Lo Spettatore italiano: Gli amici
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Niveau 1
Gli Amici
Citation/Devise
Amicitia est
divitibus pro gratia, pauperibus pro censu
exulibus pro patria, imbecillibus pro virtute, pro
medicina aegrotis, pro vita mortuisL’amicizia è grazia nelle ricchezze, è pane nella po
exulibus pro patria, imbecillibus pro virtute, pro
medicina aegrotis, pro vita mortuis
Senec~k. Epist..
L’amicizia è grazia nelle ricchezze, è pane nella po
vertà, patria nell’esiglio,
vigore nella debolezza,
rimedio nell’infermità, vita nella morte.
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O amici miei, non vi sono più amici, diceva Aristotile, già è più di
due mila anni. È stato perpetuo il lamento che l’usanza del nome di amico volgarissima fosse, e sì
rada la sostanza. Certamente il sentimento di sincera e perfetta amicizia è molto raro; nè può
essere altrimenti, conciossiachè egli non sia ricevuto che negli animi di alta e singolare natura.
“Evvi nella pura amicizia, dice La Bruyere, una dilettazione impossibile a gustarsi da chiunque
sortì anima mediocre.” Troppo è scarso il numero di coloro che sieno degni e capaci di esser
compresi da sì nobile affetto, di intenderne ed adempierne i doveri, di conoscerne il pregio e di
assaporarne la dolcezza. Se vi sono persone che posseggono tutto quanto il tesoro dell’amicizia, non
sempre verrà loro trovato a cui farne parte, avendo mestieri di un animo al loro conforme. Colpa
ancora che l’amicizia più rada sia che non sarebbe, è la vaghezza di far eccedere il segno a questo
sentimento, e d’immaginarlosi così gigante, che par un sogno di romanzi. Si ripone essa
in una così grande oblivione di se stesso, che per l’amico vogliasi appieno ogni cosa più caramente
diletta lasciare. Si accolgono queste strane opinioni, perchè saremmo vaghi di rinvenire persone che
volessero per noi sacrificarsi; ma nella pratica scapita una sì bella teoria, perchè a niuno piace
il sacrificare se stesso, e perchè la natura non consente tali sacrifizi. Formiamoci una sana idea
dell’amicizia, e così ci guarderemo dall’affermare, esser questo un affetto che sì rade volte si
provi. Accade nell’amicizia quello che accade nelle virtù. Perchè gli uomini s’inducano ad
adoperarle e a dimesticarsi con esse, non bisogna divisarle difficilissime e quasi impossibili. Così
se vi riesce di convincermi che non vi sono amici nel mondo, come potrò io dare opera ad
acquistarne, e far quanto posso per conciliarmene l’affetto? Voi, cui natura fece dono d’un cuor
sensibile, non ponete mente a così fatte bestemmie; nè, corrotti dalle male opinioni, fate dipartir
da voi l’amicizia, che è il più pia-cevol sentimento che n’abbelli la vita. Amate i vostri simili,
che senza fallo sarete riamati. La necessità d’amare è il dono che ogni uomo ebbe dalla natura. A
voler però godere della fortuna d’aver amici, ci sono certe regole da osservare, le quali, o non
sapute, o non osservate, hanno fatto sì che l’amicizia sia sì rara. La sovrana di esse è di non
torre ad amare cui tu prima non conosca. Gli alberi di maggior vita sono di più tarda
crescenza. Così non è salda e di lunga durata l’amicizia, se non quando siasi lentamente formata.
Questa regola riceve non pertanto qualche eccezione; poichè, se s’incontrino due cuori ugualmente
buoni, allora dalla virtù nasce incontanente l’amicizia. Sperimentisi dunque prima che si ami; ma a
questa esperienza deve tener dietro una perfetta fede. Con l’amicizia non altramente si convien fare
che con la virtù; e nell’una e nell’altra vassi a gran rischio, quando si voglion tentare fuor del
bisogno. Un’altra regola che rileva ancor molto, si è di non procacciarsi amici, che tolti dal
numero di onorate persone. È qual altro molto si trova, il quale maggior prova ti faccia che il tuo
amico così sia capace, come degno d’amicizia? Portisi scritto nella mente che i nostri amici
definiscono noi, perchè essi sono quasi di noi l’immagine. Non potremo esser noi commendati, se non
sono commendabili i nostri amici. Avvisano molti che la similitudine della natura e de’costumi sia
il seme dell’amicizia; ma tale similitudine non è di necessità. Conciossiachè spesse volte mi è a
grado veder l’amico di quelle doti adorno, le quali a me non furono concedute; e perchè fioriscono
in persona che è la mia medesima, io m’estimo d’averci ragion sopra, e di poterlemi attribuire. È il
vero che le più volte è partorita l’amicizia da una conformità di affetti, di massime e
d’inclinazioni, per cui sembra che due anime indovinino l’una dell’altra i pensieri, e divengano l’una all’altre necessarie.
L’amicizia richiede un’intima fiducia, poichè la dolcezza de’vincoli che stringono i veri
amici, consiste appunto in quel discuoprirsi il fondo de’cuori per comunicarsi gli affetti e i
pensieri. Supponiamo un principio di riguardo e di segretezza in tramendue; subito è dileguato il
diletto di stare insieme. Il riserbo crea la diffidenza; e quando è nata la diffidenza, già è morta
l’amicizia. Colui che giudica che amar si convenga, come se si dovesse odiare dappoi, intende a
rompere ed uccidere tutte le amistà; perciocchè come potrei essere amico di chi credessi potere un
dì essermi nemico? Quegli che fida sue cose in parte solamente all’amico, non fa altro che destare
in lui sospetto e disamore; e però non bisogna niente celare all’amico, fuor che il secreto d’un
altro amico. Ma a questa gran fede bisogna aggiungere una sollecitudine soprammodo
studiosa, perchè siamo tenuti di rivolgere in vantaggio degli amici quanto la natura ci ha dato. Chi
si ristringe a far per l’amico unicamente ciò che questi gli chiede, non fa quanto basta, perciocchè
a lui s’appartiene presentirne i bisogni ed antivederne i desiderii. E veramente vi è egli bene
alcuno di fortuna che possa agguagliarsi al bene di giovare e di far cosa grata a una persona che si
ama? Taluno, non avendo per l’amico operato ciò che a ragione questi potea da lui aspettare, se ne
scusa dicendo, non ci aver pensato, come se la smemoraggine fosse mai ricevuta per degna scusa di
non aver soddisfatto agli obblighi dell’amistà. Un moralista ha ben detto: Non si faccia crescer
l’erba su per la via dell’amicizia. Chi dice di non volersi nelle questioni dell’amico avviluppare,
non viene a dir nulla, fuorchè si può abbandonare l’amico, senza ch’egli abbia ragione di
chiamarsene offeso. E chi dice: Io non prendo a ciancia l’amicizia, ma se rischio soprastesse
all’amico, gliene vorrei far mostra: egli dichiara che dorme in lui l’amicizia, e che solo al
fracasso di crudeli avvenimenti può destarsi. Chi più ama, più vuole; ed ogni amico brama
dall’altro, secondo che gli ha conferito e gli vorria conferire: ma ci sono molti che si predicano
amici per solamente volere.
Niello ti protesta amicizia, e per dartene una prova, ti chiede un servizio di cui tu lo
deggia appagare. Questa via di dimostrare amicizia è per sè nobile e gentile; ma in costui è vile e
sfacciata, perchè è tutta un’opera del proprio interesse. Se per compenso tu il volesti ricercare di
alcun tuo bisogno, lo vedresti confuso, accigliato e balbettante; ed egli o se ne scuserà, o se è
tanto ardito che tel prometta, di questo vivi sicuro che egli non ti terrà fede. Uno degli officii
principali dell’amicizia è quello di dar savi consigli. Un perfetto amico esser altro non deve che
un leal censore; e tolto questo, fia l’amicizia un nome e non un sentimento. Ciò non ostante tutti
desiderano amici, ed abborrono censori.
In fatti non merita di piacere all’amico, chi non ha il coraggio di dispiacergli quando
bisogna. Ma se è necessario che l’amicizia sia talvolta severa, non deve dimenticarsi che
l’indulgenza è il maggior vincolo di una stretta unione. L’amicizia ordinaria mai non
vuole avere alcun torto; l’amicizia delicata non ha difficoltà di assumerne il peso, e contenta di
potergli risparmiare un disgusto, lascia all’amico il piacere di perdonare. Non è disiosa di sapere
se l’affetto dell’amico uguagli nella tenerezza il suo: Forse, dice tra sè, egli non ha tanto
sentimento, quanto ne ho io; mi dà ciò che è in suo potere di darmi, ed io me ne tengo pagato,
perchè il pregio della vera amicizia sta più nel sentirla, che nel farla sentire. Sieno da voi
appregiate anche le minime cortesie dell’amico; non vi dispiaccia ch’egli si lagni delle vostre
negligenze, e non vi offendano i suoi rimproveri. L’inquietudine è inseparabile compagna della
stretta e cordiale amicizia. Ha essa, come l’amore, le sue gelosie, ed è indegno di scusa chi le
appresta questo veleno. Nessun rammarico ci ha che più punga e rattristi, quanto il sospettare di
avere onde lamentarci dell’amico. L’amicizia è sì delicata cosa, che richiede più osservanza e più
zelo ch’uomo non giudica; anzi par che di questo si pasca e si viva. Gli amici devono
scambievolmente farsi tenere in concetto, e il mancare a questo dovere sarebbe tradimento. Questo
rispetto vicendevole, legge essenziale dell’amicizia, tiene il freno agli atti soverchiamente
famigliari: perciocchè la natura, avara de’suoi doni, non ha formato gli uomini così perfetti, che
non possano scemare di stima e di pregio, quando una smoderata dimestichezza affisa
sopra di loro la licenza de’suoi sguardi. L’interesse indebolisce anche più della troppa
dimestichezza, e distrugge spesse volte interamente ogni senso d’amicizia. Non già dico di
quell’interesse che è prodotto e alimentato dalla brama di ricchezze e di splendore, perchè questo è
cordial nemico della sincera amicizia: parlo di quello interesse di certe secrete rivalità, il quale
non si lascia ben intendere a quello stesso cui egli tocca. Ogni uomo è schiavo di qualche passion
prepotente, per la quale perderebbe ogni sua cosa. Talvolta si offendono, perchè, non sapendone i
difetti, li tentiamo da quel lato che più loro duole; e con tutto che questa imprudenza non sia di
nostra volontà, non è meno nociva all’amicizia. Temiamo che nascano scandali fra l’amico e noi;
schiantiamo dall’amicizia ogni germe di gelosia, e non entriamo mai in questione contro l’amico. Gli
argomenti nostri, come le nostre spade, sono fatti non già per combattere, ma per difendere gli
amici. L’amicizia è nemica, come l’amore, delle lunghe assenze. Una breve separazione ci fa più caro
l’amico a cui ci ricongiungiamo; ma se fosse ella di tanto spazio che nel traesse di mente, se
siansi stretti nuovi legami, lo rivediamo con indifferenza.
Ma non ha peggior morbo l’amicizia che quella graduata declinazione, quel fastidio che si
viene via via aumentando per sì lievi cagioni, che come rimproverare, così schivar non si possono.
Si può emendare il torto, e placare il risentimento. Ma quando scema il desiderio di piacere, quando
cessa il bisogno d’amare, diviene impossibile la guarigione dell’amicizia: così non giova arte di
medicina a un malato, se la forza della vita l’abbandona. Guai a colui che non sa conservarsi gli
antichi amici! Perde egli il bene più prezioso, e fa assai mala mostra dell’animo suo. Ecco i
precetti dell’amicizia. È giudizio d’alcuni che di là dalla vita non restino officii d’amistà, e ben
pochi si ritengono amici dei defunti. Sieno pure le lacrime e il dolore de’nostri amici la vera
funeral pompa; sia pure il lutto, che portiamo nel cuore, la più onorifica gramaglia; non perciò dee
credersi che il pianto da noi versato per pietoso desiderio dell’estinto, e talvolta per cura e
pensier di noi stessi, satisfaccia a lui pienamente. Di molto ancora siamo tenuti al suo nome,
all’onor suo, alla sua casa. Deve egli vivere nel cuore per l’affetto; nella mente per la
rimembranza; sulle labbra per la commendazione, e ne’nostri atti per l’imitativo
esempio della sua virtù. È egli possibile il porre in dimenticanza un amico diletto? Simile perdita
opprime e strazia l’anima. Priva del dolce oggetto di sue affezioni, essa resta sconsolata vedova in
una spaventosa solitudine. Il buon Pecmeja1, lo specchio
dell’amicizia, solea dire:
O pietoso Pecmeja, furono esauditi i tuoi voti, ed avesti l’infelice consolazione di piangere
sulla tomba dell’amico.
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Exemple
Acasto e Teramide, che non si conoscevano neppur di nome, trovaronsi
l’uno di costa all’altro ad un gran desinare. Si scorsero così concordi nei loro ragionamenti, che
mutuamente s’andarono a genio, nè per tutto il dì si dipartirono. La sera Acasto invitò per la
seguente giornata Teramide a mangiar seco, con quella dimestichezza ch’egli avrebbe ad un fratello
usata; e Teramide, senza saper chi colui si fosse che per sì cortese modo gli apriva la sua casa,
tenne l’invito: nè gli cadde pure in pensiero di richiedernelo, poichè avrebbe creduto di far
villania. Ogni giorno andava sempre più accrescendosi la reciproca stima, e in breve tempo divennero
intrinseci amici. Quel segreto istinto che gli aveva l’un verso l’altro tratti, altro non era che
concordanza degli intelletti e de’cuori.
Niveau 3
Exemple
Moranio non ama nessuno, ma vuole al tutto esser amato; che tanto
suona quanto che gli è uopo persona con cui passi malinconia, e che sofferisca quel suo novellare
fastidioso e scondito. Se fai conoscenza con costui, egli non ti lascia fuggir di mano,
se prima non ti ha fatto suo amico: se per cortesia prendi una volta a farne l’uffizio, avrai a
farlo dì e notte; e se trascuri una volta di secondarlo, di prevedere il suo talento, sarai
orgogliosamente trattato e ripreso di sconoscente. Moranio è un tiranno bramoso di vittime; e se
alcuna ne campa da’suoi artigli, ei se ne scorna.
Niveau 3
Citation/Devise
“Il maggiore studio dell’amicizia, dice un rinomato moralista, non
consiste già nel palesare i nostri difetti all’amico, ma nel porgli sott’occhio i suoi”.
Niveau 3
Exemple
Erimone, dopo vent’anni consumati al viaggio d’America, vicino alla
repatriazione, non d’altro era lieto che di avere a rabbracciare il suo Serano, col quale avea la
puerizia e la gioventù sua passata. Sperava egli di provare que’primi impeti della amicizia, e già veniva godendo fra sè delle amichevoli accoglienze ed amorevolezze. Ma quanto
rimasero fallite le sue speranze! Al primo incontro si avvide che il lungo tempo gli avea cangiato
tutto quanto l’amico, e che era già rotta quell’uniformità di pensieri e di affetti che prima gli
aveva uniti; e così nè Serano ad Erimone, nè questi a lui parve più quello che egli già amò tanto.
Niveau 3
Citation/Devise
“Il dolore più grave per me è quello di dover co’miei mali
contristare l’amico mio, e questo appunto mi fa desiderare di sopravvivergli. Può esserci morte più
amara che quella che ci scompagna dall’amico desolato, e lo ricompensa de’suoi meriti con infinito
dolore? Deh! come potrò io morir innanzi a lui? e non fora il meglio ch’egli mi spirasse nelle
braccia, lasciandomi tristo, ma libero di finire, quando che mi piacesse, la dolorosa vita?”
1Autore del Telephe; ma più rinomato in Francia per l’amicizia che lo stringeva al medico Dubreuil, che per le sue opere.