Lo Spettatore italiano: Le bugie
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Ebene 1
Le bugie
Zitat/Motto
Uterque reus
est, et qui veritatem occultat, et qui men
dacium dicit; quia et ille prodesse non vult, et iste
nocere desideratL’uno e l’altro è colpevole, e chi la verità nasconde,
dacium dicit; quia et ille prodesse non vult, et iste
nocere desiderat
(Augustinus).
L’uno e l’altro è colpevole, e chi la verità nasconde,
e chi bugia dice; perchè
quegli non vuole giovare,
e questi desidera di nuocere
B. S. Concordio~k.
Ebene 2
È tanto odiosa e tanto spregevole l’indole del bugiardo, che quelli
stessi i quali hanno abbandonata la virtù, spesso abborriscono di tradire la verità. Quasi tutti gli
altri vizi che disonorano l’umana natura, possono riuscir meno intollerabili, o perchè sono uniti a
qualche buona qualità, o perchè riscuotono gli applausi. Il seduttore, per esempio, è invidiato
dagli uomini e di rado detestato dalle donne. L’uomo dedito al vino ne può facilmente trovare altri
amanti come lui dell’allegrezza e del tempone, o soggetti alla stupidezza taciturna che produce
l’ubriachezza: può insuperbirsi delle vittorie che acquista sopra i suoi compagni. Eziandio il ladro
e l’assassino hanno i loro partigiani che ne lodano la destrezza e l’ardire, siccome la fede che
portano ai loro complici. Solo il bugiardo fu sempre e universalmente disapprovato e disprezzato.
Egli non ha alcuna domestica consolazione da poter opporre alle pubbliche censure. Non ha amici, non
partigiani che reputino virtù i suoi vizi, poichè la sorte del bugiardo è d’esser e dai
buoni e dai malvagi parimente odiato. Pare che ciascuno dovesse guardarsi da vizio così generalmente
abborrito; o almeno che se alcuno si espone al biasimo e all’infamia che porta seco la menzogna, ciò
non dovesse accadere, se non per grandissima utilità che se ne attendesse. Pare che poche possano
esser le cose le quali abbian forza d’indurre a commettere un fallo che così di leggieri si scopre,
e che con tanta severità si punisce. Pure è fuori d’ogni lite, che non è vizio più comunale della
bugia, e di cui gli uomini più facilmente si facciano rei. Di parecchie sorti sono le menzogne.
Mentesi così facendo dubitare della cosa che è, come col dare a intendere quello che non è. Mentesi
promettendo quello che non si vuole attenere: mentesi esagerando o diminuendo l’espressione
de’propri sentimenti, o significando ciò che non si sente. Mentesi colle azioni, quando si opera in
modo da farci attribuire disegni, qualità, opinioni che non abbiamo. Più coi fatti che coi detti si
mente; e ci è tale la cui vita è una perpetua menzogna.
Da infinite cagioni può aver origine la menzogna; e le principali sono il timore,
l’interesse, l’invidia e la vanità. Si mente per timore, quando non si è da tanto, o che si difenda
il mal fatto, o che si ristori; e però studiasi a cuoprirlo con la bugia, e così si divien reo di
due peccati. Talvolta il rigore con cui si trattano, la soggezione in cui si tengono gl’inferiori, i
figliuoli, pongono questi in una certa necessità di mentire. Ma si avvezzino per opposito a cercare
la scusa di loro mancanze nella sincera confessione di esse, e niuna cosa sarà sufficiente ad
indurli mai a violare la verità.
La verità è spesso tradita per interesse, il quale ci conduce agl’inganni, agli
equivoci, alle restrizioni mentali che sono menzogne studiate: e che altro ci sospinge
all’adulazione ed alla lode delle biasimevoli cose, se non se l’interesse? L’adulazione è la sola
bugia che piaccia anche quando è riconosciuta; e non ci è chi non dica all’adulatore quello che una
persona disse in commedia: Veggio ben che tu menti; ma seguita pure, che mi dai gran piacere.
L’invidia e la malignità, che non sono mai disgiunte, fanno dir bugie per
deprimere le virtù e gli ingegni; e tanto procedono, che alle più atroci calunnie, anzi alle false
testimonianze pervengono: esse rapiscono la pubblica stima, e si lordano talvolta anche del sangue
dell’innocenza. La più feconda madre poi delle menzogne è la vanità: a lei si devono attribuire
quelle che d’ora in ora s’ascoltano, e quelle che, sparse, hanno effetto. Le bugie provenienti
dall’interesse e dall’invidia, perchè le più volte se ne sa la cagione, non solamente non si
credono, ma spesso inducono del sospetto. La vanità per lo contrario si contenta di dolcezze così
leggiere, sì lontani piaceri antivede, che niente da suspicar porge, e non se ne scoprono così
facilmente le astuzie e gli agguati; sfugge al sospetto, perchè colui che ne volesse spiare tutti i
moti, dovrebbe avere cento occhi e tenerli sempre a lei tutti addosso. La malignità e l’invidia sono
chiuse in fra i termini della loro potenza; e se occasione non si porge, non possono operare. Ma non
è uomo al mondo che si diparta pure un momento dalla sua vanità; e colui che non trova la maniera di
appagarla nella verità, è generalmente inclinato a cercarla nella menzogna.
Ma il trionfo del bugiardo è di breve tempo: presto viene il punto che ne svela le menzogne;
e al piacere di vedersi superiore a coloro che lo ascoltano, e di ricever l’omaggio di
una muta attenzione, succede poi il disprezzo e l’abbandono. La vanità induce a dir bugie molto più
biasimevoli ancora e che si portano dietro orribili conseguenze.
Si cerca di giustificare alcune bugie, chiamandole officiose e giocose, perchè esse non
mirano ad altro che ad obbligare le persone, o a prevenire qualche male, e sono semplici scherzi che
non fanno pregiudizio ad alcuno. Ma sebbene in certi casi la bugia non sia da reputar delitto, la
necessità di dirla è sempre da reputar un male. Quanto è agevole il dire una bugia, tanto è
malagevole il non dirne più d’una. Non si dicono bugie che si possano chiamare leggiere, non si
potendo antivedere se l’effetto sia per esser leggiero. È uopo rispettare la verità
anche nelle cose che abbiano faccia di poco affare; perchè se nel mondo son tanti inganni, non si
devono così alla volontà di mentire; come alla non curanza della verità imputare.
Ebene 3
Exemplum
Fingardo non si è mai fatto vedere nel suo vero naturale; nè si creda
che egli vesta apparenza che gli procacci stima ed amicizia: no, quelli che egli tinge, sono difetti
generalmente odiati, cioè di apparer satirico e accattabrighe. O Fingardo, se volete faticarvi ad
infingere, perchè non lo fate a vostro pro? Molti muoiono senza che sia venuto lor fatto di
appalesare le doti lor vere, e l’animo e l’ingegno. Credete voi che sia agevole il
persuadere altrui del falso, quando si dura fatica a far credere il vero? Poichè nessuno ha tanta
industria e tanto avvedimento da sempre mostrare un’indole non sua, siate cortese e benigno,
conforme a che natura vi ha creato.
Ebene 3
Exemplum
Si lagna Severo che i suoi figliuoli sono dissimulatori e bugiardi: ma
se hanno essi questo vizio vergognoso, ne accusi se stesso; imperciocchè egli mai non ebbe per loro
quell’indulgenza che l’amor paterno deve sempre avere alla fanciullezza; egli è a loro non un padre,
ma un giudice inflessibile, sempre in atto di punire severamente le più leggiere mancanze, e spesso
un tiranno crudele che li rende vittime de’suoi capricciosi furori. Questi infelici non hanno altro
schermo che la dissimulazione e la bugia. Ah! non desideri mai Severo che essi a lui si mostrino
come sono, e che gli aprano il cuore; altro egli non vi vedrebbe che i sensi dell’odio che ha loro
ispirato.
Ebene 3
Exemplum
Palpone loda tutti, eziandio se ridicoli siano oltre modo e
spregevoli. Ha egli bisogno del credito di Ormella, notissima pe’suoi raggiri di galanteria? Le dice
che è l’onor del suo sesso, e che comincierà il regno de’buoni costumi, appena che tutto il mondo
femminile imiterà il suo esempio. Gli cale di piacere a Nugonia, civetta più che quinquagenaria, la
quale adopra tutti i secreti dell’arte per nascondere le ingiurie e i danni del tempo? Ne loda la
freschezza, la paragona alle bellezze più giovanili, le dice che non ha bisogno di ricorrere
all’arte. Vuol egli venire in grado a Brontino che ha cominciato la sua fortuna colle usure, e l’ha
compita con un fallimento fraudolente? Ne alza la probità e il disinteresse sino alle stelle, lo
chiama il padre de’poveri, il protettore della vedova e dell’orfano. Loda colla medesima franchezza
la nobile origine di Domadario, che ha conosciuto egli stesso colla livrea addosso; il grande ardir
di Tersite, che è stato più volte bastonato; ed il sublime ingegno di Bisonte, che ha comprate le
opere le quali portano il suo nome.
Ebene 3
Exemplum
Vaniello, non meno povero d’intelletto che di cognizioni, ha
nondimeno la smania di comparire superiore agli altri, e crede ottener l’intento col vantarsi d’aver
veduto ciò che non hanno veduto gli altri. E per istare a sì bel vantaggio, che nè merito nè
importanza gli guadagna, egli va tutto dì contando novelle, e cento e cento avventure
predicando, nelle quali egli sempre è l’eroe. Non ha navigato un mare, non ha passato un fiume, che
o tempesta o naufragio non l’abbia pericolato. Nè per le selve, nè per li palazzi incantati
trovavano tanti scontri gli erranti cavalieri, quanti ne trova egli in un viaggio non più che tre
miglia lungi dalla città; gli spuntano sotto i passi i prodigii ed i mostri, e la natura mette fuori
per lui meraviglie invisibili agli altri, solo per dargli materia di millantarsi.
Ebene 3
Exemplum
A sentir Ardelione, pare che l’influsso di qualche propizia stella lo
abbia destinato ad esser l’amico e il confidente di tutti: tutti gli accomandano i loro secreti,
tutti ne’casi intrigati si consigliano con esso lui, e non vi è faccenda d’importanza che si conduca
a buon termine senza intervenimento di lui. Egli sa sempre il primo le più gravi novelle: i suoi
carteggi sono sicuri ed anche ufficiali, e così sempre autentiche le sue relazioni, onde egli
rimuove ogni dubbio e non ammette disputazioni. Se opera nuova di letteratura si produce ed abbia la
pubblica estimazione, egli ne ha avuto primo il manuscritto dell’autore che gli è amico. Se si parla
di qualche moda novella: Io era alla Corte, dice egli incontanente, quando uscì la prima volta. Da
principio niuno si attenta a contraddire ad un uomo il quale afferma di aver veduto o inteso; e
Ardelione è per alcun giorno l’oracolo di qualche conversazione.
Ebene 3
Exemplum
Ne sia un esempio Malcaro, che si predicava il meglio avventuroso del
mondo in amore. Nato senza ingegno e senza nessuna dote che lo renda accetto, egli può piacere a
quelle donne solamente che cedono al vizio senza bisogno di seduzione. Non pertanto se gli si presti
fede, conta nel numero di sue conquiste le donne più amabili e più virtuose, e non fa mistero ad
alcuno delle buone sue avventure. Pubblicando in tal guisa quei favori che mai non ha sognato di
ottenere, ha turbato la pace di parecchie famiglie, ed offuscato con qualche ombra la riputazione di
molte donne specchiate. Ma non è andato guari che l’impostura è stata scoperta, ed un esemplar
gastigo di tanta sfacciataggine ha costretto l’impostore ad esiliarsi dalla società.