, i vicini procacciano tutti di porre sè tra lui e la
morte; e se avviene che egli la sua via fornisca, ancora gli par ch’egli s’inchini ad un soavissimo
sonno. Ma tutto a questo è contrario lo stato di colui che ha avuta sol di sè cura, che cascandogli
quinci e quindi la vita, non trova cosa ove sostegno faccia al suo fianco. La solitudine il
circonda; non gli si para mai dinanzi chi gli sia pietoso; nessun piangegli intorno al doloroso
letto; non s’apparecchia a fargli la ghirlanda alcun fiore; niuna amichevole mano si appressa per
chiuder gli occhi suoi, e non rispondono al suo estremo sospiro i gemiti di tutta una famiglia.
Ultimamente con ribrezzo si dimanda s’ancora egli vive, per solamente accertarsi ch’egli sia morto.